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Autore: ValorosaViperaGentile    10/02/2016    11 recensioni
1789, Parigi.
Soffia un vento freddo, preannuncio di tempesta, che presto spazzerà via tutto ciò che è caro. All'alba della rivoluzione, Oscar François de Jarjayes e Maria Antonietta affrontano la loro loro ultima estate insieme, pronte a seguire il destino dei fiori che si consumano prima dell'arrivo dell'inverno – ma a Versailles non perdono mai la loro freschezza, le rose; sono belle anche quando si accingono a morire.
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[PRIMA CLASSIFICATA AL CONTEST "This is a real friendship?" indetto da LeoValdez00 sul forum di EFP]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Les roses conservent leur beauté même dans la mort


 




    










 
 

Parigi non è più la città dei fiori.

È lercia di fame e disperazione, un campo arido dove nulla di buono e bello cresce.

Al centro di un muto deserto, Versailles sembra più che mai un sogno scintillante. È crudele e falso, un miraggio pronto a dissolversi da un momento all'altro: non ha cuore per gli assetati sfiniti sotto la povertà cocente, a un sospiro dalla fine ancora illude le loro gole aride col bagliore di un mondo che non esiste per davvero.

Perché fuori da quella riserva che è la Reggia c'è una realtà che è fatta di pena e miseria, un coro di voci querule che la famiglia reale e la maggior parte dell'aristocrazia ancora si rifiuta di ascoltare, come fossero tutti degli storpi ciechi e sordi.

C'è così poco sfarzoso, armonico ordine oltre le colonne bianche e rosse[1], le statue pallide, i legni e gli stucchi dorati, il verde a ghirigori delle siepi e lo zampillare pulito delle fontane; nessun perfetto equilibrio più in là delle balconate e dei cancelli forgiati di Versailles.

A Parigi le strade sono sudice, ora molto di più che sotto il vecchio re. I veicoli si sono moltiplicati e i mefitici rigagnoli di melma e sporcizia non vengono più dilavati dalle acque che prima cadevano dai doccioni[2]. Quando piove, a volte si formano torrenti che non è possibile attraversare senza pericolo e quello di rue Montmartre è un fiume di immondizia. La gente versa quel che c'è nei vasi da notte per le strade o, peggio, dove si trovano i pozzi, cosicché il liquame va pian piano verso le vene d'acqua.

Abbondano di pidocchi e di cimici, i Francesi, però hanno tasche e pance vuote. Sono affamati di pane e giustizia, ma da tempo non fanno altro che mandar giù solo vane garanzie e bile – vanno di traverso le promesse che fa loro Sua Maestà il Re, derrate avariate; il digiuno forzato li rende sempre più magri, rabbiosi, e le parole di uomini come Maximilien de Robespierre e Louis Antoine de Saint-Just hanno la dolcezza del miele alle loro orecchie bisognose.

Le mani del popolo si sono già tese, e non più per elemosinare la carità. Hanno cominciato a prendere dove possono, ormai stanchi di stringere solamente polvere fra le dita. A Parigi distruggono e rubano, rovesciano le carrozze per arraffare gioielli e quanto altro riescano, tentando anche di mietere delle vite – brividi, freddi brividi lungo la schiena di Oscar mentre attraversa i corridoi senza fine della Reggia: la spaventa il ricordo della folla che con la forza di un fiume in piena ha trascinato via lei e André, separandoli, mentre loro urlavano, rifiutandosi di star lontani; non saprebbe cosa avrebbe fatto, a sé stessa o alla folla, se lo avessero davvero impiccato.

Ma lì, a Versailles, quasi non si incontra una sola anima. Il ticchettio degli stivali sul marmo è un sussurro che risulta invadente in mezzo a tanto silenzio assordante – quanto quello che ha accolto la Regina in sala durante la prima seduta degli Stati Generali, profondamente immobile e senza accenno di calore vitale. Un affronto che mai scorderà e perdonerà, non la donna che, ancora bambina, per ostinazione divise in due la corte, minacciando di recidere la gola all'alleanza franco-austriaca costruita da sua madre e da Luigi XV a causa dei puerili dispetti con la Contessa du Barry; di lei, della piccola Autrichienne, non è rimasto che il ceruleo degli occhi e il biondo puro[3] dei capelli, quella sua decisa intolleranza e l'amicizia per il passato comandante della Guardia Reale.

E pure, dopo tanti anni, l'insofferenza per l'etichetta: perciò Maria Antonietta non attende che Madamigella[4] Oscar arrivi sino alle sue stanze, ma le va incontro, raggiungendola davanti una drammatica scena a olio, una delle grandi tele che colorano i corridoi di Versailles – rocce appuntite e nubi pastose che riflettono la forza del temperamento del gentiluomo in uniforme: un'altra delle tradizioni dell'Ancien Régime[5], come già qualche prima voce chiama il presente.

«Ah! Oscar...»

Il colore del taffetà ben si accorda all'azzurro imperiale[6] delle donne Asburgo. È lo stesso abito che Maria Antonietta indossava durante l'ultima visita di Oscar al piccolo Principe, un'altra delle lussuose creazioni di Mademoiselle Bertin.

«Vostra Maestà.»

«Alzatevi, Oscar, e seguitemi. Andiamo nel Cabinet Doré

Vanno insieme, l'una vicino all'altra, dapprincipio senza parlare.

«Come sta oggi Vostra Maestà?» – una prima domanda.

«Louis-Joseph mi manca terribilmente» – una risposta, contegnosa e dolorosa, mentre Oscar torna col pensiero al viso chiaro e perfetto del Delfino che un giorno l'avrebbe fatta sovrana di Francia[7], un dolce bambino di sette anni che la patria non ha pianto nemmeno per un istante – «e mi è ancora difficile accettare questa perdita. È quasi come se non fosse mai accaduto nulla.»

I sovrani avevano cercato di imporre il lutto alla nazione, ma i lavori degli Stati Generali non si erano fermati e loro non avevano neppure potuto partecipare al funerale del figlio a Saint-Denis.

«Manca a tutti noi» – risponde Oscar, ma è impossibile consolare il cuore ferito di una madre e la Regina non nasconde una smorfia sdegnosa: Mio figlio è morto e pare che non importi a nessuno![8], si era sfogata esasperata dopo la tragedia.

«Abbiamo dovuto vendere l'argenteria e i candelabri d'oro per pagare i suoi funerali. Siamo senza denaro.»

È un momento umiliante e triste per entrambe; nessuna aggiunge altro prima di arrivare al petit appartement.

Lì, la luce che viene dalle grande vetrate inonda le stanze e rende l'intero ambiente quasi abbagliante, per il bianco delle sue pareti.

Il Cabinet Doré, il sontuoso rifugio della Regina, è proprio come Oscar lo ricorda: le ricche boiseries e le decorazioni dorate sono ancora lì, dove Sua Maestà posava per i ritratti e prendeva lezioni di clavicembalo e arpa; ricorda le udienze private di Maria Antonietta, gli ospiti e gli amici e tutti quanti avevano fatto parte del suo piccolo entourage personale lì riuniti; ricorda pure quando la sua Regina fece rimodernare il salottino, dando ordine sostituire la tappezzeria alle pareti coi motivi pompeiani e i cherubini giocosi che ancora sono lì – allora rideva, Sua Maestà, e con entusiasmo aveva dato l'incarico al fidato Monsieur Mique, il suo architetto preferito.

Si inginocchia nuovamente quando la Sovrana le siede di fronte lenta, senza fretta.

