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Autore: PandorasBox    12/02/2016    2 recensioni
Crono le aveva portato via Jason e glielo aveva restituito ormai grande, con una vita vissuta senza di lei, senza che la ricordasse.
Gli scagnozzi di Crono avevano fatto diventare sua madre quel che era.
[Harry Potter!AU]
Crono le aveva portato via Luke, lo aveva convinto una parola alla volta, e forse non lo rivedrà più. Perché il suo Luke, quello delle giornate ad Hogwarts, già se n'è andato: Crono lo ha ucciso senza che nessuno lo notasse, lo ha soffocato con bugie e promesse, forse la sua opera meglio riuscita.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Luke Castellan, Quasi tutti, Talia Grace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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At the curtains of the waterfall








Talia si era sempre rifiutata di usare stupidi giri di parole per riferirsi all'uomo (mostro?) che le aveva smontato la vita, mattoncino dopo mattoncino. Aveva il diritto di chiamarlo per nome, aveva il diritto di ripeterlo, appena prima di dormire, per darsi uno scopo per cui alzarsi il mattino dopo. Era tutto quel che le era rimasto a cui aggrapparsi mentre il mondo le crollava addosso.
«Chiamatelo per nome, chiamatelo Crono, dimostrate che non avete paura del potere che ha. Ricordate tutto quello che vi ha portato via!» continuava a ripetere, ad ogni riunione, sotto lo sguardo spaventato di Grover che finiva per tapparsi le orecchie ogni volta che ascoltava qualcuno pronunciare quel nome.
Ma lei non aveva paura.
 
Crono le aveva portato via Jason e glielo aveva restituito ormai grande, con una vita vissuta senza di lei, senza che la ricordasse.
 
Gli scagnozzi di Crono avevano fatto diventare sua madre quel che era.
 
Crono le aveva portato via Luke, lo aveva convinto una parola alla volta, e forse non lo rivedrà più. Perché il suo Luke, quello delle giornate ad Hogwarts, già se n'è andato: Crono lo ha ucciso senza che nessuno lo notasse, lo ha soffocato con bugie e promesse, forse la sua opera meglio riuscita.
 
«Non sei l'unica ad aver perso qualcosa per colpa sua, Talia...»
 
Aveva mormorato Silena Beauregard, stringendo la bacchetta in pugno fino a far sbiancare le nocche. Il ricordo di Charlie era così fresco da far ammutolire la sala.
 
«Non continuare a sfidare la sorte, Talia, non siamo eroi anche se giochiamo ad esserlo...»
 
E Talia aveva stretto i pugni a sua volta, aveva digrignato i denti perché lei sapeva, perché avrebbe voluto strappare quell'aria da vedova affranta dal bel viso di Silena perché era stata lei ad uccidere Beckendorf, lei e solo lei.
 
Lei e le sue parole, i suoi messaggi, lei che continuava a parlare con Luke e raccontare quel che non avrebbe dovuto. Silena si era pentita ma non bastava, come sarebbe potuto bastare?
 
Ed aveva il coraggio di farle la morale... come potevano quei ragazzini aver tanta paura di chiamar le cose con il loro nome, di chiamare Silena una traditrice?
 
«Talia, forse dovresti allontanarti … » aveva mormorato Annabeth, prendendo parola, sul viso ancora i segni dell’ultimo attacco, e lei si era sentita tradita. Dopo tutto quello che aveva fatto per lei, dopo tutto quello che li aveva vissuto con Luke, davvero riusciva a reagire in quel modo? Davvero riusciva ad essere tanto distaccata, riusciva a cacciarla?
 
 
Era uscita dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle, suo fratello non si era mosso riservandole lo sguardo affranto di chi non può fare altrimenti, di chi ha delle responsabilità. Le manca il piccolo Jason, il Jason che sarebbe potuto essere: non è pronta a quel “piccolo” soldato, non è in grado di sostenere tutto quello che sta succedendo.
 
In silenzio, in bilico su un terrazzo da cui non riesce a guardare in basso, Talia piange quelle lacrime che non ha mai tirato fuori. 

