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Autore: lacie_baskerville    13/02/2016    2 recensioni
Una breve one shot incentrata su Clarke e Bellamy e il rapporto che hanno con il perdono.
Dal testo:
Dicono che la cosa più difficile al mondo sia perdonare qualcuno. Non è vero. Perdonare se stessi è molto peggio.
[...]
Perché loro capiscono che non importa se cerchi di uccidere un uomo per proteggere tua sorella o dai fuoco a centinaia di persone o abbassi una leva con la consapevolezza che tra le vittime ci saranno dei bambini: hai comunque violato qualcosa di sacro e intoccabile, e i segni di questo crimine resteranno sempre lì, a farti a pezzi lentamente, e non basterà rimettere a posto le schegge per tornare intero.

(Accenni di Bellarke solo per chi vuole vederli)
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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FORGIVENESS

 
 
 
 
Mama, put my guns in the ground,
I can't shoot them anymore.
That cold black cloud is comin' down.
Feels like I'm knockin' on heaven's door.

 
«Vuoi essere perdonato?
Va bene, lo farò io:
sei perdonato.
Okay?»
[…]
«Non puoi andartene»

 
 
 
Dicono che la cosa più difficile al mondo sia perdonare qualcuno. Non è vero. Perdonare se stessi è molto peggio. Per questo cerchiamo il perdono negli altri. Per questo abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica che quello che è successo non è stata colpa nostra, che non avremmo potuto agire diversamente.
Loro lo sanno. È il motivo per cui si cercano, per cui rimangono assieme quando provano a salvare quel loro mondo distrutto a metà, anche se sanno che assieme finiranno solo col distruggerlo del tutto. È il motivo per cui hanno bisogno l’uno dell’altra:  il ragazzo che non ha il coraggio di chiedere perdono e la ragazza che è convinta di non meritarlo.
E continuano a perdonarsi lo stesso, perché loro sanno. Perché loro capiscono. Capiscono che non importa se cerchi di uccidere un uomo per proteggere tua sorella o dai fuoco a centinaia di persone o abbassi una leva con la consapevolezza che  tra le vittime ci saranno dei bambini: hai comunque violato qualcosa di sacro e intoccabile, e i segni di questo crimine resteranno sempre lì, a farti a pezzi lentamente, e non basterà rimettere a posto le schegge per tornare intero.
E forse è per questo che sono così disperatamente legati, che non sopportano il pensiero di perdersi anche se sono lontani. Non sanno come chiamarlo: affetto, o amore? Quello che sanno è che tra loro qualcosa è speciale, perché sono in grado di guardarsi negli occhi con la consapevolezza dei demoni a separarli e incatenarli assieme e andare avanti lo stesso.
Ma perdonare se stessi non è semplice come perdonare il riflesso di se stessi nello sguardo di quelli a cui si vuole bene.
Per questo lei è scappata. Per questo continua a correre senza allontanarsi mai davvero, quasi convinta che, se camminerà abbastanza, tutti quei passi cancelleranno il ricordo di quello che è successo. Non si tratta solo consegnarsi da colpevole ai propri incubi per rendere innocenti tutti gli altri. Per rendere innocente lui. Si tratta non vivere la vita, così come lei non ha concesso alle persone che ha ucciso – bambini, ragazzi con la speranza in un futuro alla luce del sole –di vivere la loro. Si tratta di espiare anche i loro peccati per non aver permesso che li espiassero da sé.
No, perdonare se stessi non è affatto facile. Ma la verità è che sperava che neanche lui la perdonasse. Perché la rabbia degli altri è sempre meno dolorosa della nostra. Essere incolpati vuol dire avere la possibilità di difendersi, essere perdonati vuol dire essere difesi, e il capo d’accusa non possiamo che essere noi stessi.
Il perdono è senza pietà.
E vorrebbe non aver cominciato quel loro gioco inutile, il giorno in cui gli disse che non era un mostro, e vorrebbe non credere così fermamente in quelle parole, perché sarebbe più facile, perché renderebbe più sopportabile il ricordo dei suoi occhi feriti nel momento in cui si è accorto che si stava tirando indietro, che adesso i demoni avrebbero dovuto affrontarli da soli.
Perché non ha senso parlare, se nessuno capisce.
E allora continua a scappare dalle ombre che la inseguono, anche se sa che non basta correre per seminarle. Scappa perché lo ha abbandonato quando lui avrebbe provato a guarirla, e le cose sarebbero andate meglio. Scappa perché non avrebbe voluto che le cose andassero meglio.
E si allontana sempre di più. Non da lui, ma da se stessa. Ne ha bisogno. Se non lo facesse, ripenserebbe a quello che ha fatto, al suo aiuto, alla sua amicizia, al modo in cui l’ha perdonata, con gli occhi seri che riflettevano la sua convinzione. Ripenserebbe a quanto gli è stata grata per questo, e al modo in cui gli ha voltato le spalle e se n’è andata.
Se non lo facesse, ritroverebbe quella parte di sé che è diventata la sua catena, quella che ha bisogno di tornare a casa, che ha paura della solitudine perché sa che la solitudine finirà con l’uccidere quel po’ di umanità che le è rimasta. E non può fermarsi ad ascoltarla, perché si sa che i nostri demoni hanno sempre ragione. E pensare a quello che ha lasciato rende solo più pesante quello che la aspetta. Perché dimenticare di aver mai avuto una casa è più facile di credere di essere troppo corrotti per poterci tornare.
E allora mette a tacere tutto: i ricordi, le voci, il dolore. Se non lo facesse, sa che ci sarebbero davvero troppe cose che non sarebbe in grado di perdonarsi.

