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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    17/02/2016    4 recensioni
(Ukitake - Unohana - Zaraki)
Lasciandomi trasportare dall'indecisione di una coppia, ho creato uno "scambio" di introspezioni dei due capitani, sulla base di come ognuno di loro vive il proprio rapporto - contemporaneo! - con Unohana e, al contempo, lascino intendere il modo totalmente diverso che hanno di passare il tempo con lei.
"A Zaraki non importava un bel niente del lato ch’ella mostrava con Ukitake,
ed Ukitake - probabilmente - temeva quello ch’ella sfogava con Zaraki.
Era un equilibrio perverso quanto solido: Jushiro era il paradiso di cui aveva bisogno e Kenpachi l’inferno che non voleva abbandonare."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Retsu Unohana, Ukitate Jyuushiro, Zaraki Kenpachi
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
- Questa storia fa parte della serie 'Kenpachi's moments'
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Note Autrice:
Per quanto io prediliga la KenUno, non posso negare che anche Ukitake sarebbe un perfetto pretendente... lasciandomi trasportare dall'indecisione, ho creato uno "scambio" di introspezioni dei due capitani (Zaraki a destra ed Ukitake a sinistra), sulla base di come ognuno di loro vive il proprio rapporto - contemporaneo! - con Unohana Retsu e, al contempo, lascino intendere il modo totalmente diverso che hanno di passare il tempo con lei.



 
_____________ Between Heaven and Hell _______________

 

Fin da bambino aveva sempre detestato i medici. Costretto dalla propria cagionevole salute a recarvisi di frequente, cercava ogni volta di fuggirli con qualsiasi scusante, anche a costo di scappare di casa per qualche ora – o giornata.
Da quando era entrato a far parte del Gotei 13 – e con lui Unohana Retsu – non aveva mancato una sola visita, né ritardato di qualche secondo.
Era sempre lì ad aspettarlo, quella donna dai lineamenti così delicati ed un sorriso cordiale dipinto in volto. Non aveva lasciato mai, nemmeno un singola volta, che fosse qualcun altro ad occuparsi di lui, nemmeno se si trattava di una consueta visita di routine.
Lo faceva accomodare e, pur non parlando poi molto, lo faceva sentire a proprio agio, lasciandogli capire che sì, lei si stesse effettivamente prendendo cura di lui.
Non si trattava di una cura soltanto del corpo, malato e destinato ad essere tale, quanto più dello spirito: non mancava mai di sfiorarlo con una delicatezza cullante e vederla era, per lui, una vera…

 
beatitudine, poter affrontare un nemico che ogni volta gli avrebbe lasciato una nuova cicatrice, ricambiando con gli interessi.
Combatterla e sfidarla era il solo appuntamento settimanale che quello zotico Capitano Undici si degnasse di rispettare.
Arrivava in anticipo, fremeva nell’attesa e poi, non appena la sua figura faceva il suo ingresso in quelle profonde ed immense prigioni sotterranee, sguainava la katana e le si avventava contro senza esitazione.
La forza e la spietatezza con cui ella lo affrontava era una libidine per lui incommensurabile,
che godeva appieno ad ogni scontro, ad ogni incrocio delle loro lame affilate quanto sadiche.
E forse sì, era anche la consapevolezza di essere l’unico contro il quale lei accettasse di combattere che lo inorgogliosiva come…

… mai nessuno era entrato nei suoi appartamenti personali, persino ad Isane aveva interdetto qualsiasi accesso, come se all’interno custodisse chissà quali segreti. E c’erano, in effetti, c’erano eccome, eppure soltanto al Capitano Tredici era stata data quella fiducia.
Ne era rimasto colpito, quando con naturalezza lo aveva invitato a passare la serata nelle sue stanze.
Aveva esitato, più per educazione a dire il vero, e non aveva mancato di portarle uno splendido mazzo di fiori, precisamente le gardenie: sì, l’aveva osservata per così tanti secoli da aver appreso ogni dettaglio, di lei, a partire dal fiore preferito.
Aveva volto le iridi di quel blu così intenso proprio dritte in quelle più chiare dell’uomo, regalandogli un sorriso che gli era parso estremamente sincero. Il cuore gli si era inevitabilmente scaldato: non credeva di averla mai vista…