Quella Versailles sempre pericolosa, ma almeno gaia, adesso è tanto lontana, anche se riesce ancora a toccare il suo corpo evanescente di illusione.

«Sapete, sono molto sola in questi giorni. I nobili vengono sempre più raramente a corte.»

L'aristocrazia ha iniziato a prendere le distanze: c'è chi ha preferito il nuovo ordine alla famiglia reale, come il Marchese La Fayette, che era stato pronto a battersi con gli altri suoi pari contro le truppe del Comandante Girodel, e c'è chi, pur restando monarchico nel sangue, già abbandona la nave fallata, come un impaurito topo in fuga. Solo pochi restano fedeli, mostrandosi sudditi e amici, leali nel momento del bisogno – Fersen è il più devoto di tutti loro perché spinto dall'amore, ma Oscar, dopo anni di sospiri e lacrime ricacciate indietro a forza, improvvisamente non soffre più per quella passione clandestina, e anzi è lieta che qualcuno stimi ancora così tanto la loro sovrana.

Né, tuttavia, prova vergogna per il tradimento di cui si è macchiata, nessuna colpa per non aver accettato di mandare i suoi uomini a sgomberare l'Hôtel Menus-Plaisirs[9], fucili in mano – ancora in ginocchio, si chiede se stia pugnalando onore e amicizia con questa sua sincera inverecondia.

Maria Antonietta sorride, di quel sorriso che sa fare solo chi è troppo stanco e amareggiato, però Oscar, occhi bassi, ben piantati sull'orlo della sua gonna, non lo vede.

«Ma forse è meglio così. Dopo la morte di Louis-Joseph provo quasi piacere a vivere in solitudine, o meglio, lontana dalla gente.»

Non è tuttavia ancora stanca della vita, la Regina: quando riapre le palpebre, l'occhio è di un azzurro crudo, abbastanza duro, l'occhio della Casa d'Austria.[10]

«Voi e il vostro reggimento siete molto occupati a Parigi, non dovevate venire a ringraziarmi.»

Da buon realista, il Generale Jarjayes aveva deciso che non era possibile sopravvivere all'onta del tradimento: per uccidere il disonore, l'unica strada possibile era morire insieme all'infamia; voleva togliersi la vita dopo aver ammazzato la figlia e il servitore che si era messo di mezzo per proteggerla. Solo il perdono reale, quanto mai puntuale, li aveva salvati.

La Regina aveva salvato tutti loro, e caro le è costato quell'intervento. Perché la situazione pare precipitare di giorno in giorno, ogni affronto è un pericolo mortale, ogni atto di clemenza un segno di irrimediabile debolezza. Le è costato perché la donna che aveva giurato di proteggerla e sacrificare per lei la vita, l'amica che ha di fronte, la più grande fra tutte, l'ha pugnalata senza nemmeno attendere che girasse le spalle, senza timore di essere vista.

Quella stessa notte di tormenti, afflitta dall'insonnia, aveva lasciato il letto e a lume di candela s'era messa a sfogliare le Sacre Scritture, alla ricerca di conforto.

Molto diceva la Bibbia sul perdono: l'Altissimo, il Cristo Salvatore e tutti i suoi buoni seguaci perdonavano; il perdono era uno dei volti di Dio e una regina, da Lui unta, doveva tentare di seguirne l'esempio. La verità, però, era che la pietà non era scaturita solamente dalla coscienza, ma soprattutto dal cuore.

«Avevo commesso una mancanza molto grave ed ero pronta ad accettare qualunque punizione. Cosa che ho evitato grazie al vostro intervento. Ve ne sono grata.»

Non si scusa Oscar, parla solo di dovere mancato e del coraggio di accettare la morte come dovuto castigo. È la Regina che si alza veloce dalla sedia, per fermala.

«La nostra amicizia dura da vent'anni, era il minimo che potessi fare.»

Quante infinite volte, dal loro primo incontro, si erano salvate a vicenda la vita e l'onore? Insieme avevano superato le mire del Duca d'Orleans, i piani della Contessa, l'ira di Luigi XV, le chiacchiere maligne della corte, gli intrighi di Jeanne Valois e mille altre altre tempeste perché è proprio quanto gli amici fanno: l'uno veste i panni dell'angelo custode dell'altro, passandosi a vicenda le ali e la spada.

Oscar ringrazia la Regina, ma mentre lo fa socchiude gli occhi per il troppo dolore.

La colpa di cui ti sei macchiata è grave, le aveva detto suo padre con la lama sguainata, pronto a decapitarla[11], ma lei aveva chiesto perdono per non voler morire in nome di un sacrificio vano. Doveva vivere per salvare i dodici uomini prigionieri all'Abbaye-aux-Bois[12], e magari venire uccisa nel tentativo di liberarli, ma non poteva morire per non aver fatto fuoco sui rappresentati del popolo. E quando le sue volontà non era state ascoltate, aveva deciso di piegarsi alla punizione solamente in nome dell'amore e del rispetto che portava al padre, per dovere di figlia e per nient'altro. Anche le parole di André – il suo André, libero e gentile come una brezza di primavera – l'avevano resa forte di fronte l'inutile sacrificio: non c'era differenza fra chi sedeva sul trono e i milioni di nessuno che abitavano le strade di Parigi e delle altre città della Francia; si era tutti fratelli e sorelle, uomini e donne che amavano e soffrivano alla stessa maniera e che dovevano disporre di eguali diritti per vivere una vita migliore, più degna.

La Regina le porge l'altra guancia, sorridendo e facendole segno di alzarsi in piedi.

«Entrambe soffriamo molto, però vi do la mia parola che non sarà così per sempre», predice sibillina andando di fronte a uno dei grandi specchi del Cabinet Doré, con le mani giunte sul grembo e il viso calato. Un vaso di porfido è lì vicino, su di uno tavolini bassi della camera, un trionfo di rose colorate e bianche.

«Anche tutto quello che sta accadendo a Parigi mi preoccupa non poco, Oscar», confessa, ma subito alza il mento, sfoggiando un'espressione risoluta. Alle sue spalle, l'antica amica può leggere tutti i suoi pensieri, perché ognuno di loro le raggiunge facilmente il volto. «Forse voi non lo sapete amica mia, ma in questi giorni molti reggimenti stanno marciando verso Parigi e Versailles. Vengono da ogni parte della Francia. Fra qualche giorno, qui ci saranno quindici reggimenti, tra cui il Royal-Allemand.»

La cui metà dei soldati sono mercenari svizzeri e tedeschi, che nessun legame materno sentono per la patria e nemmeno parlano il francese: ai Parigini la loro presenza piacerà assai meno di quella degli altri reggimenti, la vedrà come un affronto e un pericolo.

Oscar li vede già marciare diligenti per la verde campagna sotto il comando del Principe di Lambesc, con le loro uniformi blu guarnite di bianco e rosso, i loro alti cappelli neri, la loro bandiera col sole dorato e il motto Nec pluribus impar Al di sopra della maggioranza: non c'è nessuna ombra nella loro devozione alla famiglia reale che li stipendia.

«E arriveranno anche contingenti stranieri, Madamigella Oscar.»

Si preannuncia una strage, la fine del mondo. Lo sguardo di Maria Antonietta ammutolisce Oscar – il suo azzurro pare ancor più duro di prima, ora, e gli occhi più piccoli – e poi, netta, socchiude subito le palpebre, con un'aria caparbia da despota crudele.

«Vedete, quale regina di Francia, non potevo fare altrimenti.»

