Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: Miki89    23/03/2009    2 recensioni
Presentazione Seguire qualcuno con le orecchie da coniglio oltre un solido muro di mattoni non è quella che definirei una buona idea. Non si sa mai cosa potrebbe capitare: gatti sarcastici,  thè volante, bruchi fumatori, regine a dir poco pericolose e re che sono tutto un programma. Una persona normale starebbe alla larga. Ma Amber Laidlaw non può essere definita propriamente normale… e se il coniglio in questione, poi, prende il nome di Edward Walker… allora c’è da preoccuparsi…
Genere: Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Alfheim? No, Wonderland Avvertenze: probabilmente solo i pochi che hanno letto - o almeno dato una sbirciatina - al mio "Deus Ex Machina" riusciranno a capire qualcosa di quanto segue. A tutti quelli che, pur non avendolo fatto, volessero eventualmente continuare la lettura, rivolgo i miei più sentiti auguri di buona fortuna


Alfheim?
                        No, Wonderland !


Tutto cominciò in un’assolata e bizzarra giornata invernale. Dico bizzarra perché dopo tutta la neve che inspiegabilmente aveva continuato a fioccare per giorni e giorni, il sole appariva come un’entità quasi dimenticata e, per l’appunto, bizzarra.
In ogni modo, in questa assolata e bizzarra giornata, Amber aveva deciso di recarsi al parco approffittando del temporaneo tepore che aveva avvolto la città raffreddata.
Era da parecchio che non camminava un po’ tra gli alberi del parco, e quello le sembrava il momento adatto.
Probabilmente, se avesse continuato a nevicare, Amber non sarebbe uscita di casa né avrebbe pensato di andare al parco, e non le sarebbe mai capitato tutto ciò che sto per narrarvi.
Ma tant’è che c’era il sole, lei era uscita di casa e si era avviata verso il parco. Quindi il problema non si pone e io posso andare avanti a raccontare.
Fu proprio mentre stava percorrendo uno dei tanti sentieri che costeggiavano gli alberi, che Amber venne superata di corsa da una persona alquanto familiare.
Di sicuro giacca e panciotto non collimavano con il cappotto e la camicia nera che solitamente indossava, ma Amber lo avrebbe riconosciuto anche ad occhi chiusi.  
 «Ed? Che ci fai qui?» domandò quindi, stupita. «Conciato in questo modo, poi!»
Fermandosi di colpo, il giovane si voltò verso di lei, un sopracciglio elegantemente inarcato.
 «Prego? Sta dicendo a me, per caso?»
 «Certo che sì.» rispose lei, sorpresa da quello strano atteggiamento.
Come se Ed non l’avesse riconosciuta.
 «Ebbene, non conosco nessun Ed, mi spiace.» asserì l’altro con aria virtuosa. «Io sono Edward Lionel Walker, Araldo della Regina di Cuori, nonché custode di Wonderland; deve essersi sbagliata.»
Amber corrugò la fronte.
Checché ne dicesse, quello era sicuramente Ed.
Probabilmente impazzito, ma pur sempre Ed.
Certo, l’ultima volta che l’aveva visto dalla testa non gli spuntavano due candide orecchie da coniglio, tuttavia…
Senza degnarla ulteriormente di uno sguardo, Edward tirò fuori dal panciotto un orologio da tasca d’oro e gli diede un'occhiata.
Con un sobbalzo lo rimise al suo posto, cominciando a correre.
 «Ehi!» Amber si affrettò a seguirlo, sempre più disorientata.
 «E’ tardi! È tardi!» esclamava Edward continuando a correre. «Devo scappare! Presto, presto!»
 «Smettila di correre!» protestò Amber, standogli dietro a fatica.
A quelle parole Edward si adirò.
 «Non posso! È tardi! Devo scappare! Impossibile! Non posso fermarmi!» continuava a gridare. «Non mi seguire! Non è una buona idea. Torna indietro!»
 «E perché dovrei farlo?» domandò la ragazza bellicosa.
 «Perché non puoi venire!»
 «E perché no?»
 «Perché no! Presto, presto.»
Qualunque altra persona, di fronte ad un atteggiamento così platealmente astioso avrebbe di certo alzato le spalle, borbottato qualche imprecazione magari, e sarebbe poi tornato ai suoi affari.
Ma qui si sta parlando di Amber Laidlaw, signori, e la parola “rinunciare” non era presente nel suo vocabolario e mai lo sarà. Inoltre era determinata a scoprire perché mai Ed fosse stato colpito dalla sindrome del Bianconiglio…
Mentre la parola "curiosità", al contrario, era scritta a caratteri cubitali da tutte le parti, sottolineata tre volte.
E così, corri e ri-corri, e i due erano finiti in una strada secondaria, un vicolo sporco senza uscita che un normale cittadino avrebbe evitato come e più della peste.
Con un ultimo «E’ tardi!», Edward scomparve oltre uno spesso muro di mattoni.
Perché mai tutto questo mi suona così familiare?!
Comunque, tornando ad Amber, la ragazza si era fermata in mezzo al vicolo, cercando di riprendere fiato.
Quel dannato correva come una lepre!
O come un coniglio? Ah, ah, ah. Molto divertente.
Ora la giovane fanciulla si stava chiedendo se fosse il caso di seguire o meno Edward oltre il muro che, tra l’altro, sembrava pericolosamente solido e ben piazzato. Oltretutto il giovane le aveva espressamente vietato di seguirlo…
 «Ma quando mai io faccio quello che mi dice Ed?» si chiese Amber ad alta voce.
Mai, per l’appunto. Ecco la risposta.
Attraversò il muro.
Tutto questo continua a sembrarmi dannatamente familiare!
Dall’altra parte del muro, il Nulla attendeva Amber.
La ragazza non fece neanche in tempo a gridare, che stava già precipitando con impegno nel buio più completo. Riuscì a scorgere librerie su librerie che tappezzavano le pareti di quello che doveva essere un pozzo – che diavolo ci faceva un pozzo dietro ad un muro non si sapeva – prima di toccare terra.
E incredibilmente non mi sono schiantata al suolo, pensò Amber guardandosi intorno. Se non è fortuna questa…
Neanche il tempo di riprendersi, ed ecco svanire Edward dietro ad un angolo!
Ma che aveva tanto da correre, santo cielo?!
