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Autore: Jareth01    20/02/2016    5 recensioni
L'incredibile storia di una notte, tredici anni dopo l'avventura del Labirinto.
Due facce della stessa medaglia avranno a che fare con la cosa più terribile e meravigliosa dell'esistenza di ognuno: la propria umanità.
Errori, emozioni e contraddizioni per un finale che scoprirete essere dentro di voi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth, Sarah
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autore: consiglio ai lettori, prima di leggere questa One-shot, di vedere (se non l'hanno già fatto) il video "Underground" di David Bowie. E' da lì che è nata la mia ispirazione per questa fan fiction (è la prima che scrivo)! Non voglio anticipare nient'altro: spero vi piaccia. Buona lettura!
Giusi


Certi poteri

 
Erano passati tredici anni da quando la quindicenne Sarah aveva vissuto l’avventura più incredibile della sua esistenza: il Labirinto. Da allora la sua vita era cambiata: aveva riposto via i suoi amati balocchi, il suo rapporto con la matrigna era notevolmente migliorato e, pian piano, il tempo passato a leggere romanzi fantastici e ad impersonare le sue eroine ed eroi preferiti fu rimpiazzato dalle normali attività del mondo esterno, di quello che qualcuno chiama “Aboveground”. Intanto cresceva, cresceva e il tempo sembrava non fermarsi mai: da bambina a ragazza, da ragazza a donna, ogni anno sempre più adulta, più consapevole, più lontana dalla magia dell’infanzia: eppure non aveva ancora perso quel vivo luccichio che da sempre aleggiava nei suoi occhi, quell’indole all’intraprendenza, al coraggio, al cogliere il lato fantastico e surreale insito nelle più piccole cose o nelle azioni più banali. Sarah era una donna con dentro l’energia, la passione e l’allegria di una bambina: era questo ciò che la rendeva speciale.
Il labirinto? Non l’aveva mai dimenticato, sebbene, ormai, era quasi convinta si trattasse solo di un sogno. Un sogno che adorava e a cui pensava spesso, nel terrore di dimenticarlo. Non aveva più invocato i suoi amici (figuriamoci il terribile Re di Goblin!), per paura di scoprire che si trattasse davvero solo di una sua fantasia, negandosi, così,  uno dei ricordi più cari e strabilianti che avesse. Eppure aveva delle visioni così vivide di quelle creature, ricordava i loro nomi e i loro volti con una dovizia di particolari a dir poco inusuale per trattarsi di un semplice sogno. A volte si chiedeva se non fosse un po’ matta, a volte si sentiva una nuova Alice nel paese delle meraviglie, con la differenza che non raccontò mai a nessuno della sua avventura: chi le avrebbe mai creduto?
Quel sabato sera Sarah uscì con la sua compagnia di amici, stanca dopo una giornata di lavoro, con la voglia di divertirsi e liberare la mente. In uno dei locali della loro cittadina, che usavano spesso frequentare, quella sera si esibiva un gruppo rock poco conosciuto, non della zona, dicevano, molto bravi, dicevano. La combriccola di amici non ne aveva mai sentito parlare e così, per curiosità, decisero di trascorrere lì la loro serata. Sarah, sin dalla prima adolescenza, sviluppò una forte passione per la musica rock: la sua collezione di CD era ormai molto vasta, così come la sua conoscenza dei vari generi e sottogeneri, e non perdeva mai un’occasione per mettersi le cuffie nelle orecchie ed ascoltare i suoi pezzi preferiti: era un modo come un altro per uscire, almeno per qualche minuto, dallo stress e dalla monotonia della quotidianità.
Abbigliamento semplice, pantaloni neri attillati, un top rosso e una lunga giacca nera: Sarah era pronta per raggiungere i suoi amici. La sua bellezza non l’aveva abbandonata, anzi: era alta, con forme prorompenti e decise e una lunga chioma nero corvino che faceva risaltare i suoi occhi verdi e la sua carnagione pallida e delicata.
