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Autore: Papillon_    14/02/2016    2 recensioni
[Questa storia ha partecipato alla From the beginning - Glee Challenge 2015, indetto da Ambros, darrencolfer e Nemesis]
Kurt è una prostituta, e pensa di non valere niente. Un giorno d'inverno perde suo padre con la consapevolezza di non valore nulla anche per lui.
Ma proprio per questo nella sua vita entra un ragazzo misterioso, Blaine Anderson, che sembra a tutti i costi intenzionato a sposarlo. In un primo momento, Kurt odia tutto di questo Blaine: lo sfarzo da cui è circondato, la sua intenzione di tenerselo stretto, il suo desiderio di sposarlo - ogni singola cosa grida a Kurt di andarsene e tornare alla sua vecchia vita.
Eppure, sceglie di restare. Di lasciarsi una finestrella aperta sulla vita di questo ragazzo che sembra buono come il pane, con una vita che è troppo grande per un ragazzo così giovane.
Con una costante domanda nella mente: Perchè tra tutti, scegliere proprio me?
(Prostitute!Kurt - Politician-che a un politician non ci assomiglia molto-!Blaine)
.
“Quando ami una persona non puoi lasciarla andare, perché sarebbe come rinunciare alla parte più bella di noi stessi.”
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I’ve been alone, surrounded by darkness
 

Kurt ricordava di aver sentito che per non vivere alcune cose bastava chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare via dai ricordi, o dai sogni, o dall’immaginazione.
Grandi praterie verdi per esempio, con fiumi che scorrevano nel mezzo e fiori profumati e larghi sorrisi di conforto. Sogni d’estate, di mari cristallini con ai piedi una grande casa dove fermarsi per bere qualcosa di caldo e poi ripartire verso l’ignoto.
Tutto, pur di staccare la mente e non focalizzarsi su ciò che stava facendo.
Non ricordava la prima volta esattamente che aveva ammesso a se stesso che si faceva pagare in cambio di sesso. Doveva essere stato giovane, troppo giovane per capirne le conseguenze e probabilmente se l’era cavato con la propria coscienza dicendosi che era solo sesso e che doveva essere piacevole se tutti quegli stupidi ragazzi etero della sua classe lo facevano con così tanta frequenza.
Con l’unica eccezione che lui non era etero.
Era stato un periodo buio, su quello non aveva dubbi. Probabilmente quello in cui avevano tolto a lui e a suo padre la luce e come se non bastasse avevano scoperto della malattia di Burt - e a quindici anni e mezzo Kurt si era sentito parlare di possibilità di essere sbattuti fuori di casa e di non avere più un tetto. Era ingenuo, ma non stupido abbastanza da lasciare che una cosa del genere accadesse.
C’era un amico di Burt che veniva spesso a trovarli – si chiamava Tim, e ogni volta trovava una scusa per toccare Kurt – anche solo sfiorargli il polso, dargli una pacca amichevole sulla spalle (che si trasformava in una languida carezza sulla schiena) prima che lui sgattaiolasse via per la vergogna e per recuperare del thè. Non lo aveva mai detto a suo padre, nemmeno una volta. Si era lasciato guardare da lontano, con uno sguardo che per un quindicenne non può essere classificato con nient’altro che strano ed insistente.
E poi un giorno, come dal nulla, aveva capito. Ed era un brutto periodo, quello se lo ricordava. E questa volta era stato lui a prendere per mano l’amico di suo padre e trascinarlo in camera, le mani che sudavano e gli occhi pieni di lacrime e un mare di Ti prego dobbiamo fare piano mio padre sta dormendo e Voglio essere pagato.
Era stata la sua prima volta.
E considerando quello che sentiva in giro, nonostante avesse pianto per tutto il tempo e avesse pensato a tutt’altro che al corpo di quell’uomo che si muoveva dentro il suo, gli era andata anche abbastanza bene. C’era chi non riusciva più ad alzarsi per settimane intere. Lui si era fatto una semplice doccia dopo qualche ora, si era fatto pagare e tra le lacrime aveva chiesto a quell’uomo di non farsi vedere mai più (durante la cena, non era riuscito nemmeno a guardare suo padre negli occhi, ma nel giro di una settimana per lo meno era tornata la corrente).
Ed ecco, Kurt non sapeva perfettamente com’era cominciata.
Non che avesse voglia di scoprirlo. Di capire se c’era qualche strana congiunzione o annesso psicologico secondo i quali avesse bisogno di provare quelle cose per sentirsi ancora vivo. Era l’unica forma di approccio che conosceva – non che ne avesse provati di altri.
Erano passati diversi anni da quella prima volta, e Kurt mano a mano aveva imparato come comportarsi, come accettare che qualcuno violasse in quel modo il suo corpo. Per quanto si impegnasse, però, non aveva potuto permettersi il college, così alla fine era rimasto in quel buco di città chiamato Lima (Novemila anime, o qualcosa del genere). Di giorno lavorava in un piccolo fast-food di periferia, di notte si lasciava trascinare lontano da uomini che fingevano di essere etero nella vita di tutti i giorni, ma che poi lo pagavano per farsi fare cose a cui Kurt preferiva non pensare.
Perché era diventata così, la sua vita. Un continuo chiudere gli occhi mentre le persone lo spogliavano e facevano del suo corpo quello che volevano (e Kurt gli lasciava fare, era costretto a lasciargli fare) mentre ripensava alle praterie e a quando era bambino, quando tutto era semplice e bastava un minuscolo sorriso a rendere la giornata di qualcuno migliore.
 
*
 
Kurt si richiuse la porta alle spalle alle quattro e mezzo del mattino, passandosi una mano tra i capelli sfatti e desiderando nient’altro di correre su e farsi una doccia per togliersi tutto ciò che di lurido sentiva addosso, quando una lampada si accese dal centro del salotto, illuminando il corpo di suo padre.
“Oh porca – papà, mi hai spaventato.”, mormorò Kurt, prendendo un bel respiro e slacciandosi il foulard che aveva sulla gola (ma non togliendoselo, mai togliendoselo. Non voleva che suo padre vedesse i segni).
“E’ davvero molto tardi, figliolo.”, borbottò Burt Hummel. Non c’era segno di rimprovero nella sua voce, ma solo una semplice e pura costatazione.
“Lo so.”, mormorò Kurt, muovendosi troppo in fretta e troppo veloce per dar peso alle proprie parole. “Siamo usciti in gruppo e a Bob gli si è rotta la marmitta, io ero l’unico che ci capiva qualcosa e mi sono dovuto fermare a dargli una mano e – le solite stronzate, non farci caso.”
Burt annuì, forse troppo stanco per dire qualcosa riguardo alla marmitta, visto che nei suoi anni d’oro era stato uno dei meccanici più famosi della città. Invece, puntò i suoi occhi chiari in quelli di suo figlio, abbozzando un sorriso minuscolo.
“Voglio solo che tu stia bene, Kurt.”
Kurt si fermò all’improvviso, a metà tra la cucina dove voleva recuperare un bicchiere d’acqua e la strada che portava verso suo padre, non sapendo bene cosa dire. Era diverso tempo che sospettava che suo padre sapesse. E certo, non glielo avrebbe mai chiesto, non in modo diretto – Papà, lo sai che faccio la puttana? – no, assolutamente no. Ma c’era qualcosa negli occhi di Burt che sembrava suggerire che avesse capito, e nonostante quello stava lasciando che accadesse, e Kurt non sapeva se essere più arrabbiato con sé stesso che con suo padre, o con quello stupido cancro che se lo stava portando via.
Kurt si concesse un sorriso amaro, prima di recuperare il bicchiere d’acqua e finirlo in qualche sorso. Scrollò le spalle, fingendo, com’era nato per fare.
“Sto benissimo, papà.”, borbottò, ripensando momentaneamente all’uomo che lo aveva abbordato quella sera, al modo viscido in cui gli aveva chiesto di farlo senza preservativo – Credi davvero che possa stare bene, papà –
“Sto…sto benissimo.”, ripetè, prima di correre in camera sua.
 
*
 
Burt Hummel si spense in una mattina di inizio Novembre, mentre Kurt stava servendo ai tavoli di un fast-food che con molta probabilità sarebbe andato in rovina nel giro di qualche anno.
Gli venne detto all’orecchio con la stessa semplicità con la quale si dicono i gossip, mentre era in mezzo a uno dei corridoi e stava portando un hamburger a un tizio che una volta lo aveva scopato in un lurido motel – ironia della sorte, c’era così poca gente a Lima che non riusciva nemmeno più a separare i suoi due lavori.
Debbie, una simpatica e dolce signora che era la più anziana a servire lì dentro, gli mise una mano sulla schiena e gli chiese di sedersi. Ma Kurt non aveva nessuna voglia di sedersi. Suo padre se n’era andato e ora lui era completamente solo e si sarebbe dovuto occupare di tutto, del funerale, della loro casa, doveva dare la notizia a quei pochi famigliari con cui erano ancora in contatto (quelli che non avevano sbattuto porte in faccia dopo aver scoperto che Kurt era gay, per la precisione).
Kurt si rese conto solo in un secondo momento quando forte stesse respirando, e Debbie lo prese praticamente di peso facendolo sedere a un tavolo e portandogli un bicchiere d’acqua.
Era solo.
Completamente solo.
 
*
 
In ospedale, Kurt si ritrovò a dare ordini precisi nascondendosi dietro un paio di occhiali da sole troppo grandi. Non aveva voglia di farsi vedere con le occhiaie, e con gli occhi perennemente lucidi. Non piangeva da quando era stato un semplice ragazzino, e gli piaceva pensare che andasse bene così. Perché ci voleva abbastanza forza per piangere. E Kurt non aveva nemmeno quella.
Il funerale si sarebbe tenuto il giorno dopo, nella stessa chiesa che Burt aveva indicato in una lettera d’addio (la stessa in cui c’era stato quello della mamma). La lettera indicava anche la posizione della tomba (vicino a quella della mamma), e che fiori voleva che venissero posti vicino (gli stessi che sua mamma adorava).
Kurt pensò quasi che tutto quello fosse romantico. Poi si corresse velocemente, ricordandosi che rimanere completamente soli non era molto romantico, e avere due genitori al cimitero non era romantico per nulla. Ma non voleva piangere. Era così stanco di essere debole – così stanco di tutto.
Stava per lasciare l’ospedale, quando il medico che si era preso cura di suo padre nelle ultime notti lo rincorse per lasciargli una lettera. A Kurt venne da sorridere al pensiero che fosse un testamento (visto che sapeva perfettamente che suo padre non avesse nulla di prezioso da lasciargli) quando si rese conto che quel pezzo di carta non era da parte sua.
Ma da parte di un certo Blaine Anderson.
Si guardò attorno prima di aprirla, le dita che tremavano leggermente.
 
Signor Hummel,
Lei potrebbe non conoscermi, ma io conosco lei e conoscevo suo padre. E anche se tutto questo può sembrarle una follia, è invitato quando si riterrà pronto all’indirizzo che trova sul retro della busta per fare chiarezza su questo mistero.
(Potrei star sperando che le piacciano i misteri)
Mi dispiace molto per suo padre. Non esistono parole che possano confortare il dolore di una perdita.
Con la speranza di vederla molto presto,
Blaine Anderson
 
Kurt stava per scoppiare a ridere – perché se quello era l’ennesimo scherzo di cattivo gusto da parte di qualcuno, questa volta avrebbe sul serio iniziato una causa legale.
Il suo occhio ricadde su quell’elegante scrittura tonda, sul nome che in qualche modo richiamava qualcosa di remoto nella sua mente, e il suo sorriso amaro si spense nel giro di qualche secondo.
Pensandoci bene, i misteri lo avevano sempre intrigato.
 
*
 
Al funerale vennero più persone di quanto Kurt si era aspettato – tutti amici di Burt e qualche famigliare che era riuscito a venire da lontano. Kurt aveva ricevuto tante pacche sulla spalla, sorrisi spenti e frasi fatte con cui non poteva farci nulla - e aveva continuato a respirare, respirare, respirare, ricordando le parole di sua madre un tempo, che gli aveva detto che a volte bastava guardare le cose da un’altra angolazione, semplicemente dopo aver respirato.
Kurt lanciò una rosa rossa sulla bara di suo padre esattamente quando da lontano vide una macchina elegante e molto lunga lasciare il campo. Si chiese chi fosse – non che quello importasse minimamente.
Suo padre lo aveva lasciato a uno dei suoi incubi peggiori: vivere la vita di ogni giorno completamente solo, in compagna di nient’altro e le sue stesse braccia ad avvolgerlo.
 
