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Autore: WilliamShare    18/02/2016    8 recensioni
[SEQUEL DI OBSIDIAN]
QUESTA STORIA FA PARTE DELLA SERIE "SURRENDER AND HEART". POTETE LEGGERE QUESTA FANFICTION ANCHE SENZA AVER LETTO IL PREQUEL.
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TRAILER: https://youtu.be/NcTHnGmcRSU
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“Ciao amore.” Sussurrai, mentre le lacrime cominciavano a scorrermi lungo le guance ed il mio respiro si faceva affannoso[...]
“So che probabilmente ti sarai stancato di sentirtelo dire, ma mi manchi. Mi manchi tantissimo.” Mi asciugai il viso con una mano e tirai su col naso, prendendo un attimo di pausa per riordinare le idee [...]
Rimasi un po’ in silenzio, fino a che l’infermiera non entrò per avvisarmi che sarei dovuta uscire entro pochi minuti[...]
“Devi svegliarti Harry.” Dissi, sollevandomi dal suo petto e poi mettendomi in piedi, tenendo la sua mano fra le mie, cullandola leggermente per poi guidarla verso di me, appoggiandola dolcemente sul mio basso ventre mentre il mio polso accelerava.
“Noi ti aspettiamo qui.” Singhiozzai.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Surrender and Heart'
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Le nostre due anime perciò, che sono una,
anche se io devo andare non soffrono in verità
una separazione, ma un’espansione,
come oro battuto che si allarga aereo.

 

 

 

 

Londra, 5 Gennaio

Mattina, ore 6.00

 

 
Ansimai, in preda agli spasmi, mentre con le mani raccoglievo le ciocche sfuggite alla coda improvvisata che avevo fatto nella fretta mentre correvo verso il bagno a causa dell’improvvisa nausea che mi aveva colta: erano solo tre giorni che ero uscita dall’ospedale e ancora la paura era parte integrante della mia vita di giorno e di notte ed il mio corpo ed il mio spirito erano ormai devastati da ciò che avevo vissuto.

Erano passati quattro miseri giorni dal giorno in cui Al –il mio ex ragazzo- era entrato in casa mia con l’intento di uccidermi una volta per tutte: aveva più volte ripetuto, anche mentre stavamo insieme, quanto non sopportasse l’idea che io potessi appartenere a qualcun altro che non fosse lui e l’aver constatato che fossi riuscita ad andare avanti e a farmi una vita dopo di lui –nonostante tutto ciò che mi aveva fatto e le cicatrici fisiche e mentali che mi aveva inferto doveva aver fatto scattare qualcosa dentro la sua testa, un campanello d’allarme, che aveva annullato la sua umanità una volta per tutte.

Ero più che certa, però, che la cosa che più lo aveva ferito e che lo aveva spinto ad agire preda di una follia omicida, era stata la consapevolezza che i miei sentimenti per Harry fossero profondi più di quanto lo fossero mai stati quelli che avevo nutrito nei suoi confronti.

Rimasi ferma per qualche secondo, in ginocchio davanti al water mentre aspettavo che la nausea mi passasse un minimo: da quando avevo lasciato Harry per provare a tenerlo al sicuro avevo iniziato a soffrire non solo dal punto di vista emotivo; le mie crisi d’ansia erano tornate, quelle di panico si erano fatte più frequenti, gli incubi avevano iniziato a popolare le mie notti e capitava spesso che, per lo stress, soffrissi di nausea e avessi bisogno di vomitare.

Stavolta, però, era diverso: Harry lottava per la propria vita in un letto d’ospedale reduce da un’operazione di ventiquattro ore condotta nel tentativo di estrarre il proiettile dal suo sterno.

La cosa che più mi faceva male era che nel momento in cui mi ero ritrovata faccia a faccia con Al avevo accettato ed accolto anche l’eventualità di morire perché sapevo che se avessi lottato e chiesto aiuto, qualcun altro si sarebbe fatto male per colpa mia.

Avrei tanto voluto capire perché diavolo era dovuto accadere ad Harry -la cosa più bella che mi fosse mai capitata fino a quel momento e non a me, ma ripensandoci a mente lucida, forse non era stato un caso: forse Harry si era volutamente sacrificato, ma non passava ora durante la quale io non provassi ad immaginare come sarebbe potuta andare se solo lui non fosse stato colpito.

