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Autore: miseichan    15/02/2016    10 recensioni
Un pizzicore al naso, ecco il preludio di uno starnuto.
“Etciù!”
Sherlock sorrise. E quello, buon Dio, quello era il preludio di assolutamente niente di buono.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Etciù!

 

 

Un pizzicore al naso, ecco il preludio di uno starnuto. 
John arretrò di qualche passo e alzò gli occhi al cielo, no, no, per favore no.
“Etciù!”
John chiuse gli occhi e sospirò, al diavolo.
“John?”
“Mmh?”
“Stai bene?”
“Certo che sì.” La voce gli uscì più rauca di quanto avesse voluto, la bugia palese alle sue stesse orecchie, ma Sherlock miracolosamente lasciò correre.
“Hai capito chi è stato? Possiamo andare a casa?”
Sherlock mormorò un assenso e incrociò le braccia al petto, guardandolo. 
“Cosa?”
Sherlock inarcò un sopracciglio. 
John inspirò profondamente, aprì la bocca e… “Etciù!”
Sherlock spalancò gli occhi, vagamente inorridito. “John.”
“E’ solo un raffreddore. Etciù!”
Lo sguardo di Sherlock da inorridito divenne calcolatore.
John scosse la testa. “Sto bene.”
Sherlock annuì, gli porse un fazzoletto e sollevò quattro dita, cominciando pian piano ad abbassarle una dopo l’altra. 
Tre. 
“Sherlock?”
Due. 
“Davvero, sto bene.”
Uno.
“Etciù!”
John gli strappò il fazzoletto di mano. Sherlock sorrise. 
E quello, buon Dio, quello era il preludio di assolutamente niente di buono. 

 

 

§

 

 

“Così si è scoperto che aveva sempre avuto un gemello,” esclamò Lestrade. 
John annuì, massaggiandosi la fronte, pensando che in un altro momento quella notizia, per qualche motivo, lo avrebbe entusiasmato. Non adesso, però. Non con questo mal di testa che non voleva saperne di andarsene. 
“Ehi, John. Stai bene?”
“Solo un po’ di mal di testa,” mugugnò, accennando un sorriso. “Una bella birra e sarò come nuovo.”
Lestrade si guardò attorno e gli batté una mano sulla spalla. “Vado a vedere che fine ha fatto la cameriera, ormai avrebbe già dovuto…”
“Ecco qui.”
Sherlock poggiò un vassoio sul tavolo. 
Lestrade sbuffò, l’aria divertita. “Da quando in qua metti piede in un pub?”
“Shh,” lo zittì Sherlock, porgendogli un boccale di birra. “E questo per John.”
John afferrò il bicchiere e si bloccò con la mano a mezz’aria. “Sherlock?”
“Qualcosa non va?”
“Non è la birra che avevo ordinato.”
“Lo so.”
Lestrade si sistemò meglio sulla sedia, portando con sé il cestino di noccioline. 
“Sherlock,” sospirò John, improvvisamente a corto di parole. “Perché?”
“Non stai bene. La birra non è indicata.” Sherlock sbuffò. “Sei un dottore John, dovresti saperle queste cose.”
Lestrade grugnì, l’espressione esilarata.
Sherlock lo fulminò con lo sguardo e indicò nuovamente il bicchiere fra le mani di John.
“Latte caldo scremato con due cucchiai di miele.”
“Sherlock,” gemette John, ignorando la risatina proveniente dall’altro lato del tavolo.
Sherlock si aggiustò la sciarpa attorno al collo e inarcò un sopracciglio. “Passate una buona serata.” John lo guardò andare via e riuscì solo a pensare, fottuto sopracciglio.
“Influenza, mmh?” chiese Lestrade.
“Un raffreddore,” borbottò John, chiamando una cameriera. “E’ solo un banalissimo raffreddore.”
“Posso aiutarla?”
“Sì, per favore. Potrei avere una…”
“Latte caldo, signore,” lo interruppe lei. “Sono autorizzata a servirle solo acqua o latte caldo.”
Lestrade scoppiò a ridere, l’ultimo sorso di birra che quasi gli andava di traverso. 
John annuì, sconfitto, e cominciò a sorseggiare il suo latte.

