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Autore: KatWhite    19/02/2016    0 recensioni
SPOILER EPISODI 253 E SEGUENTI
Condannare una persona ad un dolore simile, commettere un peccato del genere, non poteva essere considerato giusto in alcun universo.
Le balzarono immediatamente alla mente le parole sussurrate malignamente da Ki-suu: “
Cosa temi di più? Perdere colui che ami? Essere abbandonata da colui che ami? O essere odiata da colui che ami?”
[...]Sentì la morte e l’odio afferrarla violentemente, pesanti come un macigno addosso a lei, dentro di lei, che le scorrevano prepotenti nelle vene. Percepì le gambe vibrare mentre lentamente si abbandonavano a se stesse, e la maga dell’acqua si accasciava impietosamente a terra, respirando affannosamente e riscoprendosi senza aria.
"
Allora qualcuno ha ascoltato le mie preghiere" pensò sentendo gli occhi e la gola bruciare, sentendo il cuore martellarle nel petto tanto intensamente da spezzarle quasi la cassa toracica, sentendo il cervello impazzire e mandare impulsi elettrici ad ogni muscolo del corpo. “Sto finalmente morendo”.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gray Fullbuster, Lluvia
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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ATTENZIONE! L'ho già indicato nelle note di apertura, ma lo ribadisco qui all'inizio: questa fanfiction è basata su eventi degli ultimi episodi della Saga di Tartaros, episodi 252-253 e seguenti e non-so-quali-capitoli-del-manga, ma comunque contengono SPOILER. Se non siete ancora arrivati per lo meno all'evocazione di Alegria, non scorrete oltre.
Buona lettura


Un urlo di disperazione e angoscia sferzò tagliente come la lama di un rasoio il campo di battaglia. Si trattava di una voce acuta, flebile, dolce e delicata che stonava maledettamente contro l'agonia, l'orrore e il dolore che accompagnavano quel grido. Le lacrime presero a scorrere rapide sul pallido volto della ragazza dai capelli lapislazzuli.
«Questo è il potere dell'amore umano...» fu l’ultima cosa che Juvia riuscì a dire attirando sopra di sé l’attenzione e lo sguardo di tutti i presenti, che la fissarono spiazzati.
Era doloroso, ma era giusto. Alla fine aveva fatto la cosa giusta.
Lo era veramente?
No, non lo era.
Condannare una persona ad un dolore simile, commettere un peccato del genere, non poteva essere considerato giusto in alcun universo.
Le balzarono immediatamente alla mente le parole sussurrate malignamente da Ki-suu:
 
Cosa temi di più?
Perdere colui che ami?
Essere abbandonata da colui che ami?
O essere odiata da colui che ami?
 
E questo era esattamente ciò che era accaduto: aveva perso colui che amava per sempre, perché si era guadagnata l’odio da parte sua e di conseguenza l’avrebbe abbandonata per sempre.
Solamente in quel momento si rese conto che le parole di Silver erano solamente un mucchio di frottole, belle parole incoraggianti buttate nel vento e si maledì mentalmente per averle ascoltate. Aveva negato alla persona che amava di trascorrere momenti col padre, gli aveva negato per sempre la possibilità di stare con la sua famiglia. Quando perdiamo qualcuno che amiamo, la sua morte ci lascia un marchio di fuoco addosso, un segno indelebile e doloroso nel cuore. Per questo motivo, capì che per lei oramai non esisteva alcun perdono, realizzò che era un'assassina e che lei stessa non meritava di vivere.
Continuò a piangere e ad urlare incurante delle ferite, del sangue, del dolore, della puzza di morte, delle orecchie che fischiavano, dei muscoli delle gambe che le dolevano, dei crampi allo stomaco, dei suoi compagni che la incoraggiavano e sorridevano per aver appena sconfitto un membro dei nove cancelli dell'Ade.
Si sforzò di non dare peso ad alcun elemento esterno, e si concentrò maggiormente su se stessa: l’unica cosa che importava era che aveva appena ucciso Silver Fullbuster, e per questo doveva morire anche lei.
Sentì la morte e l’odio afferrarla violentemente, pesanti come un macigno addosso a lei, dentro di lei, che le scorrevano prepotenti nelle vene. Percepì le gambe vibrare mentre lentamente si abbandonavano a se stesse, e la maga dell’acqua si accasciava impietosamente a terra, respirando affannosamente e riscoprendosi senza aria.
"Allora qualcuno ha ascoltato le mie preghiere" pensò sentendo gli occhi e la gola bruciare, sentendo il cuore martellarle nel petto tanto intensamente da spezzarle quasi la cassa toracica, sentendo il cervello impazzire e mandare impulsi elettrici ad ogni muscolo del corpo. “Sto finalmente morendo”.
«Gray-sama, gomen nasai» un nome bisbigliato ed invocato come una preghiera, ripetuto come una nenia straziante e straziata dal dolore mentre gli occhi si chiudevano lentamente stanchi di lottare, ma non impedendo alle lacrime di fermarsi.
Tutto divenne buio all’improvviso, il dolore svanì e sentì il corpo e l’anima venire avvolti dall’oscurità, precipitare in un baratro buio e senza fine. Si sentiva completamente vuota e svuotata di ogni cosa, mentre la sua salma inerme precipitava nelle profondità dell’Averno.
 