Quando fui certa di sentirmi meglio mi sollevai sulle gambe molli e tirai lo sciacquone prima di dirigermi verso il lavandino per lavarmi i denti e spruzzarmi un po’ d’acqua fredda in faccia: alla fine mi sentii più sollevata e quasi riuscii a sentirmi normale mentre mi asciugavo il viso con l’asciugamano e mi osservavo per qualche secondo allo specchio.

Il mio volto emaciato mostrava ancora i segni del pestaggio Al, sebbene il livido sul mio zigomo stesse ormai diventando giallastro e la crosta sul mio labbro superiore –non più così gonfio- avesse finalmente smesso di pulsare.

L’aspetto in generale, però, era un totale disastro: i miei occhi erano lucidi e la mia espressione affranta suggeriva che fossi perennemente sul punto di piangere, cosa assolutamente vera.  

Zia Emma era tornata finalmente a casa –l’avevo trovata al mio capezzale quando avevo ripreso i sensi in ospedale- e mi stava aiutando a prendermi cura di me stessa; era lei ad assicurarsi che la fasciatura attorno alle mie costole fosse ben stretta e ad aiutarmi a vestirmi nonostante il tutore al braccio destro.

Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo a quando lasciavo ad Al il potere di picchiarmi senza ribellarmi, in attesa di trovare il coraggio di denunciarlo, ed ero altrettanto certa che zia Emma si sentisse nello stesso modo: per lei era stato un trauma scoprire che la sua nipotina –l’unica figlia della sua defunta sorella- aveva subito numerosi pestaggi da parte del ragazzo che aveva dichiarato di amarla e rischiare di assistere al suo omicidio non aveva certamente giovato alla sua salute mentale.

Rabbrividii e mi strinsi nello scialle di lana mentre uscivo dal bagno e scendevo le scale per andare in cucina, dove mia zia stava preparando bacon e uova.

Il dottore si era raccomandato di farmi mangiare molto –per due, addirittura- perché riteneva che nel mio stato di salute era assolutamente indispensabile che mi rimettessi in fretta in forze: io non avevo avuto niente da obbiettare.

Mi ero finalmente liberata di Al per sempre ed avevo tutte le intenzioni di prendermi finalmente cura di me stessa dal momento che avevo già rischiato abbastanza nei due mesi precedenti lasciandomi andare, smettendo di mangiare e prendendo quantità preoccupanti di Valium pur di stordirmi e non pensare a ciò che stavo passando e adesso avevo tutte le intenzioni di rimediare al mio errore.

Zia Emma stava seduta al tavolo della cucina ed osservava la televisione, sintonizzata sul telegiornale, con una tazza fumante tra le mani: di fronte a lei, al mio solito posto, stava un piatto stracolmo di uova strapazzate e bacon accompagnati da due fette di pane tostato e burro e, nonostante la nausea, non riuscii a trattenere un sorriso.

“Buongiorno.” La salutai, lasciandole un piccolo bacio sulla guancia prima di accomodarmi al mio posto, osservando il piatto cercando di decidere da dove fosse meglio cominciare: il bacon era invitante, ma avendo appena vomitato forse era meglio iniziare da qualcosa di liquido.

“Come ti senti stamattina, Kit?”

La solita domanda giunse premurosa come ogni mattina da quando eravamo tornate dall’ospedale ed ogni volta riusciva a riscaldarmi più del latte nella tazza: il dottore mi aveva ordinato di non assumere caffeina per nessun motivo al mondo e mia zia sembrava ricordarsi ogni volta cosa fosse meglio per me.

Io mi strinsi nelle spalle, prendendo un sorso dalla mia tazza.

“Come al solito.” Gracchiai, rivolgendole uno sguardo di sottecchi mentre il telegiornale continuava a trasmettere le notizie del mattino: una bellissima reporter con i capelli biondi sciolti lungo le spalle raccontava come quel giorno si sarebbero svolti i funerali di Alexander Evan Wilkinson e di come la famiglia si fosse chiusa nel silenzio più assoluto.

Da quando mi ero risvegliata avevo più volte provato a contattare Rhett tramite messaggi e chiamate, ma lui non una sola volta aveva risposto e se da una parte comprendevo il suo comportamento, dall’altro non potevo che sentirmi tradita: non solo ero stata quasi uccisa da suo fratello e privata della presenza di Harry in quel momento così delicato della mia vita, ma ero stata anche costretta ad assistere alla raccapricciante scena nella quale Alexander si era infilato una pistola fra i denti e si era fatto saltare il cervello proprio nel mio salotto.