 

 

§

 

 

“Signora Hudson?”
“Oh, caro, come va?”
John sorrise e sprofondò un altro po’ nella poltrona. “Potrebbe andare meglio.”
Sherlock comparve improvvisamente al suo fianco, fazzoletto in una mano e tazza nell’altra. John roteò gli occhi. “Non c’è alcun bisogno di… Etciù!”
“Oh, povero caro.”
Sherlock brontolò, “E’ un pessimo paziente.” 
John accettò il fazzoletto e guardò di traverso la tazza. “Cos’è?”
“Tè.” Non aggiunse ovviamente, ma John lo sentì comunque. “Con del miele.”
“All’eucalipto?” s’informò la signora Hudson. “L’eucalipto è ottimo per…”
“Qual è il fine, Sherlock?” la interruppe nervoso John. 
Sherlock lo guardò corrucciato. “Nessun fine.”
“C’è della droga? Veleno? Sherlock,” John sgranò gli occhi. “Dove hai trovato le bustine di tè?”
Sherlock tirò su col naso, l’espressione offesa. “C’è solo del miele.” Gli mise la tazza fra le mani e sparì in direzione della cucina.
“Le sembra il modo di ringraziarlo?” sussurrò la signora Hudson, imbronciata. 
John si bagnò le labbra con il tè e non riuscì a trattenere un verso di sorpresa. “Oh.”
La signora Hudson scosse la testa. “Voi giovani,” borbottò. “Non sapete più cosa sono le buone maniere.”

 

 

§

 

 

“Dottor Watson?”
“Mycroft, sono preoccupato,” bisbigliò John nel telefono.
“Dove si trova?”
“A casa, dove vuole che mi trovi?”
“Si sente bene?”
“No,” tossì John. “Ma non sono io il problema. C’è qualcosa che non va con Sherlock.”
Mycroft restò in silenzio. John sospirò e si chiese cosa di tanto male avesse fatto in una vita precedente per far sì che gli venissero affibbiati i fratelli Holmes.
“Mi ha costretto a bere del latte caldo. E mi ha preparato il tè.”
“Cosa?”
“Il tè, Mycroft. Lo ha preparato lui.”
John sentì il rumore di una porta che si chiudeva. “E’ sicuro che non fosse…”
“Era semplice tè. Solo tè.”
“Oh.”
“E mi ha anche portato del brodo di pollo. Ieri sera, così, di punto in bianco. C’è qualcosa di strano, okay? Devi risolvere la situazione. Cambi caratteriali di questa portata possono essere indicativi di… etciù!”
“Sto arrivando.”

 

 

§

 

 

“Dov’è?”
“Sta preparando dei biscotti con la signora Hudson.”
Mycroft inarcò un sopracciglio. John starnutì.
“Non ha nulla di cui preoccuparsi,” affermò dopo qualche momento. “Pensi solo a guarire.”
John si armò di un nuovo fazzoletto e gli indicò il divano.
“Qual è il problema?”
“Le ho appena detto che non deve preoccuparsi e…”
“Sta preparando dei biscotti, Mycroft. Non mi avresti convinto neanche dopo la prima tazza di tè, ma adesso? Non provarci nemmeno.”
“E’ una storia vecchia,” sospirò infastidito. “Perché non lasciamo perdere?”
“Perché ti sei preso il disturbo di venire fin qui, quindi sei preoccupato anche tu.” John gesticolò vagamente con la mano in direzione della teiera ancora semipiena. “Parla.”
Mycroft incrociò le braccia al petto. 
John alzò gli occhi al cielo. “Sul serio? Stai mettendo il broncio?”
“Non sono un bamb… non sono Sherlock!” sibilò Mycroft. “Cosa diavolo…”
“Etciù!”
La porta in fondo alle scale si aprì e la voce di Sherlock riecheggiò per le scale: “I biscotti sono quasi pronti, John! Miele ed eucalipto! Ottimi per la tua gola!”
Mycroft uggiolò e crollò a sedere sul divano. “E’ colpa mia.”

John serrò le labbra e non disse come volevasi dimostrare, ma annuì incitandolo ad andare avanti. “Che hai fatto? E’ una scommessa?”
“No, niente del genere,” scosse la testa Mycroft. “Io… quando Sherlock era piccolo… ero stanco, John, così stanco… è successo solo una volta! Non volevo!”
John pietrificò. Aveva pensato a uno scherzo, ipotizzato una possibile scommessa, forse una penitenza? Non questo. Non qualcosa risalente all’infanzia di Sherlock e per cui Mycroft avesse ancora motivo di sentirsi in colpa. 
Inspirò per quanto gli fu possibile e cercò di calmarsi. Dannazione. 
“Smettila di balbettare e forma una frase completa.”
“Ero stanco, John. Esausto. Lui era malato e non la smetteva di… era insopportabile. Sai com’è fatto: ammalato è mille volte peggio. Bambino e ammalato? Non lo augurerei a nessuno.”
“Mycroft,” mormorò John a denti stretti. “Cosa. Hai. Fatto?”
“Gli ho risposto male!” sbottò Mycroft alzandosi in piedi. “Urlato contro. Detto cose che non avrei dovuto dire, va bene? Ero arrivato al limite.” 
John reclinò il capo all’indietro e cercò di contenere la rabbia. “Cosa gli hai detto?”
“Bah. Niente di così grave.” Si aggiustò la giacca e afferrò l’ombrello. “Se fosse stato meno… Sherlock, lo avrebbe dimenticato invece di…”
“Cosa gli hai detto?”
Mycroft sospirò, chiudendo gli occhi per un momento. “Qualcosa come ‘nessuno vorrà mai prendersi cura di te’ e ‘se continui così ti ritroverai sempre da solo ogni volta che starai male’, forse. All’incirca. Non ricordo le parole precise.”
John si limitò a guardarlo. 
Mycroft scrollò le spalle e fece ondeggiare l’ombrello. “Ho chiesto scusa, John.”
“John! Butta fuori Mycroft!” giunse la voce dalle scale. “I biscotti non sono per lui!”