La cagna d'Austria[13], Autruchienne, Madame Deficit. Quale sarebbe stato il suo prossimo soprannome? La Regina del Massacro[14]? Eppure, la prima volta che visitò Parigi Maria Antonietta venne accolta da una bella giornata di cielo terso e dal fragore degli applausi e delle esclamazioni entusiaste dei Francesi.

«E quando ci saranno i soldati, scioglierò l'Assemblea Nazionale e farò combattere i rivoltosi. La dinastia dei Borbone non si estinguerà mai!»

L'orrore, con quelle sue parole violente, schiaffeggia Oscar in piena faccia. È Maria Antonietta ad affondare lo stiletto, ora, perché sa quanta devozione per la Francia e la sua gente provi il Comandante della Guardia.

«Il momento è molto difficile, Madamigella Oscar», continua la Regina, mentre si gira verso di lei, ancora immobile. «Forse sarà necessario che il Re dia ordine di lottare contro i rivoltosi... e se questo accadrà, vorrei tanto avervi vicino.»

Una volta, nel cicalio frivolo di Versailles, avevano sentito alcuni nobili esclamare sagaci che i veri amici sono quelli che ti pugnalano di fronte[15], ma quel giorno si erano entrambe ribellate a una frase tanto crudele.

«La vostra Guardia può venire chiamata da un momento all'altro e io vorrei poter contare su di voi.»

Conto su di te, vuole dire la Regina: non è una richiesta, ma la sicurezza di una pretesa assoluta: troppo a lungo sono state vicine – più di mezza vita trascorsa fianco a fianco – perché possa pensare che un altro tradimento arriverà, pure se sa che per Oscar è tutto così sbagliato – se vede il suo sguardo, che è una lama tagliente e fredda e scintilla proprio come la sua spada.

«Tuttavia prego Nostro Signore che le cose non debbano precipitare», si affretta a spiegare, perché nemmeno lei vorrebbe una guerra col suo popolo. «Prego pure che vi aiuti a rinsavire, Madamigella, che vi aiuti a ricordare il valore della nostra amicizia.»

Ma Oscar non combatterà per la Regina e lascia che lei, l'amica cara e la sua sovrana, glielo legga sulla faccia.

«E prego affinché dia a me la forza di perdonarvi nuovamente...»

Il Generale tremava dopo l'arrivo della grazia reale, gli occhi lucidi per la commozione: Grazie alla generosità della nostra Regina la tua vita è salva, Oscar! La tua vita è salva...!, aveva detto prima di piangere contento davanti alla figlia e alla servitù.

«Maestà, non sono certa che questa sia la soluzione più saggia. Voi pensate che dopo sarete al sicuro, e che forse riuscirete anche a chiudere questo capitolo spiacevole per la monarchia... ma così facendo rischiate di metter a repentaglio ciò che è rimasto dell'amore del popolo per il Re. E questo, credetemi, è un lusso che nemmeno Vostra Maestà può concedersi.»

Tutti odiano l'Autrichienne, la gran parte dei nobili, che da lei è stata osteggiata o ignorata, e l'intera plebe che la vede come la fonte di ogni suo guaio. C'è invece chi ancora vuol bene e rispetta Luigi XVI, un povero influenzabile nelle mani di una donna malvagia.

«Se con qualche discorso forse potreste riuscire a far accettare al popolo i reggimenti francesi, non otterrete mai lo stesso circa quelli stranieri. Anche il Royal-Allemand...»

La Regina interrompe il buon consiglio che le viene offerto: «Non si tratta di un reggimento straniero, ma provinciale. Un reggimento sulla cui lealtà posso contare.»

Non è chiaro se del veleno inquina le sue ultime parole, ma non c'è nulla di più naturale per l'Uomo che ricambiare i colpi ricevuti. «Il popolo non guarda le uniformi, Maestà, ma gli uomini che le indossano[16].»

Maria Antonietta non risponde. Va a una delle grandi vetrate e pare perdersi in qualcosa che riesce a vedere solo lei, oltre la finestra – forse il futuro, o il passato.

Oscar dovrebbe ringraziarla pure per aver liberato Alain e gli altri compagni tenuti prigionieri all'Abbaye-aux-Bois, ma ormai è così teneramente innamorata del popolo che crede che sia solamente della gente comune il merito, non del Re e della Regina, o suo o delle parole di Bernard Chatelet – Sembra che voi abbiate iniziato a capire il mondo, Comandante, le aveva detto Alain con un mezzo ghigno; poi si erano stretti la mano. È il suo ultimo colpo sferrato prima di ricevere il congedo.



***




Luglio si è aperto sul piede di guerra. L'armata reale da giorni occupa Parigi e Versailles. La cavalleria leggera è giunta da Sud, il Royale-Clavert da Charenton, il Sailis-Samade da Vichy[17], e molti altri sono arrivati. I loro passi corali sono rombi minacciosi alle orecchie del popolo, lampi che preannunciano il temporale imminente.

Nei giardini e nei caffè, nelle botteghe e nelle case, per le strade, in ogni angolo della capitale e nelle sue vicinanze, la paura e il malcontento infervorano gli animi.

All'inizio del mese, Palais Royal è stato teatro dell'ennesima manifestazione. La gente ha protestato per le truppe chiamate, ma il Re ha continuato a chiedere rinforzi attorno Parigi: trentamila soldati agli ordini del Maresciallo di Campo Victor-François de Broglie, con l'ordine di circondare la città non oltre il giorno tredici. È stata la sua nobile camarilla, con a capo Maria Antonietta, a esortarlo al pericolosissimo gesto dopo le misere figure patite; le truppe non sono però arrivate in punta di piedi, perché troppo liberamente hanno interagito coi locali, e così a Parigi è giunta notizia dei nuovi, preoccupanti movimenti. Senza successo una lettera di Luigi XVI in risposta alle richieste dell'Assemblea ha cercato di tranquillizzare gli animi, spiegando il suo gesto e minimizzando sul numero delle truppe e sui loro reali scopi, ma la gente non crede più alle parole di quell'uomo debole e bugiardo: è certa che l'obiettivo sia quello di cancellare per sempre la loro libertà.

Il Royal-Clavert ha già chiuso l'avenue de Saint-Cloud e il Royal-Allemand Regiment la strada che da Parigi porta a Versailles, mentre il Salis-Samade pattuglia giorno e notte la capitale, imponendo il coprifuoco, impedendo così i raduni notturni dei membri dei club e degli altri cittadini[18].

Continua anche la fame di cibo, perché la libertà non nutre il corpo oltre lo spirito: il pane scarseggia sempre di più e quel poco che c'è è di qualità pessima ed è venduto a un prezzo esorbitante.

L'Hôtel des Invalides è stato messo all'erta, preda golosa per le mani violente dei Parigini, con il suo lauto deposito d'armi.

Questo è il mese della grande paura, dove si teme ogni cosa.

Oscar ha vissuto il tumulto delle ultime ore in un'ovattata distanza, nella quiete del suo palazzo a Jossigny da dove può sempre osservare la Reggia[19].

Non appena tornata a Parigi, ha trovato le strade travolte dalla furia del popolo e Place Vendôme bloccata e così pure tutte le altre maggiori piazze e le vie. Le parole di Alain l'hanno accompagnata per tutto il tempo, da quando hanno lasciato Parigi per tornare in caserma, e da lì, insieme ad André, è partita per tornare nuovamente a casa.

Se i soldati non verranno ritirati da Parigi, io credo che al popolo non resti che soltanto una cosa da fare. Farà la rivoluzione. La rivoluzione comincerà presto e sarà il popolo a uscirne vincitore. Come avete visto, i soldati dei vari reggimenti sono divisi e così non riusciranno mai a fermarlo.