*
 
Aspettò qualche giorno, non di più. Aveva provato a non pensarci, a continuare la sua vita, ma era difficile farlo quando alla tavola calda gli avevano dato una settimana di ferie “Per riprendersi dal terribile avvenimento”, e di notte non se la sentiva ancora di uscire. Aveva messo da parte un po’ di denaro per resistere ancora per un po’ senza lavorare – ma stava di fatto che durante il giorno aveva poco da fare, che non fosse guardare la tv, sistemare le vecchie cose di suo padre, spiegare al telefono a chi chiamava cosa fosse successo.
Il pomeriggio del quarto giorno dopo il funerale, Kurt analizzò la mappa di bus e capì quale doveva prendere per arrivare nella zona indicatogli dal retro di quella famigerata busta. Il viaggio durò poco meno di un’ora per colpa delle numerose fermate, ma Kurt riuscì a trovare la via senza problemi.
Esaminò ogni numero civico con curiosità, finchè non raggiunse l’ultima della fila di case – che più che una casa sembrava una reggia. Improvvisamente, aver scelto un paio di jeans strappati e una maglietta scura dall’armadio non gli sembravano un’ottima scelta. Indossava la giacca di pelle più carina che avesse nell’armadio, ma non gli sembrava comunque il modo adatto di presentarsi. Controllò l’indirizzo diverse volte, insieme al piccolo nome scritto in corsivo che compariva vicino al campanello – Anderson.
Non aveva sbagliato.
Gli venne aperto mezzo secondo dopo che aveva suonato il campanello. Si fece strada lungo il sentiero che portava alla porta principale, aspettandosi di dover bussare, quando improvvisamente un signore di mezza età gli aprì la porta con un mezzo sorriso. Indossava un completo così elegante che a Kurt venne da piangere.
“S-salve.”, esordì. “Uhm, io…molto probabilmente c’è stato uno sbaglio, ma comunque – ho ricevuto questa. Magari lei può aiutarmi.”
L’uomo osservò la lettera con attenzione. “Lei è Kurt?”
“Sì.”, borbottò Kurt. “Tu sei Blaine Anderson?”
L’uomo sollevò le sopracciglia, lasciandosi andare a una piacevole risata. “Oh, no – sono il suo maggiordomo. Ma prego, mi segua.”
Oh, molto bene. Kurt era finito in una famiglia talmente ricca da potersi permettere un maggiordomo, quando lui da piccolo aveva dovuto rinunciare a metà armadio per comprarsi i quaderni con cui andava a scuola. Se non si parlava del fatto che aveva voluto una borsa di pelle di Marc Jacobs e non era di certo economica – ma il punto era un altro. Chi era lui per trovarsi in un posto come quello?
Il maggiordomo lo accompagnò lungo una lunga rampa di scale che portava al piano di sopra. Superarono qualche porta, prima di raggiungere l’ultima di uno stretto corridoio. Quella casa era ancora più grande all’interno di quanto non sembrasse vagamente fuori. L’anziano signore gli fece segno di accomodarsi, poi Kurt venne lasciato solo.
Diede qualche colpo deciso con le nocche sulla porta, ricevendo un leggero “Avanti”, in risposta. Quando entrò, la prima cosa che notò fu quanto quella stanza fosse luminosa. La seconda, che esattamente di fronte a lui, altrettanto luminoso, c’era un ragazzo. Un ragazzo che non doveva avere altro che la sua età, seduto sulla scrivania con un foglio in mano. Da quell’angolazione, Kurt intravide la sua camicia bianca (probabilmente Armani, Oh mio dio ma allora ci sono ancora uomini che ci capiscono ancora qualcosa della moda) slacciata di un paio di bottoni in modo assolutamente liberatorio.
Quel ragazzo alzò lo sguardo verso Kurt, e questo potè dire che stesse addirittura indugiando sul suo viso. Kurt riuscì a vedere anche diverse emozioni – stupore, incredulità, sollievo, e forse un pizzico di soddisfazione. O magari riconoscimento. Ma Kurt non lo aveva mai visto, quindi di sicuro nemmeno quel ragazzo aveva mai visto lui.
“Salve.”, decise di cominciare Kurt, deglutendo appena. “Mi hanno detto di venire qui, sto cercando…”
“Me.”, soffiò quel ragazzo. “Sono Blaine Anderson, piacere di conoscerti.”, disse alzandosi in un movimento fluido, camminando verso Kurt e tendendogli la mano per raccoglierla. Kurt si ritrovò a sorridere; la mano di Blaine era grande e calda e avvolgeva la sua, fine e aggraziata, in modo perfetto. Sollevarono lo sguardo quasi all’unisono, e fu in quel momento che Kurt indugiò – occhi color ambra, labbra piene e carnose, capelli scuri e domati con una piccola quantità di gel dove serviva.
Kurt si destò forse troppo in fretta dopo aver immagazzinato quelle informazioni. “Io sono Kurt Hummel, anche se probabilmente lo sai già visto che mi hai cercato tu.”
“Già, uhm – a proposito, mi dispiace per la lettera. So che ti è sembrato qualcosa di improvviso, ma non volevo piombare in un momento così delicato per te. Volevo darti…la possibilità di scegliere, credo.”
Kurt aggrottò la fronte, scrollando appena una spalla. “Beh, sono qui, come vedi.”, disse piano, guardandosi attorno. “A quanto pare i misteri esercitano ancora un certo tipo di effetto su di me.”
Blaine ridacchiò. “Oddio, ho davvero scritto quella cosa. Devi – devi scusarmi. Non sapevo come attirarti qui. È stato qualcosa di totalmente improvvisato.”
Kurt alzò un angolino della bocca – impacciato, dolce, intelligente. Era almeno reale? – incrociando le braccia al petto. “Beh, alla fine mi ha portato qui, quindi ha funzionato.”
Blaine annuì, puntando gli occhi sulla scrivania. “Vuoi – siediti, non farti alcun problema.”, disse piano, mentre si dirigeva alla sua scrivania. Kurt scrollò le spalle.
“Preferisco stare in piedi.”, mormorò. O almeno, gli piaceva pensare di avere il controllo di quello che stava succedendo. Fece qualche passo avanti, prima di aggrottare le ciglia. “Cosa ci faccio qui?”
Blaine a quel punto aprì la bocca, ma non ne uscì niente di concreto. La richiuse, offrendogli un piccolo sorriso. “Oh. Beh – è una storia lunga.”
“Ho tutto il tempo che mi dai.”, mormorò Kurt, alzando un sopracciglio e immergendo lo sguardo in quello di Blaine, che lo sostenne senza problemi. Gli piaceva quella cosa in quel ragazzo – non era minimamente intimorito da lui.
“Certo. Solo – è tutto molto complicato. Con questo non vuol dire che non ho intenzione di dirti perché sei qui, ti dirò ogni cosa. Ti spiegherò tutto, partendo dall’inizio. È solo…ho provato questo discorso un sacco di volte, hai presente? E adesso non mi vengono le parole.”
Kurt lo trovò adorabile – decisamente adorabile, ma anche piuttosto imbranato, e non capiva se lo faceva apposta o se era seriamente una sfumatura ulteriore del suo carattere. Così aspettò. E aspettò. Finchè Blaine non unì le mani sopra il tavolo, schioccando la lingua.
“Kurt, tu…”, iniziò mormorando, la voce che andava disperdendosi. “Tu sei qui per via di un contratto.”
Kurt alzò un sopracciglio. “Un contratto.”
“Un contratto, esattamente. Che io e tuo padre abbiamo stipulato poco prima che morisse.”
Fu come se gli avessero colpito un nervo scoperto. “Mio padre non mi ha mai parlato di te.”
“Sì, beh…il contratto prevedeva che non te ne parlasse. Perché immaginava che se avessi saputo…non avresti mai accettato di venire qui.”
Kurt non capiva perché, ma improvvisamente tutta la tranquillità che aveva provato all’inizio sembrò svanire in un istante. Sentì un leggero moto di rabbia avvolgergli lo stomaco.
“Nessuno ti ha mai detto che non è carino fare le cose alle spalle delle altre persone?”
Blaine deglutì, leccandosi le labbra. “Capisco la tua confusione. Capisco che per te è come cadere dal letto dopo esserti appena svegliato, non mi conosci nemmeno e vengo a parlarti di un contratto. Ma fidati di me, quando ti dico che era ciò che tuo padre voleva per il tuo bene.”
Kurt sbuffò una risata. “Il mio bene.”, ripetè, passandosi una mano tra i capelli. “Non ha fatto nulla per anni per il mio bene, e improvvisamente contatta te, uno sconosciuto. Io mio padre lo capirò sempre di meno.”
Blaine puntò gli occhi sulla sua scrivania, prendendo un bel respiro. “Probabilmente lui non ti ha mai parlato di me, ma…mi è stato molto vicino in un momento molto difficile della mia vita. E conosceva tutta la mia famiglia. Siamo rimasti in contatto tutti questi anni, e sono stato uno dei primi a sapere della sua malattia. È stato allora che abbiamo cominciato a parlare di questo contratto, e lo abbiamo ultimato poche settimane prima della sua morte.”, gli disse con calma e voce bassa. Kurt prese un bel respiro, mordicchiandosi appena il labbro inferiore.
“E cosa dice questo contratto?”
Blaine mosse le dita per estrarlo da un busta che c’era lì vicino. “Vuoi leggerlo?”, mormorò, alzandosi per porgerglielo. Kurt, senza nemmeno pensarci, fece un passo indietro stupito, mentre afferrava il foglio. Lo osservò, deglutendo appena e sentendo gli occhi di Blaine puntati addosso, e alla fine glielo restituì.
“Perché invece non dimostri un po’ più di coraggio e me ne parli?”, sbottò. Blaine sembrò colpito da quell’affermazione, sospirando appena mentre recuperava il contratto dalle sue mani e lo posava sulla scrivania. Anche lui si appoggiò ad essa, passandosi una mano tra i capelli lentamente e cercando gli occhi di Kurt.
“Il contratto stipula un accordo secondo il quale, appena ti sentirai pronto e vorrai firmarlo, io e te dovremmo sposarci.”
Kurt rimase fermo immobile per qualche secondo, immagazzinando il tutto. Il suo cuore batteva fortissimo e non riusciva a trovare nessuna parola che fosse minimamente adatta. Si ritrovò a stringere le palpebre, un sorriso tutt’altro che amichevole che gli spuntava sulle labbra.
Sposarci?”, soffiò, indicando vagamente il punto in cui era caduto il contratto sulla scrivania. “Mi prendi – mi prendi in giro?”
Il volto di Blaine assunse una smorfia preoccupata, vagamente sporcata di ansia, come se non sapesse bene cosa dire e come dirlo. “Non sto scherzando.”, disse dopo qualche istante piuttosto seriamente. Kurt a quel punto sollevò le sopracciglia, non riuscendo più a trattenersi. Scoppiò in una grassa, fragorosa risata, incrociando le dita davanti al suo stomaco e lasciandosi andare a quel gesto per interi secondi, non trovando il coraggio di osservare il volto di Blaine. Solo qualche istante dopo, quando vide che l’espressione di Blaine non cambiava, prese un bel respiro.
“Questa – questa è davvero al cosa più esilarante che abbia mai sentito in tutta la mia vita.”, borbottò Kurt, sfiorandosi il naso con la punta del pollice. “Voglio dire – un matrimonio combinato? Sul serio? Non hanno smesso di esistere una cosa come mille anni fa?”, grugnì, ridendo di nuovo e senza entusiasmo, sentendo la rabbia crescere come un mostro dentro di sé.
“Lo so che è sconvolgente.”, mormorò Blaine, muovendo le mani come in una tacita richiesta a Kurt di ascoltarlo. “Ma tuo padre…”
“Mio padre non aveva il diritto di prendere decisioni al posto mio.”, ringhiò Kurt a quel punto, servendosi della sua cinica freddezza, caratteristica che aveva acquisito con anni di ferite che non voleva più sentire. “Sposarmi. Non esiste. Non mi lego a qualcuno. Più di tutto a qualcuno che nemmeno conosco. Cosa aveva per la testa – come poteva anche solo pensare che potessi volerlo?”
“Lo ha fatto per te.”, disse brevemente Blaine, cercando di essere comprensivo. “Me lo ha chiesto con il cuore in mano e la speranza che tu potessi capire che ti voleva bene, Kurt.”, continuò Blaine, i suoi occhi scuri e concentrati come non mai. “Non voleva che dopo la sua morte rimanessi solo.”
Kurt a quel punto sospirò pesantemente, alzando gli occhi al cielo e non sembrando per nulla colpito di ciò che Blaine stava dicendo. “Okay, in parte posso capire perché lo ha fatto lui. Ma tu – tu hai tutto. Tutto, ogni piccola cosa. Perché dirgli di sì? Perché non riuscivi a liberarti di un povero vecchio?”
Blaine lo guardò con una punta di rimprovero a quell’affermazione. “Come ti ho già detto prima, tuo padre ha fatto tanto per me.”, disse Blaine, perdendo un po’ della sua temperata calma. “Mi ha chiesto un favore, non mi ha obbligato. E io ho scelto di dirgli di sì.”
Kurt rise ancora più forte. “Cosa ci guadagni, Anderson?”, borbottò, lisciandosi una ciocca di capelli che gli era ricaduta sulla fronte. “Cosa cazzo ci guadagni a sposare uno come me –”
“Non resterei da solo.”, soffiò Blaine, mostrando finalmente un briciolo della vulnerabilità che si posava sotto quella maschera di compostezza. Kurt lo vide muovere le mani a disagio, per poi avvolgerle al suo stesso corpo come per proteggersi. “Non hai bisogno che ti racconti la storia della mia miserabile vita – per qualche strano motivo, chiunque mi conosca creda che sia troppo per lui e mi lascia andare. Questa – questa vita, Kurt, tutto ciò che vedi, è tutto di cristallo. E io sono in trappola. Non posso uscire senza essere etichettato come il figlio degli Anderson, il ragazzo che ha preso il posto di suo padre alle elezioni. E probabilmente là fuori pensano tutti che io abbia quello che voglio, ma io non ho nulla di quello che vorrei.”
Kurt era infinitamente serio, adesso. “E cosa vorresti?”, soffiò pianissimo.
“Una vita normale.”, mormorò Blaine, senza avere il bisogno di pensarci. “Una persona che mi aspetti la sera, quando torno dal lavoro e sono stanco e voglio solo riposare e non dover pensare a nulla. Due braccia in cui rifugiarmi quando – quando sento che sono triste senza motivo. E okay, ridi, di’ che sono miserabile. Forse lo sono per aver così paura della solitudine. Ma è questo il punto, Kurt – io non voglio più restare da solo.”
Blaine non seppe capire come riuscì a percepirlo, ma qualcosa cambiò nell’aria tra di loro in quel momento. Qualcosa si mosse, trasformando l’atmosfera e rendendola più densa, e Blaine per la prima volta si rese conto del modo in cui Kurt lo stava guardando sotto tutti quegli strati – rabbia incredulità e sarcasmo – e la pura e semplice verità, era che si sentiva desiderato.
Kurt lo voleva.
O per lo meno, lo guardava in quel modo disinibito in cui Blaine era stato guardato tante volte nella sua vita, ma che nessuna di quelle volte era riuscito a ricambiare. Lussuria e desiderio, tutti concentrati in un paio di occhi color dell’oceano, improvvisamente concentrati su di lui.
“E’ questo, dunque. Quello che vuoi da me.”, soffiò Kurt con voce melliflua, sciogliendo finalmente il groviglio di braccia e facendo qualche passo verso di lui, camminando verso la scrivania come un gatto elegante e randagio. “Che ti baci quanto ti senti solo, sotto la luce della luna e delle stelle. Che giochi ad essere il marito perfetto.”, soffiò, arrivando a qualche centimetro da Blaine. Sollevò entrambe le braccia posandole sulle sue spalle forti – e oddio, Kurt gemette, gemette di piacere quando le accarezzò attraverso la stoffa del completo elegante, assottigliando le palpebre. Blaine si ritrovò a deglutire, il viso di Kurt alla distanza di un soffio, il suo respiro caldo che sfiorava la pelle del suo viso.
“Sei talmente bello che non mi riuscirebbe nemmeno così difficile.”, disse piano, quasi come un miagolio, prima di chinare la testa di lato e alzare una gamba per avvolgerla al corpo di Blaine, attirando il suo corpo più vicino e facendo scontrare bruscamente i loro bacini. Blaine si lasciò scappare un singhiozzo strozzato, ritrovandosi praticamente avvinghiato a Kurt, la sua eccitazione premuta in parte contro la coscia, le labbra di Kurt a un soffio dalle sue.
“Dio, guardati, mi prenderesti su questa scrivania.”, soffiò Kurt, sorridendo appena con divertimento prima di immergere le dita tra i suoi ricci, e iniziando a muovere il bacino contro il fianco di Blaine, lasciandosi scappare un gemito alto e melodioso. “E sarebbe romantico, vero? Con baci sfiorati e frasi fatte e sarebbe tutto così fottutamente romantico nella tua testa, perché credi che così funzioni il mondo, raggio di sole. Ovviamente.”
Blaine si ritrovò a respirare affannosamente con le labbra separate, le dita che dovettero aggrapparsi alla scrivania dietro di sé per non cedere mentre Kurt si strusciava su di lui languidamente, con un fare appositamente provocatorio. Cercò sprazzi dei suoi occhi, gemendo appena quando Kurt sfiorò con le labbra la sua mandibola.
“E allora cosa aspetti, prendimi e basta. Non vuoi altro.”, mormorò Kurt, sembrando arrabbiato ed impaziente, tutto insieme in un miscuglio che faceva quasi paura. “Come un giocattolo, sono solo un giocattolo –”
Immediatamente dopo le labbra di Kurt si pressarono su quelle di Blaine, in un bacio sbilanciato e rude eppure in qualche modo perfetto, troppo perfetto per essere un bacio che Blaine non aveva cercato e che non voleva – non così, almeno. Un brivido di piacere attraversò ogni singolo nervo della sua schiena facendola inarcare verso il corpo di Kurt, mentre Blaine prendeva coscienza del fatto che si stavano baciando, che era reale, che quel meraviglioso ragazzo si stava concedendo a lui senza riserve, e –
Ed era tremendamente sbagliato. Ogni cosa. Ogni minuscolo dettaglio. Le mani di Kurt che vagavano con troppa esperienza sulle sue ampie spalle, la bocca di Kurt che prendeva prendeva prendeva senza dare nulla in cambio; le dita di Blaine che inevitabilmente si spostarono sul collo di Kurt per una frazione di secondo, prima che facesse un po’ di pressione per separarlo da lui.
“No.”, disse, piano ma chiaramente, sentendo le guance in fiamme e il cuore battere così forte da poter scivolare dal petto. “Non – non è così che ti voglio. Non è così – davvero credi che sia solo –”, Blaine spalancò gli occhi, prendendo un bel respiro e passandosi una mano tra i capelli. “Non deve succedere così. Non se non lo vuoi anche tu.”, mormorò Blaine, sentendo le orecchie andargli a fuoco. “Non ti ho chiamato qui per usarti – niente, Kurt, il contratto, le parole che ti ho detto – niente di tutto ciò l’ho fatto per usarti.”
E Kurt era lì, ancora vicinissimo e con le labbra rosse e il petto che si alzava e abbassava a ritmo del suo respiro frenetico, gli occhi improvvisamente lucidi e sconvolti. “Non ci credo neanche per un secondo che mio padre non te l’ha detto.”, ringhiò Kurt, separandosi da lui bruscamente e sfiorandosi le labbra. “Lo sai cosa faccio per sopravvivere, Blaine? Lo sai, lo vuoi sapere –”
“Kurt –”
Scopo, Blaine.”, disse Kurt, un angolo della bocca che si alzava verso l’alto in un sorriso terrificante e sghembo. “Scopo in giro, esattamente. Senza amore, senza la colazione al mattino, senza braccia calde e calore e tutte quelle stronzate lì. E mio padre lo sapeva. Lo ha sempre saputo. Eccomi qui, Blaine. Una puttana.”
“Non ho pensato nemmeno per un secondo che tu fossi una puttana.”, disse con calma Blaine. Una calma che stupì Kurt in un primo momento, ma che poi lo fece irritare, perché – cosa diamine aveva quel ragazzo dentro il cuore? Era davvero così ingenuo, così puro? “E – sì. Sì, Kurt, lo sapevo.”, soffiò Blaine. “E non me ne importava niente.”
Gli occhi di Kurt erano spalancati e colmi di lacrime e Kurt si odiava, si odiava perché aveva passato anni a cercare di non piangere di fronte agli altri ed ora eccolo lì, di fronte a uno sconosciuto qualsiasi che lo voleva sposare, pronto a crollare come una tazzina di ceramica.
“Beh – sai che ti dico? No, Blaine. Non ti sposo.”, disse Kurt, tirando su col naso e passandosi bruscamente entrambe le mani sugli occhi. “Non ho nessuna intenzione di sposare qualcuno sbucato fuori dal nulla che – che mi tratta come se fossi fatto di porcellana e che mi dice che non gliene frega un cazzo che praticamente mi sia scopato mezzo mondo. Primo, perché non ti credo che non te ne frega niente, e secondo, perché non esistono persone come te, Blaine. Non esistono persone buone. Quindi ora uscirò da quella porta e anche dalla tua vita –”
“Oppure potresti smettere di dare di matto e ascoltarmi due secondi.”
Incredibilmente, Kurt si fermò. Blaine prese un bel respiro.
“Il contratto non è valido finchè non lo firmi.”, disse piano, indicandoglielo di nuovo. “Questo vuol dire tutto come niente, perché se ti tiri indietro ci saranno conseguenze legali.”
Kurt sbuffò una risata. “E dovrei sborsare milioni che non ho a una persona che naviga nell’oro. Perfetto.”
“O potresti semplicemente andartene. Credi – credi davvero che ti farei causa, Kurt?”, borbottò Blaine. “Non lo farei. Ti lascerei libero.”
Kurt a quel punto aggrottò la fronte.
“Quando hai varcato quella soglia, sapevo che ti avrei dovuto lasciare andare se non avessi voluto firmare il contratto. Forse speravo solo…solo che tu potessi pensarci. Almeno prendere in considerazione la cosa. Perché a nessuno piace stare soli.”
Blaine lo vide, il respiro strozzato che fece Kurt; la sua gola che si muoveva leggermente e le parole che ne morirono. Di nuovo, Kurt si strinse nelle braccia, sbattendo appena le palpebre. Perché a nessuno piace stare soli.
“Ci sono cose che non capisco.”, disse sinceramente. “Come il fatto che tu voglia me, quando ti basterebbe pagare chiunque altro in questa città per non rimanere da solo, se è questo che ti spaventa tanto.”
“Non voglio nessun altro di questa città.”
“Ecco, Blaine. Questo non capisco.”
“Se scegli di restare, potresti scoprirlo.”, mormorò Blaine, gli occhi che scivolavano un po’ ovunque. “Ma non è – non è qualcosa che vuoi sapere adesso. Fidati di me.”
“Non mi fido di nessuno.”, disse Kurt in una mezza risata. “E mi fai paura, Blaine.”
Blaine scrollò le spalle, azzardando un sorriso sghembo che in realtà non voleva nemmeno fare.
“Un mese.”, soffiò Kurt.
Blaine aggrottò la fronte. “Come?”
“Do a me stesso un mese per conoscerti, non un giorno di più. E se in questo mese dovesse succedere qualcosa – chi lo sa, magari prendo un colpo in testa – magari scelgo di firmare quel contratto. E sposarti.”
Gli occhi di Blaine si illuminarono leggermente. “Dici sul serio?”
“Ti renderai conto che non sono una persona che ama scherzare.”, borbottò Kurt, accarezzandosi distrattamente il collo con le dita, immergendo gli occhi in quelli di Blaine. “Un mese. Se non succede nulla, voglio andarmene da questa casa e dimenticare tutto quello che è successo.”
“E se mi innamorassi di te?”, soffiò Blaine a quel punto, gli occhi enormi e le labbra corrucciate.
“Tesoro.”, borbottò Kurt, fingendo di non sentire il battito di cuore che aveva appena perso. “Nessuno si innamora di me. Io non permetto che accada.”
 
*
 
E Blaine avesse dovuto definire Kurt, avrebbe detto su due piedi che fosse un’ombra. L’ombra di una persona. Nemmeno l’involucro esterno, semplicemente qualcosa di etereo e distaccato e senza forma, senza né inizio né una fine, senza voglia di lottare e combattere e fermarsi.
Accettare uno sconosciuto in casa era difficile. Accettare Kurt – beh, poteva sembrarti facile nei momenti in cui non si incontravano mai, quando Blaine per esempio era al lavoro e Kurt rimaneva a casa a fare – nessuno sembrava ancora capire a fare cosa – e tutto piano piano diventava sempre più complicato durante le cene, tra battibecchi nati dal nulla, o forse semplicemente perché non si conoscevano abbastanza.
Non che Blaine non ci provasse. Certo che ci provava a conoscerlo – non voleva altro, voleva solo che Kurt si aprisse e si lasciasse guardare dentro, ma quella non era di certo una favola. Kurt non era il ragazzo spezzato che prima o poi si sarebbe lasciato andare per amore e grazie a Blaine – Kurt era Kurt. Non spezzato, non sbagliato – solo Kurt.
Con tutti i suoi pezzetti mancanti e le sue crepe.
I primi giorni passarono nella tranquillità più totale – ad esclusione di Kurt che cambiò la propria stanza cinque volte, perché a detta sua nessuna di quelle che Blaine aveva scelto per lui andavano bene. Tendeva a rispondere bruscamente e saltare i pasti (e okay, Blaine non si era aspettato molto di più, non quando trascini un ragazzo in casa tua e gli dici che deve diventare tuo marito) – ma le cose precipitarono un pomeriggio, quando Kurt scese da camera sua con tra le braccia un mazzo di fiori e due pacchetti, la pelle delle guance rossa come il fuoco.
“Trovati di fronte alla mia porta.”, borbottò cercando gli occhi di Blaine. Posò i due pacchetti sulla poltrona accanto al divano sul quale Blaine stava leggendo un libro, immergendo il naso nel mazzo di fiori e arrancando un sorriso fintamente dolce.
“Niente male. Hanno un buon profumo.”, borbottò, appoggiando il mazzo su un tavolino lì vicino. Prese tra le mani il primo pacchetto, quello più piccolo, estraendone un orologio.
“Caspita, deve esserti costato una fortuna.”, mormorò pianissimo, rigirandoselo tra le dita. “Ora che ci penso non ho mai avuto un orologio vero. Li compravo di plastica. Poi ho smesso di preoccuparmi dell’orario, se devo essere sincero.”
Blaine chiuse il libro che stava leggendo in un momento di panico, togliendosi gli occhiali che usava solo per la lettura. “Kurt –”
“E guarda un po’ cosa abbiamo qui. Una cravatta.”, soffiò Kurt, sfiorando con le dita la stoffa di quell’indumento raccolto dal terzo e ultimo pacchetto. “Uhm, forse Armani? Autunno-inverno duemilatredici. Quando finalmente si resero conto che il color ghiaccio andava di moda.”
Blaine, per qualche assurda ragione, si sentiva tremendamente in colpa. “Io volevo solo…ecco…”
“Blaine.”, lo interruppe Kurt, gli occhi attraversati da una scintilla che non aveva un nome, il volto serio e concentrato. “Se è comprandomi che hai intenzione di convincermi a sposarti, sei completamente fuoristrada.”
“Non – non intendevo – non voglio comprarti.”, borbottò Blaine. Ed era vero. Difficile da spiegare, certo, quando fai i salti mortali per riuscire a recuperare una maledetta cravatta color ghiaccio che si abbini perfettamente agli occhi di Kurt, ma comunque. “Non è questo il punto. Ho fatto alcune ricerche, e…so che queste cose ti piacciono.”
“Raggio di sole, a tutti piacciono le cose costose.”, cantilenò Kurt, rimettendo al suo posto la cravatta. “Ma stammi a sentire. Se è così che intendi procedere il mio tempo si ferma qui. Non serve a nulla riempirmi la stanza di fiori o di oggetti che nessuno ha. Non mi dai qualcosa per avere in cambio me. Io non valgo una manciata di fiori. Non valgo il prezzo di uno stupido Rolex, e per l’amore del cielo, non valgo nemmeno quanto vale una dannatissima cravatta di Armani –”
“Tu non hai prezzo.”, sussurrò Blaine, fermando la corsa di parole di Kurt cercando i suoi occhi timidamente. “E ti sbagli se pensi anche solo per un istante che il mio fosse una sorta di baratto. Non ti ho comprato quei dannati fiori perché credevo che ti gettassi ai miei piedi chiedendomi di sposarti – no, Kurt, ti sbagli se pensi che sia così. Ti ho comprato –” Blaine si alzò a quel punto, recuperando tutto quello che Kurt aveva scartato “- quei dannati fiori perché passavo davanti a una bancarella e ho pensato fossero carini, e che li avresti apprezzati. Che magari avessi voluto metterli in camera, o non lo so – mi basta anche solo che tu li abbia annusati una volta. L’orologio – non me ne frega un cazzo che sia un Rolex, ho solo visto che non lo indossi e pensavo fosse bello fartene avere uno. Per la cravatta – beh, non c’è un dannatissimo negozio di Lima che venda cravatte che si abbinino ai tuoi occhi. E sì, dimmi che sono stupido, ma quella cravatta si abbina ai tuoi occhi e mi piaceva pensare che ti…ti accorgessi che io l’ho notato. E oddio, mi do dello stupido da solo, perché senti quante cazzate sto dicendo.”
Kurt aveva fatto un passo indietro, gli occhi leggermente spalancati e più attenti, il respiro lungo e pesante. Blaine si portò una mano tra i capelli, respirando a fondo per calmarsi e alla fine lasciando cadere tutti i regali sul divano.
“Senti, lo – lo capisco. Il perché tu ti sia arrabbiato. Non posso piombare nella tua vita e farti regali. Ma non erano fatti con l’intento di avere qualcosa in cambio. Sono fatti perché tu sei tu e io volevo semplicemente…non lo so, lasciarti qualcosa. Ma si ferma qui.”, soffiò Blaine, incamminandosi verso le grandi scale che portavano al piano di sopra. “Oh, e un’altra cosa, Kurt.”, gli disse, voltandosi per cercare il suo viso. “Se pensi che trattarmi male sia la soluzione per farmi rinunciare al contratto, ti sbagli. Mostrami pure le tue parti brutte. Non ho paura di loro.”
Kurt provò la stessa sensazione che si prova quando si viene pugnalati.
Si voltò leggermente, puntando gli occhi sui regali che ora giacevano sul divano, i fuori che già avevano perso qualche petalo per non essere stati subito messi in un vaso. Kurt si massaggiò entrambe le tempie con le dita, sospirando alla ricerca di ossigeno.
Raccolse tutti e tre i regali, alla fine.
 