Dato che fino a lì ci era già arrivata, tanto valeva andare avanti. Anche perché, di tornare indietro da dove era arrivata, non se ne parlava neanche.
Che cos'era lei, una scimmia arrampicatrice, forse? Nossignore!
Amber corse quindi dietro al giovane, giungendo in una sala decisamente meglio illuminata, piena di porte di certo non a misura d’uomo.
E se non ci passo io, mi chiedo come possa pensare di passarci Edward…
Ma di lui nessuna traccia nella stanza.
C’era invece un tavolino dall’aspetto delicato e un’ampolla con un cartellino su cui c’era scritto: Drink me.
Più esplicito di così…
Ora, se Amber fosse stata uguale ad una certa Alice – che io vi assicuro non ho mai e poi mai sentito nominare prima d’ora – avrebbe bevuto dalla bottiglietta senza aver prima preso la piccola chiave d’oro atta ad aprire l’altrettanto minuscola porticina; al che sarebbe seguito un mare di lacrime che personalmente preferirei evitare, la scoperta di un pasticcino che fa crescere oltremisura, uno sproloquio relativo ai suoi piedi persi di vista data l’altezza e il successivo rimpicciolimento.
No, grazie.
Poiché Amber non è Alice, e Alice non è Amber e due cose non avvengono mai alla stessa maniera, Amber prima prenderà molto saggiamente la chiave d’oro mettendola in tasca e poi  berrà dalla piccola ampolla.
Il problema è in questo modo felicemente risolto.
E poiché non c’era mai stato e mai ci sarà lo Stagno di Lacrime, Amber non ebbe modo di incontrare il Topo e di sapere come quest’ultimo detestasse con tutto il suo cuore i gatti. (E a questa conclusione, vi giuro sul mio onore, da sola non ci sarei mai arrivata!)
Né Amber partecipò, se era per quello, all’allegra Corsa Scompigliata – ingaggiata da un’altrettanto allegro gruppo di animaletti tra i più svariati: non essendosi bagnata, non aveva alcun bisogno di asciugarsi; né ebbe modo di ascoltare la lunga e triste storia con la coda del sopraccitato Topo.
E se qualcuno dovesse per caso risentirsi per queste mancanze, ebbene si metta il cuore in pace, perché così va la vicenda e io mi limito semplicemente a raccontarla.
Superato quindi il problema dell’altezza, Amber oltrepassò la soglia giusto in tempo per vedere Edward correre qua e là alla ricerca di qualcosa.
 «Dannazione!» borbottava, guardando da tutte le parti. «Dove saranno finiti quei guanti? Sono anche in ritardo! Non c’è tempo, non c’è tempo! La Regina mi ammazza se non arrivo in orario! E con tutto quello che c’è da fare non posso assolutamente permettermelo.»
Quando scorse Amber, parve adirarsi nuovamente.
 «Che ci fai tu qui?! Ti avevo detto di non seguirmi! Se solo avessi più tempo ti cancellerei la memoria. Ma non ho tempo! Il Tempo è l’unica cosa che mi manca, oltre a quei guanti! Dove saranno finiti?»
E con questo, corse di nuovo via.
A Ed deve essere andato di volta il cervello, pensò Amber seguendolo. Tutta colpa dello stress…
Prendendo il vialetto imboccato da Edward, la ragazza giunse in vista di una casettina, con una piastra d’ottone sull’uscio che diceva: W. Rabbit.
La porta era aperta e Amber percorse di volata la scala che portava al piano superiore, mostrando così ben poco riguardo per la privacy del proprietario.
La camera in cui entrò era occupata quasi interamente da un grande letto a castello; su una delle pareti tappezzate spiccava un grosso e curioso orologio rigorosamente d’oro che sembrava segnare tutto tranne le ore. Davanti al letto c’era una piccola scrivania su cui erano posati dei guanti bianchi e alcuni ventagli, sormontata da uno specchio ovale; vicino ad una finestra, infine, un tavolino di cristallo ospitava un’altra bottiglietta.
Poiché Amber, contrariamente a Ed in quel momento, poteva ancora dire di saper usare la testa, decise di non bere dall’ampolla.
Visto quello che era successo l’ultima volta che aveva bevuto da una bottiglia a dir poco sospetta, pensò bene di non sfidare ulteriormente la fortuna.
Mossa saggia e previdente!
In quel modo Amber evitò di crescere talmente tanto da occupare l’intera casa, cosa che avrebbe provocato un attacco isterico al Bianconiglio e costretto il povero Guglielmo a calarsi giù dal camino contro la sua volontà.
Evitati in questo modo un altro po’ di guai, tornò quindi sui suoi passi, ricominciando a camminare tra erba e fiori alti quanto lei e domandandosi chi potesse vivere in un posto così strano.
Ben presto scorse una seconda casa, circondata da un bellissimo giardino curato amorevolmente.
Stava quindi pensando di entrare per cercare qualcuno in grado di spiegarle dove fosse capitata seguendo Edward, quando l’abitazione venne sommerso da una nuvola nera proveniente dalle finestre aperte.
Ben presto, urla disperate di un bambino e varie grida si levarono dall’edificio, intervallati da sonori starnuti che non lasciavano tregua. A quel concerto si aggiunsero rumori di piatti e stoviglie infrante, come se qualcuno si stesse divertendo a lanciarli per terra. Il tutto non incoraggiava di certo ad una visita di cortesia!
 «Meglio non entrare.» commentò Amber, trattenendosi dallo starnutire a sua volta. «Troppa confusione. E usano troppo pepe, per i miei gusti.»
 «Cosa c’è di male in un po’ di pepe?» domandò una voce impertinente dall’alto. «O siamo forse troppo delicate, per sapori così forti?»
Alzando di scatto la testa, Amber scorse un giovane seduto su un ramo d’albero poco distante da lei.
 «Edward?!» domandò sorpresa, non del tutto certa di chi si trovasse di fronte. Quello sembrava Edward a dir la verità, ma le orecchie da coniglio erano scomparse, lasciando il posto a due orecchie nere da gatto, completate dalla relativa coda.
 «Edward? Temo tu sia in errore.» ribatté l’altro, senza sembrare particolarmente dispiaciuto. «Io sono Ed. Non conosco nessun Edward.»
Fra poco comincerò ad impazzire anch’io.
 «Soffri di disturbi da personalità multiple, per caso?» domandò lei, irritata dal tono sarcastico del giovane.
