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Autore: HibiyaAki and Loonaty    20/02/2016    1 recensioni
C'è un ragazzo rosso ed uno con gli occhi di una serpe nera.
C'è chi respinge e chi cerca.
Eppure non sempre è scontato ciò che i nostri occhi vedono.
Ci sono parole nascoste tra la rabbia e i calci e la frustrazione.
Ce ne sono altrettante oltre ai sorrisi.
Prima o poi smetterà di piovere.
** He Tian era un sadico bastardo.
Un presuntuoso, disinibito, riccone viziato del cazzo.
Era stato perfido nel bloccarlo in quell’abitazione ricattandolo e trattenendolo con la forza.
Offrendogli dei soldi per dei lavori infimi.
Approfittandosi di lui.
Era stato perfido nel volerlo trattenere così tanto.
Nel non volerlo abbastanza. **
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, He Tian
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le situazioni più dolorose nascono da quelle che abbiamo visto mille volte.
Su uno schermo o tra le pagine dei libri, dei fumetti.
Eliminando tutti i perbenismi.
Tutti quei sentimenti puri, puliti. Candidi.  
Quelle situazioni perfette, che sembrano reggersi perché è così che la vita deve essere.
Che torneranno ad incastrarsi subito dopo l’ultima scena in cui pare non ci sia più nulla da fare.
Quando tutto va in pezzi il protagonista si alza, vero?
Oppure si volta nel momento giusto.
La ragazza non ha preso il treno.
La lettera era andata smarrita.
Era stato tutto un malinteso.


-Mettici meno soia. -
La padella sfrigolava sul fornello mentre il ragazzo si domandava, accigliandosi in silenzio, come potesse mettercene “di meno”.
Avrebbe dovuto … Gettare via tutto e ricominciare dall’inizio?
Guardò le verdure finemente tagliare rotolarsi nell’olio scuro con una punta di fastidio e in uno scatto nervoso rovesciò ancora altra soia in padella. A lui piaceva.
Voleva che cucinasse? Avrebbe cucinato a modo proprio! Ah, sapeva bene di essere una persona troppo impulsiva e che di lì a poco si sarebbe beccato qualche colpo secco anche piuttosto violento, strinse gli occhi, attendendo le minacce del moro che… Non arrivarono.
No, no, non potevano non arrivare, probabilmente stava solo attendendo che abbassasse la guardia per coglierlo di sorpresa.
Era certo.
Si morse con forza l’interno della guancia, prima di gettargli un’occhiata in tralice, sospettoso.
He Tian era appoggiato al mobile. Nemmeno gli rivolgeva lo sguardo, le ciglia scure gettavano ombre affilate su quegli occhi di ghiaccio. Sembrava perso in un mondo tutto suo.
-Che cazzo fai? Sei forse una statua?!-
Sbottò picchiando il mestolo di legno sul bordo della padella. Un po’ di olio bollente gli schizzò sul lato della mano. La portò alla bocca.
He Tian si voltò lentamente verso di lui. Le braccia ancora conserte.
Ecco che tornava normale.
Se per normale si poteva intendere quel ghigno crudele che piegava la linea sottile della sua bocca.
Deglutì. Aveva la gola secca tutt’a un tratto, affondò i denti nel palmo prima di riabbassare il braccio e tornare a dare la propria attenzione alla pentola.
-A---A che diavolo stavi pensando?!-
Non credeva di volerlo sapere.

Le situazioni più dolorose si presentano all’improvviso.
Nonostante le aspettassimo da tempo.
Quando arrivano è gran fragore.
E poi silenzio.