*
 
Quello segnò una sorta di – linea di confine.
Blaine smise di fargli regali, Kurt smise di essere scontroso su ogni minima cosa che gli veniva fatta notare. E tralasciando qualche punta di sarcasmo che non avrebbe mai abbandonato il suo carattere, Blaine fu in grado di vedere scorci del vero Kurt. O per lo meno, quello che pensava fosse il vero Kurt.
Un Kurt che parlava tanto, di tutto e di niente, di moda, di gossip, di vita, di paure senza mai scavare a fondo, di un mondo che si stava perdendo. Mai di lui, però, quello Blaine ormai lo aveva capito. Mai di suo padre, o della madre che sapeva aveva perso quando era ancora solo un bambino. Della sua infanzia, di cose belle. Sembrava che ci fosse questa aurea oscura dentro e al di fuori di lui, che gli impedivano di essere completamente felice e sé stesso in primo luogo.
Non che Blaine potesse sapere. Non che Blaine potesse capire cosa provasse una persona che aveva vissuto come aveva vissuto Kurt. Che aveva perduto, e perduto, e perduto ancora, ed era cresciuto troppo in fretta senza che nessuno gli dicesse Fermati, guarda cosa ti stai perdendo. Senza nessuno che lo abbracciasse nei momenti bui, quando tutto il resto si sgretolava in mille pezzi.
Una notte, Blaine era sveglio per controllare alcune scartoffie che si era trascinato fino a quel pomeriggio tardo – quando dal suo studio sentì la porta principale aprirsi e chiudersi in un piccolo tonfo. Scese le scale accendendo la luce più fioca che aveva, notando che all’ingresso Kurt si stava togliendo la giacca – avrebbe preferito di gran lunga non vedere i segni che aveva sul suo collo.
Quando Kurt si girò un respiro tremolante abbandonò la sua gola. “Mi hai spaventato.”
“Lo stai facendo ancora.”
Kurt aggrottò la fronte, lasciandosi andare a un sorriso minuscolo e viscido e spento. “Puoi dirlo, sai, ad alta voce. O hai troppa paura di dire quella parola –”
“Ti prostituisci ancora.”, ringhiò Blaine, scadendo lettera per lettera senza provare un minimo di rimpianto o di vergogna. Non c’era segno di cedimento nella maschera di Kurt. Si coprì lo stomaco con le braccia saldamente, inclinando la testa di lato e guardandolo a fondo.
“Non hai nessun diritto di arrabbiarti.”
“Non ho nessun diritto di arrabbiarmi ma lo faccio, cazzo.”, borbottò Blaine, facendo qualche passo verso di lui. “Perché – perché mai lo fai ancora, Kurt? Vivi qui. Se hai bisogno di qualcosa, vieni a dirmelo. Se c’è qualsiasi cosa che posso fare, vieni a dirmelo. Non andare a gettarti via.”
“Hai sbagliato tempistica di almeno otto anni, Blaine. Questo discorso doveva farmelo qualcun altro molto tempo fa.”
“Beh, te lo sto facendo adesso.”, disse piano Blaine. “Perché – perché diamine senti il bisogno di farlo, Kurt? Devi dimostrarmi qualcosa? E’ un modo assurdo e contorto per ferirmi e farmi capire che non cambierai mai, è questo?”
Kurt a quel punto fece un passo avanti, questa volta il suo volto fu attraversato da una scia di rabbia. “Non ti azzardare.”, disse pianissimo, la voce che vibrava. “Non provare nemmeno un secondo a cercare di capire perché lo faccio – non analizzarmi, per dio, non c’è niente da analizzare, e non provare neanche per un secondo a cercare di giudicarmi, non sai niente di me e non sai che cosa cazzo ho dovuto fare nella mia vita per –”
“Ah, eccola finalmente, la rabbia. Pensavo fossi fatto di pietra, cazzo.”, sbottò Blaine, allargando le braccia. “Quindi sei arrabbiato, eh? Non ti sta bene esserti gettato via per tutta la vita, vero Kurt? E forse dovresti scendere a patti con te stesso. Forse dovresti capire che non devi continuare così per tutta la vita.”, continuò Blaine, ormai con il fiato corto. “E forse dovresti smetterla di incolpare tuo padre – non è stato lui a metterti sulla strada, Kurt, tu ci sei voluto andare, tuo padre non sapeva come tirarti fuori dai guai e fai passare lui per il mostro che -”
Kurt lo interruppe con uno schiaffo. Fu talmente forte e ben centrato che Blaine si spostò indietro di qualche centimetro, perdendo momentaneamente l’equilibrio e portandosi poi le dita sulla guancia, accarezzandola lievemente per sentirla pulsare sotto il suo stesso tocco.
Quando tornò a guardare Kurt, i suoi occhi erano spalancati e umidi.
“Vaffanculo, Blaine.”, soffiò Kurt, tenendosi una mano salda sullo stomaco, un singhiozzo che poi lacerava la sua voce. “M-mi hai sentito, Blaine? Vaffanculo – tu – tu non sai niente, non sai niente.”, disse con fermezza, passandogli di fianco e spingendolo via, con tutta la forza che aveva in corpo.
Blaine sentì i passi di Kurt allontanarsi sempre di più, ma nonostante quello parlò comunque.
“Fare del male a me non ti farà stare meglio, Kurt.”, disse chiaramente Blaine, sentendo gli occhi pizzicare. “E probabilmente non mi crederai, ma sei infinitamente migliore di quello che vuoi far credere alla gente.”
I passi si fermarono.
“…e se ora vuoi andartene, ti capirei.”
Qualche istante dopo, Blaine sentì la porta della camera di Kurt sbattere.
 
Erano appena sorti i primi raggi di sole, quando Blaine si ritrovò a bussare alla porta della camera di Kurt. Non aspettò nemmeno la sua risposta, entrò venendo avvolto dal buio della sua stanza, spezzato soltanto da qualche striscia di luce che penetrava dalla finestra, incontrando parte del letto.
Blaine si era ingenuamente aspettato di trovare Kurt sotto le coperte, rannicchiato e piccolo e indifeso – ma la verità era che ancora non lo conosceva quanto avrebbe voluto, e non sapeva niente dell’interno di quell’involucro. Sperò che bastasse essere se stesso per parlarci.
Kurt era semplicemente seduto contro la testata del letto, gli occhi cerchiati da velate occhiaie e puntati da qualche parte lontano, mentre pensava a qualcosa che Blaine non poteva e voleva capire.
Gli si sedette accanto, guardando le mani attorcigliate sul suo stesso grembo.
“Mi dispiace.”, esordì. Blaine aveva questa cattiva abitudine di provare i discorsi e poi cambiarli radicalmente nel momento in cui voleva usarli. “Non avrei dovuto dirti quelle cose.”
“Non dispiacerti. Erano vere.”, sussurrò Kurt. La sua voce era roca, forse perché aveva pianto. O forse perché era rimasto sveglio tutta la notte e quelle erano le prime parole sussurrate che venivano fuori dopo la litigata della sera prima.
“Ma ci sono modi e modi per dire una cosa, e io non ho scelto il migliore. Ho urlato. E ti ho ferito.”
“A volte è necessario ferire le persone per poterle salvare.”, disse infintamente piano Kurt, stringendosi le ginocchia al petto e passandosi entrambe le mani tra i capelli, un angolo della bocca che si alzava a segnare un sorriso amaro. “E sai cosa? Hai ragione. Per tutti questi anni ho incolpato mio padre per aver fatto finta di niente, quando l’unica persona che avrei dovuto incolpare ero io. Io ho scelto quella strada. Avrei potuto sceglierne una diversa, credo.”
“Non ero io la persona che doveva fartelo notare.”, disse Blaine. “Dio, sono – sono un completo sconosciuto. E comincio a gridare in quella maniera arrabbiandomi. Non è stato giusto.”
“Forse sì, forse no. Hai semplicemente avuto le palle di dire ad alta voce una cosa che io non riuscivo ad ammettere, Blaine.”, sussurrò Kurt, alzando gli occhi verso il soffitto e perdendosi ad osservarlo giusto per un po’. “Quindi sì, grazie di avermi ferito. A volte ho questa sensazione che tutto mi scivoli addosso. Le parole, i gesti, anche quelli più semplici. Poi all’improvviso tu alzi la voce – ed è tutto chiaro, proprio lì, davanti a me. Anni gettati via. Tutte le volte che volevo dire di no a una persona e mi sono ritrovato a dire di sì. È tutto sbagliato, Blaine. Tutto sbagliato.”
“Tu non sei sbagliato.”, soffiò Blaine, cercando di avvicinarsi quanto poteva. “Hai fatto delle scelte sbagliate, ma puoi fermarti qui. Mettere un punto da cui ripartire.”
“Vorresti essere quel punto, Blaine?”, chiese Kurt con un sopracciglio alzato. “Perché non voglio dare a nessuno il compito di salvarmi. Devo salvarmi da solo.”
“Lascia decidere a me dove voglio essere. E cosa voglio essere.”, mormorò Blaine, immergendo i suoi occhi in quelli di Kurt in quella penombra. Avvicinò ulteriormente il suo viso, senza sbattere le palpebre una singola volta. “Smetti di prostituirti. Ti prego.”
Kurt distolse lo sguardo.
“So quanto – so quanto possa essere spaventoso, cambiare la tua vita da un momento all’altro e non avere nulla in mano all’improvviso. Ma continuare ad andare là fuori - non ha senso, Kurt. Non sei quello. So che forse puoi sentirti marcio dentro per tutto ciò che hai fatto, e allora smettila di marcire. Rialzati in piedi. Ci deve essere qualcosa che ti piace fare, qualcosa che ti rende chi sei davvero.”
“Blaine?”
“Sì?”
“Credi davvero che possa farcela?”
Blaine respirò a fondo. “Certo che sì.”, soffiò piano. “Non starei insistendo così tanto, altrimenti.”
Kurt abbassò lo sguardo a quel punto, il suo corpo che diventava forse ancora più piccolo e accartocciato nel buio. “Forse lo facevo soltanto perché non conoscevo altro modo. Perché volevo sentirmi vivo.”, borbottò, disegnando piccoli cerchi sulle lenzuola sotto di lui. “È più facile credere di essere marci, Blaine. Non devi dare spiegazioni. Non devi essere all’altezza delle aspettative di nessuno.”
“Io non mi aspetto niente.”, soffiò Blaine all’improvviso, catturando lo sguardo di Kurt e sorridendo leggermente, per quanto quella situazione glielo potesse permettere. Kurt lo guardava, lo guardava a fondo e scavando, gli occhi concentrati e rapiti, finchè non alzò una mano improvvisamente, agganciandola alla maglietta di Blaine e stringendo la stoffa tra le dita, sospirando appena.
“V-voglio solo sentirmi vivo, Blaine.”, gracchiò, lottando contro le lacrime che minacciavano di uscire da tutta la notte. “Solo quello, non voglio più lasciarmi andare.”
E Blaine, per qualche strano motivo, capì. Capì che Kurt gli stava chiedendo di salvarlo anche se aveva appena detto di non voler essere salvato, gli stava mostrando le sue debolezze nonostante avesse cercato di fargli credere che non ne avesse. Gli stava chiedendo di mostrargli un altro modo di tenerlo in vita: senza il bisogno costante di ferirlo.
Così Blaine gli mostrò l’altra parte. La dolcezza, la calma, l’indugio. Allungò le braccia e lo avvolse in un abbraccio delicato, permettendo a Kurt di incastrare la testa nell’incavo del suo collo e scomparire; e lì passarono interi minuti in cui Kurt respirò semplicemente, solo quello.
Poi come un filo troppo teso, si spezzò.
Blaine lo ascoltò piangere, ma sapeva che quello era solo il primo passo verso ciò che entrambi stavano cercando.
 
*
 
Erano quattro giorni che Blaine non sentiva la porta principale aprirsi e chiudersi durante la notte, e quello era decisamente un passo avanti.
Non lo era il fatto che Kurt sembrasse spento, esattamente come succedeva a una lampadina quando premi l’interruttore: perde tutto il suo significato. Ogni cosa. Non serve più a niente.
Ma era esattamente ciò che Blaine voleva far capire a Kurt – la sua vita non era finita, lui non era spento.
A volte raccoglieva il coraggio necessario per guardarlo negli occhi e vedere esattamente quanta malinconia avesse dentro – sembrava come un veleno che gli attraversava le vene, veloce e inesorabile e mortale. E Blaine era uno spettatore, nulla di più. Non poteva entrare nel suo mondo, non poteva capire, poteva solo stare a guardare il suo dolore e stringerlo ogni tanto – e a volte Kurt sgusciava via troppo in fretta dalle sue braccia, tremendamente in colpa per aver ceduto e aver mostrato che infondo anche lui a volte aveva bisogno di aiuto.
Il quinto giorno fuori pioveva, e Blaine rischiò il principio di un infarto quando vide Kurt dalla finestra fuori, in mezzo alla strada, seduto a gambe incrociate mentre si prendeva tutta la pioggia. Corse fuori con un ombrello e una coperta, inzuppandosi tutti i vestiti e gli occhiali che aveva indossato per leggere, i riccioli neri che gli ricadevano davanti alle lenti.
“Kurt, per dio. Sei in mezzo alla strada.”
“Non stanno passando macchine.”, borbottò Kurt, gli occhi chiusi e la voce sicura, lenta, come se fosse sul punto di addormentarsi. Stava tremando, i vestiti fradici e i capelli che gocciolavano. Blaine non aspettò un secondo di più e si inginocchiò accanto a lui, circondandolo con la coperta e portandoselo vicino, stupito dal fatto che Kurt si lasciò stringere, come se fosse un bambino da cullare.
“Io non ti capisco, Kurt Hummel.”, mormorò Blaine, spostandogli qualche ciocca di capelli dalla fronte. “Ho rinunciato a cercare di capirti.”
“Non devi necessariamente capire perché le persone fanno certe cose, Blaine.”, disse Kurt senza nemmeno guardarlo. Guardava il cielo. “Pioveva. Avevo voglia di sentire la pioggia. Non passano mai macchine di fronte a casa tua. È semplice.”
“Poteva succederti qualcosa.”, soffiò Blaine. “E di sicuro ti verrà la febbre. E a nessuno piace stare male.”
Piano piano, Kurt puntò i propri occhi in quelli di Blaine. “Quando piove hai la scusa perfetta per piangere, lo sai?”, sussurrò. “Non devi spiegare a nessuno se sulla tua faccia scorrono lacrime o gocce di pioggia.”
Il cuore di Blaine precipitò nello stomaco, e si sentì in dovere di premere la punta dei pollici appena sotto le palpebre di Kurt, trascinandogli via la pioggia, o le lacrime, a seconda di qualsiasi cosa fossero. Non seppe capire nemmeno il perché, ma ebbe voglia di baciarlo. Di baciare quel ragazzo che non sapeva dove andare, che si sentiva in trappola e che credeva di essere marcio, quando in realtà era una delle cose più belle e preziose che Blaine avesse mai visto.
“Solo tu puoi liberarti, lo sai?”, mormorò Blaine, troppo vicino alle sue labbra perché quello fosse da vedere come un gesto casuale. Non lo baciò alla fine, solo perché non voleva strappargli via in quel modo una scelta. Voleva che Kurt lo desiderasse, esattamente come lo desiderava lui. “Liberati, Kurt.”
Kurt chiuse gli occhi.
Non disse nulla.
 
*
 
Non che Blaine avesse dubbi, ma Kurt si ammalò.
Trentotto e mezzo di febbre, un forte mal di gola e costretto a rimanere a letto per due giorni filati – letto che poi si trasformò nel grande divano del salotto principale, perché “Lì c’è la televisione gigantesca che mi piace tanto, Blaine, non puoi seriamente impedirmi di guardare i film quando sto male”. In ogni caso, la scelta del divano in salotto Blaine la trovò piuttosto ragionevole. Kurt era abbastanza vicino all’entrata, così ogni volta che Blaine passava per uscire dal lavoro gli baciava la fronte, e di sera poteva stare con lui, guardando qualche film davvero troppo romantico per avere una trama ben strutturata, ma che strappavano sempre qualche dolce sorriso a Kurt.
Il terzo giorno, sotto le labbra di Blaine quel mattino, la pelle di Kurt era decisamente più fresca, gli occhi meno lucidi, e il suo corpo era sommerso dalla metà delle coperte. Blaine lo lasciò con in mano un enorme barattolo di gelato alla nocciola (lo mangiava per rinfrescare la gola) e addosso un nuovo pigiama, con disegnati sopra quelli che avevano tutta l’aria di essere orsetti (qualcosa che Blaine avrebbe immortalato di nascosto prima o poi, perché voleva prendere in giro Kurt per il resto dei suoi giorni per quella scelta).
La sera, quando tornò a casa, trovò Kurt rannicchiato sul divano, gli occhi spalancati e concentrati sulla televisione, mentre immagazzinavano tutte le immagini colorate. Blaine sentiva la schiena intorpidita per la lunga giornata di lavoro; aveva decisamente bisogno di un bagno e di mangiare qualcosa, ma non seppe resistere a quegli occhioni e si avvicinò a Kurt, notando cosa stava guardando.
“Vedo che hai sbirciato tra i miei vecchi DVD.”
“Non ho mai visto Casper.”, ammise Kurt. “Non giudicarmi.”
Blaine ridacchiò, mordicchiandosi il labbro inferiore e sorridendo leggermente nel vedere il modo rapito con cui Kurt seguiva il film. I suoi occhi si staccarono per un misero secondo, solo per immergersi in quelli di Blaine.
“Ti siedi qui vicino a me? Ho freddo. Tanto non ho più la febbre.”, borbottò, spostandosi quanto bastava per lasciare lo spazio a Blaine. Aggrottò leggermente la fronte mentre si sedeva, sospirando appena quando il calore del corpo di Kurt si pizzicò tutta la parte del suo fianco. Kurt si rannicchiò contro di lui, appoggiando la testa all’incavo della sua spalla e facendo immensamente piccolo contro di lui.
Perché Kurt era così. Arrivava e si prendeva tutto, senza chiedere il permesso.
A un certo punto Blaine si mosse appena contro di lui, cercando di stiracchiare il collo e catturando l’attenzione di Kurt.
“Giornataccia?”, soffiò lui, osservando il modo in cui Blaine si massaggiava la parte alta della schiena, almeno fin dove poteva arrivare.
“Un delirio totale.”, borbottò Blaine, stringendo appena le palpebre. “Giuro, non mi sento più la schiena. Sono a pezzi.”
Il resto delle frasi che aveva in mente (ciò che aveva fatto al lavoro, chi aveva incontrato e come aveva passato la pausa pranzo) gli morì nella gola quando vide il modo in cui Kurt lo stava guardando. Completamente concentrato, distaccato dal mondo che li circondava.
Presto, le dita di Kurt sostituirono quelle di Blaine nel massaggio. Spinse la punta delle dita contro la sua schiena e distendendo i nervi tesi, disegnando cerchi concentrici con moderazione ma sapendo perfettamente che punti colpire e come muoversi, strappando a Blaine un sospiro di sollievo.
“Sei pieno di nodi, Blaine.”, mormorò Kurt, sistemandosi meglio per cambiare angolazione delle braccia e massaggiare le larghe spalle di Blaine. “Fai almeno - qualcosa per rilassarti?”
Blaine si chiese come trovare la forza per rispondergli, quando le sue dita lo stavano accarezzando in quel modo. “L-leggo. Uhm. Sì. Leggo. Mi piace molto. Leggere.”
“Sembra figo, ma leggere è comunque impegnativo.”, soffiò Kurt, percorrendo la schiena di Blaine nella sua interezza, segnando la sua spina dorsale. “Quindi, di nuovo. Cosa fai per rilassarti?”
Blaine fu costretto a mordersi le labbra per mascherare il gemito strozzato che stava nascendo. “A questo punto credo – nulla. N-niente. M-ma è okay.”
“La tua schiena non è molto okay, e non è decisamente d’accordo con te.”, borbottò Kurt sorridendo, mettendosi in ginocchio per poter accarezzargli anche entrambe le braccia. Improvvisamente, Blaine percepì il respiro caldo di Kurt contro il suo orecchio. “Dio, avresti così bisogno di scopare, Blaine.”
Blaine si strozzò con la sua stessa saliva, sbattendo velocemente le palpebre e passandosi troppo velocemente una mano tra i capelli. “K-Kurt.”, lo chiamò ammonendolo, facendolo ridacchiare dolcemente. Kurt sollevò le dita per giocherellare con i ricci di Blaine al livello della sua nuca.
“Scherzavo.”, mormorò dolcemente Kurt, sfiorando il lobo di Blaine con il naso e accarezzandolo dolcemente con la punta. Blaine deglutì, sentendo un denso calore annidarsi alla base del suo stomaco. “Basterebbe anche solo un pompino fatto bene.”
Blaine questa volta gemette ad alta voce, inarcandosi in avanti quando Kurt avvolse il lobo con la lingua, inumidendolo e mordicchiandolo dolcemente, mentre le sue dita continuavano ad accarezzarlo. Il volto di Blaine ruotò lentamente, almeno finchè si ritrovò gli occhi di Kurt a qualche millimetro, le sue labbra sottili e schiuse che erano a un soffio, praticamente sue.
“N-no.”, disse pianissimo Blaine, trovandosi a chiudere gli occhi per non cedere. “Non – non voglio. Non così. Tutti gli uomini ti hanno…ti hanno avuto così. Ti hanno usato. Non sono quel tipo di persona.”
Kurt strofinò il proprio naso contro la guancia morbida di Blaine. “Non mi stai usando, tesoro. Mi va. Tutto qui.”
A Blaine mancò il fiato. Primo, perché non era possibile che Kurt lo volesse. Secondo, perché gli sarebbe bastato cedere, e avrebbe probabilmente avuto l’orgasmo migliore della sua vita. Ma non era per quello che voleva Kurt. Non per il sesso, o per quello che avrebbe potuto dargli. Lui voleva Kurt per tutto, ogni piccola cosa, ogni sfaccettatura. Anche le parti brutte – soprattutto per le parti brutte.
“Qualsiasi altra persona ti direbbe di sì, sai?”, soffiò Blaine. “Io…io non credo di volerlo. Sono cinque minuti, Kurt. Cinque minuti e starò benissimo e tu sarai mio e poi cosa, tu da una parte del divano e io dall’altra? Non se ne parla. Non ho intenzione di usarti solo perché voglio sfogarmi. Tu – dio mio, tu vali così tanto, così tanto più di così. Tutti gli uomini che ti hanno avuto avrebbero dovuto saperlo. E io – io non sono tutti gli altri, Kurt. Io non voglio usarti. Io voglio averti, e voglio che anche tu abbia me. Solo se lo vuoi. Perché anche tu conti. E soprattutto ciò che vuoi veramente.”
Gli occhi di Kurt erano chiari e attenti, le sue labbra ancora schiuse. “Okay. Questa davvero non me l’aspettavo.”, borbottò, posando le labbra sulla guancia di Blaine per strappargli un bacio. “Va bene così.”, disse, tornando a rannicchiarsi contro di lui. Come se non fosse successo niente. Come se Blaine non avesse appena perso metà dei suoi anni di vita.
“Sai cosa, Blaine?”
“Ti prego, non arrabbiarti –”
“Non sono arrabbiato, smettila di blaterare.”, sussurrò Kurt, continuando a guardare il film. “Sono sorpreso. Perché sei l’unica persona davvero buona che abbia mai incontrato in questo schifo di mondo. E anche se non spetta a me dirtelo, ti prego, non cambiare. Non permettere agli altri di cambiarti, soprattutto.”
Blaine si sentì in dovere di stringerlo più forte. “Promesso.”, borbottò.
Non erano nemmeno arrivati a metà del film, che Kurt era scivolato completamente su di lui addormentandosi con la testa posata sul suo grembo, mentre Blaine gli accarezzava dolcemente i capelli, mentre Casper sullo schermo chiedeva a Kat se poteva tenerla con sé.
Blaine guardò Kurt, e sentì il suo cuore spezzarsi un pochino di più.
Posso tenerti con me?
 
