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Autore: Manu_Green8    13/02/2016    1 recensioni
Il college era la nuova esperienza di lei, da vivere e da gustare. Il pugilato professionistico quella di lui. Un anno era passato in fretta e i due ragazzi si sentivano più uniti che mai. Ma cosa accadrà quando si insinuerà la lontananza? O quando incontreranno persone nuove e ne riemergeranno dal passato?
L'avventura di Melanie e Chad continua, anche se non tutto sarà facile. Ce la faranno anche sta volta? Questo è tutto da scoprire...
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Salve, cari lettori! Vi ricordate di me? Forse sì, o forse no. Sono già passati diversi mesi dall'ultima volta che ho scritto una storia e finalmente sono ricomparsa proprio con il sequel di "Un battito d'ali... un battito del cuore". Con questo non vi obbligo di certo a leggere la storia precedente, ma vi invito comunque a farlo, considerando i riferimenti all'interno di tutta la fanfiction.
Non mi dilungo oltre! Fatemi sapere cosa ne pensate! Buona lettura :D
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[STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA: MI SCUSO PER IL DISAGIO]
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un battito d'ali.. un battito del cuore'
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Pov Chad

Non avevo mai pensato di poter sorridere tanto in un solo giorno. Ma era più forte di me: finalmente, dopo mesi di attesa potevo di nuovo abbracciare, toccare, baciare la mia Melanie, che sembrava ancora più bella di come l’avevo lasciata. Aveva iniziato a prendere l’abitudine di fare una treccia disordinata ai capelli: per dipingere o lavorare al college era l’ideale, aveva detto. E io l’amavo. Ancor di più, però, non vedevo l’ora di passare le dita attraverso i capelli e sciogliere quella treccia.
Anche quel vestito verde che portava le stava divinamente e creava un contrasto eccellente con i suoi capelli rossi. In conclusione, non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso neanche per un minuto.
Ero così preso da lei, che non mi ero neanche fermato a pensare che quello sarebbe stato il primo giorno del Ringraziamento che veniva festeggiato in grande dentro casa O’Connor. Mia zia era stata entusiasta di invitare i Carter (e Rachel, ovviamente) in casa nostra, così come aveva fatto con Ryan e la sua famiglia. Beh, il lato positivo del fatto che i Rage avrebbero festeggiato con noi, anche se al tempo lo pensavo erroneamente, era che la mamma di Ryan avrebbe potuto convincere mia zia che fossimo talmente bravi in quello che facevamo sul ring, da non doversi preoccupare. Dopotutto era quella che ridendo, ripeteva sempre a me e suo figlio: “Tanto lo so che siete sempre i vincitori della situazione. Ormai non c’è più da preoccuparsi”.
E all’epoca ero talmente ingenuo da credere che pensasse davvero così: o almeno, volevo che lo fosse. Andiamo. Non avevo la minima idea di come funzionasse il cervello di una mamma, tanto meno quella della signora Rage, sempre sorridente e pronta a tutto. In realtà, anche lei, così come mia zia, moriva dalla preoccupazione ogni volta che suo figlio metteva piede sul ring. Qualche volta veniva anche agli incontri per fare il tifo ed era davvero entusiasta di quanto fosse in gamba suo figlio. Non avrei mai pensato quindi, che le parole dette a mia zia sarebbero state alquanto diverse da quelle che mi aspettavo. Beh, furono comunque d’aiuto, tanto che poco dopo tempo avevo iniziato a notare un cambiamento, benché minimo. Mia zia continuava a proteggere e salvaguardare Evan, ma almeno aveva smesso di ripetermi quanto odiasse il mio lavoro. E questa cosa era davvero utile per il mio cervello, sempre pronto a rimuginare su tutto.
Proprio in quel momento, Evan venne a sedersi accanto a me, sul bracciolo del divano. Avevamo appena finito di mangiare e dopo ore seduti a tavola tra tacchino e quant’altro, adesso ci ritrovavamo in sala, a prendere il caffè e a guardare il calcio. Noi uomini eravamo tutti sistemati nei divani, mentre le donne erano sedute al tavolo, parlando di chissà cosa e tutte le loro voci ci facevano da sottofondo, eccetto quella di Blake, che non si sentiva da quando era arrivata. Continuava soltanto a lanciare sguardi fulminei a Melanie, che invece sembrava non accorgersene. Era agghiacciante, ma evitavo di fare commenti, così come Ryan. Sapevo che anche lui se ne era accorto, ma più che altro rideva della situazione.
Ritornai a qualche ora prima, quando Ryan e Melanie si erano salutati. Si erano dati un abbraccio di a malapena un attimo e quasi come due perfetti sconosciuti si erano chiesti a vicenda come stavano. Nient’altro. Sapevo perfettamente che i due non si guardavano di buon occhio: insomma, Ryan aveva sempre pensato che passassi troppo tempo con Melanie e che fossi troppo dipendente da lei. Da come la guardava, si capiva che non gli fosse molto simpatica. Una volta, qualche tempo prima, mi aveva detto esplicitamente che la riteneva troppo acida per i suoi gusti. “Andiamo, Chad. Ha un carattere forte. Troppo forte, non sarebbe proprio il mio tipo” mi aveva detto. E io avevo riso.
“Per fortuna. Così è molto meglio, no? È mia e non devo temerti” avevo detto scherzando.
“Beh, no. Ma continuo a chiedermi: con i caratteri di merda che avete entrambi, come fate a far funzionare le cose?”.
E lì non ero riuscito proprio a trattenermi ed ero scoppiato in una risata rumorosa. “Grazie tante, amico”.
“Figurati, furia” aveva sorriso divertito, dandomi una pacca sulla spalla.
Melanie dal canto suo, pensava che Ryan mi avrebbe portato sulla cattiva strada e anche se le ripetevo che lui non era davvero così, come la star del cinema che lei pensava, continuava a crederlo.
Con Melanie però ci stava una differenza: lei sapeva perfettamente quanto avessi bisogno del mio migliore amico, come lei aveva bisogno di Rachel e dopotutto si sforzava di farsi piacere Ryan. Anche lei, infatti, nonostante le sue lamentele, non voleva che io e lui litigassimo. Soprattutto adesso che lei era partita per il college.
Beh comunque, avevo ormai fatto l’abitudine ad entrambi i caratteri.
E sapevo che tutti e due mi erano indispensabili. Potevano anche non starci simpatici a vicenda, ma dopotutto non li costringevo mica a passare il tempo insieme. Ero io che dovevo farlo, non loro. Semplice, ma efficace.
Lasciai perdere i miei pensieri, afferrai mio fratello e me lo gettai di sopra.
“Ehi!” protestò, cercando di rialzarsi, ma io lo trattenni.
“Così stai più comodo, no?” dissi, ridacchiando e scombinandogli i capelli giocosamente.
“Chad! Mollami!” disse cercando di svincolarsi.
“Neanche un abbraccio al tuo fratellone?” chiesi ridendo.
“No. Stavo guardando la partita” disse spostandomi con le braccia.
“Chad, lascia in pace tuo fratello” mi ribeccò mia zia, dal tavolo dietro di noi.
Feci il broncio, mentre Evan tornava al suo posto. “Bene” affermai.
Lui sollevò gli occhi al cielo e tornò a guardare il televisore.
Quando aveva iniziato a diventare sempre più simile a me? Da quando aveva quegli atteggiamenti? Prima non avrebbe rifiutato di stare seduto su di me. E dopotutto piaceva ad entrambi coccolarci in quel modo. Evidentemente Evan stava crescendo e aveva superato quella fase. Sapevo che sarebbe successo prima o poi, ma aveva soltanto 10 anni. Pensavo che avrei dovuto aspettare un po’ di più.
Improvvisamente non avevo proprio più voglia di guardare la partita, così mi alzai e andai in cucina. Sospirai avvicinandomi alla finestra e guardai all’esterno: era tutto così immobile e la bella giornata sembrava quasi che ci sorridesse.
Sentii delle braccia intorno alla mia vita e sorrisi d’istinto.
“Ehi” disse Melanie, poggiandomi un bacio sulla schiena. Ruotai tra le sue braccia e l’attirai di più a me. La baciai per poi rispondere con un sorriso al saluto. “Ciao”.
“Tutto bene?” mi chiese.
“Sì” risposi semplicemente.
“Chad, non prendertela per Evan. Sai, è in quell’età in cui comincia a pensare che non ci sia meglio che essere come te. Cerca solo di imitare i tuoi comportamenti. Quando ho parlato con lui sta mattina non ha fatto altro che dirmi quanto sei stato fantastico in questi primi combattimenti e quanto fosse felice che glieli registrassi. Ti vuole sempre bene lo stesso”.
“Sì, ma io non ho mai rifiutato un suo abbraccio” risposi, ruotando gli occhi.
Lei sorrise: “Se foste stati soli non l’avrebbe fatto, credimi. Vuole solo mostrarsi come te davanti agli altri. Sai, un po’ sbruffone”.
“Ehi! Io non sono sbruffone” protestai.
“Ah no?” chiese lei sorridendo divertita.
Scrollai le spalle ridacchiando. “Beh, anche ad Evan riesce alquanto bene”.
“Sta imparando dal migliore” mi prese in giro Melanie, dandomi una pacca sul petto.
Io scossi la testa divertito per poi sospirare. “Sta crescendo troppo in fretta” dissi, affondando il viso nel suo collo.
Melanie ridacchiò. “Sarai un padre meraviglioso, Chad” affermò accarezzandomi i capelli.
Io non commentai, ma le alzai il viso e la baciai.
“Stasera vieni a dormire da me? Saremo da soli”.
Io la guardai con un sorrisetto. “Davvero?”.
“Sì, Dave va da Rach e mia mamma ha il turno di notte”.
“Anche nel giorno di festa?” chiesi.
“Già. Allora?”.
“Beh, allora è ovvio” risposi con un sorriso divertito.
Lei ridacchiò. “Bene. Non vedo l’ora” disse dandomi un bacio a fior di labbra. “Mi sei mancato tanto, Chad” terminò.
“Anche tu, babe” risposi, prima di essere trascinato di nuovo in salotto.
 