 
 

 
 
 
L’aveva conosciuto sul treno, il primo giorno di scuola, mentre tentava di rubarle uno zuccotto di zucca dalla borsa perché aveva tanta fame e pochi soldi ─ praticamente la storia della sua vita, le avrebbe poi raccontato. I suoi occhi  («I più blu che avessi mai visto, sembravano elettrici tanto brillavano!» le avrebbe detto, in futuro, in un attimo di intimità e sincerità), l’avevano inchiodato sul posto con la mano nella borsa ancora intenta a frugare.
Ma Talia non si era arrabbiata, anzi, aveva visto l’altro stringere tra le mani la carta colorata ma vuota con un’espressione tanto scontenta da risultare quasi divertente (o tenera? No, tenera no, i ragazzini non sono teneri) e lei aveva finito per abbandonare l’idea di graffiargli la faccia.
 
«Devi essere tanto cretino per rubare un pacchetto vuoto.» gli aveva detto, invece, e lo aveva visto arrossire, distogliendo lo sguardo e posandolo sul paesaggio che scorreva fuori dal finestrino. Il ragazzino aveva qualcosa di famigliare, forse i capelli biondicci, forse gli occhi chiari, Talia aveva cercato con attenzione la traccia di una cicatrice sul labbro superiore, sperandoci davvero. Poi si era sentita scema ed aveva smesso perché Jason avrebbe avuto quattro anni, allora, e negli occhi del ladruncolo vedeva una luce che non avrebbe mai potuto (e voluto) vedere in quelli di suo fratello.
Luke l’aveva guardata con aria interrogativa e lei, per tutta risposta, gli aveva allungato uno zuccotto un po’ mordicchiato perché «Meglio di niente, no?» e lui aveva sorriso senza ringraziare.
Luke non ringraziava, mai, ma ancora non lo sapeva, a dir la verità non si erano presentati fino a pochi attimi prima di scendere, e difficilmente si scusava ma a lei andava bene così perché, dopotutto, faceva altrettanto.
 
«Spero che tu venga smistata a Serpeverde, Talia Grace! Hai la stoffa della migliore.» le aveva detto Luke, mentre il treno si fermava e la gente cominciava a racimolare le sue cose, Talia aveva alzato le spalle.
«Non so se voglio passare sette anni in tua compagnia.» gli aveva risposto, tentando di far scendere il suo bagaglio dal treno e lui si era fatto una bella risata e l’aveva salutata con la mano, lasciandola sola alle prese con il baule e la civetta che tentava di pizzicargli la mano.
 
Luke Castellan era simpatico, sì, ma un po’ stronzo.
 
Allora Talia non sapeva che Luke si era innamorato come ci si innamora a dodici anni: senza volerlo, senza saperlo e con la bocca sporca di dolce.
Allora Talia non lo sapeva, ma lei aveva fatto altrettanto.
 

 
La Sala Grande era … beh, Grande davvero. Grande con la maiuscola, ed i racconti dei suoi genitori non le rendevano assolutamente giustizia e lei stava fotografando con gli occhi ogni angolo della sala solo per poterla poi raccontare al meglio, per poter capire per quale motivo quel posto odorasse di casa più di qualsiasi attico al centro della città potesse fare.
Tra le tante chiacchiere stupide degli altri ragazzini in fila, fece scorrere gli occhi sui tavoli, in quel mare di teste più o men alte, cercava un tavolo in particolare ed una testa in particolare; dall’altra parte della (enorme) stanza, Luke sembrava fare lo stesso. Si incontrarono per una frazione di secondo e lui alzò una mano, come per salutarla.
 

Talia sapeva che sarebbe finita a Serpeverde, perché tutta la sua famiglia era stata Serpeverde e lei certo non sarebbe stata da meno: aveva tutte le carte in regola compresa la parlantina sciolta e la quasi totale mancanza di scrupoli eppure, quando Chirone aveva chiamato il suo nome (e la sala si era ammutolita perché «È la figlia di quel Grace?» e Talia avrebbe voluto risponderle che, sì, è la figlia di quel Grace, quello Ministro della Magia, quello stronzo.) lei aveva sentito le gambe diventare di gelatina.
Se fosse stata smistata a Tassorosso l’avrebbero diseredata, se lo sentiva, e le parole che il Cappello le stava sussurrando non erano certo quelle più adatte a farle passare l’ansia che sentiva.
Cosa gliene importa se ha il cervello pronto di una Corvonero o il coraggio sconsiderato di una Grifondoro? Perché tutta quella storia non poteva essere veloce quanto lo era stata per gli altri?
Quando alla fine, dopo tante parole e tanta paura, il cappello aveva urlato “SERPEVERDE” con fin troppa foga, Talia aveva ripreso a respirare ed aveva accolto con un sorriso un po’ tirato le urla di giubilo ed un paio di fischi provenienti dalla tavolata verde argento. Luke le aveva fatto posto accanto a lui tirando via un altro ragazzino del primo anno e lei, stranamente, aveva gradito.
 