Il gruppo di amici raggiunse il locale in cui avrebbero trascorso la serata. Il concerto non era ancora iniziato, così decisero di prendere qualcosa da bere e da mettere sotto i denti, conversando allegramente seduti ad uno dei tavoli. Pete, Michael, Jenny e Lisa la mettevano sempre di buonumore anche se, in alcuni momenti, sentiva un certo fondo di inadeguatezza, di distanza: molte volte avrebbe preferito essere altrove, ma dove? Non lo sapeva nemmeno lei.
Tuttavia, non era quello il momento: le risate non mancavano e l’atmosfera calda e familiare del pub, i boccali di birra, le rocambolesche avventure amorose raccontate da Michael e l’hamburger che aveva appena ordinato non le davano nessuna scusa per divagare o abbandonarsi a riflessioni. Le piaceva davvero quel tipo di sabato sera.
Ad un certo punto, le luci del locale divennero più fioche e il piccolo palco si illuminò: il concerto stava per iniziare. Sarah sentiva i rumori dei jack attaccati agli amplificatori e delle corde suonate a vuoto, poi gli applausi: la band era arrivata. Era seduta di spalle al palco, si girò per guardare i componenti, ma era piuttosto lontana e davanti a lei si era formata una certa folla. Tornò ad occuparsi del suo hamburger, appena arrivato. La band iniziò a suonare, senza presentazioni.
Sarah stava per dargli il primo morso, quando si fermò di colpo. Un brivido le percosse tutta la schiena e sentì una forte fitta allo stomaco. Sgranò gli occhi e rimase immobile per diversi secondi, la faccia cadaverica, a fissare il vuoto. Dopodichè, d’istinto, corse in bagno, farfugliando degli “sto bene, sto bene” ai suoi compagni preoccupati.
Sbatté forte la porta e si accasciò a terra. Emozioni troppo, troppo forti stavano prendendo il sopravvento. La voce, la voce che cantava… era quella voce. Era quella che aveva sentito cantare nel labirinto. Era Jareth. Il suo viso fiero, crudele e magnifico apparve chiaro e prepotente nella sua mente. Cercò di calmarsi, di ragionare. Sicuramente non poteva essere vero: forse il Labirinto non era mai nemmeno esistito e, anche se lo fosse, il Re dei Goblin non sarebbe mai salito nell’Aboveground, se non per rapire qualche bambino. Di sicuro non aveva nessun motivo per cantare, di sera, in un pub. E quell’uomo al microfono, anche se visto di sfuggita, non aveva di certo mantelli, cristalli o pettinature anomale. Era solo una coincidenza, uno stupido raggiro della sua mente. Nella peggiore delle ipotesi – disse a se stessa, ironicamente, per farsi coraggio – il bel Re di Goblin non aveva alcun potere su di lei, e non sarebbe stato difficile averci a che fare di nuovo.
Tornò allora, lentamente, al suo tavolo, dove i suoi amici l’aspettavano, in apprensione. «Cosa è successo?» chiese Lisa, fiondandosi da lei. «Nulla, solo un po’ di nausea», rispose la ragazza. «Sapete che ho lo stomaco delicato, forse quell’hamburger non era un granché, o forse qualcosa mangiato a pranzo» disse, rendendosi conto che l’hamburger non l’aveva pressoché toccato. «Ma ora sto bene. Com’è questa band, ragazzi?» chiese agli altri fingendosi il più tranquilla possibile. «Non male davvero» rispose Pete. «Ma non è il mio genere, forse più il tuo» aggiunse. «Il cantante è notevole, ed è proprio un gran bel ragazzo» rispose Jenny. «La rocker qui sei tu, ma guardare quel biondo proprio non mi dispiace».