*
 
Blaine doveva aver sentito dire da qualche parte che per capire le persone era necessario leggere tra le righe. Osservare le pieghe, quelle cose minuscole e gli aspetti che nessuno avrebbe notato senza passare secondi interi a guardare, guardare e guardare di nuovo, rendendosi ridicoli, le guance inevitabilmente rosse per il timore di essere scoperti.
Blaine osservò Kurt, e cercò di leggere tra le righe.
Così un pomeriggio si decise a farlo – andò in camera di Kurt mentre lui era seduto a gambe incrociate sul materasso, una matita tra le labbra e un quaderno pieno di scarabocchi sotto di lui. Quando Blaine entrò alzò gli occhi su di lui, come a chiedergli tacitamente cosa ci facesse lì, e Blaine si limitò a prenderlo per mano.
“Dove stiamo andando?”, chiese Kurt sulle scale che portavano al piano di sotto, genuinamente incuriosito da tutto quel mistero. Blaine ridacchiò, passandogli un cappotto piuttosto pesante e una sciarpa, uscendo all’aria aperta e respirando a fondo.
“Lo vedrai. Seguimi.”, sussurrò, stringendo più forte la mano di Kurt con un sorriso così enorme da illuminare quella giornata grigia. Dietro di lui, Kurt non fiatava e si guardava intorno con la paura che qualcosa di inaspettato sbucasse fuori da un momento all’altro.
Blaine lo portò sul retro, alla fine dell’enorme giardino che circondava la casa. Era autunno, per cui Kurt non era mai stato in quella zona prima d’ora, non con la nebbia di Lima e non con quel freddo. Fu la prima volta perciò che vide uno stabilimento che aveva tutta l’aria di essere una stalla, e arricciò il naso (fu davvero più forte di lui) quando Blaine fece per entrarci.
“Mi pare di capire che tu non sia un amante della campagna.”
Kurt gli offrì un sorrisetto sarcastico. “Non saprei proprio da cosa potresti capirlo.”
Blaine rise più forte a quel punto, trascinandolo con sé dentro la stalla (okay, Kurt doveva ammettere che sembrava davvero pulita e tenuta molto bene). Fecero qualche passo, e fu in quel momento che Kurt lo vide.
Il suo primo istinto fu quello di coprirsi lo stomaco con le braccia, perché non era possibile. Il secondo, di cercare di concentrarsi in modo da non far cadere le lacrime che si stavano annidando nei suoi occhi. Guardò Blaine, poi di nuovo davanti a sé, le dita che tremavano leggermente.
“E’ per te.”, disse semplicemente Blaine, indicandolo con le dita di una mano sola. “So che hai detto tutta quella cosa sui regali, ma…ho solo tentato di capirti. Ho visto quanti libri leggi che parlano di cavalli, ed equitazione, e ricordo che tuo padre mi parlava spesso del fatto che lui e tua madre ti portavano a cavalcare. Lo restituisco, se non lo vuoi.”
“No.”, sputò Kurt, forse con un po’ troppa convinzione e la voce troppo alta. Si avvicinò con qualche passo incerto al bellissimo cavallo bianco che aveva davanti – i suoi occhi erano tondi e marroni, la criniera fatta di lunghissimi fili bianchi che terminavano con un grigio accennato. “N-non restituirlo. Lo voglio tenere.”
“E’ tuo.”, disse semplicemente Blaine. La voce calma, come se non si aspettasse niente. “Puoi scegliere il suo nome, cavalcarlo quando vuoi.”
Kurt si avvicinò al cavallo accarezzandogli il muso con estrema delicatezza, gli occhi umidi e la punta del naso leggermente arrossata. Sembrava perso in lontani ricordi, e Blaine pensò per un attimo di lasciarlo solo, quando Kurt iniziò a parlare.
“Almeno due domeniche del mese il papà e la mamma mi portavano a cavalcare, giù ai grandi laghi.”, soffiò pianissimo. “Papà non era capace, ma la mamma sì. Era bravissima, avresti dovuto vederla. Mi ha insegnato tutto quello che c’è da sapere, ogni trucco, come andare veloce e sfidare il vento. È morta quando avevo otto anni. Stavamo tornando dai grandi laghi. C’era buio, papà era molto stanco. Perse per un attimo il controllo del volante, e la mamma…”
Blaine lo vide tremare visibilmente, e si avvicinò a lui con un piccolo passo, però senza toccarlo. “Mi – mi dispiace.”
“Non le ho detto nemmeno addio, capisci? Quel pomeriggio lei c’era, la sera siamo tornati a casa senza di lei. Così, sparita.”, soffiò, accarezzando sempre il cavallo con forse troppa precisione. “Non ci siamo tornati per un bel po’ ai grandi laghi. Abbiamo ricominciato dopo diversi anni, ma io a un certo punto sono cresciuto e sono diventato abbastanza stronzo, e mio padre smise di insistere. Non cavalco da allora.”
“Credi di esserne ancora capace?”
Kurt aggrottò la fronte. “Non è qualcosa che ti dimentichi, Blaine. E’ come andare in biciletta. Una volta che il tuo corpo ha imparato, sa come fare anche se smetti di farlo per tanto tempo.”
Blaine annuì, guardando il terreno sotto di loro. “Come lo chiamerai?”
“E’ banale se ti dico Neve?”, borbottò Kurt. “Per lo solite stronzate che è bianco e mi ricorda la purezza…qualche volta anch’io dovrei fare la persona ordinaria, temo.”
“Neve non è banale. Mi piace.”, disse piano Blaine, allungando le dita per accarezzarlo insieme a Kurt. “…sei sicuro che non ti sei arrabbiato?”
A quel punto le dita di Kurt si incastrarono nella criniera di Neve, mentre il suo labbro inferiore tremava leggermente – e non per il freddo. “Stai zitto, sciocco.”, soffiò appena, tirando su con il naso e ruotando il corpo per immergere la testa nella sua spalla, aggrappandosi forte alla sua schiena. “E’ la cosa più bella che qualcuno abbia mai fatto per me.”
Blaine si ritrovò a sospirare uno stupidissimo “Oh”, mentre raccoglieva Kurt tra le braccia e lo stringeva forte, sentendo il cuore perdere il ritmo normale dei battiti e riacquistare forza piano piano, mentre si abituava alla consistenza del corpo di Kurt contro il suo.
“Blaine?”, lo chiamò estremamente piano Kurt, senza muoversi. “Perché ti sprechi così tanto per una persona come me?”
Blaine avvolse i suoi fianchi con più forza. “Perché a volte sei così forte che ti dimentichi che anche tu puoi soffrire.”, disse pianissimo. “Perché anche tu hai delle crepe. Voragini da colmare. Perché per quanto continui a ripeterti che non ti importa, in realtà secondo me tu provi il triplo delle cose che provano le altre persone. E ti fa male. E va bene così, se fa male. Non devi essere da solo.”
Kurt lo strinse così tanto a quel punto che Blaine temette di poter scomparire dentro di lui, a un certo punto, ma lasciò che fosse così, lasciò che Kurt lo amasse come era capace di amare in quel modo piccolo e fragile in mezzo al nulla, e chiuse gli occhi.
Quando si staccarono, calde lacrime erano cadute dagli di Kurt, i suoi che scivolavano ovunque. “Ti dispiace se, uhm – lo porto a fare un giro? Avrei davvero bisogno di…”
“Certo che puoi. Certo. È tuo, te l’ho detto.”, si affrettò a dire Blaine. Non ci pensò nemmeno quando lo fece – alzò una mano e accarezzò una guancia di Kurt trascinando via le lacrime una per una, Kurt che teneva gli occhi fissi su di lui, aperti e bellissimi e increduli, e Blaine che lo toccava come se fosse fatto di vetro.
“Solo…stai attento, okay?”, mormorò Blaine. “E non tornare quando comincia a fare buio.”
Kurt alzò giocosamente gli occhi al cielo, ridacchiando appena (buffo pensare che la sua risata assomigliasse a un tintinnio di campanellini). “Promesso.”
 
*
 
I giorni passarono ricordando loro che avevano una data di scadenza.
Ogni giorno Blaine aveva qualcosa di nuovo da insegnare a Kurt, e Kurt aveva qualcosa di nuovo da insegnare a Blaine. Un filo che si attorcigliava su se stesso. Un libro fatto di pagine bianche che non aspettavano altro di essere riempite di inchiostro.
Blaine iniziò a chiedersi se si potesse amare qualcuno che non sapeva nemmeno come amare se stesso. Se si potesse amare qualcuno di rotto, qualcuno che aveva avuto bisogno di vendersi per sentirsi vivo, qualcuno che si era aggrappato alla vita per anni semplicemente lasciandosi ferire, perché era semplice pensare che fosse giusto così.
Si chiese per la prima volta come poterlo amare così. Si chiese se ci fosse riuscito, alla fine di tutto.
(Più vedeva il sorriso piccolo di Kurt e i suoi occhi cerulei posarsi sul mondo, più pensava che sì, poteva farcela).
Non era necessario che fosse semplice, però. E questo lo capì qualche giorno della fine della scadenza, qualche giorno prima che il mese terminasse.
Mentre lui era a letto e leggeva con i suoi soliti occhiali, Kurt entrò in camera sua con una foto stropicciata tra le mani, gli occhi lucidi e contornati di rosso di una persona che non capisce o non vuole capire.
Il respiro di Blaine gli si bloccò nella gola in un primo momento, prima che si concentrasse e cominciasse a pensare a qualsiasi cosa da dire. “Kurt, ascoltami, prima di –”
“Dare di matto? Troppo tardi.”, soffiò Kurt, sventolando la foto tra le mani, le labbra che si arricciavano in una smorfia contrita. “Che cazzo ci fa una mia foto tra le tue cose, Blaine? Una mia foto di quando avevo – quanti, diciassette, diciotto anni? Non ce l’ho portata io questa foto qui, è sempre stata in casa mia e ricordo che a un certo punto era sparita –”
“Me la diede tuo padre.”, lo interruppe Blaine, puntando gli occhi nei suoi e respirando piano, cercando di racimolare coraggio per affrontare quella conversazione adesso, adesso quando finalmente tutto stava conoscendo l’inclinazione giusta. “Ti prego, dimmi che mi ascolterai.”
Kurt non era arrabbiato, era di più. I suoi occhi gridavano incomprensione e malinteso e orrore, ma annuì. “Ho altra scelta, Blaine?”
Blaine a quel punto chiuse il libro davanti a sé, appoggiando gli occhiali lì di lato e passandosi sugli entrambe le mani, respirando a fondo. “Quando dissi ai miei genitori che ero gay mi cacciarono di casa.”
Una pausa, nella quale Kurt deglutì.
“Non ebbi il tempo di fare molto. Ci furono urla, mia madre venne zittita da mio padre che mi disse senza mezzi termini che dovevo sparire dalle loro vite. Ordinò a un maggiordomo di prepararmi la valigia e nel giro di qualche ora ero sulla soglia della mia stessa casa senza poterci nemmeno entrare. Con qualche telefonata riuscirono a farmi avere un posto alla Dalton di Westerville, una scuola privata. Dovevo solo salire su un taxi e andarci di mia spontanea volontà, non farmi più vedere. Non lo feci. Dissi al tassista di portarmi dovunque potesse arrivare con venticinque dollari. Mi lasciò a ai confini di Lima, in una tavola calda. Lì ci lavorava tuo padre.”
Le spalle di Kurt si rilassarono improvvisamente.
“Mi tenne d’occhio tutta la sera, e a orario di chiusura, vedendo che non accennavo ad andarmene, mi si sedette vicino. Non so cosa successe. Non avevo ancora pianto. Lo feci non appena tuo padre aprì bocca. Mi chiese, c’è qualcosa che non va? E io solo – piansi. E lui mi tenne stretto. Nemmeno mi conosceva, eppure fece quello che né mia madre né mio padre erano stati in grado di fare.”
Kurt non riuscì più a stare in piedi, crollando sulla parte finale del letto.
“Gli raccontai ogni cosa. Mio padre è sempre stato famoso, Burt sapeva chi era, ma non ebbe paura di aiutarmi. Mi disse che se non me la sentivo di andare alla Dalton, potevo venire a stare da lui. Mi disse di avere un figlio che aveva più o meno la mia età, che era gay anche lui, e che ci saremmo capiti. Che saremmo potuti diventare amici. Io decisi di non seguirlo, ma di andare alla Dalton come avevano deciso i miei genitori. Burt si offrì di accompagnarmi, mi diede il suo numero di telefono e mi offrì un pasto caldo, e mi disse di chiamarlo ogni volta che avessi avuto bisogno di lui. E così feci, Kurt. Ogni volta che ero in difficoltà, che credevo di non farcela, io chiamavo tuo padre. Qualche volta venni anche a casa vostra, ma tu non c’eri mai. Penso che non volesse…che i due mondi si scontrassero. Fui il primo a chiedergli di non dirti di me. Non volevo pensassi che ti stavo portando via tuo padre.”
Kurt allora ricordò. Ricordò le notti in cui Burt usciva con il buio e la nebbia e tornava solo a notte fonda, e lui ingenuamente aveva pensato che lo facesse per turni di lavoro extra o per divertirsi – aveva già cominciato a prostituirsi, allora, e non gli era stato difficile pensare che suo padre andasse in cerca di quello. Era un uomo, aveva dei bisogni, e Kurt non aveva fatto domande.
“Non mi ha mai parlato di te.”
“So che non l’ha fatto.”, disse velocemente Blaine. “Quando terminai gli studi alla Dalton, mi offrirono una borsa di studio per continuare a studiare lì canto corale con una ristretta cerchia di studenti. Poteva sembrare stupido, ma mi piaceva cantare e alla Dalton mi sentivo al sicuro, così dissi di sì. La decisione non doveva essere sfuggita ai miei genitori. Mi pregarono di tornare con loro con telefonate e lettere e messaggi di ogni tipo. All’inizio tentai di evitarli, ma alla fine cedetti, perché avevo sempre voluto riconciliarmi con loro. Erano…erano la mia famiglia, e io…volevo solo che mi amassero. Solo quello. Capisci?”
Kurt non ebbe la forza di annuire.
“In realtà fu una trappola. Mio padre mi propose un accordo molto semplice, io - avrei dovuto smetterla di comportarmi da frocio – così come disse lui – e fingere di essere il loro figlio modello. Etero. In cambio avrei avuto la sua casa, i suoi soldi, la sua ditta, i dipendenti, ogni piccola cosa. Se non avessi accettato, mio padre…m-minacciò di rinnegarmi. Disse chiaramente che non avrebbe voluto vedermi mai più. Non riuscii a dirgli di no.” Blaine strinse le lenzuola tutte attorno a sé. “Tuo padre era davvero molto deluso, ma non riuscì mai a sgridarmi. Accettò la mia scelta, e promise di non andarsene mai. Pochi mesi dopo che io avevo cominciato a lavorare per mio padre, venne a cercarmi per dirmi che stava per morire.”
Kurt abbassò lo sguardo. “E’ stato allora.”, soffiò. “Che ti ha proposto il contratto.”
“Sì.”, disse impercettibilmente Blaine. “Avevi poco più di diciotto anni. Mi fece vedere una tua foto, mi disse che avevi già perso tua madre e che non poteva permettersi che perdessi qualcun altro. Non…non voleva restassi solo. E sapeva quanto sarebbe stato difficile trovare qualcuno per me per via dell’accordo con mio padre, così semplicemente…mi chiese di sposarti.”
“Tuo padre è morto, però.”, disse qualche istante dopo Kurt. “Ne parlarono tutti i giornali.”
“Il Settembre dell’anno scorso. C’è chi dice avesse troppi nemici. Non me ne sono mai preoccupato. Ha reso la mia vita un inferno, e in qualche modo continua a farlo anche adesso, anche se non c’è più. La peggiore è mia madre, comunque. Per la vergogna di un figlio gay e di un marito invischiato in chissà quali affari, è scappata con un tizio che ha la mia età dall’altra parte del mondo. Così ti fai un’idea delle grandi teste di cazzo che avevo per genitori.”
Un piccolo suono uscì dalle labbra di Kurt. “Così è questo che sarei. La tua garanzia.”
“Non sei mai stato solo una garanzia.”, disse piano Blaine, puntando gli occhi nella fotografia che Kurt teneva tra le mani. Anche Kurt la guardò, e fu allora che si alzò in piedi con uno scatto, passandosi le mani tra i capelli.
Fu allora che capì – che capì tutto quanto.
“Oh, non dire stronzate.”, sbottò, gettando la fotografia lontano. “Non dire quello che stai per dire. Non ci provare nemmeno.”
“Mi ero innamorato dell’idea di amarti.”, ammise Blaine, respirando appena, le labbra che tremavano insieme alle dita delle mani. “Tuo padre – ti descriveva in un modo che – tu eri tutto ciò che io non ero mai riuscito ad essere, Kurt. Così libero e spensierato e pieno di sogni, e così bello. Così dannatamente bello.”
Kurt spalancò gli occhi. “E’ così?”, quasi gridò. “Cos’è, ti toccavi prima di addormentarti guardando la mia foto? Oppure sei più un tipo che ha passato a mio padre lettere d’amore pregando che me le desse –”
“Smettila.”, sbottò Blaine, gli occhi finalmente lucidi e le mani che tremavano leggermente. “Solo – smettila. Non si trattava di usarti come un oggetto – come anche solo puoi pensarlo? Eri…eri tutto ciò che avevo. Qualcosa a cui mi aggrappavo, per sperare che un giorno avrei avuto qualcosa di migliore. Un’opportunità di amare. E non vedevo l’ora di conoscerti –”
“Bella fregatura, vero, incontrare poi un ragazzo senza cuore che andava a scopare in giro.”, lo interruppe Kurt, allargando le braccia.
“Tuo padre mi aveva detto cosa facevi. E aveva pianto una notte intera dicendomi che non sapeva cosa fare per impedire che accadesse. E a me – non me ne importava nulla, Kurt. Perché tu – dio, tu non eri quello che facevi.”
“Non mi conoscevi nemmeno.”, disse Kurt, pungente e forte. “Non mi conosci nemmeno adesso. Sei – sei patetico, ti sei legato a me senza nemmeno sapere chi fossi –”
“Sì, va bene? Sono patetico!”, gridò Blaine, alzandosi in piedi e lanciando il libro lontano, che creò un tonfo che fece sussultare Kurt. “Hai ragione. Ho avuto così tanta paura di restare solo che mi sono aggrappato alla prima debole speranza di avere qualcuno accanto. E sapevo che era sbagliato. Sapevo che costringerti a conoscermi sarebbe stato orribile – ognuno di noi ha il diritto di innamorarsi, conoscere qualcuno e apprezzarlo per quello che è. Anche noi abbiamo quel diritto. Eppure, Kurt – io ti guardo, e più ti guardo e più penso che non me ne frega niente di quel fottuto diritto. Perché mi sarei innamorato di te comunque.”
Kurt a quel punto fece di no con la testa, sbuffando appena. “No.”, disse semplicemente. “Non c’è niente che puoi amare in me, niente. C’è tutto vuoto qui dentro, un enorme vuoto, non è rimasto niente. Non puoi amare qualcuno che è così. Non puoi, fine della storia.”
“E se ti dicessi che posso?”, soffiò Blaine, facendo un passo verso di lui, una lacrima che scendeva lungo la guancia. “Se ti dicessi che posso combattere. Che andrebbe bene se mi ferissi, perché non mi importa. Che lo voglio, che ti voglio. Che ho più paura di stare senza di te che con te. Lasceresti che ti ami?”
Kurt aprì la bocca, un piccolo rantolo che abbandonò le sue labbra. “B-Blaine.”, disse soltanto, come una supplica, come un Per favore non permettermi di farti questo, come un Ti prego liberami, liberaci, o finiremo per farci così male da non riuscire a uscirne.
Blaine afferrò il suo viso, delicatamente e pressando i pollici attorno alle sue guance, facendo sfiorare le loro fronti. “Lasciamelo fare.”, soffiò appena, chiudendo gli occhi ed annegando.
Kurt si morse forte il labbro inferiore. “Non sono il ragazzino che c’è nella foto.”, mormorò pianissimo. “Pieno di sogni ed ambizioni. Sono la sua ombra. Ti faresti solo del male.”
“E allora fallo, feriscimi.”, disse appena Blaine. “Ma feriscimi restando. Fammi capire a cosa ci può portare tutto questo. Non scappare, Kurt.”
E Kurt ci provò. Ci provò davvero a rimanere, a guardare Blaine negli occhi – ma finì per fare un passo indietro. Raccolse le dita di Blaine sul suo viso per allontanarle dalla sua pelle, stringendosi forte le braccia al petto e sembrando senza fiato.
“Io solo – devo…ho bisogno di pensare, ci sono – troppi pensieri. Troppo tutto.”, borbottò, strofinandosi gli occhi forse troppo bruscamente. “So che tu non c’entri ma mio padre non aveva il diritto di – di intromettersi così tanto nella mia vita e nella tua, non aveva il diritto di farsi carico della mia solitudine, e per dio, ho solo – bisogno di stare da solo. Per un po’. Lasciami da solo per un po’.”
 