«Non essere tanto gentile, Luke, ti renderò la vita impossibile.» gli aveva detto, sedendosi scompostamente, e lui aveva riso rubandole per dispetto un paio di patate del piatto.
«Strano, stavo per dirti la stessa cosa. Attenta al cibo, Grace.»
 
 

 
 
Il primo anno, Talia era finita in punizione otto volte, Luke dieci.
In infermeria era andata cinque volte, Luke sei (la sesta ce lo aveva mandato lei facendolo cadere dalle scale e, lo giura!, forse non voleva davvero farlo).
Era rimasta fuori dal dormitorio tre volte ed era tutta colpa di Luke che, dal canto suo, dimenticava spesso la parola d’ordine ma «Conosco altri passaggi, pivellina.» e quindi dormiva sempre al caldo. Quelle erano le volte in cui ricordava perché odiava Luke Castellan.
La loro non era una gara ma lo sembrava molto e, forse, si stava trasformando in quello. Ma loro non avevano bisogno di fare a gara: Talia sapeva che avrebbe perso, non era brava come Luke a rubacchiare dalle cucine, quindi non si azzardava neanche a proporlo.
In pochi mesi erano diventati l’incubo della Scuola e, pur senza volerlo, si erano attirati addosso le ire di quelli che avrebbero voluto far vincere la Coppa alla propria Casa.
«Accetterei la coppa solo se fosse piena di burrobirra!» aveva detto Luke, con sufficienza, ad uno del terzo anno che sembrava volergli torcere il collo e, Merlino!, lei gli avrebbe volentieri dato una mano. Il suddetto ragazzo aveva scosso la testa, borbottando qualcosa di incomprensibile, ed era tornato ai dormitori lasciandoli soli.
«Perché, tu bevi la burrobirra?» gli aveva chiesto allora Talia, alzando un sopracciglio e fissando il tizio gracilino che si ritrovava davanti: figurarsi se un dodicenne del genere poteva bere birra!
Luke aveva annuito gravemente, invece, e le aveva lanciato un pacchetto di caramelle (solo quelle viola che le piacciono tanto, rubate direttamente dalla scorta di Mr. D.), poi era scomparso verso i dormitori dei ragazzi e lei si era sentita stupida perché aveva squittito come una bambina.
Nel silenzio della sala comune, si ficca in bocca la prima caramella e osserva il gatto di Luke farle le fusa: deve avere uno strane ascendente su quelle demoniache palle di pelo. Starnutisce.
 
Lo ha deciso dopo la prima settimana di permanenza: i dormitori di Serpeverde non le piacciono. Troppo verde, troppo buio, danno un senso di umidità anche se in realtà buio e umido non è. Non le piace scendere le scale (a cui piace cambiare un po’ troppo, per i suoi gusti, e lei continua a perdersi), non le piace dover condividere la stanza, non le piace il gatto di una delle sue compagne che continua a dormire sul suo letto e, al diavolo!, lei è allergica al pelo di gatto. Vorrebbe lo capisse anche il gatto di Luke, dopo tante volte che glielo ripete, ma lui sembra amarla troppo.
Il dormitorio, scopre, le piace un po’ di più a natale quando si svuota e le ghirlande appaiono sopra le finestre: un ragazzo dell’ultimo anno ha incantato un peluche perché canti carole tra una parolaccia e l’altra ed anche quello non le dispiace.
Ad undici anni Talia aveva deciso che avrebbe regalato tutti i suoi natali ad Hogwarts, lo aveva deciso mentre, con regole del tutto inventate e circondati da dolci, giocava a scacchi con Luke nella sala comune e al diavolo le torri e i pedoni che si lamentano perché «Non funziona così, giovane dama! Non è così che si comporta un pedone, giovane messere!».
E ridevano tanto, forse troppo.
 