Pov Melanie

Non avevo neanche chiuso la porta di casa che io e Chad ci stavamo già baciando ardentemente.
La casa era silenziosa e i nostri respiri già affannati rimbombavano e saltavano da parete in parete.
Chad mi sospinse verso l’interno, chiudendo la porta con un piede e senza staccare le labbra dalla mie.
Dio, il suo sapore era così buono, familiare. Così casa.
Chad mi sollevò per i fianchi e io intrecciai automaticamente le gambe intorno alla sua vita.
“Mi sei mancata così tanto” sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
“Sono qui, Chad. Sono qui” dissi, accarezzandogli la guancia e passando il pollice sul suo zigomo.
“Sei qui” ripeté lui, prima di camminare verso il piano di sopra.
Iniziai a baciare la pelle del suo collo, nella sua parte più sensibile appena sotto l’orecchio. Giocavo con quella parte con le labbra, i denti e la lingua, fino a sentire le mani di Chad che si stringevano sulla mia schiena e un gemito usciva dalle sue labbra.
“Melanie. Dannazione… as-aspetta” balbettò, mentre entrava in camera mia, chiudendosi la porta alle spalle.
“Cosa, Chad?” chiesi in modo accattivante, riattaccando la mia bocca nello stesso punto. Volevo lasciargli un segno. L’indomani volevo vedere un succhiotto lì su, un segno rosso che marcasse il territorio. La gente doveva sapere che era mio.
Mi fece distendere sul letto, posizionandosi sopra di me e poggiandosi sui gomiti. Non riuscivo a vedere perfettamente i suoi muscoli contratti, ma bastava passarci le mani sopra per sentire quanto stessero lavorando.
“Dio. Ho aspettato così tanto per riavere questo” borbottò con il respiro accelerato.
“Allora sbrigati, Chad”.
Sentii che veniva scosso da una risata e poi si fiondò di nuovo sulle mie labbra. Giocò con il mio labbro inferiore usando i denti e non riuscii a controllare il gemito di piacere che emise la mia gola.
Mise le mani sotto la mia maglia senza preavviso, facendomi rabbrividire per la differenza di temperatura del mio stomaco e della sua mano.
Lo aiutai e la mia maglia finì sul pavimento. Chad si bloccò e guardò sotto di sé, abbassando la testa per baciare ogni singola parte del mio stomaco, per poi salire e senza staccare le labbra dalla mia pelle, si disfò anche del mio reggiseno. Sentivo la pelle che veniva baciata dalle sue labbra andare a fuoco e quando arrivò alla cicatrice al centro del mio petto, passai le dita tra i suoi capelli e strinsi.
Chad gemette e facendo pressione con la mano lo obbligai a sollevare la testa e a guardarmi negli occhi.
“Non farmi aspettare ancora” sussurrai e lui annuì.
“Scusa” disse. Mi bloccai per un attimo. Perché l’uso di quella parola? Chad non mi aveva mai chiesto scusa. Non quando stavamo per fare l’amore. Avevo sbarrato gli occhi confusa, ma lui non parve accorgersene, dato che si era allontanato un po’ per rimuovere la sua maglia e slacciarsi i pantaloni. Quella vista mi annebbiò la mente a tal punto da dimenticare quel pensiero che mi era passato per la testa. Quella preoccupazione mista a stupore.
“Chad, torna qui. Basta” lo incitai e lui si voltò a guardarmi con gli occhi spalancati per poi sorridere beffardo.
“Cosa vuoi, Melanie?”.
Chiusi gli occhi per un secondo, poi deglutii e risposi: “Voglio te, dannazione! Voglio te, Chad”.
Il suo sorriso si allargò e mentre si disfava dei jeans, anche io feci lo stesso con i miei pantaloni e i miei slip, prima di afferrarlo violentemente per il braccio e spingerlo verso di me.
Chad ghignò prima che le mie labbra si scontrassero di nuovo con le sue. La sua lingua si fece strada facilmente, come era abituata a fare e io poggiai la mano dietro al suo collo, lasciandolo fare e assaporandolo avidamente.
La mia mano libera scivolò lungo il suo corpo e sollevando l’elastico dei suoi boxer misi la mano all’interno, stringendola intorno alla sua erezione.
Chad abbassò la testa verso il mio petto e sibilò. “Cazzo” disse, serrando la mascella.
Il suo gomito tremava per lo sforzo: sapevo che non sarebbe riuscito a mantenere quella posizione ancora per molto, così presi il comando e togliendo il contatto con il suo membro, ottenendo un suo lamento involontario, poggiai entrambe le mani sul suo petto e feci in modo di ribaltare le nostre posizioni.
“Lascia che ti faccia sentire meglio, piccolo. Devo farmi perdonare in questi mesi d’assenza” dissi in modo accattivante, abbassando i suoi boxer. Non avevo ancora fatto nulla e il suo respiro era già accelerato.
“Chad”. Era così strano che non protestasse minimamente. Lui non amava quando ero io a prendere il controllo, ma in quel caso era così bisognoso che il modo non gli interessava minimamente.
“Mmh?” chiese lui, con gli occhi chiusi.
“Ti amo”.
Chad aprì gli occhi e mi guardò. “Sì” e tornai a lavorare con la mano. “Ti amo..” gemette “anch’io”.
Aumentai il ritmo, ma le sue dita mi cinsero il polso. “No… adesso. Non così”.
“Ssh, va bene anche così”.
Lo vidi scuotere la testa e allora mi fermai. Tornò alle posizioni originali e allungò un braccio verso il comodino, mentre mi baciava il collo e giocava con quella pelle sensibile.
“Stanno sempre lì?” espirò contro la mia pelle.
“Sì” e tirò fuori dal cassetto del comodino ciò che gli serviva.
“Continua a parlare, ti prego” disse Chad, mentre macchinava.
Risi. “Cosa vuoi che dica, piccolo?”.
“Non lo so, ma parla… Il mio nome. Va bene anche il mio nome” disse freneticamente e io lo accontentai.
Se era quello che voleva perché negarglielo? Dopotutto mi stava dando quello che volevo anche io.
“Chad…” e con il suo nome sussurrato in quella stanza semibuia, dopo mesi di lontananza, entrambi arrivammo al culmine, ritrovando la nostra pace.
 