Gli faceva male un po’ tutto.
Era una sensazione familiare, He Tian non si poteva certo definire una persona di tatto, anche se lui avrebbe potuto evitare di provocarlo spudoratamente.
Quando il moro si dimenticava della propria presenza era meglio approfittarne. Stare zitti. Osservarlo di nascosto, pregando che non se ne accorgesse e finisse per commentare in maniera tagliente e piuttosto inopportuna. Gli faceva salire il sangue al cervello ogni qual volta le sue battute perverse giungessero a lui.
Porco.
Disgustoso.
Infame.
“He Tian è una persona disgustosa e violenta.”
Si ritrovò a pensare mentre la pellicola appiccicosa che avvolgeva il proprio tramezzino gli si incollava alle dita nodose. La strinse su sé stessa, creando una pallina all’odore di maionese di un grigio-trasparente che rimase all’interno del suo palmo.
Perché pensare ad He Tian?
Masticò un boccone, poi un altro.
Ah, eccolo nel campetto da basket, con quell’idiota di Jian Yi.
Il bolo solido del pane gli grattò la gola. Avrebbe dovuto masticare più a lungo. Un colpo di tosse.
Quando il moro si dimenticava della propria esistenza era la pace. La tranquillità dello spirito.
Si passò una mano tra i capelli rossi.
“Perché, visto che sono tanto amici, non chiede a quel finocchio ritardato di preparargli la cena?!”
Probabilmente Jian Yi non sapeva cucinare. Premette la pellicola gommosa con le unghie quasi a volerla far divenire parte consistente del proprio corpo. Cosa faceva prima, il pomeriggio?
Dopo i corsi scolastici, verso sera, dove andava?
Qualche settimana prima.
Qualche mese prima.
Lui ora dove sarebbe stato?

Il panino era finito.

Sarebbe stato in un posto in cui sicuramente sarebbe FELICEMENTE tornato, se solo…

-DOVE CAZZO LA TIRI QUESTA PALLA DI MERDA?! TI AMMAZZO!-

Un altro livido da aggiungere alla collezione.


Le situazioni più dolorose fanno ridere.
Ridiamo di noi stessi.
Di quanto sia patetico il nostro attaccamento all’idea…

Che tutto così vada bene
.



Le mani di He Tian scottavano al di sotto della propria felpa.
Le scacciò con stizza. Il tono di voce troppo alto, forse, nell’urlargli di smetterla. Che non ne voleva sapere nulla dei suoi giochetti malati.
Omettendo un “più”.
Non voleva saperne più nulla dei suoi giochetti malati.
“Non mi toccare. Non mi toccare. Non mi toccare. “
Davvero ridicolo come si fosse giunti a questo punto. Questa sensazione caustica all’interno dello stomaco scivolava in basso nelle viscere e bruciava. Bruciava tanto da farlo piegare su sé stesso scivolando contro la parete umida della pensilina del bus.
Ne sarebbero passati a quell’ora?
Sentiva ancora la pianta del piede bruciare per il calcio che aveva tirato sul ginocchio dell’altro, di piatto. Le suole di gomma delle scarpe non avevano attutito per nulla il colpo.
Spostò il peso sull’esterno dei piedi.
Sarebbe corso fuori da quel palazzo di lì a poco, lo sapeva. Lo avrebbe raggiunto, lo avrebbe afferrato per il collo della maglietta fradicia di sudore e l’avrebbe sollevato da terra sbattendolo contro il palo di metallo. Lo avrebbe fatto sanguinare, avrebbe fatto sbocciare fiori viola e neri sulla sua pelle sempre troppo chiara.
Che cazzo ci faceva un rosso in Cina?
He Tian glielo domandava sempre. Sarcastico.
Avrebbe dovuto guardarsi un po’ allo specchio. Con quei suoi occhi vitrei di merda che non facevano che divorare il proprio amico del cuore.

Sarebbe uscito da quel palazzo.
Lo avrebbe raggiunto, afferrato per i capelli, strattonato indietro, perché aveva ancora fame e non si sarebbe abbassato ad andare in un supermarket di merda come ogni-fottuta-persona-normale.
No.
Aveva bisogno della cameriera, l’infame.

Si passò una mano sul viso.

-Se tutto fila liscio mi sono liberato del master.-

Sogghignò, ironico, a se stesso.
Sentì i succhi gastrici bruciargli la gola, ma li cacciò indietro con estrema dignità.
 Era stata la corsa.
La corsa a perdifiato lungo le scale, l’adrenalina, l’impatto con il freddo e con la pioggia che lo avevano colpito in faccia come una parete di cemento.

I minuti passavano.
Faceva sempre più freddo.
Decise di allontanarsi, con le mani in tasca.

“A quanto pare non arriverà…”
A quanto pareva non sarebbe arrivato nessun pullman.


Le situazioni più dolorose non si fermano al primo stadio.
Puntano a disintegrarti.
Con-violenta-insistenza.


La colpa non era stata sua.
Ne era ben consapevole.