«Tornare a casa per natale è troppo poco punk?» le aveva chiesto Luke, muovendo un pedone totalmente a caso e lei, per tutta risposta, aveva mangiato uno dei suoi cavalli. Luke l’aveva guardata malissimo e Talia, per tutta risposta e in modo molto maturo, gli aveva fatto la linguaccia
 
«Tornare a casa per natale fa troppo poco scappato dal riformatorio?» le aveva allora chiesto lei e Luke aveva risposto con un’alzata di spalle ed un «Tanto mia madre non se ne accorgerà.» e la questione era stata chiusa lì.
Perché non si parla della famiglia, è la loro regola segreta, quella che non si sono mai detti ma che esiste ed è importante e loro sono bravi e si impegnano a non parlarne.

 
Il primo natale che Talia passa ad Hogwarts la accoglie con un dormitorio semivuoto, un regalo sul comodino ed un invito per un “esclusivo viaggio solo andata” per la cascate accanto al lago.
Talia sorride e tira un paio di calzini appallottolati ad una sua compagna di stanza che la sta prendendo in giro perché «Sembri un pomodoro tanto sei rossa!».
Ma lei non era rossa, figurarsi se si imbarazzava per uno stupido invito da uno stupido Luke Castellan.
 
Talia non lo sapeva, ancora non avrebbe potuto saperlo, ma quel posto – quella cascata che era piccola ed isolata ma che dava sul lago ed era tanto vicina che potevano vedere gli altri studenti passeggiare sull’altra riva- sarebbe diventato di lì a poco il loro posto. Loro nel senso più sdolcinato del termine, loro come poteva essere loro il passaggio dietro alla statua del satiro che si trova sul corridoio che porta alle serre, loro come la stanza di Luke che avrebbe visitato solo un paio di anni dopo.
 
 
 
 

 
In silenzio, in bilico su un terrazzo da cui non riesce a guardare in basso, Talia piange quelle lacrime che non ha mai tirato fuori ed osserva il paesaggio che si apre davanti ai suoi occhi. 
 
Pur non volendo, il suo sguardo torna a quelle cascate, illuminate dalla pallida luce della luna, e lei quasi si aspetta di vederlo lì, Luke, proprio davanti alla cascata, con una coperta sotto braccio e la bacchetta che dipinge strani disegni nell’aria.
 
«Un giorno diventerò un grande mago!» lo sente dire con la sua voce da ragazzino, di nuovo, e lo vede ancora muovere la sua bacchetta e si dice che lei sapeva tutto ed avrebbe potuto fermarlo, sarebbero potuti rimanere fuori da quella guerra, scappare in America, magari.  I suoi amici non sarebbero mai stati in pericolo, non sarebbero stati affari loro quelli, quella guerra l’avrebbero combattuta gli adulti.
«Mio padre sarà costretto a riconoscermi, sarà costretto a sapere che ci sono, si pentirà di non aver mai conosciuto Luke, il più grande mago mai esistito!» continua quella voce che non c’è, Talia ricorda la risata che aveva fatto e che aveva un non so che di isterico –il rumore dell’acqua che scroscia faceva da sottofondo ai loro momenti- e ricorda che lo aveva baciato per zittirlo: perché con Luke non c’era molta altra scelta.
 
In silenzio, in bilico su quel tetto, Talia ricorda di quando Luke le aveva chiesto, davanti alla cascata, di seguirlo, di fuggire con lui, «Diventeremo grandi, Talia, questa vita per perdenti ce la lasceremo alle spalle!» aveva detto, tendendole una mano come se si aspettasse davvero che lei l’afferrasse. Ma lei non aveva avuto il coraggio di seguirlo –quella cicatrice comparsa sulla guancia cambiava così tanto quel viso che pensava di conoscere, deformava quel sorriso furbo che aveva imparato ad amare e non riusciva a fidarsi: lei aveva rinunciato, lui si era smaterializzato e non lo aveva più rivisto. Lo sguardo triste nei suoi occhi lo avrebbe ricordato per tutta la vita.
 