Biondo? Sarah sorrise all’amica ma non riuscì ad aprir bocca, tanto la sua mente era affollata: si girò verso il palco, cercando di inquadrare al meglio il misterioso biondo: vedeva i suoi capelli corti, con un ciuffo ribelle che scendeva sul viso, il fisico scolpito, i lineamenti, a quella distanza, poco chiari, ma all’apparenza piacevoli; notò il suo stile elegante e la lunga giacca di pelle nera, che faceva risaltare l’intera figura. Quell’uomo aveva di certo il fascino del re di Goblin, ed anche una certa somiglianza, ma non poteva essere lui, era così…umano! Si trattava, sicuramente, solo di uno straordinario scherzo della natura. D’altronde, ognuno di noi ha sette sosia nel mondo, o almeno così ricordava di aver sentito da qualche parte, una volta, Sarah.  Figuriamoci in due mondi. Pensare che non fosse lui la tranquillizzò, ma si accorse di provare anche una certa… delusione. Forse avrebbe voluto rivederlo, il cattivo della sua avventura, ma anche il fae che aveva invertito l’ordine del tempo, che aveva messo il mondo sottosopra per lei, che aveva sì rapito il suo fratellino – ma per assecondare un suo infantile capriccio. Avrebbe voluto capire meglio quell’enigmatico individuo che non aveva esitato a metterla in pericolo come non aveva esitato ad offrirle tutto se stesso. L’età, il potere del ricordo ed il tempo che passava avevano reso, a poco a poco, sempre più affascinante il personaggio di Jareth ai suoi occhi. Hoggle, Ludo, Sir Dydimus erano suoi amici: ma cos’era il Re per lei? Sentiva di essere attratta da lui tanto quanto lo respingeva: in fondo, i due si erano comportati allo stesso modo nei confronti dell’altro. Si odiavano quanto si amavano, contemporaneamente, in un susseguirsi di azioni egoiste, generose, di rifiuti, di seduzioni senza apparenti, forti nessi logici.
«Isabel mi ha chiamato! La ragazza che ho conosciuto ieri, avete presente? E’ fuori, al Palace. Dobbiamo raggiungerla, vi prego!» Michael interruppe i suoi pensieri. Pete aveva intenzione di accompagnarlo e Lisa non si sarebbe divisa da Pete. I tre volevano andarsene, ma Jenny proprio non voleva saperne di andare dietro i capricci dell’amico. Sarah rimase in silenzio. Non voleva assolutamente abbandonare il locale. «Allora andate pure, io e Sarah rimaniamo qua a goderci ancora un po’ il biondo e i suoi amici. Vi raggiungiamo tra una mezz’oretta, magari» disse Jenny. A Sarah, improvvisamente, tornò la parola: «no Jenny, mi sento male di nuovo, aspetterò cinque minuti e poi andrò a casa. Davvero». Dopo un po’ di insistenze e rassicurazioni Jenny, a malincuore, si unì gli altri e lasciarono Sarah nel locale: lei finse di essere lì lì per uscire, raggiungere la sua auto ed andarsene. Non sarebbe stato così. Voleva rimanere per tutta la durata del concerto, voleva sentire ancora ed attentamente quella voce ed avvicinarsi di più a lui. Voleva indagare ad ogni costo, doveva scoprire se Jareth c’entrava qualcosa, anche lontanamente, o se fosse tutto solo una coincidenza ed un’illusione. Avrebbe fermato quell’uomo al microfono, avrebbe fatto di tutto per parlargli, o almeno per studiarlo, per notare…qualcosa. Era questo il motivo per cui aveva fatto andare via Jenny. Se c’era qualsiasi cosa che riguardasse il labirinto, il suo sogno, lì, quella sera, doveva essere lei ad occuparsene.
La band alternava cover di pezzi conosciuti a loro brani inediti. Se la cavavano davvero bene. Cercò di avvicinarsi il più possibile al palco, facendosi largo tra la folla. Dopo un po’ di fatica, riuscì ad arrivare in prima fila, sotto il palco, al lato destro.
