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Autore: LubyLover    15/02/2016    0 recensioni
Era pallida, ed il suo sorriso risultava appannato e stanco. Ma era a casa. Era di nuovo lì a riportare vita ad una casa che era sembrata vuota senza di lei, era lì a rimettere in (dis)ordine come solo lei sapeva fare. E chissenefrega se per quel S.Valentino non potevano uscire.
È S.Valentino. E c'è da festeggiare, visto che lei non è più in ospedale. Continuazione della mia "Frammenti di una notte d'inverno"
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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A casa per S. Valentino

 

Titolo: A casa per S. valentino

Fandom: Original

Coppia: Het

Rating: Verde

Set In Time: S. Valentino 2016

Nota: Questa fiction fa parte dello stesso universo della mia fiction Frammenti di una notte d'inverno. Ne è praticamente la continuazione, quindi va letta per seconda.

Disclaimer: Sono sempre MIEI! Ma ancora niente cash. Strano, eh...  

 

A casa per S. Valentino (parte 2)

 

Non che fosse mai stato un grande ammiratore di S.Valentino, anzi. Tutta quell'atmosfera piena di cuori, zucchero e buoni sentimenti gli dava quasi il voltastomaco (più o meno come Natale, insomma, al punto che lei lo aveva soprannominato Grinch). Non riusciva a capire perché il mondo degli innamorati dovesse mettersi in mostra in quel giorno specifico e festeggiare qualcosa che, in tutta onestà, si sarebbe dovuto festeggiare tutto l'anno.

Ai suoi occhi cinici, era tutto un "Oh tipolino, oggi ti amo tantissimo. Festeggiamo il nostro amore! Da domani riprendiamo a vivere da separati in casa".

Lei rideva. Di lui, ovviamente. Lo guardava con i suoi occhi color ambra e scuoteva la testa. Perché, in apparenza, lei riusciva a vedere qualcosa sotto la sua voce burbera ed il suo atteggiamento scostante. Qualcosa che lui non vedeva. Abbastanza banalmente, a lei S. Valentino piaceva. Oh no, non ne andava matta, non organizzava la sua esistenza annuale intorno a quella data, non riempiva la casa di cuori, non disseminava cioccolatini nelle stanze (cioè, il primo anno di convivenza l'aveva fatto. Le era sembrato un gesto carino, e romantico, fino a quando lui non si era sdraiato sul cioccolatino che lei aveva messo sul letto, semi-nascosto dalle pieghe del piumone, e lo aveva sciolto, macchiando le coperte e - orrore - il maglione di cachemire regalo della mamma) e non faceva nulla di particolarmente sdolcinato. Lui apprezzava questo suo aggiustamento e la ringraziava portandola fuori a cena. Avevano scoperto un ristorante discreto e non troppo alla moda; dopo tutti quegli anni i proprietari li conoscevano e riservavano per loro il solito tavolo d'angolo. Una serata fuori per cementare, anno dopo anno, la loro relazione. Era una cosa carina.

Quell'anno la cosa carina (carina? Favolosa!) era che lei finalmente era stata dimessa. Era ancora debole, e zoppicava sulla gamba sinistra, quella dove la lama del coltello l'aveva raggiunta. Era pallida, ed il suo sorriso risultava appannato e stanco. Ma era a casa. Era di nuovo lì a riportare vita ad una casa che era sembrata vuota senza di lei, era lì a rimettere in (dis)ordine come solo lei sapeva fare. E chissenefrega se per quel S.Valentino non potevano uscire.

Lui la guardava, si curava di lei, la aiutava a camminare, controllava che prendesse le medicine e si subiva i programmi televisi che lei amava, ma che lui non sopportava. Tutto per starle accanto. Tutto per scacciare il ricordo di quelle notti che avevano passato separati, notti in cui lui aveva praticamente consumato il biglietto ("che biglietto?" Gli aveva chiesto lei, sorniona come sempre, dal suo letto d'ospedale. Ma era arrossita, e lui si era sentito bene) che lei aveva pensato per lui, e per lui soltanto.

La sera prima della festa degli innamorati, lui era andato a teatro. Un po' da egoisti, raccontato così, ma, anche qui, c'è una storia dietro. Lei si era intenerita oltre misura dalla dolce sollecitudine con cui lui le era vicino e voleva premiarlo. Da anni avevano l'abbonamento per la stagione di prosa, ed erano sempre andati insieme. Lui avrebbe rinunciato, si sa, ma lei aveva invitato a cena una cara vecchia amica ed aveva contattato il suocero. Alla fine, lui si era trovato a ridere a teatro accanto a suo padre, certo che lei, accudita da quella matta dell'amica, avrebbe fatto altrettando.

Solo che...

Solo che, alla fine del primo atto, a sipario chiuso, lui aveva sentito la nostalgia attanagliarlo ed un pensiero cristallino - voglio mia moglie qui -  gli aveva mozzato il respiro. La voleva davvero accanto a lui, e non riusciva a credere di essere andato a teatro senza di lei, e di non poter commentare con lei lo spettacolo. Aveva deglutito, un po' spaventato dall'intensità del sentimento che provava per lei, ma aveva deciso di non dire nulla a suo padre. D'altronde insieme si stavano divertendo, e l'uomo si meritava una serata fuori. La mamma ormai non c'era più da un paio d'anni, ma lui sapeva che il padre ne sentiva ancora la mancanza. E poteva capirlo. Ormai poteva capirlo davvero.