 
… sorridere, anzi, ridere di gusto soltanto in sua presenza.
Non per la simpatia, naturalmente, praticamente nemmeno si parlavano,
ma l’eccitazione e la libidine provate erano qualcosa di tanto esaltante
che non riusciva a trattenere in una semplice smorfia di sfida.
Era lei, quella contenuta, non certamente Zaraki, grezzo e particolarmente animale.
Eppure non era forse quell’istinto primordiale, ciò che veramente Unohana cercava in lui?
Per quanto fosse uno zotico menefreghista, si prendeva – di tanto in tanto – qualche istante per osservarla:
composta, educata, contenuta.
Segregata.
Ecco come appariva, ai suoi occhi ben più materiali:
una belva in trappola, rinchiusa a forza che, inevitabilmente, necessitava di qualche sfogo saltuario
per non esplodere brutalmente e cancellare ogni sforzo fatto per costruirsi una sorta di vita…

… normale, lo aveva intuito sin dal loro primo incontro, che qualsiasi tipo di relazione sarebbe andata a crearsi non lo sarebbe stata.
Ma non l’aveva mai pretesa, dopotutto: era il prezzo da pagare per averla affianco.
Unohana – nel tempo che trascorrevano assieme – gli aveva sempre dato ciò di cui aveva bisogno: vicinanza, affetto, forse persino amore… e non aveva mai rifiutato una cena, una passeggiata, una lunga chiacchierata, o qualsiasi cosa lui le avesse proposto di fare assieme.
Eppure, nonostante quell’armonia così delicata e preziosa che era riuscito a creare in sua compagnia, nel profondo era convinto di non poter veramente…

 
… capirla non rientrava nei suoi interessi.
Non si era mai posto molte domande riguardo quello strano modo che aveva di comportarsi,
così pacata col mondo nonostante la belva abilmente sepolta.
In realtà, non gliene fregava assolutamente nulla:
sapeva di essere l’unico a poter vedere quella che riteneva essere la vera Unohana – Yachiru –
e di come si comportasse al di fuori delle loro battaglie o del suo letto se ne sbatteva altamente,
così come sembrava farlo lei.
Non aveva mai visto quel loro malato ed al contempo soddisfacente rapporto al di là della sua fisicità,
della necessità di ferirsi e di prendersi:
in tutti quei secoli, non aveva mai minimamente pensato di rivolgersi a lei non con la spada o la violenza, ma piuttosto con il…

… cuore suo, per quanto negasse l’evidenza, lo aveva sempre saputo.
Lo sapeva perché i segni che la donna riportava sul corpo, di tanto in tanto, non erano soltanto quelli di una feroce battaglia con un Hollow, ma morsi o graffi di un altro uomo - e lui non era certamente così barbaro.
Lo feriva, questa consapevolezza, era innegabile, ma era altrettanto consapevole che discuterne apertamente con lei non avrebbe portato assolutamente a nulla… perché “l’altro uomo” era Kenpachi Zaraki.
Ma non era timore, quello che provava nei suoi confronti, nemmeno un rancore scaturito dalla gelosia: ma rispetto.
Forse troppo buono, forse troppo altruista ed attento agli altri piuttosto che a se stesso, Ukitake era consapevole che ciò che Zaraki rappresentava per Unohana nessun altro lo sarebbe stato.
Nemmeno lui.
Con quel pazzo assassino, lei condivideva qualcosa che nessun altro avrebbe mai compreso.
Nemmeno lui.
Con pazienza, con fedeltà, aveva cominciato ad accettarlo …