Blaine lo fece, lo lasciò da solo per un po’.
Anche se quello significava non avere la minima idea di dove Kurt fosse andato – Ti prego fa che non si sia gettato via Ti prego non ancora non di nuovo.
Trovò la forza di lasciare la propria camera da letto solo per andare in cucina e bere da una vecchia bottiglia che un suo collega gli aveva regalato di buon vino – vi immerse le labbra dentro e fece una smorfia, perché la verità era che a Blaine piaceva il vino, Blaine - lui non sapeva comportarsi come suo padre, non sapeva essere suo padre. Gettò il vino restante nel lavandino e ripiegò facendosi una cioccolata calda che fece bollire forse un po’ troppo, che sistemò in una tazza sbeccata leggermente al lato (non riusciva comunque a separarsene perché era la tazza dalla quale Kurt beveva ogni mattino da quando era arrivato).
E Blaine era talmente concentrato nel bere la sua cioccolata, che non si rese conto che nel frattempo Kurt era tornato. Lo stava osservando dallo stipite della porta, finchè entrò lentamente passeggiando come un gatto sinuoso e rubò dalle mani di Blaine la tazza, bevendo un sorso di cioccolata e rabbrividendo per il contatto delle dita freddo-caldo. Blaine vide i suoi capelli bagnati e capì che fuori stava piovendo; aveva gli occhi cerchiati di rosso ed era chiaro che qualche lacrima fosse scesa, ma non avrebbe indagato.
“Prima che tu possa dire qualcosa, non sono andato a…”, la frase di Kurt sfumò, mentre lui tirava su con il naso. “Ci ho pensato. Non ti negherò questo. Sarebbe stato così dannatamente facile, e tu avresti avuto la conferma di che persona sono. Perché non scherzo quando dico che non c’è rimasto niente dentro di me, Blaine. C’è solo vuoto, c’è solo buio, e ho capito quanto buono sei, e ho solo paura che tutto ciò che mi porto dentro possa…possa distruggerti. Probabilmente lo farà. Quindi ho pensato, perché no, perché non mi faccio semplicemente scopare da un altro confermandogli che non vale la pena combattere per me. Ma poi ho pensato…”, Kurt tremò a quel punto, stringendo forte la tazza mentre i suoi occhi vagavano sul pavimento. “Ai tuoi occhi. Al modo in cui si posano sul mondo. A quello che c’è dentro. Purezza. Sei incontaminato. E credimi quando ti dico che là fuori ci sono almeno un milione di ragazzi che potrebbero amarti veramente, e meglio. E ti renderebbero felice, senza battaglie. Eppure, per qualche strano motivo, tu sei proprio qui e io in un mese non sono ancora andato via. Assurdo, non trovi anche tu che sia assurdo, Blaine? Sono una puttana, questo sono, dovrei trovare il coraggio di saltare da un letto all’altro, eppure non trovo il coraggio di andarmene da te.”
 Blaine sbattè le palpebre troppo velocemente e si ritrovò ad abbassare lo sguardo.
“…n-non l’ho mai fatto perché mi piaceva, Blaine.”, soffiò pianissimo Kurt, e Blaine capì che finalmente stava accadendo, Kurt si stava liberando. Aveva scelto uno strano momento per farlo, ma Blaine lo apprezzava comunque. “C’è stato un periodo della nostra vita in cui eravamo letteralmente senza soldi e mio padre non sapeva più cosa fare, era spezzato per i tripli turni e io me ne stavo a casa a lamentarmi perché non avevo le stesse cose che avevano gli altri. E così accadde. Presi in uomo di mezza età per mano, un amico di mio padre, sposato e con dei figli, e lo portai in camera mia. Non fu gentile. Fu orribile. E ho rimosso la maggior parte delle cose che mi ha fatto e non voglio nemmeno ricordare i lividi che sono nati il giorno dopo. Per fortuna la scusa dei bulli funzionava ancora.”, borbottò, passandosi una mano tra le ciocche di capelli cadute sulla fronte. “E’ partita così, come un modo di salvarci. E poi mi sono reso conto che in qualche modo, quando la gente entrava dentro di me così bruscamente senza nemmeno chiedersi che storia avessi, cosa mi portassi dentro, io ero lì, e sentivo di esistere. Mi sentivo vivo. Per almeno cinque minuti e per una persona io ero qualcuno. Pur sempre una puttana, ma qualcuno.”
La tazza cadde, dopo quelle parole. Le dita di Kurt che tremavano così forte che Blaine ne fu spaventato.
“E-ed è s-solo che d-da quando s-sono qui n-non ho b-bisogno di t-tutte quelle stronzate p-per s-sentirmi vivo, perché c-ci pensi t-tu. A f-farlo. A farmi sentire vivo.”
“Shhh.”, lo interruppe Blaine, facendo un passo in avanti e raccogliendolo tra le braccia, immergendo le dita tra i suoi capelli e deglutendo per impedirsi di piangere. “Shhh, ti tengo. Ci sono io.”
Kurt singhiozzò, forte; proprio nell’incavo nel suo collo mentre si aggrappava a lui con entrambe le mani e si sfogava. “V-voglio davvero smettere Blaine. Voglio smettere. Voglio smettere.”, ripeteva, e Blaine gli baciò la linea del collo e gli disse “Lo so”, perché davvero lo sapeva, lo sentiva sulla pelle, e avrebbe fatto ogni cosa che era in suo potere per proteggere quel piccolo bocciolo fragile.
Kurt non si concesse molto tempo per piangere, comunque. Tirò su con il naso e puntò la distesa dei suoi occhi d’oceano in quelli di Blaine, mordendosi il labbro inferiore appena appena.
“Sì.”, disse tutto d’un tratto. E naturalmente, Blaine non capì.
“Sì cosa, amore?”
Kurt deglutì nel sentire quell’appellativo improvvisato, un tonfo al cuore che gli portò via il respiro per dei secondi buoni. “Sì, ti sposerò.”, mormorò pianissimo Kurt, trascinando via con un singolo dito una lacrima che era scesa.
Blaine parve paralizzarsi. “Perché?”
“Perché sono egoista.”, mormorò Kurt, premendo le dita contro il petto di Blaine, nel punto in cui batteva il cuore. “Perché voglio questo, nonostante sappia che non me lo merito. Perché sarei uno stupido a non lasciartelo fare. Ma più di tutto, perché avevi ragione. A nessuno piace stare soli.”
Le labbra di Blaine si aprirono in un minuscolo, lieve sorriso. “D-davvero?”
“Davvero.”, asserì Kurt, annuendo appena. “Però voglio che tu me lo chieda ufficialmente.”
“Oh. Oddio. Ma certo. Aspetta un secondo.”, borbottò Blaine, sparendo per un attimo su per le scale e tornando già qualche secondo dopo, con in mano una scatoletta blu. Si inginocchiò di fronte a Kurt, i riccioli che svolazzavano ovunque sul suo viso, le gote arrossate, bello e giovane da far male.
“So che questa è una follia.”, esordì Blaine, deglutendo e sembrando davvero emozionato, fino alla fine del cuore. “E so che non ci credi ancora, non tanto quanto ci credo io. Forse siamo entrambi due giocattoli rotti. Forse dobbiamo solo imparare a funzionare. E lo faremo, insieme. Te lo prometto. Ma voglio fare quello che non ha mai fatto nessuno prima d’ora, Kurt: voglio prendermi cura di te.”
Kurt fremette visibilmente a quelle parole. Blaine estrasse l’anello, un cerchio argentato e con tre minuscoli diamanti incastonati sul davanti, un taglio netto e maschile e a dir poco perfetto. Oltre che costoso, su quello non c’erano dubbi.
“Quindi, Kurt Hummel.”, mormorò Blaine, afferrando la sua mano. “Smettiamola di vivere nell’ombra e cerchiamo un po’ di luce, cosa ne dici?”, disse piano e sorridendo. “Sposami.”
Kurt non si diede il tempo di respirare. “Sì.”, disse, forte e sicuro. Perché se c’era luce nella sua vita, quella era Blaine. Se c’era speranza, quella era ancora Blaine.
Blaine fece scivolare l’anello sull’anulare di Kurt – e rimase lì, un fascio di luce sulle sue dita lunghe, e per un attimo Kurt si sentì senza respiro, perché non riusciva a credere che una persona come lui potesse avere quel privilegio. I suoi occhi alla fine si immersero in quelli di Blaine, i loro corpi che si avvicinavano cercandosi, annullando la distanza, rompendo ogni barriera.
“Sai.”, soffiò a quel punto Kurt, sollevando la mano con l’anello tra i riccioli di Blaine, attorcigliandone uno con cura per giocarci. “A questo punto penso tu debba baciarmi.”
E non era una richiesta subdola. Una costrizione, perché c’era l’anello, per tutte le confessioni che c’erano state prima, per le lacrime, per gli abbracci. Era un Baciami perché ne ho bisogno. Così Blaine sollevò entrambe le mani per contornare il volto di Kurt, estremamente delicato e gentile come nemmeno pensava di poter essere, il respiro caldo ed irregolare che si infrangeva sulla pelle di Kurt.
“Voglio baciarti, ma non so se ne sono capace.”
Gli occhi di Kurt brillarono a quel punto, in un cenno di movimento – Blaine avrebbe osato dire che le guance di Kurt si fossero addirittura imporporate, cosa a dir poco impossibile perché Kurt aveva fatto cose a uomini e uomini avevano fatto cose a lui che Blaine non riusciva nemmeno ad immaginare, eppure eccole lì, come due boccioli di rosa, le sue guance si stavano pian piano trasformando.
“Tu provaci.”, disse, libero e disinibito e provocatorio e timido tutto insieme, tutto in un miscuglio che Blaine amava e che lo faceva impazzire, e così chiuse gli occhi, e premette le sue labbra su quelle di Kurt.
Blaine aveva immaginato molte volte come poteva essere. Forse un uomo dovrebbe sapere com’è baciare una puttana. Rude, famelico, dolce, impacciato. Non fu niente di tutto questo. Fu di più. Fu immenso, e non c’erano parole. Completamente diverso dal bacio che si erano scambiati la prima volta che si erano visti, quando Kurt aveva tentato di sedurlo. Un bacio di due persone che vogliono scoprirsi. Perché neanche per un secondo, neanche per un secondo, Kurt lasciò trapelare ciò che per tanto tempo aveva cercato di far credere.
Blaine non seppe dire per quanto tempo le sue labbra non lasciarono andare quelli di Kurt.
Sapeva solo che più lo baciava, più gli sembrava di non averne mai abbastanza.
 
*
 
Blaine credeva di aver imparato qualcosa su Kurt, di aver visto almeno qualche crepa, ma l’interno di quell’involucro fragile e spezzato venne fuori - tutto dopo. In cose semplici e inaspettate, come il caffè che Kurt si ostinava a voler preparare dopo che finalmente aveva imparato come farlo, o il voler sapere a tutti i costi la trama del libro che Blaine stava leggendo, a volte pretendendo di conoscere il finale e arrabbiandosi se Blaine non voleva dirglielo, per non rovinargli la sorpresa.
Decisero la data del matrimonio, entrambi d’accordo sul non aspettare troppo. Fine Dicembre, che sarebbe stato quasi cinque settimane dopo.
Kurt non perdeva occasione di ricordare a Blaine che voleva per lo meno occuparsi dei preparativi. Scelse luogo, ristorante e menù – e fu più o meno allora, in una sera in cui Blaine a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti, che venne fuori il discorso ospiti.
“Non voglio invitare nessun parente.”, ammise pianissimo Kurt, seduto sulle gambe di Blaine, mentre giocherellava con i riccioli della sua nuca. “Mio padre ha questa sorella…non ti piacerebbe. È sorda, comunque. Non capirebbe nemmeno il motivo dell’invito. Il resto della famiglia ha smesso di preoccuparsi di noi quando è venuto fuori che sono gay.”
Blaine gli accarezzò dolcemente la coscia. Era – dolce, sì, il fatto che ci fossero quei piccoli gesti, senza coinvolgere qualcosa di prettamente sessuale, senza che Kurt si sentisse un oggetto.
“Beh - io pensavo di invitare i miei colleghi, e qualche amico stretto. Non deve essere necessariamente qualcosa di grande.”
“Blaine.”, borbottò Kurt. “A Lima, chiunque sa chi sei.”
“Sarà comunque una cerimonia privata. Se non vuoi che qualcuno entri, basta che tu me lo dica e gli verrà impedito di entrare.”
“Mi piace quando sei autoritario.”, scherzò Kurt, strofinando il naso sul suo petto come un piccolo gattino in cerca di coccole, che Blaine effettivamente gli offrì. Sospirò.
“Devi avere degli amici.”, disse pianissimo, la mano che si perdeva tra i fili dei suoi capelli. Kurt rabbrividì appena.
“Beh…c’è qualcuno.”, mormorò pianissimo, le dita che si aggrappavano al maglioncino di Blaine. “Vorrei tanto che ci fossero, ma non so…non so se a loro farebbe piacere vedermi.”
Ci fu silenzio per qualche istante.
“Non accettavano il mio lavoro.”, disse Kurt poco dopo, la voce ridotta a un filo fragile. “E le capisco, insomma – loro volevano proteggermi. Con il tempo hanno smesso di sprecare fiato.”
“Ma tu vuoi loro ancora bene.”
“Non ho mai smesso.”
Blaine posò due singole dita sotto il mento di Kurt, sollevandogli il volto per guardarlo negli occhi. “Hai il diritto di avere le persone che ami per quel giorno. Chiamale.”
“E se ne vengono?”
“Verranno.”, disse Blaine, e baciò Kurt di slancio perché poteva, ora poteva baciarlo e poteva annegare e poteva impadronirsi di quelle labbra perfette. “Tu credici.”
 
Qualche giorno dopo, Kurt tornò a casa con tre ragazze che non potevano essere più diverse.
Una di loro era piccola, semplice e scialba, e disse di chiamarsi Rachel; una era robusta e di colore ed era sempre sorridente e non aveva mai lasciato andare la mano di Kurt. L’altra era tutta un borbottio, si chiamava Santana ed era bellissima, esuberante ed ispanica, e probabilmente madre, dal modo in cui rimproverava Kurt di mangiare in continuazione.
Blaine le lasciò sole per tutto il pomeriggio, e non fece domande quando Kurt la sera, dopo averle salutate, aveva gli occhi contornati di rosso e il viso stanco eppure vagamente felice, un sorriso piccolo che gli colorava le labbra. Lo tenne con sé, baciandogli la fronte, e Kurt tutto contento a un tratto gli disse che sarebbero venute – e Blaine lo baciò. “Visto?”, gli chiese. E Kurt lo baciò ancora più forte.
 
*
 
Blaine gli trovò un lavoro.
Sapeva che a Kurt non piaceva molto essere aiutato, ma sapeva anche quanto quel tipo di lavoro lo avrebbe reso felice. Aspettò un mattino, poco prima di uscire, arrampicandosi sul letto e schioccando un bacio sulla guancia esposta di Kurt.
“Ti ho trovato un lavoro. Non ti arrabbiare.”
Kurt grugnì per tutta risposta, facendo ridacchiare Blaine.
“C’è un allevamento di cavalli a sei chilometri da qui, lo gestisce una mia amica. È a corto di personale in questo periodo, e ho proposto di avere un piccolo colloquio con te.”
Kurt sembrò improvvisamente un po’ più sveglio. “Blaine.”, soffiò. “Io i cavalli li so cavalcare, non allevare. Non sono adatto. Chiamala e diglielo.”
“Tu provaci.”, borbottò Blaine. “Se non sei capace te lo dirà. Ma non sei uno che getta la spugna senza almeno provarci, no?”, un altro bacio, questa volta sulla tempia. “Stasera ti aspetta dopo cena in un locale qui in centro, ci vai a parlare e senti cosa ha da dirti. Ti troverai bene, ne sono sicuro.”
Blaine fece per sgusciare via dal letto, ma una mano estremamente calda si infiltrò nella sua, costringendolo a fermarsi. Gli occhi di Kurt erano caldi nonostante fossero inondati di azzurro e di verde, le sue guance di nuovo leggermente rosse.
“Grazie, Blaine.”, disse in un mormorio - ed era il ringraziamento più speciale che Blaine avesse mai ricevuto.
 
Kurt cenò con lui qualcosa di veloce, quella sera, indossando abiti concisi e che gli donavano davvero molto per incontrarsi a Lima con Caroline, l’amica di Blaine che aveva l’allevamento. Blaine insistette per andare con lui – non che non volesse lasciare che fosse indipendente, ma aveva davvero voglia di stargli vicino, ma Kurt brontolò qualcosa sul fatto di dover rimanere da solo per dimostrargli che poteva farcela, e lo lasciò con un bacio leggero sulle labbra.
Blaine si era portato del lavoro da fare, quella sera. Qualcosa che lo tenne completamente e inevitabilmente assorbito fino a mezzanotte passata. Quando se ne accorse si strofinò gli occhi e perse un battito di cuore, perché – sapeva quanto a Caroline piacesse parlare, ma allo stesso tempo stentava a credere che stesse trattenendo Kurt così a lungo. Si chiese se fosse stato così concentrato sui propri lavori da non sentire Kurt tornare dal suo studio, ma dovette ricredersi quando vide che nella camera di Kurt non c’era nessuno. Kurt aveva quest’abitudine di dargli la buonanotte, comunque, anche se stava lavorando.
Sapeva che andava contro le regole, sapeva che aveva promesso di lasciarlo solo perché si fidava, ma a mezzanotte e ventinove minuti Blaine cedette e finì per chiamare Caroline, nonostante l’orario a dir poco assurdo. Lei rispose dopo una manciata di squilli.
“Come sta il mio uomo d’affari preferito?”, squillò dolcemente. Blaine lasciò poco spazio ai convenevoli, scusandosi per l’ora tarda.
“Ti chiamo perché…”
“Perché vuoi sapere che decisione prenderò con Kurt. So che non riusciresti mai ad aspettare fino a domani mattina –”
“In realtà, per chiederti se è ancora con te.”, la interruppe Blaine, mordicchiando la punta del proprio pollice quasi con avidità. La voce di Caroline andò disperdendosi.
“Ci siamo congedati quasi un’ora fa, Blaine.”, soffiò lei. “Non è tornato a casa?”
Il cuore di Blaine precipitò nel suo stomaco, il corpo che si tendeva come una corda di violino quando realizzò cosa quello esattamente significasse. Corse verso il corridoio d’entrata velocemente, afferrando le chiavi di una delle sue macchine, stringendo tra le mani il telefono così forte da temere di spezzarlo.
“Ti richiamo appena so qualcosa.”, disse con poca convinzione, mentre tentava di allacciarsi il cappotto invernale e scivolava in macchina, al posto del guidatore. Fa che riesca a trovarlo.
 
In macchina, Blaine stava seriamente cominciando a congelare. Teneva il riscaldamento al massimo, ma per vedere meglio sulle strade il finestrino era aperto accanto a lui; e il fatto che non riuscisse a smettere di tremare era sicuramente dovuto non solo alle basse temperature di quella notte. Aveva paura; paura di non riuscire a trovare Kurt, paura di trovarlo, il che era assurdo – trovarlo mentre si svendeva, o peggio, di sentirsi dire che aveva rinunciato a tutti i suoi buoni propositi e aveva ricominciato.
Continuava a guardare il telefono, alla ricerca di un suo qualsiasi segnale. Gli sarebbe bastato qualsiasi cosa, anche un Addio scritto a quell’ora della notte, ma pensava di meritarselo. Meritava un fottuto grazie dopo quello che aveva tentato di fare. Voleva solo avere la certezza che stesse bene, solo quello.
Dopo quasi un’ora passata in macchina, Blaine pensò seriamente di coinvolgere qualcuno che lavorava per lui nella ricerca. Qualcuno che fosse più bravo di lui a rintracciare le persone. Sapeva che era qualcosa da pazzi, che se Kurt voleva andarsene era libero di farlo, ma in qualche modo c’era qualcosa dentro di sé che gli gridava che fosse successo qualcosa, come un mostro di paura che non poteva fare altro che chiamare brutto presentimento.
Per l’ennesima volta afferrò il cellulare forse troppo bruscamente, con l’intento di chiamare qualcuno che lo potesse aiutare – e fu in quel momento che si rese conto, gli occhi stanchi e lucidi e le dita che tremavano, che proprio là sopra, sul bordo sinistro, c’era la notifica di un messaggio. Lo aprì, il cuore che sobbalzava quando vide che il mittente era Kurt.
C’era un semplice indirizzo, nulla di più. Scritto con maiuscole messe a casaccio, troppi spazi vuoti ed errori ortografici di poco conto, ma pur sempre troppo evidenti per una persona come Kurt. Blaine strinse il cellulare tra le mani. Doveva essere ubriaco. O peggio, si era lasciato trascinare da un suo cliente in qualche festa di quelle pensate per distruggere e ora eccolo lì, Blaine se lo immaginava barcollante mentre lo aspettava al freddo in una strada buia.
Meno di cinque minuti più tardi, Blaine svoltò l’angolo che portava all’indirizzo che Kurt gli aveva indicato. Procedette con assoluta calma, in un primo momento non vedendo nessuno per la strada, e accorgendosi forse fin troppo tardi della figura rannicchiata su degli scalini, il volto immerso tra le ginocchia, le mani coperte dai guantini che Blaine gli aveva prestato (e che gli avrebbe regalato, perché voleva che li tenesse lui). Blaine parcheggiò lì accanto, scendendo e sbattendo la portiera con fin troppa forza, con l’intenzione di urlare e sfogarsi e dire cose come Devi smetterla di gettarti via, io non ce la faccio più, quando si rese conto che qualcosa non andava.
I vestiti di Kurt, in primo luogo. Era uscito come al solito impeccabilmente, la camicia infilata nei pantaloni e un cappotto elegante a fasciargli il petto. Blaine si rese conto che nulla era rimasto come prima – i vestiti erano sgualciti, addirittura spezzati in certi posti; i capelli di Kurt erano in uno stato pietoso. Solo allora, quando Blaine guardò meglio, si rese conto che Kurt tremava. Ma non era decisamente un tremore dovuto al freddo – probabilmente in parte sì. Ma dentro c’erano mischiati dei piccoli singhiozzi.
A qualche passo da loro, una manciata di banconote gettate lì per terra, accartocciate sul marciapiede appena sporcato di ghiaccio.
La prima cosa che invase le vene di Blaine, fu rabbia. Perché era fin troppo chiaro quello che era successo, fin troppo chiaro, e lui aveva lasciato che accadesse, era stato così stupido, così ingenuo –
“Che cosa hai fatto –”, soffiò a quel punto, non riuscendo nemmeno a muoversi. “Me lo – me lo avevi promesso. Me lo avevi promesso, Kurt. Mi prendi – mi prendi in giro, è questo, e credi seriamente che non lo avrei capito –”
“Non lasciarmi.”
Le parole furono così flebili e fragili e così piccole che per un singolo momento Blaine pensò di essersele sognate, eppure rimasero lì, come un’eco tra di loro, a rimbalzare tra i loro cuori appesi a un filo. Blaine sentì la voce di Kurt – così scoperta, spogliata di malizia e completamente sua, e dio, quello era Kurt, un tipo di Kurt che Blaine doveva ancora scoprire ma che già amava, ed aveva così paura che faceva male al petto.
“Ti prego, non mi lasciare anche tu.”
Fu come se tutta la rabbia di Blaine fosse temporaneamente scomparsa, rannicchiata in un piccolo nido in una parte lontana del suo cervello e accantonata per un po’, almeno finchè Blaine non avesse capito, perché voleva capire. Si inginocchiò di fronte a Kurt, scegliendo di essere forte per entrambi anche se per buona parte della sua vita non era stato in grado di essere forte nemmeno per sé stesso, senza mai toccarlo.
“Parlami.”, soffiò a quel punto. “E solo – dimmi perché. Perché.”
Kurt sollevò il viso dagli avambracci e per la prima volta guardò Blaine dritto negli occhi, sembrando un gattino ferito e bisognoso di cure. “C-credi che l-lo abbia fatto perché lo volevo?”, gli chiese, la voce spezzata. Blaine aggrottò la fronte.
“Non lo so- non so perché lo fai. Non l’ho mai capito. E non dirmi che è stato un errore – se apri le gambe a un altro uomo non è un errore, Kurt –”
Kurt lo schiaffeggiò. Forte, per la seconda volta da quando si erano conosciuti, e Blaine pensò che probabilmente quello sarebbe diventato un loro rituale. Lui che diceva qualcosa di reale che faceva arrabbiare Kurt e Kurt che reagiva così. Si leccò le labbra, pronto per rispondere, per chiedere scusa, per fare qualsiasi cosa.
Kurt però lo baciò.
Fu talmente bello da sembrare un sogno – Kurt che pressava le labbra contro le sue così inaspettatamente, e con meraviglia, come un primo bacio. Immerse le dita nei suoi ricci, staccandosi appena solo per sospirare e singhiozzare, e poi lo baciò di nuovo, più forte, più forte ancora, mentre le lacrime cadevano giù bagnando i loro corpi. Fu Kurt a staccarsi, esattamente com’era stato lui a volere il bacio, e con estrema calma sfiorò la guancia di Blaine con due dita, esattamente dove lo aveva colpito. “Scusami.”, mormorò. Blaine era pietrificato dalla paura, dalla paura di quel gesto, e da quanto esattamente amasse quel ragazzo davanti a sé.
“Stavo per tornare a casa.”, disse Kurt, ed era come se stesse parlando dall’altra parte di un vetro, la voce ovattata e stanca. “S-stavo per chiamarti. Avevo voglia di vederti. Avevo voglia di farmi venire a prendere, come fa chiunque della mia età che ha un ragazzo. E di tornare a casa con te, e darti il bacio della buona notte. Mi sono fermato qui, perché c’era posto per sedersi. Non appena ho recuperato il cellulare, una macchina si è fermata e…”
Blaine chiuse gli occhi.
“Mi ha riconosciuto. È un…cliente abituale, se si può dire così. È – è vecchio. Ha una famiglia, una famiglia a casa che lo aspetta, ed è venuto qui, mi ha chiesto di andare nel motel più vicino. Ho detto di no.”
Il respiro di Blaine si bloccò nella sua gola.
“Ha cominciato a insistere. Gli ho ripetuto mille volte che avevo smesso, che non ero più…che non facevo più quel lavoro. Ha cominciato ad alzare la voce, è sceso dalla macchina. N-non so perché non ho urlato. Ero paralizzato dalla paura. Mi ha bloccato i polsi, e io gli dicevo no no no ti prego non farlo ma lui mi diceva di tacere, e mi ha trascinato in macchina.”
“No.”, soffiò Blaine, portandosi entrambe le mani nei capelli. Perché solo, no. “Ti prego, no –”
 “Ha f-fatto male.”, disse pianissimo Kurt, tirando su col naso. “S-sono abituato al dolore, ma non – non ne avevo mai provato così tanto. N-non riuscivo nemmeno a muovermi mentre mi strappava i vestiti, e non ho emesso fiato neanche dopo.”, sussurrò, per poi trasalire. “Ha usato il mio corpo come una valvola di sfogo, mi ha preso per i capelli e spinto fuori dalla macchina, dicendo che- che…”
“Non dirlo.”, soffiò Blaine, portandoselo vicino. “Kurt, ti prego, non dirlo –”
“Che non avrei mai smesso di essere la puttana che sono.”, mormorò Kurt, gli occhi rossi e che guardavano al di là di Blaine. “Mi ha gettato addosso una manciata di banconote, e poi è andato via.”
Fu come se ogni briciola di forza che era rimasta nel corpo di Kurt lo stesse abbandonando – il suo corpo finì per rannicchiarsi contro quello di Blaine, che lo accolse stringendolo e baciandogli i capelli, copiose lacrime che scendevano dai suoi occhi.
Questo sono Blaine.”, mormorò Kurt, non riuscendo nemmeno a muoversi. “Posso fare finta di star cambiando, ma ecco cosa rimango dentro, una puttana.”
Blaine non disse nulla per diverso tempo, immensamente triste ed arrabbiato e incredulo e troppo piccolo per tutto quel dolore, troppo piccolo per quel mondo, almeno finchè non trovò la forza di raccogliere il mento di Kurt per lasciargli un bacio sulle labbra – non gliene importava niente se erano state violate da qualcun altro, non gliene importava niente.
“Tu sei puro dentro.”, mormorò, lasciando scorrere le lacrime. “N-non importa quello che fanno con il tuo corpo, quello è solo l’involucro. Tu dentro sei rimasto te stesso. Coraggioso, forte, pungente, meravigliosamente tu. E possono sfregiare il tuo corpo, quello è vero. Ma non chi sei veramente. Non lascerò che nessuno si avvicini a quello che c’è dentro. Nessuno ti toccherà mai più.”
Kurt sbattè le palpebre una singola volta. “Come puoi farlo?”
“Lascia che ti protegga.”, sbuffò pianissimo. “Lascia che ti tenga con me. E ti prometto – ti prometto che finchè sarai al mio fianco, niente di ti farà del male.”
Un breve, minuscolo sorriso colorò le labbra di Kurt – e Blaine vide il movimento con la testa mentre stava annuendo debolmente, e in quel momento di buio, Blaine lo considerò un grido. Sì, salvami, ti prego - detto da una persona che non sapeva come usare le parole. Gli baciò la fronte, lo prese tra le braccia e lo trascinò nella sua auto, togliendosi il giaccone per tenerlo al caldo e sussurrando nel buio, Ora andiamo a casa.
 