Rabbrividii e cercai di scacciare quel pensiero dalla mia mente prima che prendesse possesso di me: non avrei dovuto liberare quel ricordo, soprattutto non in quel momento, ma era impossibile con la televisione che continuava a mandare in onda le immagini del muro del mio soggiorno imbrattato di sangue e del pavimento dove Harry era stato sparato.

Il muro era stato immediatamente ricolorato ed il pavimento pulito, eppure ancora non riuscivo a camminare per il soggiorno senza provare ad immaginare come Al mi avesse vista da quell’angolazione: poteva sembrare malato da parte mia, ma ogni volta mi fermavo davanti ai quadri e mi voltavo verso la finestra provando a visualizzare la scena dal punto di vista di Al.

Talvolta tornavo al mio posto e ripercorrevo la scena da lì, continuamente, cercando di ricordare ogni minimo dettaglio per imprimerlo nella mia mente e tenerlo fisso lì.
Non volevo farmi del male, solo assicurarmi che non avrei mai e poi mai dimenticato come ci si sentiva ad essere in punto di morte, con una pistola puntata contro per continuare ad amare la vita. Non mi sarei più potuta arrendere, questo lo avevo accettato e fatto mio.

“Vuoi passare dall’ospedale prima di andare dalla dottoressa Jenkins?” Domandò zia Emma, premurosa come sempre, pur conoscendo già la risposta: io, infatti, annuii, prendendo un altro sorso dalla mia tazza per poi mordere un toast croccante.

“Allora muoviti, verso le undici dobbiamo andare a fare acquisti in città.” E mi lanciò uno sguardo complice che mi fece sorridere mentre il mio cuore si riempiva di tenerezza ed aspettativa al pensiero di ciò che mi aspettava –ciò che ci aspettava- e che certamente avrebbe cambiato le nostre vite.

La mia, in realtà, l’aveva già cambiata.
Finii di mangiare in fretta e sparecchiai, lavando le tazze ed il mio piatto per poi riempire la lavastoviglie prima di tornare al piano di sopra per vestirmi: scelsi un morbido maglione azzurro chiaro, molto largo ed un paio di leggins neri che indossai prima di andare in bagno per lavarmi i denti e cercare di sistemare quel disastro che erano i miei capelli ed il mio viso.

Intrecciai i capelli a partire dall’attaccatura, poi passai a nascondere i segni del pestaggio dal mio volto ricoprendo la pelle con ingenti quantità di fondotinta: ovviamente non bastò, ma riuscii visibilmente a diminuire la visibilità del livido sotto l’occhio e ciò mi bastò. Indossai le scarpe ed il giubbotto e presi la borsa e le chiavi per poi seguire zia Emma fuori dalla porta verso la macchina: erano mesi che non uscivo di casa –mi resi conto- e l’ultima volta che ero stata in un’auto era stata con Harry.

Trattenni le lacrime e mi sforzai di fingere che andasse tutto bene, almeno per zia Emma: era sinceramente felice che fossi viva e che finalmente Al non fosse più una minaccia per noi –non che non le dispiacesse per la sua morte- e, sopra ogni cosa, era su di giri per ciò che avevamo scoperto all’ospedale.

Il tragitto fu breve e al nostro arrivo non c’era quasi più traccia dei giornalisti che invece affollavano l’uscita il giorno in cui ero stata dimessa, ma sicuramente qualcuno all’interno stava ancora cercando novità riguardo allo stato del poliziotto, l’eroe acclamato di quegli ultimi giorni.

Ma Harry non era un eroe, era una vittima, un innocente rimasto ferito nel tentativo di salvare la vita della ragazza che lo aveva lasciato senza un motivo solamente dopo averlo esposto al pericolo. E adesso lottava tra la vita e la morte.

Beh, non proprio: i medici avevano speranza che, essendo giovane ed in buona forma fisica e salute, potesse risvegliarsi e recuperare nel giro di un paio di mesi –al massimo tre- ma per il momento la prognosi rimaneva riservata.

All’ingresso, l’infermiera di turno mi accolse con un sorriso accennato che cercai di ricambiare senza lasciar trasparire la mia angoscia, prima di proseguire verso il terzo piano con il mio permesso speciale in tasca: solo i familiari potevano visitarlo e sebbene io ed Harry non stessimo più insieme –non di fatto, almeno- alla luce di ciò che era emerso a me era consentito visitarlo.