Non era stato lui a far “sparire” Jian Yi.
Non lo aveva ficcato nello zaino e portato a casa. Non lo aveva incatenato in cantina, né gli aveva aperto la testa con un masso, come alcuni ironizzavano alle sue spalle. Tutti molto simpatici, oltretutto.

Il suo interesse era tale, per quel biondo strafatto, che si sarebbe anche potuto conficcare una penna bic nella giugulare davanti al suo banco e l’avrebbe scavalcato con stoico disinteresse.
Non tutti, però, avevano preso la cosa bene come lui. Un pratico “uno in meno”.
Un semplice “speriamo che almeno abbia smesso di consumare ossigeno.”
Un adattissimo “sticazzi.”
No. Si erano dovuti chiudere nel loro silenzio, divenuto ancora più pressante e odioso di qualche giorno o settimana o mese prima.
E quando quelle mani gli si erano aggrappate ai vestiti, quando lo avevano stretto e le labbra gli avevano sfiorato il collo, quando aveva avvertito un cuore, della cui esistenza aveva sempre dubitato, battere violento contro il proprio petto … Vi era stato un rumore secco.
Qualcosa di pericoloso e sanguigno che aveva avuto l’odore delle sigarette e della soia bruciata.
Gli aveva impastato la lingua in maniera orribile, era come aver mangiato del grasso rancido, raschiava il palato e incollava tutto.
Le parole rimanevano incastrate in quella merda.
In quella merda di abbraccio che PORCO CAZZO, cosa significava?
Cosa stava a significare?!

- Ehi, lasciami!-

Lo aveva stretto più forte, Hr Tian ed aveva sentito frammenti precipitare.

-No.-

Aveva asserito.
E se He Tian diceva “no” e lo diceva con quel tono allora era “no.”
E lui sarebbe potuto morire lì.
E non sarebbe cambiato nulla.
A meno di pestarlo fino a farlo incazzare davvero.

In quel momento avrebbe davvero voluto vederlo incazzarsi.
Sarebbe risultato confortante.


Era successo altre volte, che gli accarezzasse la schiena con lascive intenzioni. Che sorridesse furbo, come un serpente, teso, sull’attenti, gli occhi affilati.  Era già accaduto che gli mordesse il collo piano, poi più forte, che gli lambisse il lobo dell’orecchio con la lingua rovente, che lasciasse scivolare le dita sotto i suoi vestiti.
Che lo schiacciasse con il proprio corpo contro il materasso, contro la parete, mentre lo sbeffeggiava senza sosta e il rosso gli ringhiava di fare silenzio, scalciando “Come un mulo quale era”. Sempre estremamente romantico, l’altro.
Eppure ora avvertiva un’urgenza, una sorta di nebbiosa rabbia in quei tocchi e in quella vicinanza che gli causavano più del solito infastidito rifiuto che si andava sciogliendo sotto le minacce affettate, bisbigliate all’orecchio con la sensualità del più libidinoso degli amanti.
I suoi muscoli si irrigidirono mentre l’orrore prendeva una forma nei suoi pensieri.

No no no no …

Dopotutto che gli importava?
Poteva ancora lasciarsi sbattere, no?
E poi avrebbe chiesto dei soldi. Gli facevano comodo dei soldi.

L’orrore aveva un volto.
Ben delineato.
E gli occhi chiari.
E i capelli chiari.
Ed era bianco in controluce.
E riusciva ad immaginarlo, oltre la spalla di He Tian, guardare fuori dalla vetrata umida di piccole gocce di pioggia.
E vedeva He Tian, che a lui non dava ordini. Che gli arruffava i capelli con una delicatezza sconosciuta.
Che lo guardava di sottecchi quando questi era distratto. Che sorrideva…

Non era mai stato lui. Mai.

Il ragazzo dai capelli neri si era appoggiato alle sue spalle allungandosi a staccare a morsi un pezzo del proprio panino.

Aveva tirato un pugno al muro, proprio a fianco della propria testa.
Aveva avvertito la polvere rossa sfiorargli l’orecchio e le nocche schioccare.
“Ti avevo detto di farti trovare qui per le cinque, mi prendi per il culo? Ti toccherà pagare la penitenza.”

Si era fatto bendare e disinfettare la mano mentre lo osservava passivo, prendendolo però a calci ogni volta che la benda risultava troppo stretta.