 «Non so di cosa tu stia parlando.» asserì l’altro, appoggiandosi comodamente contro il tronco dell’albero, una gamba penzoloni.
Ed effettivamente era parecchio diverso dall’Edward/Bianconiglio incontrato poco prima dalla ragazza, sia per l’atteggiamento più strafottente, sia per il modo di vestire: giacca e panciotto erano scomparsi, lasciando il posto a più sobri abiti neri.
 «Stavi andando da qualche parte?» domandò Ed, guardandola dall’alto con un sorriso che pareva più un ghigno.
 «Non saprei.» rispose Amber, cominciando a chiedersi dove potesse trovare una via d’uscita. «Dovrei forse andare da qualche parte?»
 «Potresti andare dalla Lepre di Marzo. Abita in una casa qualche cespuglio più in là. Ma farei attenzione fossi in te: è completamente matta.» commentò Ed, come se l’idea lo divertisse. «Tuttavia dubito che la troveresti, in questo momento. Di sicuro sarà dal Cappellaio Matto. Si tengono compagnia a vicenda. È l’ora del thé… è sempre l’ora del thé da quelle parti.»
 «Che strada devo prendere per raggiungere il Cappellaio?» domandò Amber, trovando il nuovo Ed sempre più strano.
 «Chi lo sa?» rispose l’altro, con un altro dei suoi sorrisi ironici. «Ogni strada porta da qualche parte. Dipende tutto da dove vuoi andare. Queste portano in Tutte le Direzioni. Probabilmente dovrai solo camminare e arriverai dove vuoi… forse. Se sei fortunata, ovviamente. Altrimenti rischi di finire da Nessuna Parte.»
Amber tentò con tutte le sue forze di non irritarsi. «D’accordo. Ma qual è la direzione giusta?!»
 «Non importa la direzione.» rispose Ed, il ghigno sempre più largo. «Ciò che davvero importante è il percorso che si fa.»
 «Smettila di parlare come se fossi un bigliettino della fortuna!» si alterò la ragazza. «Da che parte devo andare, insomma? E gradirei una risposta un po’ più sul concreto. Terra-terra, se non ti dispiace.»
 «Di là.» fu la risposta annoiata del giovane, mentre indicava un sentiero semi-nascosto. «Sono stato abbastanza concreto? Ma che noia tutta questa regolarità!»
Detto questo, scomparve.
Che razza di incontri, pensò Amber, trovando l’Ed/Stregatto ancora più irritante dell’Edward/Bianconiglio.
Guardò nuovamente su e vide che il giovane era ricomparso.
 «A proposito,» disse. «andrai dalla Regina a giocare a croquet?»
 «Potrei farci un salto.» rispose lei, simulando indifferenza.
Il sorriso di Ed si allargò ulteriormente.
 «Beh, se ci vieni ci rivedremo là. Ma stai attenta, la Regina ha un pessimo carattere: adora tagliare la testa alla gente. Anche senza un valido motivo. Probabilmente è ancora più matta del Cappellaio Matto… ma ognuno è matto a modo suo, in fin dei conti. Siamo tutti un po’ matti.»  
 «Dunque anche tu sei matto.» constatò la ragazza con tono neutro.
 «Indubbiamente!» rispose l’altro per nulla turbato. «Non ci vedo nulla di male. Un po’ di follia non può fare che bene: tutto sta nell’avere la giusta misura. E comunque, non si può certo dire che tu non lo sia.»
 «Che io sia che cosa?»
 «Matta ovviamente!» rispose Ed, mettendosi a ridere come se trovasse la cosa divertente.
 «Piano con le offese!» protestò lei, irritata da quel comportamento.
 «Ma è la verità.» commentò il giovane. «Lo sei, altrimenti non saresti arrivata qui. Solo un matto può pensare di seguire qualcuno con le orecchie da coniglio passando attraverso un solido muro di mattoni. Oltretutto dopo che gli era stato espressamente proibito.» rise di nuovo, senza riuscire a trattenersi. «Gli Uomini sono le creature più matte e strane che io abbia mai visto.»
Scomparve una seconda volta, lasciandosi dietro di sé l’eco della sua risata.
Beh, se non lo era già prima, di certo matto Ed lo è diventato adesso, pensò Amber, vedendo che l’altro più non compariva. Deve essergli proprio andato di volta il cervello.
 «E comunque io non sono assolutamente matta!» protestò a gran voce, imboccando il primo sentiero a destra, costeggiato da fiori e fusti più alti di lei.
Proseguì senza incontrare anima viva, fino a che non vide una terza casetta dal tetto di paglia levarsi fra enormi cespugli.
Attirata dalla musica che proveniva da qualche parte oltre un cancelletto di ferro, Amber seguì un vialetto affiancato da alcune siepi mal curate arrivando infine ad un grande albero.
Sotto l’albero, una tavola apparecchiata.
Intorno alla tavola, due persone intente a saltellare qua e là con aria contenta, ed una terza con la testa appoggiata sul tavolo apparentemente indifferente alla confusione che la circondava.
Amber si passò una mano davanti agli occhi, non del tutto certa di quello che stava vedendo.
Eppure la visione non scompariva; anzi, si ripresentava in tutta la sua insensatezza.
Cosa diavolo stava facendo Jack con una teiera in mano, saltellando come un coniglio a pasqua? E perché stava cantando “Buon non-compleanno a me”?!»
Buon Dio, era impazzito pure lui!
Amber si avvicinò, sempre più stupefatta.
Quando Jack la scorse, fece un gran salto spruzzando thé da tutte le parti.
Indossava un completo con giacca, pantaloni e quello che molto tempo addietro poteva essere stato considerato un panciotto; una sciarpa azzurra copriva in parte uno sgargiante farfallino sgualcito e in testa portava un enorme cilindro.
 «Che ci fai qui?» domandò indignato. «Nessuno ti ha mai detto che non è buona educazione sedersi quando non si è stati espressamente invitati?»
 «Ancora del thé!!» esclamò una voce allegra dietro di lui, prima che Amber potesse anche solo tentare di rispondere.
Qualche istante più tardi ci rinunciò del tutto.
 «Karim?!»
Già, perché la figura svolazzante nascosta fino a poco prima dietro Jack, assomigliava terribilmente a Karim. Con l’unica differenza che Karim non aveva mai avuto orecchie da… lepre.