Quelle frasi l'hanno tormentata, e continuano a renderla inquieta e frustrata ancora sulla strada per Jossigny, dove risponde appena alle parole di André.

«La gente ha fame, Oscar. Le manca il pane. Come può sopravvivere senza?»

Gli spasmi più drammatici della Francia sono dovuti al suo stomaco vuoto, troppo provato dai cattivi raccolti degli ultimi anni.

«Ho parlato con i miei compagni», continua al trotto. «La situazione per le loro famiglie si fa peggiore col passare del tempo. Ora sai quanto costa il pane giornaliero necessario per una famiglia, qui a Parigi? Tre franchi.»

«È più di quanto un operaio prenda al giorno...»

André annuisce, anche se Oscar non lo guarda.

«Ormai fare il fornaio è un lavoro pericoloso. La farina è un bene tanto prezioso quanto raro.»

«A differenza del vino[20].»

«Alain ha ragione: la rivoluzione è alle porte. Anzi, il primo e vero atto rivoluzionario è stato già fatto: l'Assemblea Nazionale è ora l'Assemblea Nazionale Costituente e ha messo in discussione il concetto di monarchia assoluta. Parla solo di legittimità nazionale, Oscar, e non sembra intenzionata a riconoscere per ancora molto tempo nessun’altra autorità all'infuori di essa.»

Le sottigliezze non interessano al popolo: difficile pensare con lo stomaco che brontola e la testa leggera. Così, che sia assoluta o meno, pensa che la monarchia lo inganni e tiranneggi e il tempo di Luigi XVI e di Maria Antonietta, forse, non è più solamente nelle mani di Dio.

Entrambi vorrebbero poter fare qualcosa, ma sono solamente in due e le loro teste dimenticano un adagio importante.

Una piccola scintilla genera un grande fuoco[21].



***




È al sabato che segue, quello dell'undici luglio, che Necker viene licenziato.

Mi avete deluso profondamente. Ciò che avete fatto e avete detto è un grande insulto alla famiglia reale. Voi non siete degno di essere un ministro. Da questo momento non voglio più vedervi a corte, Ministro Necker!, ha urlato la Regina di fronte a tutti i consiglieri, l'ombra più forte di Luigi XVI, sempre dietro le sue spalle un po' curve. La sua voce è stata un boato di fulminante violenza, una nube carica di sdegno che solo una donna dal sangue più blu può sentire scorrere dentro le vene.

Il Re ha chiesto al suo ex Ministro di deporre l'incarico senza strepito, confidando in quel buon senso moderato che la Regina non riesce a vedere in Necker, e di lasciare Parigi in incognito.

Il Ministro è ben voluto dal popolo che lo ama perché otto anni addietro ha espresso pubblicamente il suo giudizio circa le finanze della Francia e gli sperperi della corte. È ammirato per i suoi ultimi interventi in quella stessa piovosa primavera, durante le riunioni degli Stati Generali, ma è quella sua precisa devozione di banchiere svizzero che lo rende inviso alla Regina e ai suoi cognati, che approfittano della sua cacciata per liberarsi anche dei Conte de Saint-Priest e di de Montmorin, vicini agli ideali di Necker.

Come nuovo ministro viene subito incaricato il Barone di Breteuil, che con Maria Antonietta condivide una dura linea di pensiero, e lo stesso giorno Luigi XVI ha appuntato sul quel suo giornale che assomiglia molto al registro di un bracchiere solamente una breve frase circa la questione – partenza del signor Necker – prima della solita, rituale parola – nulla – che scrive sempre quando la caccia si è rivelata infruttuosa.

La mattina che segue pare una giornata come le altre, d'umore incerto.

Maria Antonietta ha la pelle d'oca quando le porgono la camicia, nel vecchio, odioso capolavoro di etichetta[22] che è la sua vestizione quotidiana, sebbene semplificata negli anni a forza di duri scontri con le ridicole tradizioni della corte di Versailles[23]. Spera che con Necker lontano il Re riceva dei migliori consigli, che nessuno più gli sussurri pensieri che mettono in pericolo la sovranità della loro famiglia: sarà lei il bastone del marito, il suo Luigi troppo tenero di cuore e debole d'occhi; lei che si è scoperta forte come lo era l'Imperatrice sua madre, la grande Maria Teresa d'Austria che le ha insegnato il difficile mestiere della regina a furia di lettere.

Nel petto, la soddisfazione che prova per la vittoria del giorno prima cresce a ogni respiro mentre indossa uno strato dopo l'altro di tessuto.

È troppo lontana Maria Antonietta da Parigi, rinchiusa dentro il suo bel palazzo bianco e dorato, e non sa che dopo l'ora di pranzo, bene passata per i fortunati che hanno qualcosa da mettere nello stomaco, i teatri stavano iniziando a riempirsi quando Parigi scopre le ultime notizie da Versailles – l'esilio di Necker e l'allontanamento dei Conti.

Così la città si indegna e prende rapidamente fuoco: il popolo corre agli spettacoli e li interrompe, e tutti quanti – gli attori, e i borghesi e i soldati in cerca di spasso – si lasciano il divertimento alle spalle senza pentimento, troppo colpiti al cuore; prima mormorano, costernati, e poi corrono urlando e minacciando, da una parte all'altra di Parigi.

Ai giardini del Palais-Royal, gremiti in quelle ore durante i giorni festivi, il deputato Camille Desmoulins, appena uscito dal Café de Foy, in piedi su di un tavolo, sfida la balbuzia che lo affligge e si lancia nel primo grande discorso alla folla: grida a gran voce ai cittadini di armarsi, perché promette che i Tedeschi del Campo di Marte attaccheranno quella stessa notte, sgozzando tutti quanti nei letti; seimila persone, suoi fratelli nel terrore, lo abbracciano e soffocano di carezze e poi armati di pistole, accette, bastoni e spade, sanguinosamente devoti ai loro santi perseguitati dalla monarchia, corrono a prendere i busti di Necker e del Duca d'Orléans per portarli in giro come in una sacra processione, inneggiando ai salvatori del popolo.

All'ora dei vespri, le strade di Parigi si erano già macchiate del primo sangue. Sono di porpora, come porpora è il tramonto che di quello stesso colore tinge tutta la Reggia.

Anche Oscar e Maria Antonietta sono bagnate di rosso, due figurine impotenti e piccole contro la tragedia del cielo che si prepara alla notte.

Il sole sta per scomparire all'orizzonte, spegnendosi verso Occidente.

È come se fosse l'ultimo, lì a Versailles. L'ultimo ultimo splendore del disco dorato, grandioso e triste.

Anche se il fresco innaturale di quell'estate pare essere tornato all'improvviso, la Regina è uscita senza manto nei giardini tanto amati dal suo piccolo Louis-Joseph – ma che lei non aveva mai adorato troppo, almeno sino a quando erano rimasti un verde regno di geometria, tutto ordine e simmetria; prima che lei iniziasse la sua personale trasformazione, dando ordine di rimboschire i giardini e creare un nuovo parco, tutto suo e naturale.

Ora la Regina non passeggia più fra cespugli e boschetti, lungo il suo docile ruscello che sbocca nel lago popolato da cigni; non visita più la Grotte des Bains d'Apollon, abbellita di statue classiche; non sosta più sopra i lunghi tappeti d'erba delle radure abbracciate dagli alberi, leggendo gli scritti di Jean-Jacques Rousseau, o nelle pagode cinesi e nei tempietti ellenici. Ha lasciato il suo piccolo, romantico villaggio di pastori e pure il Petit Trianon, tutti quei luoghi che le ricordano l'amore segreto con Fersen, le vecchie amicizie e la felicità più spensierata.