Quando la mattina seguente aprii gli occhi il mio letto era completamente vuoto. Avevo un vago ricordo di Chad che si alzava, lasciandomi un bacio tra i capelli. Ma ero così stanca che non ero riuscita a dire una parola, né tanto meno capire cosa stesse facendo.
Mi stiracchiai allungando il braccio, ma colpii qualcosa che fece uno strano rumore. Voltai la testa e mi accorsi che si trattava di carta. Chad mi aveva lasciato un biglietto.
Sono andato in palestra. Ci vediamo più tardi. Ti amo. –C
Guardai l’orologio: chissà a che ora si era alzato. Dopotutto non erano neanche le dieci.
Mi alzai da lì e sorrisi, mentre un pensiero si formulava nella mia testa. Sì, sarebbe stata una buona idea.
 
 
La palestra in cui Chad si allenava poteva sembrare alquanto piccola, ma una volta entrati bisognava ricredersi. Ero stata lì parecchie volte e mentre guardavo l’edificio dall’esterno - dovevo ammetterlo - mi era mancato anche quello.
L’aria che si respirava lì dentro, a mio parere, era fin troppo tagliente, ma amavo vedere Chad a suo agio in quel modo, come se fosse finalmente nel posto giusto per lui.
Andai verso l’entrata sovrappensiero, a tal punto che quando aprii la porta non mi accorsi di una ragazza che stava uscendo, prendendo la direzione opposta alla mia e ci finii praticamente addosso, facendole cadere dei fogli che teneva in mano. “Oddio, mi dispiace” mi scusai, mentre lei con un gesto veloce raccoglieva i suoi fogli e sollevava lo sguardo, posandolo su di me.
Vidi un lampo di… cos’era quella: curiosità? Stupore? Attraversarla soltanto per un instante, prima di vederla sfoggiare un sorriso con tanto di fossette sul viso.
Istintivamente feci un passo indietro mentre quegli occhi chiari mi scrutavano e un brivido freddo mi attraversava la schiena. Avevo quella strana sensazione dentro di me, quella spia che ti si accende dentro quando vedi il pericolo. Ma perché quella ragazza doveva essere pericolosa?
“Tu sei Melanie, giusto?”. Quella semplice domanda sviò i miei pensieri.
“Io…” iniziai stupita. “Sì, sono Melanie. Ma tu come fai a saperlo?”.
La ragazza mi porse la mano. “Sono Juliet. Sai, la ragazza di Ryan”.
I miei occhi si allargarono per lo stupore, tanto da scordarmi di stringerle la mano che lasciò ricadere lungo il fianco, imbarazzata.
“Ryan ha la ragazza?” chiesi e quella Juliet doveva avermi presa per stupida dato il sorrisino che mi rivolse.
Solo che nessuna donna si era mai riferita a Ryan come ‘la sua ragazza’. Erano sempre e soltanto ‘sue amiche’. E non importava se se le portasse a letto più volte. Continuavano ad avere sempre e solo quell’appellativo. Era per quel motivo che quella frase mi aveva un attimo destabilizzata e una domanda mi era sorta in testa: << Perché Chad non mi aveva detto nulla di quella ragazza? >>.
“Beh, evidentemente sì” mi rispose, ridacchiando.
“Bene” continuai a fare la figura della stupida, ma adesso avevo bisogno solo di raggiungere il mio ragazzo. “Scusa ma adesso devo andare” aggiunsi frettolosamente, senza darle il tempo di rispondere.
“E’ stato un piacere, Melanie Carter” mi disse e io rabbrividii ancora una volta. Era appurato: nonostante non avessi la minima idea di chi fosse, quella ragazza era da tenere alla larga.
 