Né tanto meno andava in giro con una tazzina di thé in mano.
 «Un po’ più di thé!» esclamò di nuovo, versando gran parte della bevanda addosso alla terza figura, praticamente sdraiata sul tavolo.
Quest’ultima non se ne avvide, intenta com’era a dormire profondamente.  
Il ragazzo si limitò a girare la testa dall’altra parte, gli occhiali dalla montatura rotonda e dorata storti sul viso.
Della serie, non c’è mai limite al peggio.
 «Peter?!» esclamò la ragazza, rinunciando ormai a sentirsi sorpresa.
 «Non ci badare.» commentò Karim, svolazzandole accanto. «Dorme sempre. Ma non c’è da preoccuparsi. S’è per quello, parla anche mentre dorme. Altro thé?»
 «No, grazie. Che intendi dire con “parla anche mentre dorme”?»
 «Intende dire esattamente quello che ha detto.» intervenne Jack, incominciando a versare del thé in tutte le tazzine disposte disordinatamente sul tavolo. «Tu forse dici una cosa per intenderne un’altra? Non mi sembra corretto.»
 «Scorrettissimo.» aggiunse Peter, senza aprire gli occhi. Pareva stesse ancora dormendo.
 «No, io… in realtà…» balbettò Amber, sempre più confusa, osservando Jack versare nelle tazzine il thé, che sembrava non finire mai.
 «Piuttosto,» la interruppe Jack, correndo dall’altra parte del tavolo per imburrare alcune fette di pane. «Sai perché un corvo somiglia ad uno scrittoio?»
 «Non ne ho idea.» rispose Amber, iniziando a sentirsi un po’ sconsolata. Accanto a lei, Karim volava a testa in giù canticchiando “Un buon non-compleanno a me e a te”.
 «Neanche io!» esclamò Jack agitando le braccia e spargendo in giro ancora più thé di prima. «Allora che senso ha fare la domanda ti starai chiedendo? Nessun senso! Ma più cerchi il senso di qualcosa e meno ne trovi!»
 «Perfettamente giusto.» intervenne Peter, parlando nel sonno.
 «Giustissimo, giustissimo.» cantilenò Karim. «Ma quello che mi chiedo io invece è: perché proprio Marzo? Non mi piace: piove, c’è il sole, piove, c’è il sole, e ancora piove. Troppa pioggia, troppa umidità! No, Marzo non va bene. Meglio Giugno, che ne dici?» domandò, rivolgendosi ad Amber.
 «Muoviamoci tutti d’un posto innanzi!» gridò a gran voce Jack proprio in quel momento, cominciando a spingere la ragazza.
 «Insomma!» esclamò lei esasperata. Mai che si riuscisse a finire un discorso.
Ma gli altri due non la stavano più ascoltando, parlottando tra loro e rigirandosi tra le mani un orologio da tasca per poi scuoterlo con forza.
 «Che state facendo?» domandò Amber, la testa che le girava per la confusione.
 «Non è che hai un po’ di Tempo con te, vero?» chiese Jack, continuando a scuotere l’orologio.
 «Il Tempo fugge e non torna indietro.» esclamò Peter, girando di nuovo la testa dall’altra parte.
 «Questo non centra.» intervenne Jack. «Il Tempo va e viene come gli pare: il Tempo è capriccioso. A volte è un fuggi fuggi generale; altre volte si fa attendere per intere settimane. Il mio orologio segna sempre la stessa ora da parecchi lustri.»
 «Il burro non è servito.» commentò tristemente Karim.
 «C’erano delle molliche di pane, te lo detto mille volte.» lo redarguì Jack con aria severa. A quel punto, tuffò un paio di volte l’orologio in una tazza piena di thé, senza ottenere il benché minimo risultato.
 «Dell’altro thé!» gridò Karim.
 «Muoviamoci tutti d’un posto innanzi!» esclamò Peter.
Amber ne aveva ormai abbastanza.
Allontanandosi dal tavolo, si voltò indietro vedendo Jack e Karim saltellare nuovamente intorno alle sedie, cantando a squarciagola “Buon non-compleanno a te e a me, a me e a te”.
Tutta questa faccenda ha qualcosa di inquietante, pensò Amber tra sé, oltrepassando di nuovo il cancelletto di ferro.
Certo che Jack doveva aver smarrito la Ragione, oltre che il Tempo.
 «Burro e thé! Ci credo che l’orologio non funzionava più. Gli servirebbe piuttosto un orologiaio, altroché!»
Era così intenta a camminare tra fiori più alti di lei, che non si accorse dell’enorme fungo che le sbarrava la strada finché non ci andò a sbattere contro.
Alzando la testa con un imprecazione, incontrò due occhi scuri che la fissavano.
Seduto sul fungo, un uomo dagli arruffati capelli rossicci e vestito dalla testa ai piedi di azzurro le rivolse un grande e gentile sorriso.
 «Buongiorno, giovane fanciulla.»
Amber impiegò un po’ più di qualche secondo per riconoscerlo.
 «Alasteir! Stavo giustappunto pensando a te! Ho incontrato Jack, qualche fiore più in là, che ha disperatamente bisogno di un orologiaio, oltre che di un bel po’ di senno, e tu…»
Alasteir inarcò le sopracciglia, sempre continuando a sorridere.
 «Cosa mi vai raccontando? Non conosco nessun Orologiaio, qui. Mi spiace, devi esserti sbagliata.»
Già. E probabilmente devo essere pure impazzita, cosa di cui mi sto convincendo ogni secondo che passa.
 «E dunque chi saresti tu?» domandò quindi, il più gentilmente possibile.
 «Ma il Bruco, ovviamente.»
Poteva forse essere altrimenti? Si domandò la ragazza, ripensando ai precedenti incontri.
Solo in quel momento notò che Alasteir teneva in mano quella che sembrava una lunga e bizzarra pipa.
 «Alasteir? Ma… quella è una pipa?»
 «Un narghilé per la precisione.»  rispose l’altro, che sembrava essersi dimenticato della sua presenza.
 «Tu fumi?!»
 «Ma certamente! Non ci vedo nulla di male, nossignore. Gandalf non rinunciava mai ad una bella pipata, se poteva. Anche se, come giustamente ha fatto notare il drago Cyril a Zifnab, non lo chiamavano certo il Grigio per il colore dei suoi abiti!»