In bilico su quel terrazzo, Talia si costringe ad asciugare le lacrime dal viso e si dà dell’idiota ad alta voce. Si volta, dando le spalle al lago e alla cascata perché non vuole più vederli, è stanca di stare male, è stanca di quei ricordi che non ha mai voluto.
Solo allora vede nell’arco della porta suo fratello, una spalla poggiata contro lo stipite ed uno sguardo dolce dietro le lenti degli occhiali, si chiede da quanto tempo sia lì ma non ha il coraggio di fargli quella domanda.
 
«Per quel che conta, io credo tu abbia ragione, scusa per non averlo detto prima.» le dice, grattandosi la nuca a disagio, e Talia si chiede come qualcuno possa aver davvero paura di quel ragazzotto che sembra il principe di quei film babbani.  
«E volevo dirti che se vuoi partire, in qualsiasi momento, se vuoi provare davvero a fare quel che vuoi fare…io e Reyna ci siamo, davvero. Anche se Annabeth ci ucciderà.» continua, frugando nelle tasche dei jeans ed allungandogli un fazzolettino di carta perché possa sistemarsi il trucco che deve essere colato su tutto il viso.
Lei scuote la testa, dando un’ultima occhiata alla cascata, e si avvicina al fratello per assestargli una sonora pacca sulle spalle «Tu e Reyna dovete rimanere vivi fino al diploma, poi ne riparliamo.» dice solo, soffiandosi il naso, e Jason la guarda con aria severa «Torno solo se torni anche tu.»
E Talia ride, perché Hogwarts ha smesso di essere casa sua da anni, ormai, e Jason lo sa eppure non demorde. Perché Jason è così, la testa dura deve essere di famiglia, ed ama il fatto che sia la sua versione più moderata ma testardo allo stesso modo, ama che sia tanto altruista: un cavolo di Grifondoro fatto e finito, e chi se lo sarebbe mai aspettato?
 
Talia si era sempre rifiutata di usare stupidi giri di parole per riferirsi all'uomo (mostro?) che le aveva smontato la vita, mattoncino dopo mattoncino. Aveva il diritto di chiamarlo per nome, aveva il diritto di ripeterlo, appena prima di dormire, per darsi uno scopo per cui alzarsi il mattino dopo. Era tutto quel che le era rimasto a cui aggrapparsi mentre il mondo le crollava addosso.
«Chiamatelo per nome, chiamatelo Crono, dimostrate che non avete paura del potere che ha. Ricordate tutto quello che vi ha portato via!» continuava a ripetere, ad ogni riunione, sotto lo sguardo spaventato di Grover che finiva per tapparsi le orecchie ogni volta che ascoltava qualcuno pronunciare quel nome.
 
Ma lei non aveva paura e tutt’ora non ha paura, mentre torna verso la cucina di quella casetta nascosta tra gli alberi della Foresta, dalla finestra è ancora visibile il castello ma lei tenta di non guardarlo.
 
Perché Crono le ha portato via suo fratello, è vero, ma i suoi amici glielo hanno restituito e lei si sta comportando come un’ingrata perché la prima guerra la sta combattendo contro sé stessa e deve capire che in ballo non ci sono solo lei e Luke ma tutta la comunità.
Perché Silena ha sbagliato –Silena è una traditrice e Charlie è morto per colpa sua, sarà sempre così- ma questo è un fardello con cui lei per prima dovrà convivere.
 
Perché non è l’unica ad aver perso qualcuno per quella stupida guerra: Will ha visto i suoi fratelli morire davanti ai suoi occhi,  gli scagnozzi di Crono (Gea, quella folle donna) hanno reso casa di Leo un mucchietto di cenere, Nico ha rischiato di passare dalla parte sbagliata e non sa ancora se glielo perdoneranno mai, il Coach ha visto suo figlio nascere ma non sa se avrà modo di rivederlo: ognuno ha i suoi fardelli ma Talia se ne rende conto solo ora.
 
 
Ognuno ha la sua cascata, ognuno ha il suo Luke, deve solo impararlo e capirlo.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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