Che spettacolo! Quei ragazzi avevano una grande carica e non sbagliavano una nota; il “Jareth umano”, a vederlo finalmente da vicino, era mozzafiato: sicuro di sé, carismatico, ancora più affascinante e… maledettamente somigliante al Re di Goblin. Notò, sotto la giacca ed il giubbotto di pelle, una camicia bianca. Guanti di pelle alle mani. Aveva perfino gli occhi azzurri come lui, ma non spaiati… credeva. Il ciuffo ribelle cadeva quasi sempre davanti agli occhi. Ad ogni modo era impressionante. Strano che una band del genere suonasse in un misero pub.
Sarah si lasciò trasportare dalla musica, immaginando di assistere davvero allo spettacolo rock del Re di Goblin. Lui, il cantante, sembrava non notarla, anzi, ignorarla, nonostante la prima fila: chiudeva spesso gli occhi, come in trance, per poi “svegliarsi” ed interagire col pubblico… dell’altro lato.
 Finito un famoso successo glam rock degli anni ‘70, annunciò, con voce roca, un brano inedito, per la precisione una ballad. Imbracciò una chitarra acustica e le luci si fecero più soffuse, mentre iniziò dolcemente ad arpeggiare su alcuni accordi, accompagnandoli con una lieve e sommessa melodia sussurrata a labbra strette. In quel momento il cuore di Sarah si fermò per la seconda volta, quella sera. Era la sua canzone, la loro canzone, la canzone del ballo. L’avrebbe riconosciuta tra mille!
 
There’s such a sad love, deep in your eyes
a kind of pale jewel, open and close
within your eyes…
 
Sarah, senza neanche accorgersene, stava intonando i primi versi, ma in quello stesso istante la melodia cambiò completamente, rivelandosi un altro pezzo. Due ragazzine, che erano accanto a lei, la guardarono in modo strano. Lei si mise le mani trai capelli, per poi massaggiarsi la fronte, come per mantenere la calma e rilassarsi. Era davvero diventata matta. Forse era stanca, forse sarebbe stato meglio andare a casa e finirla con quelle stranezze, con quelle stupidaggini. Avrebbe dovuto buttarsi sul letto e dormire fino a tarda mattinata, pensò, non c’era scelta più saggia.
Ma non lo fece. Rimase lì, in silenzio, ad ascoltare, ammirare, sorridere ed applaudire ciò che, in vita sua, sarebbe stata la cosa più simile, o almeno credeva, al suo straordinario sogno d’infanzia.
 Man mano che il tempo passava e si avvicinava la fine del concerto, sentiva sempre più una malinconia di fondo, unita, però, ad una certa adrenalina, emozione: aveva deciso, sarebbe andata a conoscere il carismatico frontman. Quale altro sogno aveva da perdere, ormai?
A breve, infatti, l’esibizione terminò. L’ultimo brano fu un pezzo inedito, dal ritmo trascinante e dall’atmosfera fantastica, positivo ma con delle sfumature malinconiche, che salivano in un crescendo che scoppiava nel ritornello facilmente ballabile.
«Grazie, buonanotte a tutti», salutarono semplicemente così. Era mezzanotte. Il locale cominciò lentamente a svuotarsi, la band a mettere a posto i loro strumenti. Il bassista, il chitarrista ed il batterista se ne andarono in fretta; il cantante temporeggiava, dando le spalle a tutti, come se fosse occupato a mettere a posto chissà cosa. Sarah stava, con fare indifferente, a pochi metri da lui, in attesa che si girasse e le passasse vicino, per cercare di attaccare bottone. All’improvviso, si girò di scatto e le passò velocemente accanto. Lei farfugliò un “c-congratulazioni”, sospirando: sicuramente non l’aveva neanche sentita.