Detto questo, iniziò ad osservarla con maggiore interesse.
 «Non t’ho mai vista prima d’ora. Sei qui da molto?»
 «No, ecco… sono nuova di queste parti…»
 «Nuova? Vuoi dire che sei fresca?» domandò Alasteir, inarcando le sopracciglia.
Amber rimase perplessa per qualche secondo.
 «No.» rispose, cercando di capire. «Mi sono spiegata male. Voglio dire che, come puoi vedere,  sono di passaggio.»
 «Io non vedo nulla.» commentò l’altro.
La ragazza rimase a bocca aperta, senza riuscire a ribattere. Quella era la conversazione più strana in assoluto a cui avesse mai partecipato.
Riprese coraggiosamente la parola. «Io… starei cercando l’uscita.» iniziò. «Se tu fossi così gentile da…»
 «L’hai persa?» domandò Alasteir, con tono comprensivo.
 «Io… eh?» Amber si confuse nuovamente.
 «Ti ho chiesto se l’hai persa.» ripeté l’uomo, con più pazienza.
 «Ho perso che cosa?» chiese la ragazza, corrugando la fronte.
 «L’uscita, ovviamente.»
Di nuovo senza parole.
 «Beh, potremmo pure dire che l'ho persa.» ricominciò, alquanto titubante.
 «E diciamolo pure: l’hai persa.»
 «Mmh…» mugugnò lei, cercando di trovare un senso a tutto quel discorso. «Sai per caso dove si trova la Regina di Cuori?» domandò ad un certo punto, ricordandosi le parole di Ed.
 «No.» disse Alasteir.
 «Non lo sai?» ripeté lei, delusa. Seguì qualche istante di silenzio.
 «Non so che cosa?» domandò quindi il Bruco, smettendo di fare anelli di fumo.
 «Dove-si-trova-la-Regina!» sillabò Amber a denti stretti, esasperata.
 «Certo che lo so!» rispose l’altro, oltraggiato.
Amber si passò una mano sulla tempia. «E allora perché prima hai risposto di no?»
 «Tu mi hai chiesto se lo sapevo “per caso”. Io non lo so “per caso”!» affermò Alasteir, con fare sdegnato. «Lo so perché sono stato invitato ad una partita di croquet, una volta. Io parlo sempre con cognizione di causa.»
Amber rinunciò a cercare di capire. «E qual è la strada?»
Alasteir indicò un sentiero lastricato di pietre.
 «Quello ti condurrà dalla Regina.» pausa di qualche secondo, mentre l’uomo faceva nuovi anelli di fumo.
 «E’ tutto?» azzardò Amber vedendo che non continuava.
 «No.» rispose Alasteir.
Nuova pausa di alcuni secondi, mentre la ragazza aspettava con le braccia incrociate.
 «Bisogna fare attenzione con la Regina.» disse quindi, guardandola con occhi penetranti. «Come tutti quelli che si trovano qui, è strana. La stranezza più strana che si possa incontrare. Occhio alla testa. E non toccare le torte.»
Detto questo, scomparve.
Che mania che hanno tutti di scomparire, qui, pensò Amber, a dir poco esasperata. Mai che qualcuno se ne vada in maniera civile! E poi, che c’entrano le torte?
Decisa a porre fine a tutte quelle stramberie, Amber percorse il sentiero indicatole da Alasteir/Bruco, finendo ben presto in un grande giardino con aiuole piene di fiori e innumerevoli fontane.
Un posto carino e ben curato, constatò lei, osservando mentre passava dei giardinieri intenti a sistemare alcuni cespugli di rose. Erano i giardinieri più insoliti che Amber avesse mai visto, con delle casacche che sembravano carte da gioco: ivi si trovavano il Due, il Cinque e il Sette di Picche.
Una folla di cortigiani abbigliati alla maniera dei giardinieri, ma ben più riccamente, vagavano per il giardino senza alcuno scopo apparente, mandati nella giusta direzione da un Edward/Bianconiglio alquanto esasperato.
Amber continuò quindi a camminare, ignorata da tutti, finché una guardia di Fiori non la notò.
 «Chi sei tu?» domandò, bloccandola. «Non vedo alcun seme sulla tua casacca.»
 «Già. Non sono di qui. Passavo per caso.» rispose lei frettolosamente, adocchiando nervosa la lancia della guardia.
 «Ciò è male.» affermò Sei di Fiori. «Nessuno può entrare nel giardino della Regina senza il suo permesso.»
 «Nessun problema. Me ne vado subito.» si affrettò ad assicurare Amber. «Chiedo scusa. Errore mio.»
 «E dunque, qual è il problema qui?» domandò in quel momento una voce alle loro spalle.
Ad Amber si gelò il sangue nelle vene. Quella voce la conosceva: nessun altro poteva avere una voce così piatta e priva di calore.
Voltandosi, la ragazza si trovò di fronte all’Adhal in carne e ossa.
Dannazione! Anche qui devo trovarla?!
 «Un’intrusa, Vostra Maestà.» spiegò la guardia.
Ed è pure la Regina?! Andiamo bene!
 «Chi sei?» domandò l’Adhal, senza alcun interesse.
 «Non credo che il mio nome possa interessare alla Regina.» ribatté Amber, infuriata.
La Regina la guardò per un istante senza espressione.
 «Ho inteso. Tagliatele la testa.» disse con voce atona.
 «Un momento, un momento!» intervenne in quel momento il Re, giunto vicino a loro.
Che non poteva essere altri che…
 «Loxias?!!»
Per l’appunto. Qualcuno forse aveva dei dubbi?
 «Via, via.» intervenne con tono allegro. «Non è il caso. È solo una ragazza. Non avevamo forse fatto un patto, mia cara Regina? Niente più mozzamenti di teste senza valide ragioni.»
L’Adhal lo fissò per un secondo con occhi spenti e poi veleggiò via.
Loxias parve molto soddisfatto di sé. Con un gran sorriso batté le mani, per attirare l’attenzione dei presenti.
 «Tutti a giocare a croquet! Su, da bravi. Andiamo, andiamo!» e si avviò per primo verso il campo da giuoco.
Amber stava per seguirlo, piuttosto curiosa poiché non aveva mai assistito prima d’ora ad una partita di croquet, quando una voce conosciuta la fece sobbalzare.