A nightmare comes
You can't keep awake
 
Le tenebre che l’avevano avviluppata la cullavano ancora dolcemente, ma dopo ore imprecisate, Juvia riprese coscienza di sé. Una terribile constatazione la colse all’improvviso, tanto da farla rabbrividire: se riusciva a pensare e fare collegamenti logici, significava che non era morta.
Se non sono morta, allora posso essere caduta in un coma” pensò, inorridendo pochi istanti dopo. Provò a muovere un braccio, una mano, le dita dei piedi ma non riuscì a niente. Avrebbe voluto piangere dalla frustrazione, ma non le riuscì nemmeno quello. Ed in quel preciso istante, Juvia Loxar provò una delle sensazioni più brutte che mai possano esistere: l’impossibilità di esprimere un sentimento, un’emozione e lasciare che rimanga all’interno, nelle profondità più recondite del nostro cuore per marcire, corroderci e distruggerci l’anima.
«Gray-sama» la cantilena continuava nella sua testa e sembrava non smettere più. Forse parlò, ma non riuscì a capirlo chiaramente.
"Ma non c'è amore nè perdono per gli assassini" risuonò prepotente e sadicamente divertita la voce nella sua testa. Una voce subdola e meschina, che pareva stranamente somigliare a quella di Ki-suu.
«Gray-sama» lo invocò nuovamente, la voce che rimbombava rotta dal dolore, dalla disperazione e dalla desolazione.
Lo stimolo di urlare le venne prepotente sentendo il suo corpo andare in fiamme e bruciare dall'interno, ardere come se venisse sciolto dall'acido. Era come se ogni centimetro della sua pelle fosse trafitta da mille lame ardenti ricoperte di sale, che si muovevano in continuazione allargando e bruciando le ferite. Anche se non era morta, il contrappasso che stava subendo forse era sufficiente per la colpa commessa, ma non per il peccato: aveva promesso che avrebbe amato Gray, che lo avrebbe protetto, che lo avrebbe accudito. Invece l’aveva deluso, aveva deluso tutti, non era stata in grado di mantenere nessuno di quei giuramenti. Aveva trasformato l’uomo che amava in un mero involucro di carne e ossa che si muoveva per uno stupido scherzo del destino, una marionetta che si reggeva in piedi grazie a dei fili argentati comandati da un anonimo qualcuno.
Poi una consapevolezza la colse all'improvviso, veloce e rapida come un lampo: "Non voglio morire prima di aver chiesto perdono a Gray-sama". Voleva vederlo un’ultima volta, dirgli che lei era la sola ed unica responsabile della morte di suo padre, lasciare che lui provasse del sano e genuino odio nei suoi confronti e che poi la uccidesse per vendicarlo.
Juvia doveva combattere e lottare fino allo stremo contro tutto quella sofferenza che la opprimeva in ogni muscolo, in ogni fibra, in ogni cellula del suo essere.
Juvia doveva riuscire a svegliarsi per incontrare Gray ed affrontare la sua punizione.
Juvia doveva riuscire a svegliarsi per morire.
Juvia era pronta, si sentiva pronta a morire.
 