L’uomo, invece, si arrestò quasi roboticamente, per poi girare leggermente il viso verso di lei e risponderle con un dolcissimo e malizioso sorriso, accompagnato da un lieve cenno del capo. Lei ricambiò il sorriso. Lui abbassò lo sguardo e rise silenziosamente. Le fece segno di seguirlo verso l’uscita, ricominciando a camminare. Sarah lo seguì finché non furono fuori. L’uomo, nella penombra della strada, accese una sigaretta e guardò in alto, verso le stelle. «Grazie», le sussurrò, senza nemmeno guardarla. Sarebbe stato decisamente altezzoso, se non fosse per il tono di voce confacente e amabile. «Di nulla, il concerto è stato fantastico, siete stati davvero bravi. Hai una bella voce, sul serio, e la sai gestire molto bene…fantastico, davvero» si affrettò a rispondere Sarah. Lui no, rimase in silenzio, fissando ancora le stelle, con curiosità, come se non le avesse viste da molto tempo. «E’ strano, sai, cantare. E’ così umano. E la musica, così umana. Piena di emozioni. Eppure ineffabile, immateriale, inumana. Ho sempre creduto di conoscere i grandi segreti di questo universo, eppure la musica rimane un mistero per me». Fece cadere un po’ di cenere da quella sigaretta che non stava fumando sul marciapiede. Sarah, sorpresa da quel discorso, gli chiese come si chiamasse. Il biondo con la testa all’insù rise di cuore. «Come mi chiamo?» fece una pausa, divertito e contrariato. «J… John! Sì, mi chiamo John. Mi piace questo nome, mi chiamo John. E tu come vuoi chiamarti? Layla, Urania, Joan, Selene? Dimmi un po’ tu» le rispose ridendo, continuando a guardare le stelle. Era tanto strano quanto irresistibile. Scoppiò a ridere. «Selene mi ispira», rispose, stando al gioco. John sorrise ancora, scrollando la testa e chiudendo gli occhi. «Beh, benissimo. Dacché sei Selene e io John, potremmo fare una passeggiata lungo il viale. Credo sia una cosa che i John e le Selene fanno spesso, da queste parti». «Certo» rispose Sel.. Sarah, imbambolata. Il suo corpo, il suo stesso corpo le diceva di avere accanto a sé Jareth. La tensione che sentiva, le sensazioni di dejà vu, il tono della voce, l’odore, il respiro. Eppure la mente si rifiutava di accettare il tutto. Non vedeva Jareth, era…un umano. E i suoi discorsi, sebbene totalmente fuori dal comune, non erano testardi e orgogliosi, come quelli di tredici anni fa. Anche quelli erano… umani.
«Selene, a cosa pensi? Sono anni che non vedo un viso teso come quello che hai stasera», disse John, interrompendo cinque minuti buoni di silenzio tra i due, mentre percorrevano il viale alberato. «Io…nulla, mi chiedevo da dove venissi, ecco. Potresti raccontarmi un po’ di te» rispose Sarah. John buttò via la sigaretta, che aveva semplicemente tenuto tra i guanti, senza aspirarla nemmeno una volta. Poi sospirò profondamente. «Io… beh, non molto lontano da qui, in realtà. Venivo da un quartiere di Londra. Soho.  Ma ormai… è tutto così diverso… sono solo di passaggio. Non dovrei nemmeno essere qui, non dovrei nemmeno pensare a queste cose» il suo sguardo si fissò sul pavimento. «Di questa terra, più del resto, mi manca l’odore e la luce della notte. Le foglie degli alberi illuminate dalla luce dei lampioni sono un raro incanto». Fece una pausa. Scrollò la testa: «tu desideri che ti racconti un po’ di me. Sembri non essere più quella di un tempo, sai? Eppure credo ancora in te. Dovresti facilmente capire che una banale Selene non può ascoltare la mia storia» si girò completamente verso di lei, per la prima volta. Sarah vide che a fissarla erano un paio di occhi di ghiaccio, duri, spaiati. «Non è così, Sarah?» Chiese l’uomo che le stava di fronte.
«Jareth» sussurrò.
«Certo che ce ne hai messo di tempo! Dovrei sentirmi quasi offeso. E’ la prima volta che sento il mio nome uscire dalla tua bocca, sai?» incalzò maliziosamente, ma con disappunto.