 

 
«Se hai bisogno di perdono,
te lo concedo. Sei perdonata.
Ti prego, vieni dentro»
[…]
«Abbi cura di loro per me»
 
 

Knock-knock-knockin' on heaven's door.
Knock-knock-knockin' on heaven's door.
Knock-knock-knockin' on heaven's door.
Knock-knock-knockin' on heaven's door.





















 
***








 
N.d.A.
Diciamo che dopo la puntata di oggi, invece di pubblicare questa shot, avrei voluto bruciarla e poi defenestrarmi in preda alla sofferenza, ma poi ho pensato che se mi fossi suicidata non avrei potuto vedere quella della prossima settimana e ho deciso di rimandare la mia morte alla fine della terza stagione. Mi è sembrata la decisione più saggia.
Anyway, non pensavo che mi sarebbe mai venuta l'ispirazione per una fanfiction in generale ed eccomi qui con questa Bellarke (che può anche non essere vista come Bellarke, dal momento che loro non stanno assieme nella serie non ho voluto strafare rendendo troppo espliciti i loro sentimenti), che è tipo la cosa più angst che abbia mai scritto. Sono un po' indecisa sul primo periodo, la costruzione verbale mi sembra incerta, se qualcun altro dovesse pensarlo, me lo faccia sapere.
So che ci sono molte poche virgole, ma vi assicuro che la cosa è assolutamente intenzionale: volevo rendere il ritmo della storia incalzante, volevo che fosse così veloce da non permettere di respirare, se fosse letta ad alta voce. Spero di esserci riuscita. Inoltre, il testo potrà sembrare un po' incoerente, ma capitemi: sto studiando il flusso di coscienza e il monologo interiore, dovevo pur esserne un po' influenzata! xD
Spero anche di non essere stata OOC. Se qualcuno dovesse farmelo notare, lo inserirò tra gli avvertimenti.
Ringrazio chiunque leggerà e/o recensirà questa storia, se qualcuno avrà il coraggio di arrivare fin qui senza stramazzare al suolo per apnea.
Auguro a tutti una buona domenica,
 
lacie

P.s. L'immagine non è mia.

 
   
 
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