Ora il suo posto è al palazzo, come si addice alla sovrana di Francia, e il suo bambino, il suo gentile Louis-Joseph, poi più di ogni altra cosa adorava i grandi bacini di Apollo e Nettuno[24], molto più vicini alla reggia.

Perciò i servitori hanno detto a Oscar che è lì che la Regina si trovava.

Maestà, l'ha chiamata non appena l'ha scorsa, inginocchiandosi a lei come sempre ha fatto.

Maria Antonietta le dà le spalle, immobile. Il vento suona la sua gonna, cantando una muta canzone frusciante; le sfilaccia l'enfant[25], strappando piccole ciocche ai boccoli che gonfia e muove nell'aria.

«Oscar, siete qui. Ne sono lieta, amica mia», risponde dopo un piccolo silenzio. «Stavo ammirando questa sublime bellezza, la tragedia della fine». Solo allora si muove, alzando piano una mano per scostare i capelli che le finiscono tra le labbra. «Volete guardarlo con me?», chiede mentre il braccio torna giù.

Oscar non risponde, perché riesce solamente a vedere la tragedia.

Circa un'ora prima[26] i Croati, gli Svizzeri, i Dragoni e i Royal-Allemand hanno raggiunto il popolo. Il Principe di Lambesc ha guidato i suoi uomini fin dentro le Tuileries: coi cavalli hanno caricato la gente, compresi i ragazzi e le donne, e un vecchio era rimasto ucciso; alcuni soldati poi avevano fatto fuoco su due guardie francesi disarmate, ammazzandone una all'istante. La gente ha reagito iniziando a coprire di barricate le strade e prendendo d'assalto le botteghe degli armaioli, mentre si era levato un unico grande coro in tutta Parigi: Alle armi!

La Regina si volta infine verso Oscar, fissandola con la solennità propria delle antiche statue. Rifulge di triste splendore senza più le sue guance tonde, cosparse di rosa, ormai bianca e altera, come il marmo dignitoso e fiero, ma privo di un cuore pulsante.

«Ve ne supplico, Maestà. Fate in modo che i soldati lascino immediatamente Parigi, perché qualunque cosa accada bisogna evitare lo scontro fra il popolo e la famiglia reale.»

Sono occhi negli occhi. Non più donne, e forse nemmeno amiche. Sono più simili a idee, interi mondi che si sono dichiarati guerra, soldati arroccati nelle loro postazioni, fermi nel respiro finale che precede la carica.

«Sì, Oscar», risponde rapida la Regina, soffiando via le bugiarde illusioni come il vento porta via le nuvole, senza abbandonarsi alla fantasia. «Ma se accadesse questo voi mi restereste vicino per difendermi?»

Dell'amico è comune il nome, ma rara la fedeltà[27].

«Maestà, io...»

Oscar esita e sono dolorosi quei brevi secondi scanditi dal silenzio, dove nulla si sente se non la fredda nenia del vento che copre i loro bassi respiri di feriti – formicola e anticipa la puntura, il corpo di Maria Antonietta; già pulsa e brucia quello di Oscar.

«...io ho lasciato da tempo la Guardia Reale. Lo sapete.»

Apre di più gli occhi, la Regina, che non vuole credere: sembrano così grandi, immensamente stupiti; come quando era ancora una ragazzina innocente che correva dietro le farfalle, nella sua cara Hofburg, a Vienna, e ogni cosa la sbalordiva quanto il più grande degli spettacoli.

La memoria ritorna agli scritti letti con bisogno durante la notte del primo tradimento: Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette", ecco cosa l'Apostolo Matteo aveva scritto nel Vangelo, e Maria Antonietta non riesce a non seguire l'esempio di Cristo, perché non riesce a non amare quella sua sorella che ancora ha il suo totale affetto, anche se la sta disconoscendo proprio davanti agli occhi.

Lacrime quindi scendono giù, frutti amari di una malinconia che si annuncia senza fine; ferite senza rimedio, piccole stille di resina trasparente che sgorga dai grandi alberi quando i loro corpi vengono tranciati con l'acciaio.

Piangono senza un solo rumore, le amiche. E Oscar è la prima a bagnare gli occhi.

«Vi prego», chiede di nuovo, conciliante, anche se è svuotata di ogni vera speranza. «Richiamate i soldati. Maestà, voi non potete assolutamente permettere che la famiglia reale punti le armi contro il popolo.»

«Non posso farlo», risponde Maria Antonietta. «Mi dispiace.»

Si guardano, galleggiando dentro un lungo silenzio, immenso mare che non può essere attraversato.

Oscar china il capo e il busto, prima di alzarsi in piedi – il suo finale omaggio a quella che ancora non sa essere l'ultima regina di Francia. Sullo sfondo, Versailles è splendida nonostante il mondo intero le stia crollando addosso.

«Oscar!»

È già lontana quando Maria Antonietta la chiama, e fa qualche altro passo prima di fermarsi, con le spalle un po' curve.

«Perché... piangete come se ci vedessimo per l'ultima volta, Oscar?»

La voce della Regina è quel genere di tremolio che precede sempre un futuro, amaro singhiozzare.

«Io spero di rivedervi...», aggiunge dopo un altro lunghissimo silenzio.

«Anche io, Maestà» risponde Oscar rizzando la schiena e riprendendo a camminare.

Entrambe sanno perfettamente che quello è un addio definitivo[28].

Mentre la guarda diventare sempre più piccola, un puntino lontano nel rosso, Maria Antonietta fa il suo ultimo, sciocco sogno a occhi aperti: immagina un'altra vita più dolce, una in cui non si sarebbero mai pugnalate così, di fronte; nella sua ultima fantasia romantica sono due rose in crinolina, che si difendono l'una con l'altra con le loro eleganti spine intrecciate, sino a quando il gelo dell'inverno arriva per farle avvizzire insieme.



***




La settimana si era aperta all'insegna del tradimento e del sangue.

Il Colonnello Dagôu[29] aveva mantenuto la promessa fatta: il quartier generale era stato informato del colpo di mano di Oscar François de Jarjayes quando insieme ai suoi cinquanta soldati ribelli si trovava sulla strada per Parigi, ma già nel pomeriggio tutti i reggimenti reali sapevano di dover combattere contro gli uomini della Guardia.

I primi scontri si erano consumati come fuochi violenti per le strade, mentre le campane suonavano a martello.

La rivoluzione è in atto.

Con lo stomaco affamato, gli insorti hanno incendiano le barriere del dazio e il Convento dei Lazaristes.

In contrasto col pericolo che per tutto il giorno ha aleggiato sulla città, la notte era risultata sicura come poche grazie alle ronde dei cittadini e dei soldati che avevano lasciato l'esercito per unirsi al popolo: insieme hanno ripulito dalle minacce le strade di Parigi, ora impiccando i ladri, ora gettandoli nella Senna.

Più di centomila si erano già armati alla peggio, ma i più audaci sono andati all'Hôtel des Invalides la mattina dopo, spaventando tanto il suo governatore che quello ha aperto il deposito e consegnato alla folla migliaia di fucili armati di baionetta, molte pistole e alcuni cannoni. È stato però l'odio e il bisogno di polvere da sparo e di proiettili a guidare tutti alla cupa e alta Bastiglia.