Al reparto di terapia intensiva indossai il camice e la cuffia prima di varcare la soglia del corridoio che portava alle stanze: mi diressi verso la terza porta a destra ed abbassai la maniglia, trattenendo il respiro.

Subito il silenzio ovattato del luogo mi circondò, l’unico suono udibile era quello del respiratore di Harry ed il bip continuo e ritmato del cuore di Harry trasmesso dalle macchine alle quali era collegato: era completamente nudo sotto il lenzuolo e le sue braccia tatuate erano esposte alla luce bianca dei neon attaccati al soffitto come pure le rondini sulle clavicole.

Mi avvicinai al letto, gli lasciai un bacio sullo zigomo poiché la sua bocca era occupata dal respiratore, sedendomi sulla sedia posta di fianco a lui per poi prendergli la mano delicatamente, facendo attenzione a non toccare gli aghi mentre il mio cuore sobbalzava alla vista dei suoi lineamenti distesi e perfetti.

“Ciao amore.” Sussurrai, mentre le lacrime cominciavano a scorrermi lungo le guance ed il mio respiro si faceva affannoso: i dottori avevano raccomandato di parlare durante le visite per poter stimolare l’inconscio ed i sensi –come ad esempio, l’udito- ed il contatto era incoraggiato e consigliato. Mi ero documentata sull’argomento a casa, decisa a conoscere ogni dettaglio riguardo la situazione nella quale si trovava Harry in quel momento.

“So che probabilmente ti sarai stancato di sentirtelo dire, ma mi manchi. Mi manchi tantissimo.” Mi asciugai il viso con una mano e tirai su col naso, prendendo un attimo di pausa per riordinare le idee.

“Sono tre giorni che zia Emma non fa che farmi mangiare per due: probabilmente quando ti sveglierai sarò grassa come una balena.” Risi nervosamente, appoggiando la guancia sul suo petto, facendo attenzione ad evitare lo sterno dove sapevo si celava il buco del proiettile non ancora del tutto guarito.

“Uova e bacon innaffiati da mezzo litro di caffè.” Scherzai, accarezzando con un dito il contorno della testa di una rondine. Mi mancava terribilmente sentirlo parlare, sapere che poteva realmente sentirmi, far finta di offendermi per le sue prese in giro, perfino litigare mi sarebbe piaciuto un sacco, in quel momento.

Mi mancava terribilmente averlo vicino, potermi accoccolare accanto a lui nel letto, condividere con lui le mie preoccupazioni mentre gli baciavo il petto, la gola, la mascella…

“Appena ti svegli prometto che mangeremo bacon e uova insieme; ho trovato un modo per far sì che il bacon resti croccante anche dopo mezz’ora. Dovrai farmi da cavia.”

Ridacchiai di nuovo, mentre le lacrime continuavano a scorrermi lente sul viso.

Rimasi un po’ in silenzio, fino a che l’infermiera non entrò per avvisarmi che sarei dovuta uscire entro pochi minuti: odiavo dovermene andare quasi quanto odiavo dover andare all’ospedale senza ricevere novità, quel tipo di monotonia mi spaventava più della frenesia del periodo appena trascorso forse perché temevo che la situazione sarebbe potuta restare così per sempre.

“Devi svegliarti Harry.” Dissi sollevandomi dal suo petto mettendomi in piedi mentre tenevo la sua mano fra le mie, cullandola leggermente.

La guidai verso di me, appoggiandola dolcemente sul mio basso ventre mentre il mio polso accelerava.

“Noi ti aspettiamo qui.” Singhiozzai. 

 

 

 

 

 

 

 

Heylà

 

William è tornata dopo tre lunghi 

anni di Obsidian con un nuovo, strappalacrime, 

heartbreaking sequel.

Mi è tornata l’ispirazione (accidenti, 

sono piena di idee) e spero 

vivamente che apprezziate.

Per i nuovi lettori: tranquilli, 

non c’è veramente bisogno che leggiate

il prequel per comprendere Stay, 

ma se volete ricevere uno sguardo 

più completo sulla situazione di Harry 

e Kitai potete tranquillamente fare un salto.

Come nella mia precedente storia, 

i recensori verranno menzionati a 

fine capitolo e una loro storia 

verrà sponsorizzata ogni santa volta.

 

Vi amo tantissimo

William

  
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