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Autore: talinasomerhalder_    11/02/2016    3 recensioni
Evangeline Anderson,una comune ragazza al quarto anno del liceo artistico di Roma. Da sempre cresciuta con la madre,la ragazza ha quasi dimentico cosa significa aver accanto a se una figura parterna. Ovviamente questo fino a quando Josh Anderson non gli si presentò davanti alla porta,rivelando alla figlia la sua vera natura:era una cacciatrice di vampiri,proprio come lui.
Il suo scopo? Salvare il mondo dal Male. Non solo si ritroverà a combattere con i vampiri,ma anche con i Diavoli mandati in Terra da Lucifero,per avere il potere sull'umanità.
E' giustizia uccidere per vendetta?
Non sarà una battaglia facile,la loro. Aggiungiamoci Alisia,una malattia che porta alla pazzia;aggiugiamoci Allison,una vecchia antenata che si vendica contro chi non sa amare;aggiungiamoci una profezia;aggiungamoci infine un vampiro,Derek.
Derek che sarà la rovina di Evangeline. Derek che è un vampiro,che è spietato,che è cattivo.
Un'amore che va oltre contro ogni natura;un'amore che non può funzionare.
Ora..chi sono i cattivi? Chi sono i buoni?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DICIANNOVE

 

E' che avrei dovuto dirtelo più spesso,

avrei dovuto dimostrartelo più spesso.
POV EVANGELINE
« Cosa ti fanno lì dentro, Eva? »  Potei giurare che fosse la quinta volta che la mia amica Chantal mi avesse rivolto la stessa domanda. E mai come all'ora la trovai più fastidiosa... era peggio dei ronzii della mosca, o peggio di Austin. E pensare che Austin lo consideravo così appiccicoso, che mi portava ai limiti della sopportabilità.
Mi chiesi da quando avessi iniziato a giudicare così cattivamente le persone a me care, con così tanto menefreghismo poi. Ma immediatamente dopo smisi completamente di pensarci, in quanto non capace di continuare pensieri così elaborati.
La testa mi doleva ed impercettibilmente iniziai a tremare.
Volevo una pasticca.
« Signorina Anderson, lei vuole davvero perdere l'anno? »  La voce al quanto irritante della professoressa Turner richiamò la mia attenzione, insieme alla gomitata della mia amica, probabilmente desiderando che smettessi di tremare.
Alzai lentamente gli occhi, avendo prima lo sguardo posato sui disegni interessanti sul mio banco e la guardai cercando di non sputarle sugli occhiali.
Continuai a fissarla, mentre iniziai a grondare dal sudore.
Piccole goccioline d'acqua mi scesero lungo le tempie e poi dentro la maglietta; rabbrividii.
« Sta diventando pallida... si sente bene? »  Mi scostai bruscamente dalla carezza della prof, che io soltanto immaginai e caddi dalla sedia, senza volerlo.
« Non mi deve toccare. »  Balbettai, muovendo le mani come a voler scacciare tutti i brusii dalla mia mente.
« Nessuno la sta toccando. »  Rispose spaventata la donna, cercando di allontanare i miei compagni dalla sottoscritta.
Fui sul punto di perdere i sensi, ma li vidi. Gli occhi dei miei amici, gli occhi della mia migliore amica, puntati addosso come se fossi un mostro o come se fossi affetta da una malattia inguaribile.
E fu solo per quello che trovai la forza di alzarmi da terra e scappare dall'aula.

DEREK'S POV
« Ora vi siete infiltrati pure nelle scuole, cacciatori del cazzo. »  Continuai a scuotere l'uomo, che pochi istanti prima si era spacciato per il mio insegnate, addosso all'armadietto. Se solo avessi voluto, avrei potuto prendere la siringa finita ai nostri piedi, con cui poco prima aveva avuto intenzione di sedarmi e ficcargliela su per il culo.
« Vi uccideremo tutti. »  Sussurrò e subito dopo estrasse il pugnale che teneva stretto in cintura e me lo infilzò nel braccio, facendomi dirignare i denti.
Indietreggiai di due passi, giusto per dargli il tempo di iniziare a fuggire, giusto per dargli la speranza di riuscire a mettersi in salvo.
« Devo ammetterlo, sei bravo... sei riuscito a colpirmi. Ma avresti almeno potuto imbevere il coltello nella verbena, coglione. »  Mugugnai un attimo quando tolsi il pugnale dalla carne e poi sfoggiai il mio miglior sorriso sadico e aggiunsi, « E questo me lo tengo io, ho intenzione di giocare un po' con te. »