Il bisogno di ossigeno si fece indispensabile, e prese un’enorme boccata d’aria. Iniziò a tossire selvaggiamente e Juvia si risvegliò col corpo imperlato dal sudore, con minuscole e fastidiose goccioline che le scivolavano lungo le gote arrossate.
"Sono viva" fu il suo primo pensiero.
Si alzò dolorante a sedere col busto e vide che si trovava in una zona di fortuna, con i suoi compagni avvelenati che la circondavano assieme a tutti i membri della Gilda, fuorché Natsu, Happy e l'unica persona che cercava disperatamente.
Lentamente iniziò a mettere a fuoco sempre meglio i dettagli che accompagnavano il paesaggio: il tramonto insanguinato che l’aveva affiancata durante le sue battaglie era sparito, per lasciare spazio ad un’alba dai colori celesti e indaco, accompagnati da una leggera quanto piacevole nebbiolina.
«Gray-sama» le parole, che malcelavano una supplica implorata, le uscirono piano dalla bocca, ma non vennero udite da nessuno tanto erano flebili. Si schiarì la gola, la sentiva secca ma non le importava molto. «Dove... Dove si trova Gray-sama?» domandò a chiunque si trovasse lì attorno.
Fu Erza a risponderle: «È andato alle rovine del suo villaggio. Ha detto che aveva bisogno di tornarci» la squadrò col suo classico cipiglio severo, e la osservò attentamente per verificare il suo effettivo stato di salute. Si bloccò ed esitò prima di aggiungere a malincuore «Ha anche detto che non voleva essere disturbato».
Questo invece non sembrò turbare la giovane maga dell'acqua che, ignorando completamente l'ultima frase dell'amica dai capelli scarlatti, fece per alzarsi ma una fitta alla vita le bloccò il movimento. Fu allora che si accorse di essere fasciata in più punti del corpo; la cosa la sorprese, non si ricordava che la battaglia con Ki-suu l'avesse ridotta a quello stato. Si rese conto di essere coperta da bende anche appena sotto la guancia; probabilmente nascondevano uno sfregio lungo tutta la metà del viso, e le venne quasi da ridere per l’assurdità della situazione. Ma non importava come stesse, lei doveva assolutamente trovare e parlare con Gray.
«Juvia» di nuovo la voce imperante di Erza. «Dovresti riposarti» tentò, questa volta un po' incerta. Sotto un certo punto di vista la capiva, anche lei avrebbe voluto vedere Gerard se lo stesso fosse accaduto a lui. «Il tuo corpo non ha ancora smaltito completamente il veleno e hai riportato ferite piuttosto gravi» aggiunse tentando di apparire più sicura di sé e di far valere meglio le proprie ragioni.
Gli occhi di Juvia lampeggiarono, e le scoccò uno sguardo penetrante e fulminante, determinato, che impedì alla giovane maga dell’armatura di bloccarle il passaggio. «Grazie Erza-san, ma devo andare» le parole della ragazza celavano un sorriso di rassegnazione dietro di esse, e questa volta riuscì ad alzarsi e a camminare sulle proprie gambe. Lo sforzo che fece fu immane e per poco il respiro non le si mozzò sul colpo, ma non importava, non importava.
Sentiva ogni parte del suo corpo combattere contro la sua stessa volontà, ordinarle di tornare a sdraiarsi sotto le coperte grazie alla convincente arma del dolore, ma Juvia strinse i denti, si morse le labbra e procedette ugualmente verso la sua meta.
"Non importa, non importa".
 