Entrai in palestra e andai spedita verso Chad, appoggiato ad un sacco con un sorrisino sulle labbra, mentre ascoltava qualcosa che Ryan stava raccontando.
Nessun altro fece caso a me, dopo che all’entrata avevo dato il mio nominativo, ricevendo un sorriso dalla guardia e il permesso di entrare.
Ryan fu il primo a vedermi e mise termine al suo discorso affermando: “Abbiamo visite, furia”.
E Chad si voltò incrociando il mio sguardo. Subito un sorriso dolce gli illuminò il viso. “Ehi, Mel” mi salutò, mentre io mi fermavo davanti a lui.
“Ciao” dissi, avvicinandomi per ricevere il veloce bacio che era già pronto a darmi. Fu appena un leggero contatto e una volta separati mi chiese: “Che fai da queste parti?”.
“Sono passata così tanto per. Sai, speravo che magari il mio ragazzo avesse già finito”.
Chad annuì. “Sì, in effetti abbiamo finito. Vado a farmi la doccia. Mi aspetti qui?” mi chiese.
“Certo”. Chad iniziò a camminare verso lo spogliatoio e io mi voltai verso Ryan, che adesso stava macchinando con i suoi guantoni.
“Complimenti, Ry. Non sapevo che avessi la ragazza” affermai e vidi benissimo i suoi occhi allargarsi e il suo viso alzarsi verso di me. Nello stesso momento Chad si era bloccato in mezzo al corridoio, voltandosi di nuovo verso di noi.
“Beh…” iniziò Ryan, lanciando una sguardo alla nostra sinistra, dove Chad aveva ripreso a camminare e ci aveva raggiunti. “Sai, Mel. Ho cambiato idea. La faccio a casa la doccia. Possiamo andare” disse, grattandosi la testa. Lo guardai frugare nel suo borsone, tirare fuori una felpa e indossarla.
“Ci vediamo più tardi, amico” disse a Ryan e senza lasciarci dire una parola, mi afferrò la mano e mi condusse all’esterno.
“Dammi le chiavi”. Chad allungò una mano verso di me, mentre andava verso il posto del guidatore della mia macchina parcheggiata.
“Come sei venuto fin qui?” chiesi allora, lanciandogli le chiavi.
“A piedi. Sai, non abbiamo preso la moto per andare da te ieri e…”.
“Ho capito” lo interruppi salendo in macchina.
Per tutto il tragitto che andava dalla palestra fin a casa sua decisi di rimanere in silenzio, nonostante stessi iniziando ad innervosirmi. Non capivo perché Chad si stesse comportando in quel modo. Più ci riflettevo, più pensavo che mi stesse nascondendo qualcosa. Ed ero intenzionata a scoprire cosa.
Quando aprì la porta di casa sua, vuota e silenziosa, lo avevo seguito di sopra perpetuando nel mio silenzio.
Mi gettai sul suo letto, mentre lui chiudeva la porta e iniziava a togliersi i vestiti e a gettarli sul pavimento.
Chad non mi guardava neanche. Potevo quasi sentire la sua mente che lavorava e un paio di volte aveva anche dischiuso la bocca, come se stesse per iniziare a parlare, ma alla fine avesse deciso di non farlo.
Era rimasto solo in boxer quando mi aveva finalmente rivolto uno sguardo e chiesto: “Ti va?” indicando la porta del bagno aperta.
“No” risposi secca e lui annuì un paio di volte, come se si aspettasse quella mia risposta, prima di darmi le spalle ed entrare in bagno. Non chiuse la porta, forse perché in quel modo avrei guardato, proprio come stavo facendo, il momento in cui si era tolto i boxer e aveva aperto il getto dell’acqua della doccia. Magari pensava di farmi cambiare idea, ma io non ero dello stesso parere.
Aspettai una decina di minuti, guardandomi intorno in quella stanza abbastanza ordinata, a parte la roba che aveva appena gettato per terra e un libro sulla scrivania. Libro? Di cosa si trattava? Mi alzai incuriosita e mi fermai davanti a quel pezzo di mobilio in legno.
‘Annuario scolastico 2010-11’. Perché quell’annuario stava lì e non in mezzo agli altri nell’ultimo scaffale della libreria? Feci per aprirlo, notando che una delle pagine risaltava tra le altre, avendo l’angolino in alto ripiegato.
Ma proprio quando stavo per aprirlo il getto dell’acqua si interruppe e le ante della doccia si aprirono, facendomi voltare verso quella direzione.
“Melanie?” la voce di Chad mi arrivò alle orecchie prima che lui, con un asciugamano intorno alla vita, entrasse nella mia visuale. Feci due passi di lato d’istinto, mentre lui distoglieva lo sguardo dal letto vuoto e lo puntava su di me. “Che fai?” mi chiese con curiosità, piegando la testa di lato.
“Niente, stavo guardando le nostre foto qui. Questa non c’era prima” dissi indicando quella fotografia in bianco e nero che ci raffigurava sotto il ciliegio di casa mia, seduti per terra, con me tra le sue gambe aperte. Ricordavo ancora quando era stata scattata: l’aveva fatta Dave un pomeriggio dell’estate scorsa con il suo cellulare. Aveva cercato di non farsi notare, ma non aveva calcolato che quel ciak sarebbe stato così rumoroso e noi ci eravamo voltati, fulminandolo con lo sguardo.
“Eravate così carini” aveva commentato ridacchiando, mentre Chad lo sbeffeggiava: “Non prenderti certe libertà solo perché adesso hai un I-Phone, Carter”.
Chad si avvicinò per capire di che foto stessi parlando. “Oh, sì. L’ho rubata da casa tua” mi disse, facendo un sorriso imbarazzato. Era così dolce… no, non mi sarei lasciata abbindolare dal suo sorriso e dai suoi addominali scoperti.
“Chad?” chiesi con tono greve, facendogli sparire il sorriso.
“Sì?” mi chiese allargando gli occhi, in attesa.
“Perché non mi hai detto che Ryan ha la ragazza?”.
E quella domanda lo spiazzò visibilmente. Aveva distolto lo sguardo e si era diretto verso la cassettiera, dandomi la schiena. Aveva gettato l’asciugamano sul letto e fece per prendere dei boxer puliti.
Guardai le sue spalle larghe e scolpite e la sua schiena levigata, per poi scendere più in basso e soffermarmi sul suo sedere. Dio, era così perfetto. Quel tipo di visuali mi erano mancate così tanto.
No, Melanie, no! Che stai facendo? Chad deve risponderti ad una domanda. Non lasciarti distrarre.
“Chad” lo chiamai un'altra volta, mentre si tirava su i boxer bianchi e poi si voltava di nuovo a guardarmi. Sospirò prima di dire: “Perché lui non ce l’ha”.
“Che significa?”. Adesso sì che ero confusa.
“Niente, lascia perdere”.
E fu in quel momento che la rabbia si fece spazio nel mio pannello di controllo qual era il mio cervello.
“No, che non lascio perdere, Chad! Io non capisco che sta succedendo e tu non vuoi spiegarmelo. Solo perché sono andata via, non significa che tu puoi prenderti certe libertà. Cos’è, adesso non mi dici più ciò che ti succede nella vita?”. Esagerazione. Quella era la parola giusta per classificare il mio discorso. Ma lì per lì non me ne resi conto.
“Come?” chiese Chad sorpreso, prima che i suoi occhi chiari diventassero due fessure e la sua mascella si serrasse.
“Hai capito, Chad!” esclamai alzando la voce e dandogli le spalle per raggiungere la finestra. Il sole di quella mattina era sparito e un tempo uggioso con tanto di nuvole colme d’acqua stava facendo capolino da dietro le montagne. Esattamente come il mio umore.
“Io ho capito solo che tu non ti fidi di me. E invece dovresti farlo”. Odiavo il fatto che riuscisse a mantenere quel tono di voce gelido e basso quando avevamo delle discussioni.
E quelle parole furono la goccia che fecero traboccare il vaso. Prevedibile.
“Come ti premetti?” sbottai, voltandomi di colpo. “Io mi fido di te e l’ho sempre fatto!”.
Chad sospirò, sedendosi sul letto e passandosi una mano tra i capelli.
“E allora, per una volta soltanto, non potresti evitare di arrabbiarti e fidarti come dici di fare? Ti spiegherò, promesso. Ho solo bisogno di chiarire delle cose”.
Sinceramente non avevo la minima idea di cosa stesse parlando e cosa potesse c’entrare la ragazza di Ryan con lui. Restai in silenzio per qualche secondo. Chiarire delle cose… quali cose? Chad era in mezzo a quella situazione più di quanto pensassi?
Fidati. È il tuo ragazzo. Fidati.
“Va bene” dissi alla fine, infilando le mani in tasca.
“Dici davvero?” mi chiese speranzoso e io annuii.
“Mi fido di te”. E il sorriso di Chad fu migliore e più importante di qualsiasi altra cosa.
“Grazie”. E ovviamente non riuscii a non ricambiare quel sorriso. Il sorriso di una persona che mostrava chiaramente quanto mi amasse. E anche tu lo ami. Fidati, Melanie. Fidati.