« Sei così palloso... perché ti rifiuti di giocare a tris con me? »
Mi rivolsi al cacciatore, con fare quasi dispiaciuto. Lo avevo trascinato di peso in bagno e mentirei se dicessi che sia stato elementare... loro ultimamente si erano allenati così tanto, che erano diventati quasi più forti di prima.
« Mi verranno a cercare. »  Sibillò a denti stretti.
Risi, « E tu pensi di essere ancora vivo per molto? »  Non feci neanche in tempo a dirlo, che mi colpì con il pugno, spostandomi di poco la mascella.
Risi di nuovo, facendo sentire appositamento alla vittima, le mie ossa che facevano rumore e che si sfregavano fra di loro, per rimettere la mandibola al suo posto.
« Se avevo intenzione di giocare con te, sappi che ora mi è totalmente passata la voglia. »  Ringhiai, prendendolo per la testa e spaccandogliela contro il marmo del lavandino.
Urlò, per il dolore e mi sentii subito meglio. Mi eccitai, alla vista di tutto quel sangue. Del suo sangue.
Luridi bastardi.
Staccai i suoi denti, uno ad uno ed infine cavai i suoi occhi, con lo stesso pugnale con cui mi aveva ferito istanti prima.
Sputai sopra il corpo, buttato lì, in mezzo a quel bagno che puzzava di quel piscio sui muri che i bidelli non pulivano mai. Pensai a quanti secondi ci sarebbero voluti prima che qualcuno sarebbe venuto a controllare, spaventato dalle grida. E l'idea che quest ultimo si spaventi ancora di più alla vista del corpo, mi mise di buon umore. Buon umore fino a quando non mi girai a causa di alcuni passi, che tamburellavano svelti sul pavento.
Cadde, inciampando proprio sul corpo del cacciatore.
Evangeline.
Non urlò, non pianse e neanche si rialzò.
Tremava, la sentivo tremare come una foglia.
Aspettai un semplice gesto, uno scarno messaggio, aspettai di leggere in quel paio di occhi scuri il terrore...
« Sei stato tu? »  Mi chiese, semplicemente.
« Se credi che mi possa sentire in colpa, ti sbagli di grosso. Sono un mostro, ricordi? »
Fu scossa da un brivido e si alzò in piedi, reggendosi alla porta.
« Anche io... »  sospirò.
« Anche tu cosa? »
« Niente, Derek. »  Guardò il corpo del suo "compagno"  e si mise una mano alla bocca.
Una lacrima.
« Petite... »  la chiamai, vedendo che iniziava a rendersi conto di ciò che avevo fatto.
Indietreggiò, « Cosa gli hai fatto? »
Lo disse con quel tono... e i suoi occhi, e le mani  le tremarono...
A quel punto indietreggiai anche io, quasi più spaventato di lei.
Ma cosa mi stava succedendo?
Mi ricomposi, o almeno ci provai, « Quello che potrei fare a te, se non te ne vai in questo preciso istante. »  Ringhiai, ma di un ringhio che sembrò tutt'altro. La ragazza aprì la bocca e poi lentamente la richiuse. Cercò di scacciare con la mano neanche io so cosa, nell'aria, e poi annuì.
« Tu vorresti fare questo a me... »
« Scappa Evangeline, scappa. »  La mia fu quasi una supplica.
Annuì di nuovo e questa volta se ne andò davvero.
Mi guardai le mani e i vestiti impregnati di sangue e la rabbia mi invase di nuovo il corpo.
Se ne era andata... perché se ne era andata via da me.
A quel punto iniziai a correre.
Volevo ammazzarla.
Raggiunsi il cancello della scuola e la vidi correre oltre, in un parco oltre la strada.
Mi si iniettarono gli occhi di sangue.
Dovevo ammazzarla.
Non urlò quando una volta che le fui dietro, la buttai a terra. Cadde con le ginocchia sul prato, rovinandosi per la seconda volta in quel giorno, quei maledetti jeans troppo larghi per le sue gambe magre.
La tirai per i capelli e la feci girare.
I nostri occhi si incontrarono e qualcosa dentro di me iniziò a battere.
Non tremò quando le diedi il primo schiaffo e neanche quando le diedi il secondo.
Sudava, sudava tanto. E sembrava che quel dolore le piacesse.
La sua guancia si gonfiò, ma non bastò a fermarmi.
La odiavo.
La odiavo con tutto il cuore.
Risi, perché io un cuore neanche lo avevo.
« Fermami petite, perché se no ti ammazzo. »  La presi in una forte presa per le spalle e dirignai i denti.
Non ero lucido.
O quella lucida non era lei.