Durante il secondo atto, un piano aveva preso forma nella sua mente, un piano da nulla, un pensiero, niente di epico come il bigliettino di lei ("Io ti ho scritto cosa? Ti sembro nelle condizioni di scrivere?" L'aveva ripreso bonaria, sempre con quella luce furba negli occhi), ma qualcosa di tenero. Oddio, persino di romantico. Qualcosa che a lei sarebbe piaciuto.

Così, quel S. Valentino cercava di attuare il suo piano senza farsi scoprire. Impresa ardua, perché, ovviamente, lei era sempre stata dotata di un istinto formidabile, e capica - capiva, vi dico - quando qualcuno stava progettando qualcosa. Lei lo sapeva se nascondevi qualcosa. Per dire, non giocavano nemmeno più a Cluedo, insieme, perché lui, contro di lei, non aveva mai vinto una partita. Mai. Un intuito pazzesco. Persino gli amici si rifiutavano di giocare con lei, perché, insomma, non è che c'era stato un omicidio davvero, non c'era bisogno di trasformarsi in Sherlock Holmes ogni singola volta. Ma lei era così.

Comunque. Quel giorno, lo guardava aggirarsi per la casa, un occhio sulle pagine del libro che stava divorando, l'altro su di lui, a cercare di entrargli nella testa e capire cosa mai stesse facendo. Lui sapeva che lei sapeva. Lei, però, non gli chiese nulla. Lui la amò per questo: non era mai stato capace di mentirle, e sapeva che sarebbe crollato di fronte ad un suo eventuale interrogatorio. Lo stava lasciando giocare, ed era bello.

Verso le sei del pomeriggio, suonò al campanello la sua amica estetista. Non era una visita casuale, ma tutti gli attori della vicenda finsero di crederci. Lentamente, con tutte le attenzioni del caso, la trascinò in bagno, dove le fece una maschera rilassante e nutriente ("Ci vuole! Dopo l'aria malsana dell'ospedale!"), le lavò i capelli e massaggiò il cuoio capelluto ("Sono un po' spenti... antibiotici ed anestetici sono tra le cose più deleterie. Credimi"), la truccò con cura ("È un crimine non mettere in risalto questi occhi, te lo dico sempre") e l'aiutò ad infilarsi il vestito lungo e leggero, un velo impalbabile colo cipria, che lei aveva comprato una volta, spinta da un impulso irrefrenabile.

Poi l'aveva accompagnata fino al salotto e lei, lì, si era bloccata. Al centro della stanza c'era lui, con un mazzo di rose rosse, quelle scure che lei aveva messo anche nel bouquet il giorno delle nozze, nel vestito buono e con un sorriso meraviglioso. Il suo sorriso, quello con cui le aveva detto che l'amava, quello con cui la svegliava ogni singola giornata della loro vita. Il sorriso pensato e creato per lei. L'amica si era dileguata, e lui le aveva preso una mano e l'aveva fatta entrare in salotto. Sul pavimento, dove qualche giorno prima c'era un tappeto, me che erano stati costretti a buttare per via del sangue, lui aveva steso una coperta di lana. Al centro, c'erano piatti e posate. Lui la fece accomodare con delicatezza, senza smettere mai di sorriderle.

Sul suo piatto c'era una busta rossa. Lei l'aprì. Si preparò, respirando a fondo: non era mai stato un grande scrittore, ma quando ci si metteva era in grado di fare concorrenza ai poeti più celebri di sempre. Aveva solo bisogno di una spintarella.

"Amore,

ti ho vista guardare questo salotto con occhi tristi, come se ti sentissi tradita dai mobili che abbiamo scelto insieme. Non è giusto, tu ami stare qui. Ed io amo stare qui con te. Come mi hai fatto notare una volta questa è la nostra casa e la dobbiamo rivendicare.

Ecco, io adesso rivendico questa stanza. Questo non sarà più il posto in cui sei stata aggredita. Da oggi questo pavimento sarà dove quel pazzo di tuo marito, tra l'altro uno di quelli che non è nemeno troppo a favore di S.Valentino, ha organizzato per te una cenetta romantica. Ma tu lo sapevi che avevo anche quest'anima dolce, vero? L'hai sempre saputo. 

Da stasera, ogni volta che entreremo qui, penseremo a questa serata.

E ti autorizzo a ridere di me, perché no, non ho cucinato io, ma ho chiamato il ristorante per farmi portare il cibo.

Se sei d'accordo, per favore, comincia a ridere adesso, che persino i muri hanno bisogno del suono della tua risata.

Con amore. Sempre"

Arrivata alla fine, si asciugò le lacrime di commozione dalle guance ed alzò gli occhi: lui la stava guardando reggendo a fatica i vassoi con le pietanze. Dell'intigolo stava già colando lungo il polsino della camicia.

Lei scoppiò a ridere, piena d'amore e di vita per la prima volta dopo molti giorni.

La casa, e lui, risero con lei. E, finalmente, ogni traccia dolorosa di quanto accaduto abbandonò la casa e la loro vita. 

 

 

 

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