Se è vero che la notte porta consiglio, a me aveva portato sicuramente quello sbagliato. Quella notte, mentre fissavo il soffitto della mia camera non ero riuscita a smettere di pensare a ciò che Chad mi stava nascondendo. Pensavo che dopo due anni avessimo un rapporto tale da poterci dire tutto. Evidentemente per lui non era così.
Magari ti sta proteggendo. No. Da cosa doveva proteggermi? Io ero stata lontana da lui per mesi. Forse quella lontananza dopotutto ci aveva fatto del male. Forse il nostro legame non era più forte come prima. Ripensai a quella mattina, quando lui non aveva neanche commentato il fatto che io fossi arrabbiata. Non aveva provato ad interagire con me, come se non sapesse farlo, nonostante avesse intuito perfettamente che fossi arrabbiata. Lo avevo visto chiaramente dal suo sguardo.
E quell’annuario? Era di diversi anni prima. Gli anni in cui io non ero ancora a Dover. Perché Chad lo aveva riaperto? E quella pagina? Mi avrebbe spiegato qualcosa o era in quel modo da tempo: un segno dimenticato?
Avevo bisogno di risposte più che mai. La mia indole mi aveva sempre spinto a fare cose di quel tipo. Indagare, cercare risposte, soprattutto se c’erano di mezzo le persone che amavo. Dannata curiosità che andava ad unirsi con il mio senso di protezione verso i miei cari.
Ma Chad sa difendersi benissimo da solo. Ma tu vuoi solo sapere, vero Melanie?
Avevo sospirato e cercato di dormire, ma alla fine avevo faticato a farlo per tutta la notte.
Solo una cosa era certa: il giorno dopo avrei preso tra le mani quell’annuario. E forse avrei chiarito qualche mio dubbio.
 