 «Sei ancora qui?» domandò Edward, guardandola con disapprovazione. «Eppure ti avevo ben avvisata di non seguirmi.»
 «Non ho saputo resistere.» confessò la ragazza, osservando affascinata le candide orecchie da coniglio del giovane. Non si poteva negare che gli donassero. «Hai trovato i tuoi guanti, alla fine?»
 «Ovvio che sì. Contrariamente, la Regina mi avrebbe fatto decapitare all’istante.»
 «E sei arrivato in ritardo?» domandò Amber con una certa malizia.
 «Nossignore.» rispose l’altro scandalizzato. «Non si confà al mio ruolo, arrivare in ritardo. Ero perfettamente in orario: ho ritrovato il Tempo oltre che i guanti.»
 «Capisco.» rispose lei, guardando i giocatori avviarsi con aria preoccupata verso il campo da giuoco al seguito del Re e tenendo nervosamente d’occhio la Regina.
Dopo qualche minuto, Amber si convinse che il croquet non faceva per lei. O almeno, non se si dovevano utilizzare strumenti così insoliti. Certo, probabilmente i ricci potevano anche divertirsi nell’essere lanciati di qua e di là come palline; e certamente i fenicotteri ormai dovevano essere abituati ad essere utilizzati come mazzapicchi, ma tutto questo le sembrava un po’ barbaro.
Si voltò per dirlo ad Edward, ma non trovò nessuno. Doveva essere scappato di nuovo.
 «Santo cielo, quanta fretta!» borbottò, contrariata.
Sul campo, i vari giocatori avevano già rinunciato a comportarsi correttamente, continuando a lanciare ricci da tutte le parti senza rispettare il proprio turno. Di tanto in tanto si sentiva la Regina affermare senza enfasi un «Tagliategli la testa!» a cui seguiva, solitamente, un cauto fuggi fuggi generale.
 «Bel gioco, non ti pare?» domandò di nuovo la voce conosciuta, questa volta con tutt’altra intonazione.
 «Ciao, Ed.» rispose lei, senza neanche girarsi. «Come mai qui?»
Lo Stregatto si mise a ridere. «Te l’avevo pur detto che ci saremmo rivisti dalla Regina. Molto saggio da parte mia! Sempre ascoltare le parole di un gatto; se poi è matto, dovresti prestargli doppia attenzione.»
 «Se lo dici tu, di certo sarà vero.» commentò Amber, distratta da un interessante tentativo di fuga da parte di un fenicottero purtroppo fallito miseramente. «Perché nessuna guardia ti ha ancora fermato?»
 «Io vado dove voglio.» rispose lui con un’altra risata. «Non c’è niente e nessuno che possa impedirmelo. Io non ho padroni.»
Amber stava per rispondergli, quand'ecco qualcun altro chiamarla.
Non c’era un momento di pace da quelle parti!
 «Eccola qua la nostra deliziosa ospite.» esclamò Loxias, venendo verso di lei. «Con chi stai parlando, di grazia?»
 «Con lo Stregatto?» domandò prudentemente l’interessata, dato che Ed era ancora vicino a lei e in bella vista per di più.
Il sorriso del Re si allargò ulteriormente.
  «Vedo, vedo.» annuì con aria affabile. «Allora, ti piace il croquet? La nostra Regina è estremamente abile, anche se forse non si direbbe a prima vista. Ti piace la Regina, non è vero?»
Amber aprì la bocca per rispondere, ci pensò su qualche secondo, e poi la richiuse.
Non le sembrava il caso di mettersi ad insultarla con tutte quelle guardie intorno.
Ma a quanto pare Loxias non era particolarmente interessato alla sua risposta. Anzi stava osservando con grande interesse lo Stregatto. Ed, dal canto suo, stava stranamente iniziando ad irritarsi.
«Se vuole, può baciarmi la mano.» disse graziosamente il Re, come se quella fosse la massima aspirazione del giovane.
«Non nutro questo desiderio.» osservò Ed, di colpo disgustato. Sembrava quasi che il Re non gli piacesse.
Chissà perché, tutto questo non mi stupisce.
 «Quanta insolenza!» affermò Loxias, senza peraltro apparire offeso. «Che ne dici, dovremmo fargli tagliare la testa?» domandò, rivolgendosi ad Amber. «La Regina sarebbe d’accordo. Vado a cercare il carnefice.» e tornò verso il campo da gioco.
 «Bravo, vai.» rispose Ed, il suo solito sorriso di nuovo sul volto. «Credo che ne approfitterò per andarmene anch’io: qui tira brutta aria.» e iniziò a scomparire. «Ti lascio in buona compagnia. È stato divertente parlare con te.»
Che maleducato, pensò Amber, furiosa per essere stata abbandonata in quella maniera. Andarsene in quel modo!
Furibonda, si avvicinò al terreno di gioco, dove il Re, già dimentico della sua intenzione di far decapitare Ed, stava dirigendo con entusiasmo una delle partite in corso.
 «Ah, sei qui!» esclamò nel trovarsela accanto. «Lo Stregatto se n’è andato? C’era da prevederlo.» non sembrava poi così dispiaciuto. «Ma non importa. Fra poco dovrebbe arrivare gente più interessante.»
 «Chi dovrebbe arrivare?» domandò la ragazza, curiosa suo malgrado.
Ma Loxias non la stava ascoltando, volgendo la sua attenzione al Bianconiglio in arrivo.
 «Edward. Che fine ha fatto la Falsa-testuggine?»
 «Indigestione di torte, vostra Maestà.» rispose l’interessato, non particolarmente contento di dover intrattenere una conversazione con il Re.
 «Davvero? Che peccato. E il Grifone?»
 «Indigestione di torte.»
Loxias si passò una mano sul mento, dispiaciuto.
 «Peccato, peccato. E i gamberi?»
 «Scappati. Si sono rifiutati di ballare.» rispose Edward con una smorfia, non si capiva se per i gamberetti o se per il Re.
 «Tagliamogli la testa.» intervenne la Regina, che si era appena avvicinata.
 «Non mi sembra il caso mia cara.» rispose Loxias, con tono conciliatorio, mentre Amber si affrettava ad allontanarsi dall’Adhal. «Ormai sono scappati, non possiamo farci niente.»
Sul campo di croquet, intanto, le partite erano finite con la vittoria dei ricci e dei fenicotteri sui giocatori, vittoria che permetteva ai bistrattati animaletti di riottenere la libertà tanto agognata. E in effetti, erano spariti quasi tutti.