Si sentiva la morte addosso. La morte era lei, era in lei ed attorno a lei.
Aveva camminato quasi per mezza giornata senza fermarsi un attimo, e quasi a metà del cammino il paesaggio intorno a lei si era lentamente trasformato in coltri di neve che la circondavano ovunque posasse lo sguardo. Aveva anche preso a nevicare, prima a piccoli fiocchi e scostantemente, poi sempre più frequentemente e violentemente.
Giunse finalmente alle rovine del villaggio natale di Gray: i ruderi e le macerie più grandi erano ammassati in più punti della zona, e stavano venendo lentamente ricoperti dalla neve; quelli più piccoli erano già stati sepolti sotto le coltri innevate. Quello a cui Gray doveva aver assistito durante la sua infanzia, doveva essere stato un vero e proprio massacro, un genocidio di massa.
L’unico elemento che stonava con la catastrofe da cui era circondata era una croce fatta con pali di legno consunti e conficcati nella neve fredda, con incisi i nomi “MIKA” e “SILVER”. Una figura maschile vi era accanto, seduta su un masso con le spalle basse e il volto affondato nelle mani, che scrutava imperturbabile ed impassibile la tomba innanzi a sé, come se stesse aspettando una specie di illuminazione divina.
Juvia avrebbe voluto restare lì ancora per qualche secondo ad ammirarlo, a riflettere e a cercare le parole giuste da dirgli. Non che avesse avuto delle esitazioni o dei ripensamenti, ma doveva fare in modo che lui la odiasse dal profondo della sua anima, che la ripudiasse, che gli facesse addirittura ribrezzo. Ma Juvia era nel territorio di Gray, la neve ed il ghiaccio erano il suo elemento e si accorse immediatamente di una seconda presenza oltre alla propria.
«Chi va là?» arrivò burbera la voce del mago di ghiaccio.
Juvia non seppe se era una sua impressione o meno, ma le parve che la neve si fosse fatta improvvisamente più fitta.
«U-Um… Gray-sama» tentò di articolare la giovane, ma sembrava che non avesse più voce in gola. Tentò di schiarirsela, senza successo.
«Juvia» disse freddo, asciutto, piatto. «Mi hai seguito» dichiarò distante e gelido tanto quanto il ghiaccio che modellava con la propria magia.
Juvia lo ignorò. Se fosse stata in circostanze normali si sarebbe scusata, ma aveva solamente una cosa da dirgli, e doveva raccogliere le forze per parlargli onestamente, non poteva sprecare fiato per cose inutili come le proprie giustificazioni e farneticazioni. «C’è una cosa che devi sapere» cominciò lei, e non seppe come le corde vocali avevano preso a vibrarle.
Juvia stava alle spalle di Gray ma nonostante ciò, sapeva di avere la più completa attenzione da parte del ragazzo anche se l’aveva ignorata alla sua ultima affermazione. Sentiva il suo sguardo penetrante addosso ad ogni centimetro di pelle fasciata, come se le stesse scrutando l’anima.
«Juvia è colei che ha ucciso il negromante» si interruppe, lasciando la frase in sospeso. Si strinse spasmodicamente le mani fino a conficcarsi le unghie nella carne dei palmi ed abbassò lo sguardo. Dannazione, gli occhi avevano preso a bruciarle ed erano prossimi alle lacrime. Si maledisse mentalmente: non aveva il diritto di provare dolore per lui, per il suo lutto, per Silver. Provò a mordersi il labbro inferiore nel vano tentativo di trattenersi e di continuare la frase. «Il negromante che controllava tuo padre»
Gray si girò di scatto nella sua direzione, gli occhi sbarrati, vitrei e spiritati che lampeggiavano di rabbia e odio. Le iridi turchesi di Juvia si incastonarono nelle sue per qualche secondo che parvero ore, e non si spaventò di quello sguardo, anzi: ne fu grata. Era ciò che desiderava, era ciò che meritava: l’odio da parte del suo amato. «Tu…» boccheggiò il ragazzo. «…Sei stata tu?»
«Juvia non ha più il diritto di amare Gray-sama. Non ha più il diritto di vivere, perché Juvia… Juvia ha ucciso tuo padre» le spalle presero a tremarle e faticò a trattenere i singhiozzi. «Juvia è solamente un’assassina» concluse, chiudendo gli occhi come ad aspettare la propria punizione.
Percepì Gray alzarsi e fare lunghi passi nella sua direzione, complice anche il cigolio che le sue scarpe facevano nella neve. Lo conosceva talmente bene che poteva immaginarselo: i pugni stretti in una morsa ferrea nel tentativo di dissimulare la rabbia che furiosa e violenta gli scorreva nelle vene, i denti che digrignavano in maniera ferina, le tempie che pulsavano.
Nel giro di pochi istanti il ragazzo fu innanzi a Juvia, e questo lo capì grazie all’altra scia di alito caldo che si confondeva e si mischiava con la propria. Non passò neanche mezzo secondo che la maga si sentì afferrare con forza per il colletto del suo abito, venire tirata prepotentemente all’insù, in direzione del mago del ghiaccio da mani tremanti e cariche di ira. La giovane gemette un po’ per il dolore delle ferite non ancora completamente ristabilite e per la sorpresa. Percepiva il suo respiro concitato e nervoso ancora più chiaramente, ed era palesemente palpabile la tensione, l’elettricità che si respirava nell’aria.
«Sei stata… tu…» mormorò con voce enigmatica ed indecifrabile, un tono che non gli aveva mai sentito utilizzare.
La ragazza spalancò gli occhi, in modo da guardarlo un’ultima volta per annuirgli, ma fu inutile: anche Gray stava nascondendo il suo sguardo, ed in quel momento registrò che non erano solamente gli arti a tremargli: tutto il suo corpo era scosso da mille fremiti, le labbra erano strette al limiti dell’impossibile, tirate in una linea quasi retta, e ogni suo muscolo era teso come una corda di violino. Juvia iniziò ad impanicarsi leggermente, sentendo le orecchie cominciare a fischiarle: non aveva mai visto Gray in quel modo così… così… fragile. Lui era sempre stato il freddo, burbero, menefreghista, solitario Gray-sama. Ed era solamente colpa sua se ora… se ora provava tutto quel dolore, se ora non era più se stesso.
 