Non reagì neanche questa volta e fui costretto a tirarle altri schiaffi fino a farle sputare sangue. Tremavo, tanta era la voglia di ucciderla.
Rise, « Non ho motivo per vivere, Derek. Non senza quelle pasticche, a me servono. Capisci? »  Non riuscii a capire.
« Cosa hai detto? »
Mi fermai, in procinto di tirarla per i capelli e sbatterla a terra un'altra volta, e sembrò quasi che quello che le aveva appena prese fossi io.
Ero distrutto.
Ed era tutta colpa sua.
Non mi guardò e parlò piano, « Hai la mente pericolosa di chi ha odiato allo sfinimento se stesso... Per questo mi picchi? »
Mi ritrovai a sbattere le palpebre.
« Quella che si è sempre odiata sei tu, Evangeline. Quella che non riesce ad amare sei tu, Evangeline. »  Sibillai apposta il suo nome, « Devo ricordati il giorno del tuo compleanno, o quando... »  Non mi fece continuare, perché prese lei la parola.
« O devo ricordarti io, che tu ogni volta te la prendi con me, perché non hai le palle di ammettere che il vero mostro sei tu? » Sputò sangue un'altra volta, « Io a differenza tua ho scoperto una cosa... E non sono debole come tu pensi. Per questo le tue parole non mi fanno più male... Sono sparita per diventare più forte. »  E nel frattempo non riuscì a mettersi a sedere, sembrava come se le facessero male tutte le ossa. Eppure io l'avevo colpita solo in viso.
« Per diventare più forte, dici davvero? A me sembri drogata. »  Sputai quelle parole, con tutto lo schifo che provavo per lei e per la sua razza.
« Sono delle pasticche, dei tranquillanti che mi fanno essere forte. Non sono drogata. »  E parlava strano, trascinava le parole e ogni tanto perdeva l'equilibrio e cadeva all'indietro.
Non la raccolsi mai da terra.
Ogni volta che ricadeva indietro, la lasciavo lì eppure... no, non volevo prenderla prima di cadere per stringerla fra le mie braccia.
« Ti credi bella ora? »  Le chiesi, sottovoce.
« Sì... per te non sono bella? »
« Ti serve un'altra pasticca? »
« Sì... ne ho bisogno. »  Aveva il respiro affannato, come dopo una corsa.
« Sai in che mese siamo? »
« No... in realtà non ci penso da tanto. Però so che è giovedì e ogni giovedì alle quattro, mi danno una dose. Ora me le hanno dimezzate... sono cattivi quando fanno così. »  
Deglutii, indietreggiando.
Il padre sapeva, il padre ce l'aveva rinchiusa là dentro.
« Mi dispiace di averti picchiata. Ma te lo meriti. »
Sorrise, « Tu sei un mostro, posso capire. »
« Anche tu lo sei, stai facendo del male a te stessa. »  
Non mi rispose più e si richiuse un'altra volta nel suo mondo.
Era una tossica.
Lo capii quella mattina stessa. Ed è strano, ma c'è qualcosa in lei, che è collegato a qualcosa che io ho nel petto.
Un legame, un filo invisibile che ci lega.
Come due persone che si rincorrono, ma che lo fanno all'infinito... perché appena si incontrano, scappano di nuovo, respingendosi ogni volta.
« Mi dispiace non essere come tu vorresti e non esserci come tu vorresti... E so che ora non stai capendo una beata mazza di quello che sto dicendo, ma io ho fatto una promessa. E non riesco ancora a capire se sto usando questo patto come scusa... per nascondere effettivamente che di te almeno un po' mi importa o cosa. E so che tu hai tanti pensieri per la testa, ma che sto dicendo! Pensi solo a quella pasticca... ma so che hai smesso di combattere con Alison e non è per le pasticche che prendi, quelle non c'entrano niente. Ma perché, se tu una persona da amare ancora non l'hai trovata? E la verità sai qual è, Evangeline? Che io non voglio che la trovi. »  Diedi un cazzotto al prato, aprendomi un'altra volta le nocche.
 Non ricordavo che la verità facesse così male.
« E la cosa che mi riduce in questo stato, è il fatto che non voglio aiutarti. Non ci riesco, capisci? Anche se volessi. Io non sono il buono in questa storia, petite, e tu non sei la lei che salva il cattivo. »
Quando alzai gli occhi, i suoi brillarono.
« Perché dovrebbe essere il solito clichè... perché per una volta non può essere il cattivo che salva il buono? »


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