Dopo il pranzo, la fortezza era caduta e le teste del governatore, Bernard-René Jordan de Launay, e del suo vice erano state tagliate, poi esser portate in corteo su due aste per l'intera capitale, ancora sanguinose e accompagnate dallo strepito di venti migliaia di voci e da milioni di risate per ciascuna di quelle bocche così numerose.

La Bastiglia è presa, la Bastiglia è stata presa! Viva i Parigini e il Terzo Stato!

Quel mugghio di tempesta non sfiora Versailles – non prima delle undici di sera, quando tutto è ormai concluso, perché per ordine del Ministero erano state interrotte quasi per intero le comunicazioni fra la città e la Reggia.

Nella Chambre de Louis XV, il Re riposa, fiaccato dalla fatica della caccia. Dorme incosciente nell'alcova chiusa dalla balaustra dorata dopo aver scritto il suo giornale al rientro della battuta di caccia – nulla, di nuovo.

È la voce del Duca di Liancourt a svegliare Sua Maestà, perché da buon servitore fedele teme per il Re e la Corona, ribellandosi al silenzio forzato dei consiglieri di corte.

«...ma è una sommossa!» esclama Luigi XVI con la ragione che è ancora tutta fumosa per il sonno. La lingua è impastata e non gli permette di pronunciare bene le parole.

«No, sire, è una rivoluzione!»

È un'idea che mette paura, quella.

Il Re farfuglia il nome della sposa, mentre il suo devoto Gran Maestro della Guardaroba lo informa della defezione di parte delle sue truppe, le cinquanta guardie comandante dalla figlia del Generale Jarjayes che hanno puntato i cannoni verso la Bastiglia, facendola cadere insieme agli insorti; sa quanto lo disgusti il sangue, perciò lo prega di presentarsi all'Assemblea non appena arriva il giorno, per annunciare l'allentamento dei soldati e di richiamare Necker.

«Mi lacerate il cuore col racconto che mi fate dei mali di Parigi, signore...» sussurra fra le lacrime Maria Antonietta quando viene svegliata e informata della presa della Bastiglia, del tradimento e della morte di Oscar.

Ascolta le proposte del Duca e le approva con gli occhi lucidi – segue infine la ragione e il buon consiglio di una vecchia amica, ormai lontana.



***




Maria Antonietta guarda la faccia pallida e smunta dentro il piccolo specchio.

Non rimpiange di non aver consegnato al Generale Jarjayes anche una ciocca di capelli da portare al suo amato Fersen, insieme all'anello che lui le aveva donato molto tempo prima – Tutto a te mi guida, la promessa impressa nel metallo, insieme al simbolo di Francia[30].

Assicurategli che queste parole non sono mai state più vere, aveva raccomandato a quel fedele e coraggioso uomo con la fronte segnata dalla rughe e lo sguardo nobile, ma bagnato. Con un ultimo moto di vanità, gli aveva fatto pure giurare di non dire al Conte che i capelli della ex regina di Francia, ora solo la vedova di Luigi Capeto, avevano perso tutto il loro colore, diventati in un sol colpo bianchi per lo spavento dopo la fuga fallita.

Il prezzo da pagare, tanto irrisorio da risultare quasi ingiusto, era stato perdonare il Generale per non aver saputo salvare la famiglia reale – aveva allora posato la mano sul suo capo, che si era messo a tremare piano al suo tocco – e scusarlo per quella figlia traditrice che aveva voltato le spalle alla Corona.

Non piangete, gli aveva detto quando i suoi occhi solenni si erano riempiti di lacrime, anche se lei per prima stava piangendo, perché non v'è nulla da dover perdonare a voi, né a vostra figlia. È stata una buona amica, la vostra Oscar, che mi ha sempre ben consigliato e parlato onestamente.

Quello era stato l'addio al Generale, che aveva messo a rischio la vita per una nuova evasione a malincuore rifiutata. Era il mese di maggio, quando si trovava ancora al Tempio, prima di venire separata dal suo piccolo Luigi XVII, il suo Re ancora bambino – o, come piace chiamarlo semplicemente ai rivoluzionari, Luigi Carlo.

Da tempo, ormai, si trova alla Conciergerie.

L'antico palazzo aveva da sempre una reputazione sinistra, ma la sua vera e dura natura, la realtà dietro la leggenda, le era parsa ancor peggiore di tutte le chiacchiere che circondano la vecchia residenza dei re di Francia.

Con desolazione aveva occupato la sua nuova casa, una stanzetta spoglia con dentro un letto da campo, uno sgabello, due sedie, un bidet e una coperta leggera – si lascia pettinare docilmente mentre rivive ancora una volta ogni attimo di quella notte che ormai sembra lontana anni, quando era appena entrata nella cella accompagnata da un intero plotone di guardie: si sentiva così stanca, dolorante per il sangue perso[31] e, poiché il caldo non dava requie, non aveva fatto altro che tamponarsi il viso madido con un fazzoletto; subito aveva appeso a un chiodo un piccolo orologio, un triste memento mori, sentendosi la più sfortunata fra le regine, perché in ogni luogo che non fosse Parigi la gente comune accettava senza remore i suoi sovrani, come il popolo di Napoli faceva con l'amata sorella Maria Carolina.

La ragazza che aveva ricevuto l'incarico di occuparsi delle sue necessità – la stessa che ora le sta acconciando i capelli – si era offerta di aiutarla a cambiarsi per andare a dormire, ma Maria Antonietta, nel pieno dello sconforto, non aveva riconosciuto la giovane che una volta, molto tempo prima, la sua cara Oscar aveva portato a un ballo di corte: Vi ringrazio figlia mia, ma da che non ho più nessuno al mio servizio faccio da sola, le aveva detto con un piccolo sorriso gentile.

«Una volta sono venuta a corte, ma forse non vi ricorderete di me», le dice la ragazza mentre scorre le dita fra le ciocche, e le sue parole scuotono Maria Antonietta da un torpore dorato che profuma di primavera – il pensiero è un bellissimo cavallo bianco che si impenna e poi galoppa via, perdendosi per sempre nel buio.

«Ah! Ma certo, voi siete la ragazza che è venuta a un ballo insieme a Madamigella Oscar...»

Una lontana parente, figlia della cugina di Madame Jarjayes: dopo la fine dell'orribile bugia che la Contessa di Polignac le aveva suggerito, Madamigella Oscar era tornata a Versailles per chiederle di rinunciare al gioco della roulette; allora aveva parlato di Rosalie, al centro dei pettegolezzi per aver accompagnato Oscar alla festa di Madame Élisabeth, doveva aveva avuto un brutto scontro con la Contessina Charlotte.

«Sì. Sì, è vero. Mi chiamo Rosalie Lamorliere.»

La vedova Capeto fissa il riflesso della ragazza e la trova così bella, coi suoi grandi occhi azzurri e i capelli biondi, ancora fresca come un bocciolo[32]. Al loro primo incontro le aveva sorriso e consegnato il suo personale benvenuto, augurandole la più piacevole delle serate a Versailles e Rosalie era rimasta incantata dalla giovane Regina di Francia che le pareva una dea, così diversa da come il popolo se l'immaginava.

«E adesso ditemi: cosa posso fare per voi?»

Maria Antonietta si alza dalla sedia, sorridendo mentre mette giù lo specchio.

«C'è una cosa che potreste fare, Rosalie», risponde e unisce le mani, intrecciando le sue dita grandi[33], un eco frivolo della vecchia Maria Antonietta. «Ora dovreste raccontarmi tutto quello che sapete di Madamigella Oscar.»