I picture you in the sun wondering what went wrong
And falling down on your knees asking for sympathy
And being caught in between all you wish for and all you seen
And trying to find anything you can feel that you can believe in
 
Juvia aveva finalmente deciso di chiedergli di sferrarle il colpo fatale, di mettere fine alle sue sofferenze in modo che potesse trovare finalmente pace anche lui, ma ciò che il ragazzo fece pochi istanti dopo fu totalmente inaspettato: Gray l’avvicinò ancora di più a sé, spostando le mani lungo i fianchi della ragazza ed affondando il volto nel suo petto, cominciando a piangere.
Juvia lo guardò con occhi e bocca sbarrati, le guance che andavano in fiamme, il ritmo cardiaco alle stelle, le scie di lacrime che le rigavano le guance. Non se lo meritava, non si meritava tutto questo; non meritava di essere lei a consolare Gray, di stare al suo fianco e di prendersi cura di lui.
«Arigatou» bisbigliò Gray con voce bagnata di lacrime amare, ed in quel momento Juvia capì che, nonostante la situazione fosse una delle più schifose, quel momento era semplicemente perfetto, perché era solo loro. Aveva completamente scordato il dolore, l’odio, il rancore verso se stessa, il risentimento, il rimpianto, la morte. C’erano solo loro, cristallizzati eternamente in quell’universo che apparteneva solamente a loro, ed erano perfetti.
Juvia lo strinse a sé più che poteva, quasi come se potesse entrare dentro di lui, facendo aderire e combaciare perfettamente i loro corpi, che si incastrarono perfettamente come i pezzi di un puzzle che tornano al loro posto.
Nessuno dei due capì bene la dinamica, ma repentinamente si ritrovarono entrambi con le ginocchia a terra, entrambi tremanti, stretti l’un l’altra.
«Gommene» disse con voce supplichevole e spezzata Gray. «Gommene» continuò mentre i suoi singhiozzi diventavano sempre più forti, concitati, violenti.
 
I know I would apologize if I could see your eyes
 
«Gray-sama…» Juvia avrebbe voluto chiedergli quale fosse il motivo per cui si stava scusando, dal momento che la colpa era completamente sua. Non le diede l’occasione di farlo, perché nuovamente Gray le invocò perdono. E poi Juvia capì: si stava scusando di essersi mostrato debole, di averle fatto credere che lei fosse un’assassina e meritasse la morte quando in realtà Juvia era stata colei che aveva salvato l’anima di suo padre, di aver pianto di fronte a lei, di aver lasciato che lei lo vedesse crollare sotto il peso insostenibile del dolore, del lutto. Gray era LA colonna portante, non poteva permettersi di cedere.
Gray cominciò a gemere e ad urlare per lo strazio che aveva dentro e che non riusciva più a trattenere. Era rimasto ore a fissare la tomba dei suoi genitori convincendosi di essere forte, di non dare troppo peso ai fatti recentemente accaduti perché suo padre era già morto tanto tempo prima; e invece era arrivata Juvia e tutte le sue certezze erano crollate come un castello di carte abbattuto da una folata di vento.
 