Si udì allora in lontananza una voce gridare: «Si cominci il processo!»
Loxias batté le mani, entusiasta.
 «Ah! È già l’ora del processo. Presto, presto. Bisogna affrettarsi.» esclamò, correndo verso il trono.
Ho come l’impressione che questa storia andrà per le lunghe, pensò Amber, sconsolata, seguendo il gruppo.
Intorno ai due troni si era già formata una folla di cortigiani, accompagnati dai bisbigli delle loro parole, tutte rivolte al prigioniero incatenato, una guardia da una parte e una dall’altra.
Si trattava di un giovane dai capelli corvini e dagli occhi curiosamente diversi: uno azzurro, uno nero. Dai vestiti che indossava, Amber concluse che fosse il Fante di Cuori.
Chissà cosa ha fatto, si domandò accomodandosi in un posto libero del bancone a ferro di cavallo misteriosamente comparso davanti ai troni. Edward aspettò che tutti si fossero più o meno comodamente sistemati prima d’iniziare.
 «Dichiaro aperto il processo.»
 «Ordunque si legga l’atto d’accusa.» esclamò Loxias, con voce grave.
Edward spiegò una pergamena, mentre una delle guardie dava tre squilli di tromba.
 «Il qui presente Fante di Cuori è accusato di aver trafugato le torte preparate un dì d’estate dalla Regina!»
Come quella particolare Regina avesse potuto preparare delle torte – in un dì d’estate, poi – restava un mistero!
 «Il verdetto. Giurati, il vostro verdetto.» esclamò il Re, chiaramente scandalizzato.
 «Un momento, un momento.» intervenne Edward. «Bisogna andare con ordine: prima i testimoni.»
Tutto questo è totalmente assurdo!, pensò Amber, stupefatta. A meno che io non abbia sentito male, Edward ha affermato neanche cinque minuti fa che il Grifone e la Falsa-testuggine avevano fatto indigestione di torte. Che senso ha questo processo, allora? Che fossero altre torte? Santo cielo, sto impazzendo anch’io!
 «E sia!» concesse Loxias, calmatosi di colpo. «Che si chiami il primo testimone!»
E il primo testimone non era altri che Jack, il Cappellaio Matto.
Si accomodò sul banco, una tazza di thé in una mano e una fetta di pane imburrato nell’altra.
 «Chiedo perdono, Maestà, per il mio ritardo.» esordì Jack, il tono gioviale. «Si stava festeggiando il mio Non-compleanno, ed è da parecchio ormai che il Tempo non mi rivolge più la parola. Chiedo venia.»
 «Ebbene che tu sia perdonato.» esclamò Loxias. «Tuttavia, non sa che ci si deve togliere il cappello, quando si è ad un processo? Si tolga il cappello.»
 «Ahimé. Lo farei volentieri, Sire.» rispose Jack, l’aria contrita. «Ma come ben vedrà Lei stesso, ho le mani impedite, al momento. Se sua Maestà è così attento all'etichetta può venire a levarmi il cappello, mille grazie.»
 «Tagliategli la testa.» intervenne l’Adhal, di certo convinta che quella fosse la soluzione migliore.
 «Mmh, mmh. Effettivamente così il problema del cappello sarebbe risolto.» ponderò il Re.
 «Però non sarebbe in grado di testimoniare.» intervenne Edward, già prevedendo il degenerare della situazione.
 «Vero, vero! D’accordo. Soprassediamo.» concesse Loxias, magnanimo. «Ma ora ci dica quello che sa.»
Jack scosse la testa, il thé che si spargeva da tutte le parti.
 «Ma io non so proprio niente, vostra Maestà. Non mi intendo di torte, io. Nossignore! Sono un povero Cappellaio.» e scosse di nuovo la testa, come dispiaciuto di non poter essere d’aiuto. «Mi intendo di thé, se vuole; e di orologi pure; anche se da quando il Tempo ha iniziato a fare l’offeso…»
 «Ancora un po’ di thé!» esclamò Karim, facendo sobbalzare Amber, che non si era accorta di averlo accanto.
 «Tagliategli la testa.» aggiunse la Regina, con lo stesso tono monotono di sempre, ma non per questo meno terrificante.
 «Non ora cara. Non ora.» rispose Loxias, battendole affettuosamente su una mano. Poi si rivolse a Jack. «Nega dunque di sapere qualcosa?»
 «Lo nego!» affermò Jack con forza.
 «Lo nega!» ripeté Karim allegramente.
 «Come vedete lo nega.» aggiunse Peter, ancora addormentato e non si sa come arrivato fino a lì.
 «Silenzio!» ingiunse Loxias, quietando il brusio della corte. «Può andare.» disse rivolto a Jack.
 «E tagliategli la testa.» aggiunse la Regina, rivolta alle guardie.
Ma nessuno fece nulla, poiché il Re stava già chiamando un nuovo testimone.
 «Mi dispiace Sire.» intervenne Edward, con aria di profonda pazienza. «Ma non abbiamo altri testimoni.»
 «Per quale motivo?» domandò Loxias, perplesso.
 «Indigestione di torte.» fu la risposta.
Se non fosse tutto così assurdo, potrei trovare questa situazione divertente, rifletté Amber, ormai al di là di qualsiasi stupore.
 «Che diamine!» esclamò il Re, oltraggiato. «Che infamia! Mancare ad un processo è punibile con la morte. Che si tagli loro la testa!» gridò, mentre la Regina lo fissava quasi – e ripeto, quasi – sconcertata, probabilmente perché le era appena stata rubata la sua battuta di maggiore effetto, oltre che le torte.
 «Sire, non credo sia il caso.» si affrettò a dire Edward, mentre le guardie si guardavano preoccupate. «I testimoni non sono qui. Bisognerebbe andare avanti con il processo, piuttosto…»
 «Il verdetto, dunque. Giurati, il verdetto!» esclamò allora Loxias a gran voce, per nulla demoralizzato. «Indubbiamente l’accusato è colpevole. Ci vuole dunque un verdetto.»
A quel punto, contrariamente ad ogni buonsenso, Amber decise di intervenire.
 «Non potete sapere se è colpevole, Maestà!» proruppe, indignata da quel ridicolo processo. «Non ci sono prove a carico dell’accusato.»