 
… che Unohana frequentasse “ufficialmente” un altro uomo, a Zaraki non importava proprio un accidente.
Certo, lo infastidiva non poco che certi giorni, quando sentiva l’irrefrenabile bisogno di sgozzare qualcuno senza far fuori mezza Soul Society,
lei si rifiutasse a causa di “altri impegni”… e non riusciva proprio a spiegarsi come lei,
Primo Kenpachi e criminale numero uno dell’epoca passata,
potesse rinunciare ad una battaglia con lui per stare con quello là.
Non era gelosia, non nel suo senso stretto almeno, ma non poteva fare a meno di sentirsi…

infastidito? No, non era cambiato nulla, tra lui e Kenpachi. Il bestione continuava a calcolarlo meno di zero o quasi, mentre lui lo salutava cordialmente, con quel suo sorriso inevitabilmente benevolo.
A volte sì, avrebbe voluto osservarlo un po’ di più, capire cosa Unohana trovasse di tanto attraente in lui che Ukitake non potesse compensare… ma scacciava subito quei pensieri, riportando alla mente le vecchie abitudini che la donna aveva di massacrare mezza periferia della Soul Society per svago, all’epoca della fondazione del Gotei.
Forse, in fin dei conti, era meglio così: nessuno – che non volesse di propria volontà – veniva ferito e con lui poteva essere quella splendida e premurosa donna che lui aveva ammirato e desiderato per una vita intera.
Non c’erano inghippi, nella loro relazione, poiché – al di l del lavoro che impegnava molto entrambi – Unohana non prestava attenzione che a lui, persino all’altro non rivolgeva mai più di un saluto, in pubblico.
E non riusciva a definire “problema” nemmeno quella bimbetta dai capelli rosa che lui trovava, in fondo, solamente molto dolce ed…

 
… ingenua, Yachiru lo era sempre stata, ma in quella situazione lo era particolarmente.
Si accollava alle vesti del suo Capitano – o pseudo padre? – frignando
e cercando una risposta sul perché Uno-chan non passasse il tempo con lui, visto che stavano così bene insieme.
Visto che Uno-chan cucinava così bene e le preparava sempre delle merendine deliziose.
Visto che Uno-chan la trattava sempre dolcemente e si premurava di lei.
Visto che, in poche parole, Uno-chan era il suo ideale perfetto di una madre mai avuta:
premurosa, attenta ed al contempo irrefrenabile nei combattimenti.
Kenpachi si stufava parecchio, quando la piccoletta cominciava quella tiritera:
a lui, della premurosità e delle doti culinarie della donna, non era mai importato un bel…

… niente, sembrava che tutto le venisse sempre impeccabilmente.
Ci aveva provato, a cucinare per lei, ma Unohana restava comunque una cuoca migliore.
Aveva tentato con dei regali – anzi, gliene faceva parecchi – eppure aveva sempre l’impressione di non riuscire a ricambiare quelle delicate e premurose attenzioni che lei sempre gli rivolgeva, dal semplice sguardo al preparargli il thé caldo – rigorosamente al mirtillo rosso – ogni giovedì pomeriggio dopo la visita.
Non gli mancava nulla, veramente nulla, se non per il fatto che non fosse completamente…

 
sua soltanto non lo sarebbe mai stata, era una sorta di prerogativa, di accordo,
che avevano silenziosamente stipulato sin dagli inizi di quel loro pseudo-rapporto prettamente carnale, sotto ogni punto vista.
Ma in fondo, molto in fondo, era conscio che lui non le sarebbe mai bastato, così come era convinto che non le bastasse quell’altro.


 
A Zaraki non importava un bel niente del lato ch’ella mostrava con Ukitake, ed Ukitake - probabilmente - temeva quello ch’ella sfogava con Zaraki.
Era un equilibrio perverso quanto solido: Jushiro era il paradiso di cui aveva bisogno e Kenpachi l’inferno che non voleva abbandonare.
  
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