Blaine sapeva che, che avere Kurt tra le braccia – piccolo inerme e tremante come un gattino appena nato – implicava poter fare di lui quello che voleva. Lo tenne stretto con la sensazione che se avesse lasciato andare la presa si sarebbe probabilmente sgretolato come vetro; e invece di dirigersi nella sua camera da letto, preferì portarlo nel bagno del piano di sopra, dove c’era la doccia.
Blaine non proferì parola mentre spogliava Kurt dei suoi vestiti logori. Gli occhi di Kurt erano puntati sul pavimento, le guance rosse e il blu sfuggente che scivolava ovunque, e Blaine pensò che fosse così bello da parte sua, avere ancora quella parte dentro di sé che provava vergogna, quella parte intima e nascosta che solo pochi privilegiati potevano vedere.
Quando Blaine ebbe finito, Kurt sollevò le braccia per coprirsi il petto, il naso rosso e la pelle troppo pallida per un ragazzo che veniva dall’Ohio. Blaine si premurò di aspettare che l’acqua della doccia diventasse calda a sufficienza e, quando lo fu, la indicò a Kurt, che però non sembrava voler muoversi. Forse anche un po’ per quello, Blaine cominciò a togliersi i vestiti un pezzetto alla volta, veloce e senza malizia e col pensiero fisso che lo stava facendo perché entrambi lo volevano - Kurt era lì che lo guardava con gli occhi persi ma senza paura, senza alcun tipo di paura.
Blaine gli tese la mano, e Kurt la afferrò con il più tenue dei tocchi.
L’acqua era bollente a contatto delle loro pelli, che si infiltrava tra i solchi e distendeva i nervi; Blaine fece voltare Kurt, permettendosi di indugiare sulla pelle lentigginosa delle sue spalle, dove poso un baciò casto prima di recuperare il doccia-schiuma e tracciare con le dita vie infinite su quella pelle candida. Kurt sospirava e a volte la sua voce perdeva controllo, e Blaine si rese conto perdendo un battito che i movimenti irregolari delle sue spalle erano da attribuire ai singhiozzi; Blaine si sollevò sulle punte, accartocciando i capelli di Kurt tra le dita e accarezzandolo con una dolcezza che pensava di non avere, mentre Kurt continuava nel suo pianto liberatorio.
Blaine lo fece voltare, lavandogli la parte anteriore del corpo. Kurt non disse nulla quando appoggiò la testa sulla spalla di Blaine e lasciò che lui tracciasse i suoi bicipiti, le linee sporgenti delle clavicole e poi giù lungo lo stomaco; e poi Blaine sussultò e trattenne il respiro e cercò gli occhi di Kurt, che si stava mordendo il labbro mentre i singhiozzi diventavano sempre più sporadici.
Fu Kurt a baciarlo.
Chiuse le labbra su quelle di Blaine pianissimo, come il ricordo di un tocco, e Blaine appoggiò una singola mano sulla linea della sua guancia per fargli capire che non avrebbe mai smesso di baciarlo se solo avesse potuto – inevitabilmente, i loro corpi finirono più vicini e le loro erezioni accennate scivolarono l’una contro l’altra, mentre Blaine gemeva con voce bassa e gutturale e Kurt si tendeva come un arco, sospirando pianissimo.
Blaine ebbe a malapena il tempo di un respiro, prima di realizzare quanto tutto quello fosse sbagliato – Kurt si fida di te, non fargli questo, non adesso – ma fu proprio Kurt a tenere ferme le sue spalle, ad allargare le gambe dolcemente e respirare sulle sue labbra, muovendosi contro di lui con una lentezza straziante.
“Non andare via.”, mormorò pianissimo, dritto sul suo orecchio, piano e dolce e Kurt e in modo dannatamente erotico. “Rimani proprio qui, ti prego.”
Blaine non ebbe il tempo materiale di dire nulla, che Kurt lo aveva baciato di nuovo, più forte stavolta, tutto lingue e calore e umidità cruda, e fu impossibile per entrambi smettere di muoversi. Si baciarono a lungo, caoticamente, l’acqua calda che scorreva tra i loro corpi agevolando i movimenti e Kurt che si aggrappava a Blaine come per dimenticare, come per rinascere, come per imparare; e Blaine morse piano le sue labbra, abbandonandole per marchiare la linea della mascella, il collo, punto in cui immerse il viso mentre si sentiva sempre più vicino al limite. Kurt era suo. Lì, ora, aggrappato ai suoi capelli con tutte le sue forze, mentre si muoveva in cerca di carne e corpo e qualcuno che gli facesse capire che valeva qualcosa, Kurt gli apparteneva senza ombra di dubbio. Blaine voleva dirgli Ti amo. Pensava che se ne sarebbe dimenticato, accecato dal piacere dell’orgasmo – e ci provò, ci provò a separare le labbra e raccogliere il coraggio, ma finì semplicemente di baciarlo di sfioro, mentre l’orgasmo lo travolgeva e gli faceva temere di perdere ogni singola forza che aveva in corpo. Kurt lo seguì qualche istante dopo, non provando vergogna a piagnucolare a voce alta mentre crollava sul corpo di Blaine, lasciandosi avvolgere e stringere e tenere al sicuro.
“Tutto bene?”, soffiò Blaine, raccogliendo una ciocca dei suoi capelli. “Dimmi che stai bene.”
Kurt rise contro la sua spalla. “Bene.”, mormorò, sfiorando la spalla di Blaine con le dita e studiando la sua pelle come se fosse un dipinto antico. Sembrò perdersi. “Era la prima volta che riuscivo a venire.”
Kurt lo disse così crudamente, ma in modo così naturale, che Blaine si trovò a rabbrividire tra le sue braccia. Afferrò il suo mento con due singole dita, baciandogli l’angolo della bocca pianissimo. “Nessuno oltre me ti toccherà mai più.”, soffiò. “Mi prenderò così tanta cura di te.” Lo baciò di nuovo, e poi lo trascinò fuori dalla doccia, buttandogli sopra le spalle un enorme asciugamano, e premurandosi che rimanesse al caldo.
 
Kurt era disteso sul letto, quando ormai fuori la città era completamente addormentata e così lo era praticamente tutto di lui, tranne la sua mente. I suoi occhi vagavano sulle pareti della propria stanza mentre Blaine gli accarezzava i capelli, sorvegliandolo dall’angolo del letto.
“Voglio che dormi con me questa notte.”, soffiò Kurt a un certo punto, aggrappandosi a una mano di Blaine che si stava facendo spazio tra le ciocche dei suoi capelli. “Voglio che tu dorma con me sempre, d’ora in poi.”
Blaine non protestò (naturalmente). Si chinò per lasciare a Kurt un bacio sulla fronte, rannicchiandosi dietro di lui per avvolgere il suo corpo e disegnare con la punta del naso arabeschi sul suo collo, mentre Kurt praticamente scompariva, schiacciato dal peso della notte.
“Non avrei voluto che mi trovassi tu.”, soffiò Kurt. “Ma allo stesso tempo, eri l’unico che avevo bisogno mi trovasse. Ha senso?”
Blaine non capiva. “Parli di stasera?”, chiese nel buio della notte.
“No, Blaine.”, mormorò Kurt. Una pausa, un respiro bloccato nella gola. “Parlo del per sempre.”
 
*
 
Il mattino dopo, Kurt si ritrovò ad essere svegliato poco dopo l’alba per delle visite.
Non ebbe bisogno di chiedere niente a Blaine (vide tutto nei suoi occhi, e in quelli del medico che era fin troppo gentile con lui. Anche se Kurt immaginava che tutti diventassero gentili quando avevano a che fare con il denaro di Blaine Anderson).
Kurt sibilò quando il medico gli estrasse un po’ di sangue. Gli venne detto di fare la pipì in una provetta, e gli vennero chiesti alcuni dettagli della sua vita privata.
Blaine lo tenne stretto ancora un po’, insistendo che dormisse quando il medico lasciò la casa per dire che avrebbe analizzato tutto il prima possibile. Neanche a dirlo, meno di un’ora dopo i risultati vennero comunicati al telefono di Blaine (e sì, Kurt poteva vedere quanto i suoi soldi facessero miracoli, ed era triste pensare che una persona come Blaine fosse conosciuta solo per quel particolare).
Blaine gli si inginocchiò di fronte, mentre lui era sul letto, gli occhi piccoli e persi e cerchiati di rosso. Posò una singola mano sulla sua guancia.
“Sono negativi.”, soffiò pianissimo Blaine, un raro, minuscolo sorriso che faceva capolino sulle sue labbra. “Sei pulito.”
Kurt francamente non sapeva più come sorridere. Si limitò a spostare lo sguardo su Blaine – non riusciva a dire niente, non riusciva a sorridere, non riusciva nemmeno a ringraziarlo. Era tutto più brutto quando ti svegliavi poi, al mattino – vedevi tutto con la luce del giorno.
Blaine posò anche l’altra mano sul suo viso, chiudendo le labbra sulle sue per un singolo momento. “E’ una buona notizia.”, disse fermamente, gli occhi lucidi e pieni di speranza. Lo baciò di nuovo. “E’ una bella notizia, Kurt.”, insistè, baciandolo di nuovo. E di nuovo. E di nuovo ancora, finchè Kurt non rispose al bacio.
“E’ una bella notizia.”, soffiò Kurt con un filo di voce, confuso e fragile, prima che Blaine lo raccogliesse come un piccolo bocciolo e lo tenesse stretto al suo petto.
 
*
 
Quando Kurt aprì gli occhi il mattino di qualche giorno dopo, trovò una distesa d’oceano ambra intento ad osservarlo, le dita tra i capelli e un tipo di Blaine di cui era certo non potersi stancare mai.
Avvicinò il proprio viso al suo.
“Voglio che facciamo un giro oggi.”, disse pianissimo Blaine, respirando la sua pelle. Disegnò con le dita dei cerchi piccoli e concentrici sulle sue spalle. “Scegliamo i nostri vestiti per il matrimonio, ti va?”
Kurt sorrise, un brulichio di luci che nasceva in quell’oceano blu velato di colori caldi. “Vuoi dire che faremo shopping?”, chiese con voce minuscola e sporca di sonno, prima che Blaine poggiasse le labbra sulle sue, il volto che diceva semplicemente .
“Potevi dirlo subito, Anderson.”, borbottò Kurt ridacchiando (la risata più bella che Blaine avesse mai sentito). “Mi preparo in un battito di ciglia.”
 
Il sogno di Kurt dai tempi a cui i bambini è concesso pensare che nella vita va bene avere un sogno, era quello di essere esattamente nell’atelier in cui si trovava in quel momento. C’erano almeno quattro commessi che stavano cercando di stare dietro alle sue scelte – per quanto la vita di Kurt fosse stata banale, i suoi gusti per quanto riguardava la moda non lo erano mai stati – anche se Kurt sospettava che tutta quella fretta fosse dovuta alla presenza di Blaine.
Furono portati in una stanza a parte, completamente a loro disposizione, con vestiti di tutte le sorti e tutti i marchi che Kurt venerava da quando era solo un bambino. Provò diverse scarpe e accessori di ogni tipo, e Blaine insistette che comprasse qualche camicia e jeans da indossare ogni giorno. Blaine, dal canto suo, non aveva mai visto Kurt così vivo e raggiante. Esattamente quello era il mondo in cui era nato per vivere, nei colori e nel brio e nell’eleganza. Nessuno aveva la grazia che possedeva Kurt Hummel, ed era in grado di sfoggiarla con quel tocco di studiato sarcasmo. Kurt era unico, e Blaine si chiese come si potesse non amare una persona come lui – sfuggente, vulnerabile, eppure reale e bella da far male.
Dopo quasi due ore, Kurt annunciò di voler provare degli abiti da sposo. I commessi – se possibile – si resero ancora più disponibili e mostrarono il loro entusiasmo nel mostrargli quelli che credevano più adatti a lui, ma Kurt ancora una volta stupì tutti quanti richiedendo un taglio e un colore dell’abito ben precisi. Tra mille e mille ricerche, alla fine riuscirono a restringere la scelta a due abiti differenti, che Kurt avrebbe dovuto provare.
“Non puoi stare qui.”, insistè Kurt, quando fece per sparire dietro ad un camerino di prova. “Non hai mai sentito che porta male per gli sposi vedersi prima del matrimonio?”
Blaine alzò gli occhi al cielo, leccandosi appena le labbra. “Sai che ho sempre trovato stupido quel detto? Il tuo futuro marito dovrebbe essere l’unico che dovrebbe giudicarti per quel giorno, considerando che è a lui che dovresti piacere.”
Gli angoli della bocca di Kurt si alzarono verso l’alto. “E allora spero proprio di piacerti, Blaine Anderson.”
Dopo circa dieci minuti, Blaine sentì forte e chiara la voce di Kurt dall’altra parte del camerino di prova “Non c’è storia che indossi questo vestito al mio matrimonio, voglio togliermelo all’istante.” – e un dolce sorriso fece capolino sulle sue labbra. Cominciò a camminare lungo la stanza avanti e indietro, le mani che stranamente non riuscivano a stare ferme, finchè non udì un piccolo fruscio dietro di sé e si voltò.
“Farai venire un infarto alle commesse –”, borbottò Blaine, prima che la sua voce si perdesse nella sua gola piano piano, fino a scomparire. Kurt era proprio lì, a qualche metro da lui, il corpo longilineo fasciato da un abito a dir poco perfetto. Non nero, forse perché nero era troppo banale, ma blu scuro. Esattamente come le sfumature più cupe dei suoi occhi durante la notte.
“Okay, questa era la mia seconda scelta.”, disse pianissimo Kurt, stiracchiando le dita sopra la stoffa dei pantaloni. “Le piace, signor Anderson?”, soffiò giocosamente, facendo qualche passo incerto verso di lui. Blaine deglutì appena, gli angoli della bocca che si sollevavano verso l’alto, dolcemente.
“Così tanto che vorrei seriamente non dovertelo togliere, a un certo punto.”, disse pianissimo. Blaine non sapeva fare quei commenti, ne era consapevole. Eppure, un bellissimo rossore si impadronì delle guance di Kurt non appena quel commento prese consistenza tra di loro.
“Ma dovrai farlo, sai. Alla fine di tutto.”, mormorò Kurt, avvicinandosi a lui e arricciando le dita attorno alla giacca di Blaine. “Promettimi solo di non rovinarlo.”
“Quello mai.”, soffiò Blaine, sporgendosi per baciare il naso di Kurt appena, accarezzandogli il petto e finendo giù, fin dove arrivava la camicia. Gli strinse piano i fianchi, per tenerlo stretto a sé. “Voglio solo che quel giorno sia perfetto.”, mormorò. “Semplicemente perfetto per te.”
“Non mi deluderai.”, gli disse immediatamente Kurt, appoggiando la testa alla sua spalla e chiudendo gli occhi. “Ti basterà essere lì. E andrà tutto bene.”
A Blaine sembrò naturale cercare le labbra di Kurt. Esattamente come gli sembrò naturale continuare ad amarlo, nonostante all’inizio pensasse che non fosse una cosa semplice. Ma l’amore per esistere non doveva essere necessariamente semplice, e Blaine piaceva pensare che in qualche modo lo stesse dimostrando a sé stesso.
 
*
 
Tra le mani, gli steli delle gerbere bianche che aveva comprato erano ancora umidi. I petali erano schiusi quasi timidamente, come piccoli occhietti alla ricerca di quel po’ di sole che illuminava pallidamente quella giornata.
Kurt non aveva voluto che Blaine venisse – solo perché pensava che avesse visto abbastanza delle sue parti spezzate. E in più, sapeva di voler fare quello da solo.
Si inginocchiò di fronte al pezzo di marmo a cui pochi mesi prima aveva dato così poca importanza. Il nome di suo padre e quello di sua madre erano troppo vicini con i suoi gusti, incisi in un tipo di scrittura troppo fine, che cozzava con il resto.
Appoggiò il mazzo di fiori proprio in centro, e infilò le mani nelle tasche.
“Sto per sposarmi.”, borbottò, sentendosi immensamente stupido ma anche libero, in qualche modo, innocente, come se fosse un bambino che torna a casa da scuola e ha bisogno di raccontare ai suoi genitori cosa è successo. “E’ davvero – è un bravo ragazzo. È – qualcosa di diverso. Di importante. Immagino tu l’avessi capito papà, ed era il motivo per cui hai scelto lui.”
Una folata di vento gelido lo fece rabbrividire.
“All’inizio ti ho odiato.”, soffiò, non riuscendo a guardare la foto in cui suo padre fissava l’obbiettivo in un sorriso sbilenco. “Perché ti eri permesso di – cambiare la mia vita senza chiedermi il permesso e – sapevi. Tu sapevi cosa facevo. Mi sentivi piangere la notte, eppure non sei mai venuto per cercare di capire. Di fermarmi. Non sei mai venuto per – per stringermi e raccogliere i miei pezzi, ho dovuto fare sempre tutto da solo.”
Alla fine, Kurt diede una sbirciata. Sentiva gli occhi lucidi, e odiò il fatto che ci fosse il sole quel mattino (che non piovesse, così per coprire le sue lacrime).
“Immagino che non dovessi dare a Blaine l’incombenza di prendersi cura di me.”, mormorò, tirando su con il naso. “Ma sono egoista, e ti ringrazio di averlo fatto. Quindi solo – grazie.”
Aspettò qualche secondo. Un petalo di una gerbera cadde sul prato secco.
“E’ assurdo il fatto che mi manchi, nonostante non parlavamo molto io e te, vero papà?”, chiese al vuoto, stringendosi una mano al petto. Si alzò per accarezzare entrambe le foto distrattamente, non riuscendo a resistere finendo per sorridere a quella di sua madre.
“Ti sarebbe piaciuto.”, soffiò. “Riesce a vedere dentro le persone e strappare via tutto il buio, proprio come te.”
 
*
 
Il giorno del matrimonio arrivò con insolita lentezza, eppure troppo in fretta.
Kurt si ritrovò la notte prima a raggiungere la camera da letto di Blaine, e rimase ad osservarlo dalla soglia con un angolo della bocca mezzo alzato. “Domani a quest’ora saremo sposati.”, disse semplicemente, e per qualche strana ragione Blaine aveva perso le parole, e non disse nulla.
Si limitò a distendersi ed allargare le braccia; braccia in cui Kurt si rannicchiò presto. Blaine prese ad accarezzargli i capelli guardandolo negli occhi, la stanchezza della sera e della lunga giornata di preparativi che gravava su entrambi, quando decise di spezzare il silenzio.
“Sei ancora in tempo, sai.”, soffiò, lasciando che le dita premessero sulla guancia di Kurt. “Puoi ancora andartene.”
Kurt posò un singolo dito sulle labbra di Blaine – e non sorrise, poi. Era incredibilmente serio.
“Non vado da nessuna parte.”, disse semplicemente, immergendo poi il volto nell’incavo del collo di Blaine, ispirandone il profumo.
 
Kurt aveva dimenticato la sensazione di avere le dita fredde, la fronte imperlata di sudore e il corpo tremante. Non era agitato da quando era un semplice bambino ed ora era lì, a rispecchiarsi ogni tre secondi e cercare i propri occhi nello specchio – Stai davvero per sposarti, Kurt Hummel. E non riusciva a non essere felice. Sapeva di non essere ciò di cui Blaine aveva bisogno. Sapeva di essere marcio, frantumato, pieno di buio – e sapeva di non voler distruggere anche Blaine, ma allo stesso tempo non riusciva nemmeno a lasciarlo andare.
Da sopra la sua spalla, spuntò il grazioso viso di Rachel. Vestiva di rosa chiaro; i suoi lunghi capelli neri erano raccolti in una treccia e il suo sorriso sapeva di lacrime versate.
“Non aver paura.”, soffiò. “Kurt Hummel non ha mai paura.”
E invece si sbagliava.
Kurt Hummel aveva davvero paura, quel giorno. Paura di fare un passo verso l’ignoto. Paura di non essere abbastanza. Paura di mormorare parole sbagliate al momento sbagliato.
Paura di innamorarsi per davvero.
 