Pov Chad

Sapevi che sarebbe finita in quel modo, vero Chad? Tu non eri veramente cieco come hai detto di essere. Stavi solo nascondendo l’ovvio. Sei stato codardo. Avevi paura della sua reazione e non volevi metterla in mezzo. O avevi paura della tua di reazione? Sei stato un codardo ed ecco a cosa ti ha portato. A quel litigio che ti ha fatto più male di quanto pensassi. A quelle parole pronunciate dalla sua bocca che non avresti voluto sentire.
“Forse è meglio prendersi una pausa”.
E adesso stai tremando. Come un bambino, come Evan quando veniva in camera tua nel cuore della notte, terrorizzato da un brutto sogno.
Hai paura che tutto possa finire. E forse hai ragione tu, proprio come le hai urlato contro: “E’ solo una stupidata! Cosa ti cambia se te l’ho detto o no? Io amo te, non lei. Lei non è nessuno”.
E quel tonfo adesso ti riecheggia nella mente: quando Melanie ha lasciato cadere quell’annuario per terra e tu non sei riuscito a guardarla negli occhi.
“Non è questione di gelosia, Chad. Noi stiamo insieme. Io ti avrei supportato. E tu mi hai esclusa. Pensavi che mi sarei arrabbiata? Guardami adesso! Adesso sì che lo sono, Chad!”.
La mano tra i tuoi capelli a stringerli con forza, cercando di non farti sovrastare dalle emozioni ancora una volta. Codardo.
“Torno a San Francisco”.
Ti alzi in piedi e tiri un pugno sul muro. Non ti importa se domani non potrai muoverla e dovrai fasciarla sotto al guantone. Non ti importa se dovrai nasconderla agli occhi di tutti e soffrirai il triplo al prossimo combattimento.
Ha preferito tornare al college un giorno prima e la colpa è solo tua.
Avete litigato per una cazzata.
“Mi hai mentito per tutto questo tempo”.
“Non ti ho mentito, Melanie! Ho solo omesso dei particolari”.
Risposta peggiore non avresti potuto dare. Codardo.
“Forse è meglio prenderci una pausa. Se non ci fidiamo in questo modo l’uno dell’altro significa che dopotutto qualcosa non va”.
Le sue parole ti avevano ferito così tanto. Era solo un altro sabato rovinato. Da lei. No, Chad, un altro sabato rovinato da te. La colpa è tua. Come fai sempre. Come hai sempre fatto.
Puoi dare la colpa a chiunque: a Sarah, che è tornata senza chiederti il permesso, mandando in crisi la tua vita ormai perfetta. Forse sei ancorato al passato più di quanto pensi. Ti ha sempre influenzato in negativo. Da quando tuo padre ti ha abbandonato: forse anche lui vedeva lo schifo che hai dentro. Da quando Sarah ti aveva abbandonato. E adesso lo stava facendo anche Melanie. E questo caso era stato solo il peggiore.
Puoi dare la colpa a Ryan, che si è lasciato abbindolare da quella bionda affascinante. Puoi anche darla a Melanie, che non ti capisce.
Ma alla fine la colpa è solo tua, Chad. Sei sempre stato così bravo a rovinare tutto. Anche per una cazzata.
Ma era in quel modo che andava. Cazzata su cazzata su cazzata… creava un’infinità di cazzate. E bastava una piccola scossa, indifferente e senza alcun effetto sugli altri ma non su di te, per far crollare tutto quello che avevi creato. Quella montagna di cazzate.
Continua a tremare, Chad. Perché non sai come andrà a finire. E forse, pensandoci quella è la tua paura più grande: paura del futuro. Paura dell’ignoto. Ma chi è che non ce l’ha? Ogni uomo ha paura di quello che verrà, di quello che può perdere e anche di quello che può ottenere.
Sei un codardo. Come tutti.
No, Chad, non ti illudere. Perché la tua vita dipende solo da te. E non dagli altri.
Bene, ma se dipende realmente da me sono fottuto.
Potrei sempre indossare quella maschera che sono bravo a portare e ad affermare che non mi frega niente di ciò che ho attorno, di ciò che mi sta accanto. Vivi e lascia vivere. Era stato il mio motto per anni. Potevo riportare di nuovo a galla quel Chad, giusto? Quello che si divertiva ad andare in giro primo dell’arrivo di una ragazza dai capelli color fuoco.
Scordateli.
Era impossibile scordarli. Come puoi scordarti di Melanie? E dopotutto era solo una pausa quella. Lei non aveva messo fine a niente e noi eravamo ancora una coppia.
In bilico. Eravamo su un ponte sgangherato sospeso nel vuoto. E in quel momento eravamo immobili, colti dalla paura di continuare. E la cosa peggiore era che Melanie avrebbe potuto trovare il coraggio e proseguire, arrivando di nuovo sulla terraferma. Proprio come aveva fatto quel pomeriggio quando sotto gli occhi sbalorditi della sua famiglia aveva fatto le valigie e se ne era andata. Perché forse, senza di me, in quel college pieno di persone simili a lei, stava meglio. Se ne era andata via da noi, da me. E forse quello era già il suo primo passo per superare il ponte.
Lei sarebbe potuta riuscirci.
Io no.
 
Pov Dave

Pensavo che tornare al college, dopo quei giorni a casa, sarebbe stato angosciante. Mi era mancata mia madre, mia sorella, Chad e Dover, ma dopotutto, visti gli ultimi eventi, tornare al college non era stato così brutto.
Sinceramente non capivo la scelta che aveva fatto mia sorella. Non capivo neanche perché lei e Chad avessero litigato. E forse era meglio continuare a stare nella mia ignoranza. Io le volevo un bene dell’anima, ma amavo anche quella libertà che ero riuscito ad ottenere in quei pochi mesi al college. La mia vita era cambiata e io, forse da egoista, non potevo che apprezzare quel fatto.
Quando ero piccolo amavo avere una sorella gemella. Avevamo la stessa età, condividevamo tutto. Ci capivamo al volo, come se le nostre menti fossero collegate e all’epoca sarebbe potuto essere realmente in quel modo. Ma crescendo le cose erano cambiate. La morte di mio padre, la malattia di Melanie e le mie innumerevoli responsabilità da fratello maggiore qual ero diventato.
Non avrei cambiato nulla delle scelte che avevo fatto in passato. Ero riuscito a mantenere in vita mia sorella e quella era la soddisfazione più grande. La sua vita era più importante della mia, quello era sempre stato il mio pensiero e le mie decisioni venivano prese in base a quello.
Ma adesso era giunto il momento in cui anche io potevo avere una vita che contasse. Potevo essere ciò che volevo: Melanie non aveva più bisogno di me.
E pensandoci bene, quella era proprio la vita che volevo. Gli allenamenti di basket che mi permettevano di respirare: erano il mio ossigeno. Studiare per diventare qualcuno nel mondo della medicina. L’amore per Rachel: nonostante tutto io e lei ci compensavamo a vicenda. E anche se molta gente non apprezzava quella ragazza bionda io ne ero innamorato. E quello non sarebbe cambiato facilmente. O almeno così credevo.
“Carter, non puoi essere sempre qui in anticipo! Come fai? Svelami il tuo trucco” Peter era entrato nello spogliatoio e aveva gettato la borsa sul pavimento, iniziando a cambiarsi, proprio come io stavo già facendo.
“Non ho nessun trucco, Pete. È solo guardare l’orologio e pensare che sia il momento giusto per andare in palestra. Anche se per me è sempre il momento giusto” terminai ridacchiando.
Era da quando ero tornato dalle vacanze, qualche giorno prima, che Peter Gallis, il nostro capitano della squadra si era avvicinato a me più di quanto mi aspettassi. Avevamo iniziato a chiacchierare per i corridoi e i viali del campus, scoprendo di avere molte cose in comune. Perché si fosse avvicinato? Non ne avevo idea. Forse le vacanze gli avevano portato consiglio e adesso pensava che fossi la persona adatta con cui poter interagire. In ogni caso, a me che ero il nuovo arrivo quel suo modo di agire nei miei confronti aveva fatto molto piacere.
“Beato te. Io odio il momento in cui devo preparare il borsone e devo uscire di casa. Anche se poi amo stare sul campo, lo sai” disse, smettendo di fare quello che stava facendo e distendendosi sulla panchina. Evidentemente pensava che fosse ancora troppo presto per prepararsi.
Avevo annuito soltanto, guardandolo in silenzio.
“Ah, Carter. Devo chiederti una cosa” disse poi, raddrizzandosi. “Sabato ci sarà una festa grandiosa negli alloggi di giurisprudenza. Noi della squadra ci andiamo ogni anno. Verrai anche tu, vero? Puoi portare anche la tua biondina. Quel tipo di festa viene allestita da dio. È da non perdere, davvero” e ovviamente il suo sorriso entusiasta mi aveva proibito di dire di no. Dopotutto se non ci fossimo divertiti nel weekend quando lo avremmo fatto? Così sorrisi a mia volta e ringraziai. “Ci saremo sicuramente”.