'Cause if I find my own way
How much will I find?
I would find You
 
La maga dell’acqua sorrise finalmente, un sorriso diverso da quelli carichi di disperazione di prima: questo era un sorriso vero, genuino, innamorato. Un sorriso che stonava maledettamente con le lacrime che l’accompagnavano. «Sei caldo» mormorò con la voce piena di rassicurazione mentre portava una mano sul suo volto e gli asciugava le lacrime con i polpastrelli delle dita. «Ci sono io qui con te, e non me ne andrò mai» dichiarò con fermezza, accoccolandosi di più a lui. Il battito impazzito del suo cuore si confondeva con quello del mago.
Lasciò che si sfogasse ancora con lei, che piangesse, che lasciasse uscire tutto l’odio, la tristezza e il rancore che si erano annidati dentro di lui e gli stavano disgregando e distruggendo l’anima.
Il solo pensiero di abbandonare la partita a carte col destino, di arrendersi e di darla vinta, di lasciare la vita ora la inorridiva. Aveva ragione Silver: lei doveva prendersi cura di Gray, e questo semplicemente perché era l’unica in grado di farlo. Forse proprio motivata da questa improvvisa quanto repentina rivelazione, gli diede un timido bacio sulla fronte. «Tuo padre pensava che Juvia fosse la tua donna, lo sapevi?»
E Gray rise. Una risata forzata forse, accompagnata comunque da singhiozzi, ma almeno ve ne fu un lontano eco.
E Juvia capì che il loro destino non poteva che essere intrecciato.

 

Kat says-
Giuro, scrivere questa fanfiction è stato un parto. Prima ho smadonnato col pc perché proprio nel momento in cui stavo salvando il documento, il computer mi è morto E AVEVO SCRITTO TIPO TRE QUARTI DI FANFICTION. Poi, nella seconda stesura, mi sembrava che tutti i fatti fossero scollegati tra loro, ma sembra che sia riuscita a dare una forma più o meno decente. E' stata una sfida piuttosto ardua scrivere questa fanfiction, era già abbozzata da almeno tre mesi, ma solamente dopo il periodo di esami ho trovato il tempo e la voglia di sistemarla. Esprimere i sentimenti e le sensazioni di Juvia mi è stato veramente difficile: riuscivo ad immaginarli, a provarli ma non a descriverli perchè mi sembrava che le parole non bastassero per l'intensità con cui si manifestavano.
Premesso ciò, ho amato troppo la saga di Tartaros, i feels che mi ha lasciato superano il 9000000 livello di potenza (cit. Radish). E poi dai, l’epilogo è orgasmico, perchè come dice la mia amica omonima, è la scena in cui “Gray-sama sbatte la testa nelle tette di Juvia-chan”. No vabbè, scherzi a parte, ho amato ogni secondo di quella scena, che dovete assolutamente rivedere perchè sì clickkeggiami. Sonno veramente impazzita per questo pairing, davvero.
La canzone che ho scelto, anzi, la canzone che ha scelto me -perchè solamente dopo ho notato l'incredibile somiglianza delle parole con i fatti narrati- è "In the sun" di Aron Wright, e pure questa dovete ascoltarvi perchè sì.
Dedico questa fanfiction alla mia omonima, che ascolta i miei scleri nonostate non li sopporti e mi da' lo stesso dei consigli, perchè mi beta le storie anche se sono chilometriche e che fa Gray solamente per farmi un favore. Ti voglio bene zorè 
♡♡♡♡♡♡ 
Detto ciò mi dileguo, non so quando tornerò a scrivere/pubblicare. La prossima fafiction potrebbe essere sia una ShikaIno abbozzata per San Valentino (perchè mi piace arrivare in ritardo) sia un'originale introspettiva nonsense come al solito.
Vi mando un sacco di kissoli,

Kat.
  
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