Aveva subito insulti, odio, violenza, rabbia incontrollata ed immotivata ed altrettanti sentimenti e ferite aveva inferto.
Altrettante beffe.

Dormiva nelle posizioni più assurde, ma sempre immobile. Una volta aveva tentato di buttarlo giù dal materasso dopo che lo aveva stretto fino a quasi soffocarlo. Era riuscito a  puntellare la schiena contro la parete e a farlo piombare sulle assi del pavimento. Nessuna reazione.
Almeno fino a quando non si era svegliato con un braccio intorpidito ed un bel paio di lividi.
“Perché sei così stupido? O forse non è che sarai masochista?”

Era sempre stato così insopportabilmente, ossessivamente vicino.

Ma solo ora la parola “ripiego” gli affondò dentro come il Titanic dopo l’impatto.
E fece un cazzo di male.


He Tian era un sadico bastardo.
Un presuntuoso, disinibito, riccone viziato del cazzo.

Era stato perfido nel bloccarlo in quell’abitazione ricattandolo e trattenendolo con la forza.
Offrendogli dei soldi per dei lavori infimi.
Approfittandosi di lui.
Era stato perfido nel volerlo trattenere così tanto.

Nel non volerlo abbastanza. 



La pensilina dell’autobus era l’unico riparo dalla pioggia.
L’aria gelida gli aveva scorticato l’esofago e i polmoni.
Si voleva accasciare al suolo e morire.
Che cretino, non aveva nemmeno preso i soldi. Sarebbe andato a riscuoterli il giorno dopo a scuola…

Chissà se, a quell’ora, sarebbe passato un pullman.


Il lieto fine non esiste se non in un’ opera cinematografica.
L’unica fine che l’uomo contempla è la morte.
Per il resto siamo costretti a trascinarci in un vago continuo di ciò che abbiamo passato.

Superandolo.

O rimanendovi immischiati.


E questa è la situazione più dolorosa.





Il procedere del mezzo lo faceva oscillare, sorretto alla maniglia alta, con il braccio sollevato stanco e l’aria assonnata.
La valigia era stata bloccata tra la propria gamba e uno dei tanti sedili occupati.
Era appena arrivato e le ore di viaggio cominciavano a pesargli sulle spalle. Per la prima volta in vita sua era quasi felice di tornare a casa. Forse era un sintomo degli anni passati fuori città.
Chi l’avrebbe mai detto che un teppista ignorante come lui, povero in canna, potesse essere ammesso in un’università di quel rigore?
Aveva dovuto mantenere una media vertiginosa per evitare i costi dell’iscrizione ai propri genitori e più di una volta aveva quasi preso la definitiva decisione di buttare tutto alle ortiche.
“Basta! “ Si diceva. “Sono un fottuto idiota! Per chi credo di volermi spacciare?!” Di rocce abbastanza pesanti per romperle in testa ai signorini di buona famiglia che lo sbeffeggiavano per la sua borsa di studio del cazzo, nel campus non ce n’erano.
Si sa, i figli di puttana sono duri a morire.
“Perché continuare così? E’ da masochisti! Quest’uniforme e tutte ‘ste regole… “ Aveva afferrato i libri, i fogli con gli appunti disordinati e li aveva gettati nel lavandino del cesso comune.
“Le persone non cambiano.” Si era detto prima di girare il rubinetto.
 
 Solo per poi rendersi conto che non avrebbe avuto comunque nulla da fare.

E allora aveva recuperato i fogli sbavati.
E le dispense.
Ed il contegno.

“Cosa facevo prima?”

Quella domanda  empia gli martellava il cranio dall’interno.  
Eppure poteva restare calmo, nessuno lo avrebbe costretto a fare nulla contro la propria volontà. Fare a botte nemmeno gli mancava più, si era trovato a riflettere seduto alla propria scrivania mangiando un piatto qualsiasi istantaneo e precotto che risultava gommoso e troppo salato e che ungeva la plastica sottile della confezione.
Non aveva nessun buon motivo per cucinare.


Due uomini, pochi metri più avanti rispetto a lui, stavano seduti di spalle quasi cancellati dalla folla di divise da lavoro e scolastiche, addossate le une alle altre come puntine da disegno bianche e nere in una scatola troppo piccola per contenerle.
Moro a sinistra, biondo a destra.
Spalle larghe e tempia accostata al finestrino, il primo.
Spalle larghe e mani in continuo movimento, il secondo.  