“Che mi metto?” era da due giorni che Rachel mi poneva quella domanda.
“Ancora, Rach? Abbiamo deciso quella gonna con la camicia nera. Ti stava da dio” risposi distendendo le gambe sul divano.
“Ma non sono troppo volgare?” mi chiese, sporgendosi in avanti e poggiando i gomiti sul tavolo della cucina.
Le lanciai uno sguardo scettico. “Credi davvero che ti farei uscire di casa in quel modo, se lo fossi?”.
Lei iniziò a ridacchiare. “No, hai ragione”.
“Appunto” dissi, allungando il braccio e afferrando il telecomando.
“E tu che ti metti?” mi chiese mentre veniva verso di me.
“Ah, qualcosa” dissi con un gesto sbrigativo della mano.
“Vuoi venire in tuta, per caso?” mi chiese divertita sedendosi sulle mie gambe, dato che occupavo tutto il divano.
“Ooh, magari” risposi, mentre lei scuoteva la testa.
“Sei sempre il solito, Dave. Possibile che non cambi mai?”.
“E’ perché dovrei cambiare, scusa? Non è così che mi ami?” le chiesi, prestando attenzione a lei e dimenticandomi di accendere così il televisore.
“Ti amerei in qualsiasi modo tu fossi, Dave. Ma sì, è così che ti amo”.
E io mi misi a ridere. “Vieni qui” dissi semplicemente e lei non se lo fece ripetere due volte, ricercando con avidità le mie labbra. “Ti amo anch’io, Rachel”.
 
Pov Melanie

L’aria calda di San Francisco mi aveva fatto stare meglio all’istante. Il campus era praticamente deserto. Tutti sarebbero tornati il giorno dopo e soltanto io e altri poveri sfigati come me, eravamo già lì quella domenica, decidendo di non sfruttare quelle vacanze fino in fondo.
Mi trascinavo dietro il borsone, per le vie ricoperte dagli alberi, facendo quel tragitto che ormai mi era alquanto familiare. Quello che mi avrebbe portato agli alloggi del settore D e fino alla mia camera.
“Melanie” riconobbi subito quella voce e non esitai, erroneamente, a girarmi verso di essa.
“Adrian” dissi, forse con più entusiasmo del dovuto. “Che ci fai qui?” chiesi, allontanando con un gesto della mano i capelli che mi erano ricaduti davanti agli occhi.
“Potrei farti la stessa domanda, lo sai?” ribatté con il suo solito sorrisino.
Dannazione, non aveva neanche torto. “Vacanze corte” dissi scrollando le spalle.
“Già, ti capisco” Adrian ridacchiò e non mi fece altre domande al riguardo. Lo ringraziai per quello. “Come stai?” mi chiese e onestamente quella non era una domanda di cui preoccuparsi. Andiamo, chiunque nella vita di ogni giorno spesso mentiva nel rispondere a quella domanda. Era quasi un riflesso abituale di tutti rispondere come stavo per fare io: “Bene. E tu?”.
“Starò meglio quando saremo a New York, sinceramente”. A quanto pare, Adrian continuava a distinguersi dalla massa, anche nel dare una semplice risposta ad una domanda formale.
“Già, hai ragione” ridacchiai.
Lui continuò a rivolgermi il suo sorriso, prima di dire: “Bene, dolce ninfa di sangue. Ci vediamo in giro”.
Aspetta, come mi aveva chiamata? Ero rimasta così spiazzata da quell’epiteto che non ero neanche riuscita a ricambiare in qualche modo. Ero solo rimasta a fissarlo, mentre andava via con il suo andamento leggero ed elegante.
Scossi la testa. Quell’incontro mi aveva lasciato un senso di inquietudine, ma sinceramente era l’unica cosa che, da quando avevo lasciato Dover, mi aveva fatto dimenticare per un po’ la questione di Chad. Quel ragazzo aveva sicuramente un potere enorme. Che non riuscivo ancora a comprendere del tutto, ma sicuramente di grande portata.

Quando aprii la porta della mia camera, ebbi la seconda sorpresa nel giro di un quarto d’ora. Avevo già calcolato di gettarmi sul letto e guardare un film, godendomi il silenzio e la pace che ci sarebbe dovuta essere lì dentro.
E invece mi sbagliavo. La cosa peggiore di tutte fu sentire quei singhiozzi che provenivano dal letto che non era il mio. Io non ero sola. Cher era lì.
Dalla porta riuscivo a vedere soltanto i suoi ricci, che uscivano dalla coperte e si spargevano sul cuscino. Non si era neanche accorta del fatto che avessi aperto la porta e io non avevo la minima idea di come farle sentire che non fosse più sola.
Così chiusi la porta mettendoci più forza del dovuto e cercando di fare rumore.
“Chi è?” disse a quel punto Cher, fermando il suo pianto e mettendosi a sedere.
“Cher, sono solo io”.
Lei si passò le mani sul viso e mi guardò con uno sguardo duro. “Non dovevi tornare domani tu?” mi chiese velenosamente.
“Sì” risposi, cercando di ignorare il suo tono e dandole le spalle per svuotare la borsa che avevo poggiato sul letto.
“Non puoi andare via e lasciarmi in pace?” chiese asciugandosi il viso.
“No, perché è anche camera mia. Però se vuoi ti lascio in pace e faccio finta che tu non sia qui”.
Lei mi guardò per un istante, prima di poggiare la schiena al muro e chiedere con voce ancora un po’ tremante: “Perché sei tornata prima?”.
“E tu perché stai piangendo?” chiesi, rispondendo con un’altra domanda.
“Non sono affari tuoi”.
Io scossi la testa e mi sedetti sul letto, intrecciando le gambe. “Potrei darti la stessa identica risposta. Oppure… dato che entrambe stiamo soffrendo… e forse pure per lo stesso motivo… possiamo mettere da parte i nostri conflitti e parlare”.
“Con te?” mi chiese, sollevando un sopracciglio.
“No, con il ragazzo che puzza di marijuana della porta accanto”.
E lei si mise a ridere, ma si coprì la bocca con la mano, probabilmente perché non voleva ridere per la mia battuta. Che poi era più una costatazione.
“Problemi d’amore?” tentai, prendendo quella risata come una sorta di invito alla tregua.
Lei si morse il labbro e poi sospirò. “Ho lasciato il mio ragazzo”.
“Perché?” chiesi soltanto.
“L’ho trovato a letto con un’altra” disse abbassando lo sguardo.
“Che bastardo” commentai, mentre lei rialzava lo sguardo e annuiva.
“Già. Ma chi se ne frega, morto un papa se ne fa un altro, giusto?” disse mentre un sorriso le spuntava sul viso.
E io non volevo essere cattiva o farle sparire il sorriso davvero, ma era stato più forte di me. “Poco fa stavi piangendo però”.
Lei mi guardò soltanto, forse pensando a cosa rispondermi, ma alla fine se ne uscì con: “E tu? Hai lasciato il pugile?”.
Scossi la testa. “Ci siamo presi una pausa”.
“Per la lontananza? Insomma, è normale. Le relazioni a distanza sono difficili. Soprattutto quando i ragazzi hanno i loro bisogni, sai? E poi ci sono gli stronzi come il mio, che invece voleva troppo e se ne faceva due contemporaneamente” commentò, spostando i ricci con la mano e iniziando a giocarci.
“Mi dispiace. Comunque no, non è per la lontananza” dissi, guardandomi le mani. “Quella non sembrava un grande problema”.
“E allora cosa?” mi chiese, colta dalla curiosità.
“Mi ha mentito. Non si è fidato di me e ha preso decisioni senza avvertirmi” risposi.
Lei stette in silenzio per qualche secondo prima di dire: “Sai, non vedo quale sia il problema. Insomma, se non se la stava facendo con nessuno a parte te per telefono… è già un ragazzo d’oro. Ma non mi immischio oltre. Le nostre confessioni per oggi sono state più che abbastanza”.
Io ridacchiai, ignorando la frase che aveva appena pronunciato su Chad. “Sì, hai ragione…”. Restammo in silenzio ancora per un po’, ognuna persa nei propri pensieri e alla fine, prima che i dubbi e i traccheggi mentali invadessero la mia mente, tornai a parlare. “Senti, dato che siamo qui entrambe un giorno prima del dovuto, che ne dici di uscire?”.
“Dove vuoi andare?”.
“Mmh, non so. In giro per San Francisco. A bere qualcosa, magari”.
Lei ci pensò solo per un secondo. “Sì, mi piace l’idea”.
E con quella frase mi fece capire che forse il nostro rapporto poteva prendere una piega diversa da quella che era stata fino ad allora.
 