Per compiacerla, nei giorni a seguire Rosalie racconta tutto ciò che sa su Oscar: ogni più piccolo particolare della loro breve vita insieme, da dopo che la Contessa di Polignac aveva ucciso la donna che credeva essere sua madre, per le strade di Parigi, all'ultimo eroico giorno insieme, dopo anni che non si erano più viste, unite con tutto il popolo per la presa della Bastiglia.

Un racconto commuovente di ombre e colori, che fa piangere e sorridere.

Per sessantacinque giorni Rosalie incanta Maria Antonietta con le sue storie, come una novella Shahrazād che notte dopo notte narra solo un piccolo tassello di una storia assai più grande, lunga quanto un'esistenza intera.

Tornerete domani, per finire?, le chiedeva sempre la sua ascoltatrice, quando la lasciava per tornare alla casa dopo l'angolo di rue Bon Enfant dove vive col marito.

Così, un giorno alla volta, solo dopo la morte di Oscar, Maria Antonietta impara a conoscere la sua vecchia amica; un racconto dopo l'altro, scopre la donna nascosta dietro il soldato in uniforme graduata, capisce la più cara fra i suoi nemici.

Oscar e il suo amore per André, finalmente ricambiato; la loro promessa di sposarsi in una piccola chiesetta, senza grandi festeggiamenti, e poi vivere insieme ad Arras, nella campagna che tante volte avevano visitato durante l'infanzia; il modo in cui sorrideva, con un bicchiere di vino in mano, quando la brezza che entrava dalla terrazza del Palazzo Jarjayes le oscurava un poco il viso, muovendo i suoi ricci biondi; quanto le piaceva mangiare le mele rosse, e come rideva quando ne trovava qualcuna ticchiolata, con tanto di baco; le note che venivano dal suo fortepiano[34] sistemato nell'anticamera, che era separata con un arco dalla sua stanza; come adorasse le lunghe passeggiate a cavallo, da sola o in compagnia di André, la sua ombra più fedele. E, ancora, Maria Antonietta poi ascolta del primo incontro con Rosalie, quando Oscar l'aveva salvata dalla disperazione dandole un luigi d'oro, e di tutto quanto poi aveva fatto per lei, cambiandole per sempre la vita.

L'una di fronte all'altra, sedute sulle scomode seggiole della cella, ritrovarono nei ricordi la loro amica più preziosa e si scrollano un poco di dosso la solitudine, unite da un grande amore comune.

«Mi sento più sollevata quando penso a Madamigella Oscar...» dice la vecchia Regina di Francia, sollevando gli occhi al cielo, con le guance rigate, all'alba della condanna a morte. «Grazie.»

Ha trascorso gli ultimi due giorni sotto processo, senza toccare cibo, tormentata dalle tremende emorragie ma, una volta dentro la sua misera cella, lenita dalle premure e dai racconti di Rosalie, che ha trascorso la notte del quindici ottobre con lei e che per quella povera donna ha pianto in segreto lacrime di tristezza.

Prima che il sole sorgesse, Maria Antonietta ha scritto alla luce tremolante di due candele il suo testamento.

«Madame, so che non avete mangiato nulla ieri», le dice Rosalie quando i primi raggi filtrano dalla finestrella sbarrata che si trova a fianco del suo lettuccio. «Cosa posso portarvi stamattina?»

«Non ho più bisogno di nulla. È tutto finito per me» – ma la sua ultima cameriera le si è affezionata ormai e non vuole che soffra anche la fame, prima di esser portata alla ghigliottina.

«Vi ho tenuto in caldo un po' di buillon. Dovete tenervi su, mangiatene un poco.»

«Va bene, Rosalie. Portatemi il buoillon[35]», si arrende, solo per farla contenta.

Ormai le candele si sono completamente consumate.

Rosalie assiste Maria Antonietta mentre manda giù con calma il brodo; le resta vicina, in piedi e con le mani posate sul grembiule, guardandola succhiare piano il brodo dal suo cucchiaio di legno[36].

Grazie, ripete più volte Maria Antonietta guardando il viso tirato dalla tristezza della sua nuova amica che premurosa le porta via la ciotola e poi l'aiuta a prepararsi per andare a morire.

Va al patibolo col suo vecchio abito chiaro, rammendato più di mille volte perché le era stato vietato di vestire di nero; Rosalie l'aiuta a sistemare nel corsetto il ritratto del bambino che le hanno stappato dalle braccia ai primi di luglio, il piccolo Re Luigi XVII, e pure una piccola ciocca bionda dei suoi capelli, nascosta dentro un guantino di pelle giallo – quante volte ha baciato quei suoi tesori, fra le lacrime, appena riparata dallo sguardo dei gendarmi!

La stanno per portare via dalla cella: la carretta dei condannati aspetta nel cortile, pronta a seguire ancora una volta il suo percorso macabro sino a Place de la Révolution, il palcoscenico sanguinario di Robespierre e degli altri rivoluzionari – l'ultima sovrana di Francia morirà senza nemmeno più vedere la statua del suo caro nonno Luigi il Beneamato[37], abbattuta e sostituita da una Libertà trionfante fatta di stucco e cartone.

Prima di essere trascinata via afferra le mani di Rosalie.

Supplica ancora un attimo, perché deve consegnare qualcosa di molto importante: mostra un fiore di stoffa, fatto con alcuni scampoli di lino batista bianco.

«Rosalie, vi prego. Vorrei che coloraste questa rosa per me, con il colore preferito da Oscar.»

L'aveva fatta lei, informa, pensando al volto della loro amata Oscar.

Rosalie la prende con la devozione riservata a una reliquia, e nessuna di loro si punge più le dita con le sue spine[38].



 



Note:

[1] Alcune colonne, per esempio quelle dell'Enveloppe, erano – e sono ancora – di una particolare varietà belga di marmo, quello di Rance, una delle più pregiate al mondo e che ha per l'appunto quel caratteristico colore.

[2] Già prima del 1789 a Parigi c'era stata la soppressione delle grondaie sporgenti.

[3] È così che il Cardinale de Rohan descrisse i capelli di Maria Antonietta.

[4] Si tratta di un titolo nobiliare di cortesia, in passato tributato alle signorine nubili di nobile condizione soprattutto nell'Italia settentrionale e di evidente derivazione francese: dato che per scrivere questa fanfiction ho seguito principalmente gli adattamenti provenienti dalla serie animata, alcuni nomi e termini sono riportati in versione italiana; certi però, perché non esiste corrispettivo nella nostra lingua o per mantenere un certo alone di autenticità, sono stati da me conservati nella loro originale versione francese. Del resto anche nell'anime non c'era sempre una grande coerenza a proposito – pensiamo al Re e alla Regina, i cui nomi sono stati italianizzati... mentre Oscar, André, Rosalie e a tutti gli altri, invece, hanno subito una diversa sorte.

[5] Già durante i primi tempi della Rivoluzione venne fuori l'espressione, poi diventata di uso più comune nell'Ottocento.

[6] Come poi venne chiamato il celeste tipico degli occhi di Maria Teresa d'Austria e di sua figlia.

[7] Invaghito di lei, Louis-Joseph, morto da poco meno di un mese all'apertura della fanfiction, aveva promesso a Oscar di sposarla una volta divenuto grande.

[8] Pare sia stato detto proprio da Maria Antonietta.

[9] È qui che il Re, la Nobiltà, il Clero e il Terzo Stato si erano sempre riuniti insieme.

[10] Citazione da I processi di Luigi XVI e di Maria Antonietta (1793) di Cesare Giardini.