 

 

§

 

 

John si rigirò nel letto e allontanò le coperte. Caldo. Troppo caldo.
“John? Vuoi che suoni un po’ il violino?”
“Sherlock,” mormorò John senza riuscire a trattenere un sorriso. “Non è carino origliare fuori le stanze altrui.”
“Non sto origliando,” ribatté Sherlock. “Però dovresti rimetterti sotto le coperte.”
John chiuse gli occhi e ubbidì. 
“Sherlock?”
“Mmh?”
“Ci sono ancora biscotti?”
La porta sì aprì e Sherlock gli lanciò un biscotto. “Ti sono piaciuti?”
“Sono ottimi. Ancora grazie.”
Sherlock sorrise e John sentì una stretta al cuore. 
“Vieni qui.”
“Cosa?”
John scivolò di lato e batté la mano sul materasso. “Vieni. C’è spazio.”
Sherlock sgranò gli occhi. “John. Non è indicato. Sei malato e… che razza di dottore sei?!”
John scoppiò a ridere. “Vuoi che dorma? Allora chiudi la bocca e vieni qui.”
Sherlock chiuse la bocca. John inarcò un sopracciglio.
Sherlock sbuffò, sorrise, scosse la testa e ubbidì.

 

 

§

 

 

John sorseggiò il suo tè e sgranocchiò un biscotto. 
Sherlock comparve al suo fianco, gli poggiò una mano sulla fronte e annuì compiaciuto.
“Stai meglio.”
“Confermo,” sorrise John. “Soddisfatto?”
“Non so di cosa stai parlando.”
John prese un altro biscotto. Non sarebbero durati ancora a lungo.
Fu con la coda dell’occhio che lo vide, un movimento così impercettibile che quasi gli sfuggì: Sherlock si sistemò la vestaglia e arricciò il naso. John posò la tazza sul tavolo. 
“Lestrade passerà a minuti,” stava dicendo Sherlock, ma John non lo ascoltava. No. John concentrò tutta la sua attenzione sul suo naso, in attesa. Quando Sherlock lo arricciò di nuovo, John per un pelo non scoppiò a ridere. 
“John? Mi stai ascolt… etciù!”
Sherlock raggelò, l’espressione incredula. 
“Sherlock?”
“Non è niente. Sto bene.”
John aspettò. 
“Etciù!”
John lo raggiunse e inclinò la testa. “Immagino sia colpa mia?” 
Sherlock scosse la testa. “No, no, no. Sto bene.” 
“E’ il principio di un raffreddore.”
“No.”
“Stai negando l’ovvio, Sherlock.”
Sherlock si passò le mani nei capelli e John, per la prima volta, notò il terrore nel suo sguardo. 
“Ho detto che sto bene. Non posso ammalarmi,” ringhiò Sherlock, facendo per allontanarsi. 
John gli afferrò il polso e con un rapido movimento lo fece accomodare sul divano. 
“Sì che puoi,” lo corresse. “Ci sono qua io.”
Sherlock aprì la bocca ma non ne uscì niente. John gli mise in mano un biscotto.
“Io…”
John si allontanò e tornò con fazzoletti, tè e una coperta. 
“John… che stai facendo? Io… etciù! Sto bene, John!”
“Non è vero. Il latte lo vuoi ora o dopo il tè?”
“John!” sbottò Sherlock. 
John gli si fermò davanti e incrociò le braccia. “Se starnutisci un’altra volta, Sherlock, solo un’altra, niente m’impedirà di prendermi cura di te fino a quando lo riterrò opportuno!”
Sherlock lo fissò, gli occhi spalancati. 
“Etciù!”

 

 

 

§§§



 

Per Mariateresa, che voleva John con l'influenza. 
Perché lei ha capito che per farmi scrivere bisogna spingermi. Letteralmente. Con un bastone. 
Perché sono pigra, tanto, troppo. Ma se chiedete con un sorriso alla fine cedo sempre. 




 

 
   
 
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