Tutta l’ansia che si era accumulata a fior di pelle creando una sorta di filo teso, si spezzò nell’esatto momento in cui Kurt posò i propri occhi su quelli di Blaine.
Era più che meraviglioso. Un sogno, nell’abito che avevano scelto insieme, elegante e sorridente all’angolo della sala che avevano scelto per sposarsi. Kurt strinse fortissimo la mano di Rachel, e si convinse a mettere un piede davanti all’altro per raggiungere Blaine, che raccolse le sue mani quando arrivarono a pochi passi di distanza.
Kurt non riuscì nemmeno a rendersi conto di chi ci era in sala – c’erano gli occhi di Blaine, le sue promesse, le battaglie che avevano perso, e quelle che avevano vinto.
Blaine si alzò sulle punte e lo baciò proprio al centro della fronte prima che il celebratore cominciasse a parlare di vita, di sogni, di ostacoli.
Quando arrivò il momento delle promesse, Kurt pensava che sarebbero passati avanti. Non avevano parlato lui e Blaine, ed era una cosa su cui entrambi erano stati d’accordo, ma improvvisamente Blaine chiese di parlare, e Kurt sentì il proprio cuore scivolare nello stomaco.
“C’era solo una cosa che volevo tu sapessi.”, soffiò, stringendogli forte le dita delle sue mani. “S-so che non ti piacciono i lunghi discorsi, e che questo non era ciò che ti aspettavi. Sarò veloce.”, mormorò. Kurt sentì qualcuno mormorare dietro di lui, ma non ebbe la forza di voltarsi.
“Ero solo, circondato dal buio.”, disse chiaramente Blaine. “E non pensavo avrei mai trovato qualcuno da poter amare.”
Kurt ebbe il folle, primitivo istinto di scappare.
Ma non si mosse di un millimetro. Rimase. La stretta di Blaine gli si era impressa sulla pelle.
“E poi sei arrivato tu.”, disse Blaine, la voce leggermente incrinata. “Ed è – è cambiato tutto. Lo sai. E non…non importa quanto buio c’è stato, quanto ne dovremo affrontare. Riusciremo a trovare il modo di afferrare la luce, insieme. Promesso.”
Kurt trovò immensamente stupido che tutto ciò che riuscì ad offrire a Blaine fosse un semplice sorriso. Ma era un sorriso che veniva dallo stomaco, denso e pieno di promesse. Si scambiarono gli anelli (e per poco Kurt non sbagliò dito, ma per fortuna Blaine lo guidò durante il movimento) e poi venne detto loro che potevano baciarsi.
Fu Blaine a fare un passo verso di lui. Kurt chiuse le mani a coppa sulle sue guance, e si lasciò baciare per un tempo che non riusciva nemmeno a quantificare. Non si lasciarono, dopo; Blaine immerse il volto nella sua spalla e Kurt lo abbracciò, non capendo a livello razionale perché il suo cuore stesse battendo fino a fargli male.
E poi, Blaine lo disse.
Le due paroline si infransero contro la pelle del collo di Kurt, che perse ogni briciola di fiato.
“Ti amo.”
 
Il ricevimento andò più che bene - Kurt parlò con tutte le persone della sala, persino con quelle che non sembravano felici di trovarsi lì (sicuramente, colleghi di Blaine). Ce n’erano altri che lo squadravano come se fosse un pezzo di carne (sempre colleghi di Blaine) e per fortuna, ogni tanto, qualche paia di occhi lo accarezzava con cautela – perché in realtà Kurt era una creatura fragile. Motivo per cui Blaine non lo lasciò mai andare. Gli era sempre accanto per tenerlo stretto, baciarlo a fior di labbra, offrirgli un bicchiere di buon vino o accarezzargli la fede.
(Già, la fede. Oro bianco con le loro iniziali. Kurt non era riuscito a spiegarsi il perché, ma gli era piaciuto vedere le loro iniziali sembrare così giuste insieme, come se si completassero.)
Ci furono cori di “Bacio” e suppliche da parte di tutti che avessero il loro primo ballo. Avevano scelto Remember me this way, dal film di Casper. Piaceva ad entrambi, ed era il primo film che avevano visto insieme. La prima volta che si erano addormentati vicini, e in cui tutto era sembrato loro un po’ più semplice. Che si erano fidati.
“Non dovevi farlo.”, soffiò Kurt sulla sua spalla, mentre dondolavano insieme al centro della sala. Nonostante la musica fosse alta, le parole di Kurt parvero assolutamente chiare a Blaine.
“Fare cosa?”
“La cosa delle promesse.”, disse pianissimo Kurt, azzardandosi a guardarlo. “Non me lo aspettavo.”
Blaine accennò una risata, si morse il labbro inferiore. “E’ così che deve essere, sai? Io che ti stupisco, e che faccio qualcosa che non ti aspetti. A tal proposito…”
La canzone sfumò, a quel punto. Blaine pressò un bacio sulle sue labbra e sparì tra la folla. Kurt lo vide ricomparire qualche istante dopo sulla piattaforma dei musicisti, un microfono tra le mani e un sorriso così grande da eclissare il sole.
Rachel lo afferrò per un braccio, e lo fece sedere al centro della pista, proprio di fronte al palco. Le dita di Kurt tremavano, esattamente come stava tremando il suo cuore.
Blaine cercò i suoi occhi, le luci vennero spente - e poi cantò.
Cantò una canzone per lui.
E Kurt si rese conto di tante cose duranti quei pochi minuti. Primo, Blaine Anderson aveva una voce stupenda. Secondo, Blaine era la persona più buona, pura e incontaminata che avesse mai conosciuto. Terzo, avrebbe potuto lottare con tutte le sue forze e negarlo, cercare di nasconderlo in una parte remota del suo cuore. Non sapeva riconoscerlo, d’altronde, non dopo una vita passata a scappare. Eppure aveva la sensazione che fosse quello, anche se non sapeva dirlo ad alta voce.
Era difficile non innamorarsi di una persona come Blaine Anderson.
 
Rachel era troppo magra tra le braccia di Kurt, e glielo disse almeno cinque volte prima di lasciarla andare, dopo l’ultimo abbraccio che si concesse di darle quella sera.
Tornarono a casa – nella loro casa, il buio di una notte di Dicembre che li avvolgeva, mentre le strade innevate scorrevano di fianco a loro.
Si tolsero i cappotti e le scarpe sulla soglia, e gli occhi di Kurt scivolarono inevitabilmente in quelli di Blaine, che in un movimento fluido avvolse il suo viso tra le mani e lo baciò – caldo, umido, lento.
“E’ stato tutto perfetto.”, disse come semplice costatazione. Ed era vero. Persino quando Blaine si era reso ridicolo cantando su quel palco, persino quando lo aveva baciato facendogli fare un casquè, e ancora dopo, quando gli aveva sporcato il naso con un po’ della panna della torta.
“Sì, lo è stato.”, soffiò Kurt per conferma, accarezzandogli languidamente un braccio e tenendo la voce bassa. Sapevano entrambi cosa sarebbe successo dopo – e non c’era un briciolo di ansia, o di sensazione di essere fuori posto. Era davvero tutto come doveva essere.
Blaine alzò un angolo della bocca, posando un dolce, casto bacio sulla guancia di Kurt. “Ti aspetto di sopra, in camera nostra.”, disse pianissimo. E poi lo lasciò andare, sparendo lungo le scale che portavano al piano di sopra.
Kurt prese un bel respiro, dirigendosi in cucina per lo meno per bere un bicchiere d’acqua e sciacquarsi le tempie mentre il suo corpo praticamente tremava – dio, era il suo lavoro quello di scopare, e per la prima volta dopo una vita intera aveva seriamente paura di deludere qualcuno.
Di deludere Blaine (il suo Blaine).
Salì le scale con cautela, fermandosi in bagno per qualche minuto, prima di aprire la porta della loro camera da letto. Blaine era in piedi di fronte alla finestra, i pantaloni e la camicia slacciati, la giacca poggiata al lato del letto, lì dove non serviva più.
Kurt deglutì appena, prima di lasciar scorrere le dita sul proprio vestito, sganciando ogni bottone dall’asola con una lentezza quasi straziante e voluta, mentre Blaine lo osservare affascinato. Lo sentì avvicinarsi, ma non ebbe il tempo di muoversi che Blaine aveva posato due dita sotto il suo mento per trascinare i loro visi vicini, e così baciarlo. Le sue mani sostituirono quelle di Kurt nei movimenti, e presto la giacca cadde sul pavimento, seguita dalla camicia.
Kurt rabbrividì, posando una mano proprio al centro del petto di Blaine. Cercò i suoi occhi.
“Voglio che tu sappia che lo voglio.”, disse. “Lo voglio praticamente da sempre.”
Le braccia di Blaine si strinsero inaspettatamente e con forza sulla sua schiena, producendo un po’ di pressione per permettere a Kurt di saltare e avvinghiare le gambe attorno al suo bacino. Si rannicchiò contro di lui con fin troppa velocità; Blaine lo trascinò sul letto, adagiandolo sopra le coperte e mettendosi sopra di lui.
“Voglio farti vedere come può essere.”, disse pianissimo Blaine, sfiorando con le labbra la clavicola sinistra di Kurt, scendendo verso lo stomaco e succhiando un punto impreciso della sua pelle, mentre le dita di Kurt si attorcigliavano attorno al lenzuolo. “Prendermi cura di te e venerarti, perché è così che dovrebbe essere.”
E’ così che dovrebbe essere.
Kurt chiuse gli occhi, sospirando fin troppo forte quando Blaine lavorò con i suoi pantaloni per toglierli. Succhiò la pelle delle sue anche, spostando appena la stoffa dei suoi boxer, toccandolo nel frattempo con il palmo della mano che aveva libera. Non aveva fretta. Avevano tutta la notte, e il giorno successivo, e quello dopo ancora per fare l’amore.
Secondi, minuti ed ore per far capire a Kurt quanto esattamente valesse.
I boxer scivolarono per terra, e presto Blaine si premurò di avvolgere la punta del membro di Kurt con la lingua, inondandolo di calore e umidità. Nella stanza erano chiari solo i suoni che provenivano dalla gola di Kurt, il movimento della stoffa sotto di loro, lo sfregare di mani che si cercavano.
Blaine si sollevò cercando le sue labbra, e Kurt le spalancò per accogliere la lingua di Blaine e farla sua.
“A-anche io posso fare qualcosa.”, soffiò Kurt, ma Blaine lo zittì posando un dito sulle sue labbra e sorrise.
“Mi prendo io cura di te.”
E così fece.
Kurt divenne l’argilla che Blaine imparò a modellare. Afferrò la sua anima tra le dita trattandola con cura, premendo toccando leccando i punti che facevano urlare Kurt di più, attorcigliando le dita ai suoi capelli e baciandolo pianissimo, come se fosse un ricordo di un tocco.
Quando Blaine entrò dentro di lui, aspettò per minuti interi che Kurt si fosse abituato alla sensazione – non fece pressione, non mise fretta, non lo chiamò con nomi che nemmeno conosceva. Fu paziente, e dolce, e incredibilmente maschio, e suo, e teneramente forte, e dappertutto.
Kurt si convinse che poteva anche innamorarsi del modo in cui Blaine faceva l’amore con lui.
(Perché quello non era sfogo. Quello era desiderio che scorreva tra due corpi, talmente bello da essere intossicante.)
Kurt gli chiese di non smettere, e Blaine continuò a fare l’amore con lui tutta la notte. Si addormentarono quando ormai fuori i primi raggi di sole spruzzavano luce sulla neve delle strade di Lima, le palpebre pesanti e il cuore leggero, la pelle marchiata di piccoli segni, e le labbra rosse per il passaggio dell’altro.
Kurt si addormentò per ultimo, perché volle assicurarsi che Blaine fosse completamente inerme, mentre lui invece piangeva.
(Sussurrò al suo orecchio, “Nessuno mi ha mai toccato così”.
Poi un bacio sulla fronte.
“Per fortuna mi hai trovato tu.”)
 
Quando Kurt si svegliò il mattino dopo, la prima cosa che fece fu allungare le dita verso la parte vicina al suo materasso, stiracchiandosi come un gattino alla ricerca di calore. Picchiettò le sue dita sul materasso vuoto, e si rese conto con un certo ritardo che non c’era nessuno a fargli compagnia.
Un pezzetto del suo labbro inferiore finì tra i denti, mentre si sollevava dal letto e si guardava attorno alla ricerca di Blaine. Non aveva mai sentito il suo corpo più rilassato, il cuore meno pesante. Un sorriso stupido gli scappò dalle labbra quando sentì una voce timida provenire dal piano di sotto: Blaine si era svegliato, e probabilmente stava preparando la colazione canticchiando qualcosa.
Kurt raccolse da terra la camicia stropicciata del matrimonio del giorno prima, e si rese conto solo dopo averla indossata che non era la sua, ma quella di Blaine. Gli copriva buona parte delle natiche, e nonostante non fosse un abbigliamento perfettamente adatto per fare colazione, Kurt non indossò nient’altro.
Trovò Blaine ai fornelli, addosso nient’altro che una semplice tuta. Si schiarì la voce quando entrò, il cuore che inaspettatamente batteva velocissimo – i ricordi della bocca di Blaine che vagava sul suo petto, e poi più giù invasero la sua mente, facendogli sperare di essere improvvisamente più vestito e meno vulnerabile. Quando Blaine si voltò verso di lui il suo viso era rilassato – i capelli avevano perso ogni traccia di gel, e ora i riccioli cadevano liberi e ribelli sulla sua fronte.
“Ciao.”, soffiò Blaine.
“Ciao.”
“Pensavo avessi fame, così sono venuto giù per preparare qualcosa.”
Kurt deglutì, avvicinandosi sempre di più al corpo di Blaine con un sorriso che giocava con gli angoli delle sue labbra. Quando fu a pochi centimetri da lui, avvolse il suo collo con le braccia, avvicinando le loro labbra senza mai farle incontrare davvero.
“Non hai fame?”, chiese Blaine con un minuscolo broncio. Kurt sbuffò una risata.
“Ho fame.”, confermò. “Forse però prima voglio solo che tu mi dai il bacio del buongiorno.”
Un singolo angolino della bocca di Blaine si alzò verso l’alto, mentre Kurt avvicinava finalmente le loro labbra in un bacio caotico, l’eco di tutti i baci di quella notte, che via via andò diventando sempre più intenso. Le mani di Blaine vagarono sui fianchi di Kurt incontrando la pelle, la schiena, le natiche, e Kurt improvvisamente mugolò nella sua bocca perché – in un certo senso aveva sempre avuto paura di quello, dell’intimità, del sesso.
Grazie a Blaine, era come se adesso non ne avesse mai abbastanza.
I loro corpi si spostarono da soli, trovando l’angolino perfetto del tavolo della cucina. Kurt afferrò una mano di Blaine per portarla verso il basso e farsi toccare, e a quel punto i loro occhi si incontrarono. “Vuoi farlo qui?”, chiese quasi pigolando Blaine, come a chiedere il permesso, come se non volesse violare un confine. Kurt si spinse contro la sua mano ed annuì, incapace di dire qualcosa che avesse più senso di così.
Blaine lo sollevò posandolo sul tavolo della cucina, mettendosi tra le sue gambe e baciandolo, forte; nel togliere la camicia alcuni bottoni finirono per cadere per terra e parte della stoffa venne strappata, ma Blaine non aveva motivo di piangere su quei dollari, non finchè Kurt gemeva e si aggrappava a lui senza senso.
“P-prendimi.”, disse Kurt con finta audacia, sperando di sembrare convincente. Dio, lo aveva detto in modo mellifluo a così tanti uomini, si era fatto pagare profumatamente per dirlo, anche a persone che gli facevano schifo e non riusciva nemmeno a guardare negli occhi – ed ora eccolo lì, un bocciolo pieno di timidezza. “Fammi sentire, Blaine, fammi sentire –”
E Blaine lo fece. Prese.
E donò.
Piano come una piuma, accarezzò la sua pelle facendosi strada dentro di lui, mentre giocava con la lingua con il suo capezzolo destro.
Le mani di Kurt erano perse tra i suoi ricci, la cucina attorno a loro era diventata un disastro di rumori, gemiti e suoni che non avevano un nome.
Kurt pensò di perdere consistenza, a un certo punto – chiuse gli occhi, raccolse tutto quello che Blaine voleva dargli, sentì il proprio cuore mancare un paio di battiti.
Alla fine, Blaine era sfinito dentro di lui, le labbra lasciate sopra le sue, mentre lo respirava. “Ti amo.”, gli disse, e Kurt sorrise, sorrise per davvero e accettò quelle parole, gli accarezzò i capelli.
Forse anch’io.
 
Erano di nuovo a letto, sfiniti e appagati e intrecciati e un sorriso assolutamente stupido che colorava le labbra di entrambi. Blaine si spostò leggermente per baciare una tempia di Kurt, ancora parzialmente distribuito su di lui – e finì per strofinare il naso sulla parte alta della sua testa.
“Abbiamo fatto l’amore almeno cinque volte di fila.”, borbottò senza pensarci, le parole che sembravano foglie d’autunno cadute e trascinate via dal vento. Kurt si stiracchiò sotto di lui, accarezzandogli la schiena con due singole dita e fermandosi per un attimo a fissare il soffitto con il cuore nella gola.
“Credi che io sia malato, Blaine?”
Le parole uscirono così delicate che Blaine pensava di essersele immaginate, ma quando spostò il suo volto per incrociare gli occhi di Kurt capì che c’era sul serio qualcosa che non andava. I suoi occhi erano lucidi, le guance arrossate e le labbra segnate dal suo passaggio, belle da far male e rosse come fragole.
“Cosa?”
Io, Blaine.”, soffiò Kurt. “Ti sto chiedendo se pensi che ci sia qualcosa di sbagliato in me.”
Blaine si fermò per fargli una carezza tra i capelli, trascinandoli tutti all’indietro. “Cosa dici?”
Kurt si mordicchiò un pezzetto di labbro inferiore, mentre cercava di sollevarsi e posare le labbra contro l’orecchio più vicino di Blaine sollevò il bacino per incastrarlo perfettamente al suo, gesto che fece rabbrividire entrambi. “Per volere questo.”, disse piano, ricominciando a muoversi. “Nonostante – nonostante tutto quello che mi hanno fatto.”
Fu solo allora che la realizzazione colpì Blaine forte come uno schiaffo – lui era il primo in assoluto ad aver fatto l’amore con Kurt, a non averlo usato, ad avergli tolto i vestiti perché entrambi lo volevano e non solo perché c’era una dozzina di banconote ad osservare il tutto. Chiuse le mani attorno alle sue guance, guardandolo più intensamente che poteva.
“Non dirlo mai più.”, gli sussurrò con cautela. “Tutti abbiamo il diritto di volere questo, Kurt. Di volere che accada in questo modo. Perché questo non ha niente a che fare con quello che ti hanno fatto – tutta quella merda non era niente. Qui invece ci siamo io e te. È tutto diverso, amore. E tu – tu meriti questo e così tanto, così tanto, non puoi nemmeno immaginare.”
“P-per fortuna.”, soffiò Kurt rabbrividendo appena, un pigolio accennato. Scomparì praticamente nel corpo di Blaine. “Perché adesso che so com’è non credo di poterne fare a meno.”
Un candido, liscio sorriso si abbandonò sulle labbra di Blaine, mentre spostava il corpo di Kurt meglio sotto il suo e ricominciava a baciarlo, tenendolo stretto per non lasciarlo mai andare.
 
*
 
Kurt non avrebbe mai creduto che essere sposati potesse essere così - semplice.
Non aveva ricordi del matrimonio dei suoi genitori, ma poteva pur sempre basarsi su coppie che conosceva o film che aveva visto, e sapeva che il matrimonio non era semplice per nulla. Forse era una delle cose più complicate al mondo, ma allora – perché si sentiva così dannatamente bene?
Non c’erano stupide liti su chi doveva lavare i piatti o fare il bucato. Blaine, durante la prima settimana, aveva chiesto ai domestici di lasciare la casa – non voleva correre il rischio che li vedessero nudi, visto che il bisogno di fare l’amore a volte superava la loro fame o il sonno. Ci pensava Kurt, esattamente come ci aveva sempre pensato lui quando abitava con suo padre. Blaine cucinava, apparecchiava la tavola e poi trovavano il modo di far funzionare le altre piccole cose. (La quantità di baci che si scambiavano durante il percorso era quasi imbarazzante).
Forse a volte sì, un po’ litigavano. Con gli occhi, quando bisognava decidere che film guardare. O dove fare l’amore. Ma era qualcosa di così naturale e semplice che passava subito – oppure Blaine faceva un passo avanti e gli chiedeva un bacio e Kurt si chiedeva esattamente in che momento fosse tornato un adolescente.
A volte, Blaine lo faceva sentire come se avesse di nuovo quindici anni. Un ragazzino che non aveva ancora conosciuto la violenza e che non sapeva cosa volesse dire prostituirsi, e aspettava che un uomo coraggioso lo prendesse per mano e lo rendesse felice. (Kurt aveva sempre pensato che tutto quello non esistesse, ma forse si era sbagliato).
Dopo la seconda settimana, entrambi cominciarono a lavorare. Si videro molto meno per via degli orari, anche se a volte Kurt chiedeva il permesso a Caroline per staccare e raggiungerlo in ufficio così da pranzare insieme – e sì, ci provarono a non spogliarsi sulla scrivania. Ci provarono davvero, ma fallirono dopo il secondo giorno.
E di sera, quando tornavano entrambi stanchi e con le membra leggere come piume, si incontravano esattamente al centro del salotto in un bacio caotico – e poi vomitavano parole su come fosse andata la loro giornata, di quanto e come avessero litigato con i clienti, e di come era bello ora essere a casa, con qualcuno.
Blaine gli diceva “Mi sei mancato” così, dal nulla.
E Kurt lo guardava di rimando e si sentiva uno stupido perché sì, dio, gli era mancato dannatamente tanto anche lui, e ogni volta glielo diceva pianissimo, come un segreto, perché aveva paura che dirlo ad alta voce lo rendesse più reale.
(E magari quello era solo un sogno, magari Blaine se ne sarebbe andato, e Kurt non voleva che Blaine se ne andasse, voleva che rimanesse sempre, e per sempre).
 