[11] Fino al XVIII secolo in Europa la decapitazione era considerata un metodo di esecuzione onorevole, riservata per lo più ai nobili, mentre i borghesi e i poveri erano puniti con metodi diversi, come lo squartamento.

[12] Cioè dove, per l'appunto, Alain e gli altri undici soldati erano stati rinchiusi: anche nella Storia vera furono detenute lì alcune guardie, poi liberate dalla folla il 30 giugno, sebbene si trovassero lì per un motivo diverso rispetto a quello raccontato dalla serie animata.

[13] Autrichienne – cioè “autriaca” – si presta bene a un crudele gioco di parole: “Autriche” è “Austria” e “chienne” è “cagna”: il termine esatto sarebbe traducibile come “austricagna”, ma talvolta il termine venne anche distorto in Autruchienne, da “autruche”, cioè “struzzo” – non a caso, in diverse caricature, Maria Antonietta è raffigurata con un lungo collo da struzzo.

[14] Si tratta, naturalmente, di una mia supposizione, pensata per questa fanfiction. In realtà è anche un omaggio al personaggio di Euphemia Li Britannia dell'anime Code Geass, soprannominata Principessa del Massacro a causa di una strage da lei involontariamente commessa.

[15] In realtà, si tratta di una citazione di Oscar Wilde.

[16] Questa battuta e – benché appena modificata – anche la precedente vengono dal film La Rivoluzione francese del 1989, che consiglio a chi fosse interessato al periodo.

[17] Ho riportato le informazioni prese dalla versione subbata della puntata trentasei, ma non sono assolutamente sicura dei dati forniti, non avendo avuto molti riscontri durante la mia ricerca. Non ho trovato notizie del reggimento proveniente da Charenton anche se, forse, il nome è stato mal tradotto e potrebbe trattarsi del Royal-Cravate. Se qualche esperto del periodo dovesse leggere, lo pregherei di darmi una dritta!

[18] Vale come la nota di sopra.

[19] Ecco un'altra imprecisione dell'anime: la dimora dei Jarjayes esiste realmente e si trova proprio a Jossigny, ma il posto è troppo lontano da Versailles per poter offrire la vista del palazzo di Maria Antonietta.

[20] Diversamente dalla farina, v'era stata una sovrapproduzione di vino.

[21] Proverbio francese risalente al Quattrocento.

[22] Jeanne Louise Henriette Campan, che fu prima cameriera della Regina, nelle sue memorie definì la vestizione mattutina, per l'appunto, un capolavoro di etichetta.

[23] Mi riferisco a una frase scocciata di Maria Antonietta circa l'odiosità e la sciocca natura del rito della vestizione mattutina, riportata da Madame Campan e resa celebre anche da alcuni film – basti vedere quello di Sofia Coppola.

[24] Nel manga, il piccolo Delfino, prima di morire piange Versailles, in particolare il Bacino di Nettuno e quello di Apollo – a titolo di cronaca, indico che in realtà saluta con tristezza anche il Petit Trianon.

[25] Un tipo di acconciatura in uso dalla Regina verso gli ultimi anni del suo regno, coi capelli in parte legati, tirati su; la parte superiore dell'acconciatura era più gonfia e il collo e le spalle erano adorni di boccoli lasciati liberi.

[26] Gli eventi raccontati sono accaduti verso le sette, come testimonia una lettera di Camille Desmoulins; il tramonto a Parigi, invece, come da me trovato on-line, il 12 luglio 1789 avvenne alle ore venti precise.

[27] Citazione di Fedro.

[28] Frase presa dal breve monologo della voce narrante che accompagna l'ultima parte della puntata numero trentasei, quando avviene l'addio fra Oscar e Maria Antonietta.

[29] Personaggio fittizio, al comando di Oscar quando si trova a capo della Guardia.

[30] In realtà, probabilmente non si tratta di un vero anello, bensì dell'impronta di un sigillo. Tuttavia ho scelto di ricollegarmi al manga della Ikeda e da qui la scelta di catalogare il piccolo oggetto come un anello simbolo dell'amore proibito fra il Conte e la Regina.

[31] La vera Maria Antonietta soffriva di emorragie interne nell'ultima parte della sua vita, forse causate da un tumore all'utero.

[32] Secondo le parole della stessa Ikea, autrice del manga, le rose simboleggiano nella sua opera le varie protagoniste: Oscar è la rosa bianca, la Regina quella rossa, la Polignac quella gialla, Rosalie è un bocciolo di rosa – color rosa? – e Jeanne Valois, infine, è una rosa nera.

[33] Pare che Maria Antonietta avesse delle mani grandi e ciò sarebbe testimoniato anche da un paio di suoi guanti ancora presenti a Versailles.

[34] La versione settecentesca del pianoforte.

[35] Questo dialogo, come alcuni altri fra quelli inediti – cioè non presenti nel manga o nell'anime – che potete leggere nel pezzo, sono presi dalle fonti coeve o da resoconti appena successivi, e quindi sono stati davvero pronunciati dai personaggi. Le restanti battute, invece, sono frutto della mia immaginazione. [36] In molte prigioni, come ad esempio alla Bastiglia, non erano permesse le posate di metallo.

[37] Ovvero Luigi XV, nonno d'adozione di Maria Antonietta.

[38] In una puntata dell'anime, quando Rosalie viene accolta a casa di Oscar, si punge con una rosa bianca del giardino: racconta che, secondo l'opinione comune, una ragazza che si punge cogliendo una rosa non è assolutamente una fanciulla di sangue nobile – anche se poi si ha modo di vedere che, invece, Rosalie è figlia di una nobile. Quanto a Maria Antonietta, ho voluto simboleggiare che, sebbene troppo tardi, tutte le passate fratture sono state sanate e non v'è più alcuna ferita fra la Regina e Oscar.



 
***

SPAZIO DELL'AUTRICE:

Questa storia è stata scritta per il contest indetto da LeoValdez00, Thi is a real friendship?: il tema, come è facile intuire, è quello dell'amicizia; in particolare, ho scelto, fra le tante a disposizione, una citazione di Oscar Wilde presente anche nella fanfiction e che è l'anima di questa storia. La storia partecipa anche al contest Tutti gli anime della nostra infanzia, di 9dolina0.
Si tratta del mio primo approccio al fandom, perciò vi prego in anticipo di scusarmi qualora avessi sbagliato qualcosa – naturalmente ho fatto del mio meglio, ma gli errori capitano sempre a tutti! In ogni caso, se vedeste qualcosa che non quadra con l'anime o con l'epoca storica in cui la storia si svolge, vi prego di segnalarmi senza remore le varie inesattezze circa la trama o l'ambientazione. A proposito del setting: sebbene la Ikeda abbia fatto un buon lavoro di ricerca, diverse sono le imprecisioni, a livello storico, nella sua opera; essendo una fanatica di Storia, mi sono mantenuta fedele all'anime ma ho comunque cercato al massimo di rispettare i veri dati reale sulla Rivoluzione e sui suoi protagonisti... fino a quando, ovviamente, la serie animata mi ha concesso. In merito a questo, non ho segnalato tutti gli elementi che avrebbero meritato un approfondimento – sul perché della loro presenza nel testo e via di seguito – nelle note, né le fonti da cui ho preso le varie informazioni: così facendo, le note sarebbero state davvero tantissime e, invece, non volevo spezzettare troppo la lettura; perciò ho indicato solo il minimo indispensabile. Naturalmente resto a vostra disposizione per qualsiasi chiarimento. Grazie dell'attenzione!
   
 
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