Battè le palpebre più volte.

L’immagine non venne cancellata nemmeno dalla piena di nuovi corpi alla fermata successiva. Ragazzini agitati spinsero intrufolandosi come ratti tra le anime già presenti ed accaldate all’interno.
Si trovò il viso premuto per un momento contro la giacca infeltrita di un uomo, questi si scusò subito dopo costringendolo a bofonchiare due parole di circostanza, leggermente accigliato mentre il puzzo di sigaretta gli irritava le narici.

I suoi occhi trovarono ancora quelle due figure, semi-nascoste dalla folla e si domandò se fosse possibile.
Si domandò se potessero essere loro.

Jian Yi era tornato. Aveva riabbracciato quel coglione con i capelli per aria di cui mai avrebbe ricordato il nome e la serpe dagli occhi chiari che puzzava di fumo e cattivi propositi.
Fumo.
L’odore acre gli faceva pizzicare gli occhi, l’uomo dinnanzi a sé doveva essere un accanito consumatore di nicotina.

“Queste cose succedono solo nei film.”
La metropolitana si fermò.
Quasi non si rese conto che si trattava della sua fermata.
Sgomitò per uscire di lì trascinandosi dietro la valigia ed imprecando con voce roca, simile al ringhio di un leone, ma a basso volume.
Un leone rinchiuso che spalanca le fauci solo perché ritiene che sia il miglior modo per allontanare i propri aguzzini.
Che spalanca le fauci ormai più per abitudine che per infierire.
Perché lo ha sempre fatto e smettere ora non porterebbe a nulla di meglio.
Qualcuno afferra la maniglia della propria valigia e lui sbotta una bestemmia perché “ecco”  ci mancava il ladruncolo del mio culo che tenta di fregarmi i bagagli proprio mentre torno da dove – e ancora giù di impropri poco ragguardevoli.- me ne sono andato per non diventare necessariamente uno di loro.
Eppure il bagaglio non gli venne strappato dalle dita.
Fu accompagnato in modo saldo.
Fece qualche passo indietro e riuscì a scendere guidato dalla folla mentre una mano bianca abbandonava la presa sulla maniglia di gomma grattata via in momenti di nevrosi dal rosso proprietario.
E attaccato a quel braccio insolitamente premuroso vi era un viso.
E due occhi di serpe chiari come è chiaro il ghiaccio e le bugie, e le pensiline dei pullman opache di pioggia.
Un sorriso meno offensivo di un tempo e labbra che erano state così disgustose e così calde contro il proprio collo.
Jian Yi fece capolino oltre la spalla dell’amico, sorridendo smagliante.
- Ohi, Ohi!  Tu sei la testa di zucca?! Ma com’è sei ancora vivo?!-


Il ragazzo rosso sistemò il colletto della propria giacca scendendo sulla banchina.
Come detto, questa era la realtà, non un film.
Era sceso dal treno senza intoppi e quando era passato dinnanzi alla fila in cui si trovavano i due uomini aveva respirato a fondo, mentre tutto attorno il mondo diveniva ovattato.
Il silenzio di quando ci si immerge sott’acqua e tutto rallenta.
Sentiva i polmoni brucianti d’aria trattenuta, ed in un istante aveva deciso di non guardare.
Di non voltarsi.
Non lo aveva fatto nemmeno una volta, allontanandosi in fretta verso l’uscita, risalendo gli scalini a saltelli, avvertendo le cosce scaldarsi e il bicipite tirare nel sollevare da terra la valigia pesante.
Chi fossero quegli uomini, non aveva importanza.
Si disse.

Non aveva importanza.

Masticò quelle parole respirando l’aria delle dieci del mattino.

Non riuscì a trovarle più vere di così.

Un accenno si sorriso sulle labbra scarne. L’asciò andare il respiro… E fu come se non lo avesse fatto per cinque anni, o forse più.

I vetri caddero al suolo in pieno fragore.

E s’accese, prepotente, il sole.



Il tuo amore non sarà meno grande perchè più ascoso.

Il tuo amore non sarà meno forte perché distrutto.

Il tuo amore non sarò meno vero perché mai dichiarato.

Le situazioni più dolorose… Spesso ci rendono migliori.


 
   
 
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