*
 
Un venerdì a pranzo, Kurt si presentò nell’ufficio di Blaine insolitamente in anticipo. Era passato da un vicino McDonald’s per prendergli il suo menù preferito, facendosi della violenza fisica per non sbirciare il totale di calorie che avrebbe ingurgitato. Gli era comunque sembrato carino presentarsi con qualcosa che gli piacesse, così superò il bancone iniziale dove lavorava la sua gentile segretaria e si diresse nel suo studio, che trovò già aperto.
Kurt si bloccò sulla soglia quando notò che all’interno c’era un dipendente di Blaine – se non sbagliava, si chiamava David. Lo aveva notato subito al matrimonio, innanzitutto perché aveva parlato spesso con Blaine, e ogni volta che lo faceva i suoi occhi erano costantemente puntati in quelli di Kurt. A Kurt non era piaciuto quello sguardo. Lo rendeva fragile, come se solo un paio di occhi fosse in grado di spogliarlo e privarlo di ogni singolo strato di pelle, toccando i nervi all’interno. Deglutì appena, riflettendo sul fatto che poteva andarsene, quando gli occhi di David si posarono sui suoi.
“Oh. Tu.”, borbottò lui, sbrigativo e improvvisamente attento. “Entra, non stare lì sulla soglia.”
“In realtà cercavo Blaine.”, disse pianissimo Kurt. Non era il tipo che si faceva intimorire. Non era il tipo che perdeva la voce. Eppure – “Posso aspettarlo qui fuori, non c’è problema.”
“No, ma scherzi, entra pure. Hai molto più diritto di chiunque di stare qui, no?”, borbottò con un ghigno che fece rabbrividire Kurt. Sapeva di dover ascoltare il suo istinto e andarsene da lì, ma per qualche assurda ragione decise di fidarsi (è amico di Blaine, no? Va tutto bene) ed entrò, lasciando comunque la porta alle sue spalle aperta. Si portò le braccia attorno al corpo per stringersi appena, appoggiando il pranzo di Blaine sulla sua scrivania.
Ogni volta che David parlava, Kurt si lasciava andare ad un sussulto – gli sarebbe piaciuto dire di non aver paura, ma c’era qualcosa in quell’uomo che non lo convinceva affatto.
David gli chiese come stesse andando il matrimonio, se fossero felici, come si trovasse con il suo lavoro. Kurt rispose a monosillabi, internamente sperando che Blaine arrivasse presto, perché francamente voleva solo sparire tra le sue braccia e non pensare più a niente –
“Io so cosa sei.”
Le parole arrivarono così inaspettate e taglienti, che Kurt si ritrovò a indietreggiare finchè il suo fianco destro non incontrò la scrivania di Blaine.
“N-non so di cosa stai parlando.”
David rise, beffardo. Come se avesse in pugno il mondo. “Avanti, non ‘è bisogno di fingere con me. So cosa facevi per guadagnarti da vivere.”
Kurt sentì i propri occhi pizzicare, le labbra cominciare a tremare completamente fuori dal suo controllo. “D-devo andare –”
“Non c’è fretta.”, borbottò David seriamente, allungando un braccio per chiudere la porta dell’ufficio di Blaine dietro di sé. Kurt rabbrividì, perché – ti prego non può essere che mi faccia del male ti prego
“Conosco Blaine da moltissimo tempo, e beh – sospettavo fosse gay. Io ero un grande amico di suo padre. Non sono mai stato molto d’accordo con le sue preferenze sessuali – insomma, nessuno con il suo genere di problemi dovrebbe avere tutto il potere che lui ha. Non so se mi spiego.”
Una calda lacrima scese a rigare la sua guancia destra. David fece un passo verso di lui, lento e calcolato.
“Ho fatto qualche ricerca, e beh – chiaro no? Immagino avesse bisogno di un po’ di compagna, ed ecco che arrivi tu. Una puttana.”
Il respiro di Kurt era veloce e incontrollato.
“Hai la minima idea di cosa succederebbe se la stampa venisse a sapere - questo? Che Blaine Anderson ha raccolto una prostituta dalla strada e l’ha sposata? Ho seri dubbi sul fatto che qualcuno potrebbe ancora fidarsi di lui. Tu che dici?”
Kurt si morse forte il labbro inferiore. “Non sono mai stato la sua prostituta.”, ringhiò pianissimo. “Ma non mi aspetto che un ignorante come te possa capirlo.”
David fece un ennesimo passo avanti arrivando a pochissima distanza dal corpo di Kurt. “Non osare attaccarmi.”, mormorò con voce bassissima. “Sto agendo nel suo interesse. Perdo anch’io se perde lui. E non mi va di finire in mezzo alla strada perché il mio capo si dà da fare con una puttanella.”, disse, allungando una mano per chiudere le dita attorno al mento di Kurt, che spalancò gli occhi di terrore.
“Pensa a tutto quello che potrebbe perdere.”
Lasciami andare.”
Gli angoli della bocca di David si alzarono verso l’alto, i suoi occhi riempiti di qualcosa che Kurt aveva visto troppe volte nella sua vita per non riuscire a riconoscerlo. “Hai tenacia.”, disse David in un soffio, avvicinandosi con cautela. “Chissà come ti dimeneresti se ti prendessi qui, adesso.”
Kurt a quel punto ruotò il capo e morse forte le sue dita, facendolo gridare. Cercò di scappare scartandolo di lato, ma David afferrò il suo esile corpo e lo sbattè contro la scrivania, avvolgendo i suoi capelli con una mano, così forte che Kurt temette volesse strapparglieli.
“Tanto è il tuo lavoro, no?”, ringhiò David vicino alla sua faccia, un ghigno che metteva i brividi e che si mescolava con un sorriso malsano. “Ma non può avere sempre tutto lui – un matrimonio e la fama e l’ammirazione di tutti. No? Anch’io voglio qualcosa, quindi perché non tu –”
Kurt fece quello che non aveva mai fatto prima. Gridò.
Gridò così forte da avere paura della sua stessa voce, almeno poco prima che una mano di David coprisse le sue labbra, e allora si dimenò; si dimenò con tutte le forze che aveva mentre le lacrime rigavano il suo volto, finchè –
Finchè non si fu più nulla contro cui lottare, perché il corpo di David venne allontanato da lui. Un rantolo di fiato abbandonò le sue labbra, mentre tentava di riacquistare l’equilibrio. C’era Blaine lì, in mezzo a lui e a David, ora sconvolto e in un angolo della stanza, come messo in castigo.
“Sei finito.”, disse pianissimo Blaine, senza un briciolo di paura. “Ti faccio finire in mezzo alla strada, figlio di puttana.”
“Proprio come quella che c’è dietro di te.”
Blaine fece un passo avanti e lo colpì in pieno viso – Kurt sussultò, ma si rese conto che Blaine stava bene. Gli aveva confessato di aver praticato della box mentre era ancora molto giovane.
“Tu lui non lo tocchi, mi hai capito?”, disse vicinissimo al suo viso, dove ora un fiotto di sangue stava lasciando le narici del suo naso. “Sei fuori. Esci di qui. Non ti scomodare nemmeno a scappare, ti troverei comunque. Pagherò il miglior avvocato - ti faccio togliere anche le tue figlie.”
David a quel punto lo spinse, e Kurt temette di urlare di nuovo.
“Sei un lurido frocetto e tuo padre non doveva fidarsi di te, doveva lasciare tutto questo a me. Tu non sei nemmeno capace e – guardati, guarda chi hai sposato. Sei un fallito.”
Blaine inclinò appena la testa, gli occhi dorati che brillavano come stelle.
“Almeno non sono un padre disperato che deve ubriacarsi per fare l’amore con sua moglie e che ha cercato di stuprare un ragazzo che ha la metà dei suoi anni.”, disse con calma. Blaine percepì il suono delle sirene al piano di sotto, e sorrise leggermente quando vide David tentare di scappare.
Quando si voltò, Kurt crollò tra le sue braccia.
 
A casa, Blaine diede a Kurt una coperta e gliela avvolse attorno, mentre era rannicchiato sul divano. Gli permise di appoggiarsi a lui, le membra intrecciate, e iniziò ad accarezzargli i capelli come se fosse un piccolo gattino impaurito. Kurt tremava tra le sue braccia, gli occhi semi-aperti e incredulo mentre ripensava a ciò che era successo, perché sentiva che non era possibile.
A un certo punto, spezzando il silenzio e con la voce che era un filo di vetro, Kurt disse solo una cosa. “Grazie.”
E Blaine gli baciò la testa, sentendo la rabbia invaderlo tutto perché le persone si erano portate via troppo di quel ragazzo, lo avevano scarnificato, e non era giusto. Non era assolutamente giusto.
“Sei al sicuro con me.”, mormorò Blaine, tenendoselo stretto e sorridendo contro i suoi capelli. “Non pensarci più, lo farò – lo farò finire in mezzo alla strada.”
Passarono minuti interi di silenzio, il buio che li avvolgeva dolcemente. Kurt a un certo punto pensò che Blaine addirittura si fosse addormentato, ma sussultò appena quando sentì la sua voce.
“Non volevo nemmeno fare il lavoro di mio padre.”
Kurt aggrottò la fronte, mordicchiandosi il labbro inferiore, incredulo. “E cosa…cosa volevi fare?”
“Promettimi di non ridere.”, borbottò Blaine, strofinando il naso contro i suoi capelli. “Volevo cantare. Non so su che palco, non so come, ma ho sempre amato cantare.”
Il petto di Kurt si scaldò al ricordo della sua voce meravigliosa. Certo, avrebbe dovuto capirlo: al matrimonio Blaine era sembrato così naturale quando aveva cantato. Incredibilmente felice, come se fosse nel posto giusto al momento giusto.
“Fallo.”, soffiò Kurt senza pensarci, stordito dal calore delle braccia di Blaine. “Dovresti – sbadiglio – inseguire i tuoi sogni, Blaine.”
Ci fu un secondo di silenzio, poi Blaine gli baciò la fronte. “Dormi, amore. Sei sfinito.”
“No, uhm – dico sul serio, Blaine.”, borbottò Kurt indispettito, combattendo come un bambino contro il sonno. “Tutti dovremmo credere nei sogni.”
“Non so nemmeno più come si fa a credere nei sogni, Kurt.”
Kurt a quel punto prese un respiro profondo, e con un ultimo sforzo si allungò per posare le proprie labbra sull’angolo della bocca di Blaine. Tentò di sorridergli in mezzo al sonno. “Tu sei una delle poche persone che può farlo, sai. Sognare.”, mormorò, rannicchiandosi poi meglio contro di lui. “Perché sei l’unica persona che conosco che ci vedo ancora bene, in mezzo ai sogni. L’unica persona che se li merita.”
Blaine vegliò su Kurt tutta la notte, assicurandosi che dormisse sonni tranquilli e senza incubi – e pensò al fatto che a volte osservare una persona dormire è una sfumatura importante dell’amore. Vedere Kurt mentre era tranquillo, completamente inerme ed affidato a lui, gli fece credere di avere ancora un po’ di coraggio nonostante tutto.
 
*
 
Le successive settimane non furono facili per nessuno dei due.
Blaine era sempre via di casa per occuparsi del caso di David – quando aveva detto di voler assumere uno degli avvocati migliori e più costosi non aveva scherzato. Era sempre di corsa, un cipiglio concentrato sul volto che non lo abbandonava mai e che quasi faceva paura – lasciava un bacio sulla fronte a Kurt e spariva in ufficio tutto il giorno, mentre la sera si estraniava dal mondo vomitando parole e insulti al telefono, mentre Kurt si sentiva infinitamente piccolo e solo - e inutile, a volte.
Quando era tutto troppo da sopportare, Kurt prendeva Neve e andava a fare un giro. Gli sembrava che le cose potessero andare meglio quando cavalcava – e ormai lui e Neve avevano trovato ogni punto d’incontro e si fidavano l’uno dell’altro. Kurt non aveva paura di perdersi, anche se a volte sentiva di averne il bisogno (bisogna perdersi per poi ritrovarsi, giusto?).
Una notte, mentre era disteso a letto e lottava tra il sonno e la veglia, sentì le braccia di Blaine avvolgerlo tutto e le sue labbra posarsi sullo spazio del suo collo. “Scusami se sono così distante.”, gli disse, e in un momento di puro panico, Kurt si rese conto che aveva voglia di piangere. Perché Blaine gli mancava. Per quello che David gli aveva detto, che ancora adesso popolava i suoi incubi. Perché stava mettendo a repentaglio la sua vita (sapeva che Blaine urlava tanto al telefono per difendere la sua storia, la loro storia, non era stupido).
Si aggrappò alle sue dita mordendosi le labbra per impedirsi di piangere, lo stomaco in subbuglio mentre calava il freddo su di loro. Non era così che voleva andasse. Non era così che immaginava potesse essere la loro vita, una continua battaglia contro gli avvocati o i giornalisti che volevano farsi gli affari loro per continuare a vivere. Kurt aveva disperatamente bisogno di Blaine, della sua vita con Blaine, di quelle piccole cose che avevano costruito e del lento fare l’amore ogni giorno dopo il lavoro.
Una domenica mattina Kurt stava scendendo le scale a piedi nudi quando sentì la voce di Blaine provenire dalla cucina. Stava minacciando qualcuno di licenziamento, se fosse venuta fuori la storia del passato di Kurt. Il castano poteva benissimo sentire la sua voce incrinata, la rabbia tra le crepe, e senza volerlo si ritrovò a fare qualche passo indietro, finchè non si rinchiuse in camera.
Spostò lo sguardo vicino al letto, dove trovò uno zainetto e dei vestiti puliti che la domestica gli aveva dato qualche giorno prima, pronti dopo essere stati lavati. Kurt si mise una mano sullo stomaco, come se sentisse il bisogno di tenere uniti i suoi pezzi, la sensazione che la pelle non fosse più l’involucro del suo corpo (si sentiva così tremendamente sbagliato).
Aveva bisogno di andarsene di lì.
Non fece nemmeno rumore, perché indossò le scarpe fuori, poco prima che raggiungesse le stalle. Quando raggiunse Neve e accarezzò la sua criniera, calde lacrime rigavano le sue guance pallide.
 
A Blaine bastarono cinque minuti per capire che qualcosa non andava. Nemmeno uno per notare che Kurt non era sceso, quella mattina, e i restanti per ricreare nella testa il percorso che doveva aver fatto. Mancava uno zainetto e i dei vestiti puliti; le macchine erano al loro posto, Neve invece no.
Non capì perché non riuscì nemmeno ad arrabbiarsi, questa volta – c’era solo panico a fior di pelle, e la consapevolezza che c’era qualcosa che non andava. Stava per accendere la macchina – con Neve Kurt poteva essere andato già molto lontano, considerando che non sapeva da quanto tempo fosse partito – quando ricevette una telefonata da Caroline.
“Tesoro.”
Blaine deglutì, un nodo allo stomaco.
“Credo che tu debba venire qui. C’è Kurt. E credo…lui mi ha chiesto di non dirti niente, ma…c’è qualcosa che non va, Blaine. Per favore.”
“Sono già per strada.”
 
Caroline lo aspettava sugli scalini della sua piccola cosa in mezzo alla campagna, adorabile e perfetta per una madre single che allevava cavalli. Blaine la abbracciò di slancio e lei si fece minuscola contro di lui, prima di parlare pianissimo.
“E’ dentro, non ha detto niente da quando è arrivato. Mi spaventa.”
“Ci penso io.”, soffiò delicatamente, lasciandola andare per dirigersi in casa sua. Gli sembrò deserta in un primo momento, ma con cautela si rese conto che nell’angolino e rannicchiato sul divano vicino alla finestra, Kurt sedeva stringendosi le ginocchia al petto e guardando un punto impreciso della stanza.
Blaine varcò la soglia, deglutì appena. “Tenti di scappare e vai dall’unica amica che abbiamo in comune.”, disse pianissimo. “Lasciati dire che non è il migliore dei piani.”
Kurt non alzò lo sguardo, ma rabbrividì. “Forse volevo mi trovassi.”
Il cuore di Blaine si crepò ancora un pochino di più, mentre faceva qualche passo avanti per chiudere quella stupida, inutile distanza. “Sono qui.”, disse semplicemente, inginocchiandosi a poca distanza da Kurt. “Ti ho trovato.”
Un piccolo singhiozzo travolse il corpo di Kurt, che si rannicchiò ancora di più contro lo schienale del divano, senza trovare il coraggio di guardare Blaine negli occhi. “Non –”, rantolò, racimolando ossigeno per cercare di formulare una frase di senso compiuto. “Non so se ce la faccio, Blaine.”
La fronte di Blaine si arricciò in un modo assurdamente adorabile. “Non sai se ce la fai a fare cosa, Kurt?”
“A fare questo.”, soffiò impercettibilmente, mentre un singolo dito sfiorava la propria fede sull’anulare sinistro. “Noi.”
Gli occhi di Blaine si scurirono appena. “E’ un po’ tardi, non credi?”, disse forse troppo velocemente, sbottando, anche se sapeva che non era la cosa giusta da fare, non in quel momento. “Non – non si torna indietro dopo il sì, Kurt. E non si tratta – non si tratta del contratto, si tratta proprio…di noi due. Di me e di te.”
“Lo so.”, tentò di dire Kurt, reprimendo un singhiozzo. “E’ solo – m-mi sento così tremendamente sbagliato e – e non so se riuscirò davvero a continuare questa cosa.”
Blaine spalancò gli occhi, incredulo. Un sbuffo di fiato abbandonò la sua gola. “Questa cosa intendi – me? Il matrimonio? È così che la vivi, come – come uno sbaglio? O un – un tentativo? Se va male ti basta uscire da casa mia e credi che io mi arrenda, è così?”
Kurt gli lanciò un’occhiataccia, gli occhi pieni di lacrime. “Non ho mai usato la parola sbaglio. Non – non ti azzardare a pensare che lo sia stato.”
“E allora dimmelo tu cos’è stato.”, disse Blaine, passandosi le mani tra i capelli, qualche ricciolo ribelle che ricadde sulla fronte. “Perché – io non penso che lo sia, Kurt. Non l’ho mai – mai pensato. Forse è partito tutto come qualcosa di sbagliato ma adesso – adesso si è aggiustato tutto, no? O mi sono immaginato ogni cosa?”, gli chiese, gli occhi deliberatamente lucidi al di là delle lunghe ciglia. “E’ solo che – quando ci stringiamo o quando mi – mi baci mentre facciamo l’amore non sembra che – non sembra che sia uno sbaglio. Mi sembra la cosa più bella e perfetta di questo mondo, ma forse – forse non lo è. Forse è tutto un casino.”
La voce di Kurt era traballante. “Io non fingo quando facciamo l’amore, Blaine.”, gli disse lentamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo. “D-dei, fare l’amore con te mi ha salvato la vita, ancora non lo capisci?”
“E allora – allora cosa c’è?”, disse a quel punto Blaine, sedendosi accanto a lui e allungando le mani per posarle attorno al suo viso. “Cosa c’è?”
“Ho paura.”, mormorò semplicemente Kurt, senza riuscire a guardarlo negli occhi. Blaine non capiva.
“Paura di cosa?”
“Di tutto.”, soffiò Kurt, tirando su con il naso e sentendosi infinitamente ridicolo, infinitamente fragile. “Di tutto, Blaine. Ma soprattutto – delle parole che ha detto David. Di quello che potrebbe pensare la gente quando verrà a sapere ciò che sono davvero.”
Le braccia di Blaine caddero, mentre gli occhi vagavano sotto di loro alla ricerca di risposte. “Non – non è vero. Non è per questo. Non te n’è mai importato niente di quello che la gente pensa di te. E se un giorno dovessero scoprire che lavoro facevi – lo affronteremo. Lo affronteremo insieme, ma non c’è bisogno che tu abbia paura. Quindi adesso devi dirmi il vero motivo.”
Gli occhi di Kurt scivolarono lontano, un momento prima che si muovesse dal divano per allontanarsi da Blaine. Si alzò in piedi, incamminandosi verso la porta, ma Blaine riuscì comunque a fermarlo aggrappandosi al suo braccio.
“Kurt –”, lo chiamò, sentendo il cuore battere come mille cuori, una battaglia. “Kurt, dimmelo, devi dirmelo –”
“E’ perché ho paura di te!”, gridò a quel punto Kurt, sgretolandosi di fronte a lui e mostrando ciò che c’era sotto la superficie, lasciando che scorresse come un fiume in piena. “Ho paura – ho paura di noi. Ho paura di innamorarmi. Ho paura di non riuscire ad amarti come meriti. E ho paura che un giorno ti stancherai di me e smetterai di combattere.”
Gli occhi dorati di Blaine erano enormi, incredibilmente liquidi, e completamente di Kurt.
“N-non sai com’è per me starti vicino, Blaine.”, soffiò Kurt, tremando come una foglia. “Non sai com’è credere di essere così fortunati da meritarsi il tuo stupendo sorriso, o meritare ogni notte il modo in cui mi stringi, o mi tocchi. Il terrore di perdere tutto la prossima volta che aprirai gli occhi.”, mormorò. “Con te mi sento – mi sento stupidamente felice, Blaine. E al sicuro, tu mi fai sentire così protetto. E l’ultima volta che è successo, Blaine – l’ultima volta che è successo ho perso la persona più importante della mia vita e non ho nemmeno avuto l’occasione di dirle addio.”, singhiozzò Kurt, ripensando a suo padre. “E non voglio – non voglio perdere anche te, Blaine, perché se perdo anche te non mi rimane niente, e non voglio rimanere senza niente di nuovo, non quando ho scoperto cosa vuol dire avere qualcosa.”
Le braccia di Blaine caddero lungo i fianchi mentre il suo petto si alzava e si abbassava per i suoi respiri irregolari. Il tempo attorno a loro si fermò per un attimo, almeno finchè gli occhi di Blaine si posarono per un secondo sulle labbra di Kurt, prima che annullasse la loro distanza per baciarlo.
Kurt rimase immobile, mentre Blaine lo avvolse nonostante a conti fatti fosse più piccolo e più basso di lui.
“Non mi perderai mai.”, mormorò Blaine dolcemente sulle sue labbra, mentre Kurt teneva gli occhi chiusi e piangeva silenziosamente. “Quando ami una persona non puoi lasciarla andare, perché sarebbe come rinunciare alla parte più bella di noi stessi.”
A quel punto, Kurt rise.
La risata più bella che Blaine avesse mai sentito.
Così lo bacio di nuovo, pianissimo, e poi lo abbracciò stretto, sentendo il proprio cuore mettersi nel posto giusto, esattamente lì, allineato la punto in cui batteva quello di Kurt.
 
*
 
Una manciata di mesi dopo (perché il tempo non importa quando si parla d’amore)
 
Kurt sorrideva mentre sfogliava il catalogo di colori che Caroline gli aveva prestato per scegliere come fare la staccionata del loro nuovo ranch – non avrebbe mai permesso che la colorassero d’avorio, sarebbe dovuta passare sopra il suo cadavere.
Blaine, al lato del letto, componeva musica con la sua nuova chitarra. Era una domenica mattina come tante, Blaine era senza lavoro perché aveva ceduto la ditta di suo padre a un suo giovane dipendente di cui si fidava, e finalmente stava coronando il suo sogno. Studiava musica.
Kurt si perse a osservarlo per una manciata di secondi, il cuore che scartava un battito nella corsa.
“Blaine?”
“Mmmh?”
“Cosa significa amare una persona?”
Blaine sembrò pensarci su per qualche minuto, mentre le sue dita si sfregavano contro le corde della chitarra una, due, tre volte. “Amare qualcuno vuol dire vedere oltre la superficie e capire cosa c’è davvero sotto di essa.”, spiegò. “Vuol dire accettarla per quello che è, e non solo per ciò che è semplice da accettare. Ma proprio per quello che è più difficile, e che ci fa più paura.”, continuò con voce bassa. “Vuol dire lasciarci ispirare, e accettare la forza che l’altro ci dà quando la nostra non è abbastanza. Vuol dire non sentirsi mai soli, anche se non si ha l’altra persona necessariamente vicina. Vuol dire sacrificio, ma spesso anche luce dopo una tempesta.”
Kurt chiuse gli occhi, respirando a fondo. C’era ancora un vago sorriso che colorava le sue labbra.
“Blaine?”
Kurt riaprì gli occhi.
“Credo di amarti.”
 
 
   
 
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