Pov Rachel

Non credevo possibile che nella stessa serata sia io che Dave bevessimo tutto quell’alcol. Non che fosse avvenuto spesso. A nessuno dei due era mai piaciuto divertirci in quel modo: preferivamo stare sobri e goderci il momento. Ma quella volta, in quella festa collegiale era stato diverso.
Ci avevo messo davvero parecchio a prepararmi, al contrario di Dave che era tornato dall’allenamento già lavato e aveva solo indossato i jeans e la camicia che gli avevo preparato.
E ovviamente aveva dovuto aspettare me per poter scendere. Di solito ci avrei messo anche meno, ma quella volta volevo risultare presentabile. Ero la ragazza del nuovo giocatore della squadra di basket. Del mio Dave. E speravo che quella fosse la volta buona in cui li avrei potuti conoscere meglio e fare una buona impressione. Magari avrei incontrato la sua compagna lì e avremmo potuto chiacchierare un po’, nonostante non mi piacesse affatto il modo in cui stesse vicino al mio ragazzo. E quando mi accorsi che lei non era lì, quella sera, mi ero sentita alquanto sollevata. Sì, ero gelosa. Tremendamente. Ma chi non lo sarebbe stato dopotutto? Stavo parlando di quel Carter dal fisico perfetto, dai capelli ramati e gli occhi del verde più luminoso che avessi mai visto. Era bellissimo poter perdersi in quel luccichio che aveva sempre nello sguardo e potersi godere il suo modo di vivere la vita. Era un ragazzo così puro. Prima di conoscerlo non credevo che potessero esistere ragazzi di quel tipo.
Così quella sera eravamo usciti di casa e ci eravamo immersi in quel nuovo mondo. A quella festa sembrava veramente esserci tutto il college intero. La musica a volumi esagerati e l’alcol in quantità sopraelevate.
Ogni pochi minuti i compagni di squadra di Dave ci porgevano bicchieri colmi e noi ci eravamo solo integrati al gruppo. Soprattutto Dave si era lasciato andare completamente, divertendosi e continuando a bere senza rendersene conto. Continuava a ridere e scherzare con Peter e i suoi compagni, senza dimenticarsi di me e prestandomi attenzione di tanto in tanto. E forse dovevo fermarlo prima che superasse il suo limite. O forse non avrei dovuto allontanarmi da lui quando avevo intravisto le mie amiche e avevo passato un po’ di tempo con loro.
Se lo avessi fatto, non mi sarei trovata in quella condizioni, con un Dave troppo allegro e vispo, talmente tanto che non mi aveva dato neanche il tempo di aprire la porta di casa una volta rientrati, che si era già attaccato con la bocca al mio collo e aveva iniziato a tracciare quella scia di baci che mi stava facenda rabbrividire.
“Dave, aspetta” dissi, mentre lo tiravo in casa e chiudevo la porta.
“Non ce la faccio” mi disse semplicemente con un sorriso sul viso, prima di cercare le mie labbra. “Dio, è stato così divertente. Ho bisogno di…”.
“Di cosa?”.
Il suo sorriso si era ampliato e le sue mani avevano iniziato a vagare sul mio corpo. “Chiudere la serata in bellezza, amore”.
E non riuscivo neanche a ricordare come ci eravamo ritrovati per terra, prima di arrivare al divano, con Dave sopra di me, che continuava a ridere. “Oh mio dio” continuava a ripetere mentre cercava di sorreggersi con i gomiti per non schiacciarmi con il suo peso.
“Dave” dissi, cercando di smettere di ridere e passandogli una mano tra i capelli.
“Sì, sì mi sbrigo”. Non capii neanche il perché di quella sua frase, prima che iniziasse a spogliarsi.
“Dave, aspetta. Mettiamoci almeno sul divano!” dissi, mentre lui tirava su la mia maglia.
“Mmh, no. Qui va benissimo. Non posso aspettare” e non mi lasciò più protestare chiudendo la distanza delle nostre labbra e infilando la lingua nella mia bocca avidamente.
Mi godetti la sensazione e lo lasciai fare. Dopotutto il luogo in cui avveniva sarebbe stato indifferente, no?
Forse sarebbe stato un po’ scomodo per le nostre schiene, dato che avevamo passato la notte sul pavimento, avvolti in una coperta che Dave aveva afferrato dal divano. Ma alla fine, quello sarebbe stato soltanto l’ultimo dei nostri problemi.
 
 

Angolo dell'autrice: No, ok. Non sono morta! Rieccomi qui... Sì insomma ho solo avuto un blocco con questa storia per svariati motivi e mi dispiace. Non volevo farlo, giuro. E ovviamente la porterò a termine. Non so in quanto tempo, ma lo farò, non temete. Inoltre non sono previsti tantissimi capitoli per questo sequel, quindi continuo a ripetermi che ce la farò.
Scusate ancora e spero che il capitolo vi sia piaciuto. Kiss
-M
 

 
 
 
  
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