 «Tagliatele la testa.» disse la Regina, mostrando in quel modo gran ricchezza di vocabolario.
 «C’è del vero in ciò che ha detto.» disse una voce sonnolenta vicino alla ragazza. Peter parlava ancora nel sonno.
Loxias inarcò le sopracciglia. «Dunque non abbiamo prove, Edward?»
Il giovane chiamato in causa prese per un attimo un’aria infelice. «In realtà una prova ci sarebbe…»
 «E per quale motivo non l’abbiamo visionata subito?»
 «Si tratta di una lettera anonima, Maestà.» rispose Edward, come se questo spiegasse tutto. «Una lettera in cui viene dichiarato il furto delle torte.»
 «Ancora meglio. Quella lettera è la prova che ci serviva. Perché tutte queste reticenze, Edward?» domandò Loxias.
 «E’ anonima, Sire.» affermò il giovane, sicuro che il Re non avesse del tutto compreso.
 «Proprio perché si tratta di una lettera anonima il Fante è colpevole.» spiegò il Re con tono paziente. «Se non avesse avuto intenzione di compiere un reato, avrebbe firmato la lettera.»
Seguì a quelle parole un lungo e fragoroso applauso.
 «Tutto questo è assurdo!» insorse Amber, sempre più sdegnata per quell’ingiustizia . «Se è anonima come fate a sapere che è stata scritta dal Fante?!»
 «E in effetti l’accusato nega di aver mai scritto quella lettera…» intervenne Edward rivolto al Re.
 «Se avesse davvero avuto intenzione di rubare le torte, non l’avrebbe di certo annunciato in una lettera, non vi pare?!» rincarò Amber, alzandosi in piedi.
 «La mente dei criminali è spesso contorta.» fece notare Loxias. «Questa è la prova della sua colpa!»
 «Che razza di sciocchezza è questa?!» esclamò la ragazza, sempre più arrabbiata.
 «Tagliatele la testa!» intervenne l’Adhal con una briciola d’enfasi in più del normale. Così piccola che difficilmente la si poteva notare.
 «Fai silenzio, tu!» gridò Amber, infiammandosi. «Che razza di processo! E che razza di Regina! Non sai dire altro che «tagliategli la testa”?! E che Regina saresti, poi? La Regina di un misero mazzo di carte! Assurdo! Fa silenzio!»
A quelle parole, l’intero mazzo di carte  si sollevò in aria, trasformandosi in altrattente minacciose torte. Una dopo l’altra iniziarono a rovesciarsi addosso ad Amber. La ragazza indietreggiò nel tentativo di evitarle, e prima che potesse anche solo dire “dannate torte” già stava precipitando nel Nulla assoluto.

*°*°*°*°*°*°*°*°

Amber si svegliò di colpo, ritrovandosi distesa per terra sul pavimento e tutta dolorante.
Era caduta dal divano mentre dormiva.
Accidenti che razza di incubo, pensò massaggiandosi un gomito indolenzito. Era tutto così assurdo!
Tutta colpa di sua sorella!
 «Maggie!» gridò, seccata. «Adesso basta! D’ora in avanti, la cucina sarà off limits, per te! Quando mai ti ho dato il permesso di cucinare quella torta! Non si è mai vista una torta di quel colore! Questa è l’ultima volta!»
 «Quanto la fai lunga.» rispose la sorella, affacciandosi nella stanza.
 «Tu non hai idea di cosa ha provocato!» sibilò Amber a denti stretti.
 «Comunque era buona.» commentò Maggie.
Poi scoppiò a ridere, evitando per un pelo il cuscino lanciatole addosso da Amber.
 «Avessero rubato anche questa, di torta!!»



CAST

                                                                                                                             Amber Laidlaw                                Alice
                                                                                                                             Edward Lionel Walker                   Il Bianconiglio
                                                                                                                             Ed                                                       Lo Stregatto
                                                                                                                             Jack Bannister                                   Il Cappellaio Matto
                                                                                                                             Karim                                                 La Lepre di Marzo
                                                                                                                             Alasteir                                               Il Bruco
                                                                                                                             Adhal                                                  La Regina di Cuori
                                                                                                                             Loxias D’Arnaud                               Il Re di Cuori


FINE


Se per caso vi state chiedendo da dove sia uscito tutto questo…
Ebbene, me lo sto chiedendo anch’io!
È nato tutto in un momento di follia.
Comincio a pensare che ci doveva essere qualcosa di strano nella mia colazione, stamattina…
Comunque, alcune considerazioni:
Nel caso qualcuno si stesse chiedendo per quale motivo ci sono due Ed, la spiegazione è molto semplice. Mentre elaboravo questa follia ho immediatamente associato Ed al Bianconiglio. Il problema era che lo vedevo bene anche come Stregatto! Da qui derivano quindi le due personalità di Ed. C’è un po’ del Bianconiglio in Ed, così ligio al dovere; eppure in certi casi vorresti prenderlo  a schiaffi: è così adorabilmente bastardo!
Ora, io so che in Alice nel Paese delle Meraviglie, prima c’è l’incontro con il Bruco e poi quello con il Cappellaio Matto, ma per ragioni di trama ho dovuto invertire la sequenza. Anzi, devo dire che ho scombussolato un po’ tutta la storia, ma tant’è che ne avevo bisogno. Diciamo pure che si tratta della mia versione ridotta e adattata di “Alice nel Paese delle Meraviglie”,  ecco. Ci tenevo a precisarlo. Spero mi scuserete
Jack indossa una sciarpa, sebbene il Cappellaio Matto probabilmente non sappia neanche cosa sia una sciarpa. Ma io associo sempre Jack ad una sciarpa azzurra, quindi…
Infine chiedo umilmente perdono a Lewis Carroll per questo scempio,  al mio carissimo Tolkien,  a Margareth Weis e Tracy Hickman. Mi spiace non sono riuscita a resistere alla tentazione  ^///^

Rileggendolo adesso, temo che i dialoghi siano ancora fin troppo sensati… mi spiace, più di così non riesco a fare TT_TT

So che sono rimasta indietro con “Deus Ex Machina”. Chiedo perdono per il mostruoso ritardo, ma dovrei postare il capitolo nuovo a breve (sempre se la fortuna mi è amica, cosa per cui non metterei la mano sul fuoco).
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Miki89