Sarah, per un momento, rivide tutta l’avventura del Labirinto scorrerle davanti. Era tutto vero. I suoi ricordi, le sue sensazioni, i suoi dejà vu, i suoi sogni… erano tutti veri. Hoggle, Ludo, Sir Dydimus erano veri. Il rapimento era vero, la gora, il bosco, il ballo, le scale, il Re… era tutto vero. Ma lei, per tredici lunghi anni, si era ostinata a negare e a mettere in dubbio se stessa, i suoi stessi ricordi, la sua stessa mente. Si sentì esplodere dentro e scoppiò improvvisamente a piangere, senza sapere se fossero lacrime di dolore o di gioia. Era nel caos più totale.
Il Re, sorpreso, anzi, scioccato da quella reazione, le cinse forte la vita e la strinse a sé, offrendo il suo petto come rifugio alle lacrime e affondando il mento nei suoi capelli. La portò verso la panchina più vicina, in un angolo solitario della strada, per farla sedere, senza mai staccarsi da lei, accarezzandole la schiena nel tentativo di rassicurarla. I singhiozzi non tendevano a cessare. Ad un certo punto, staccandosi dall’abbraccio che aveva pur accettato, Sarah iniziò ad urlare e piangere «Ti odio! Perché sei qui? Conciato in questo modo? Cosa vuoi,ora? Ti odio, ti odio! Voglio cancellare tutto! Ti odio, non hai il diritto di farmi questo! Non hai alcun potere su di me!» per poi rigettarsi al suo collo in lacrime.
Jareth, immobile e severo, non ricambiò il nuovo abbraccio, scostandosi da lei. «Sarah» cominciò, in tono amorfo, «io non ho fatto nulla, se non quello che tu hai voluto, tredici anni fa. Ma questa sera sei stata tu a venire da me. A decidere di passare ore ad ascoltare tutto ciò che usciva dalle mie labbra, abbandonando senza esitazione i tuoi amici. A non staccarmi un attimo gli occhi di dosso, avvicinandoti sempre di più. A chiedere di me, a cercare una scusa per parlarmi, quando non ti avevo nemmeno degnata di uno sguardo. O credevi forse che ero davvero solo questo?» disse, passandosi una mano sul viso. Per un attimo, con quel gesto, il viso di John si trasformò in quello di Jareth. Non che avessero molto di diverso. Il Re continuava ad avere, in apparenza, una calma statuaria, ma l’irritazione cominciò a penetrare la sua voce. «E’ vero, se sono qui, ora, in questo mondo, è colpa tua! E non so se maledirti o ringraziarti. Da quando sei stata nel labirinto, hai squarciato il velo di un mondo che non riuscivo più a comprendere. Parlo dell’umanità, Sarah, con le sue emozioni, fragilità, compromessi, scelte, sentimenti. Una volta ne facevo parte anch’io, non ero molto diverso da come mi vedi questa notte. Poi, sceso nell’Underground, acquistai poteri sempre più grandi ed una magia che ancora adesso mi permette di controllare le cose più incredibili. Tutto il potere in mio possesso, però, mi fece dimenticare cosa si provasse ad essere… umani. Finché non arrivasti tu, con la tua testardaggine – e lo ammetto, il tuo coraggio! Maledizione, l’affetto per un fratello, l’amicizia, l’amore… erano cose che credevo mi avessero abbandonato. Sei stata tu ad insegnarmele di nuovo. Ed ecco perché il terribile Re di Goblin è seduto su questa panchina, questa sera, con questi stracci addosso ed una chitarra con sé». Sorrise, calmandosi e scuotendo la testa: «ogni tanto vengo qui, a suonare per gli umani, come facevo tanto tempo fa, raccogliendo le loro emozioni e cercando di donargliene altre, attraverso la mia musica, in cambio. E’ così che mi sento di nuovo vivo, umano anch’io. Ogni volta che salgo qui, nel tuo mondo, imparo ad essere più umile, perché nessuno è obbligato ad applaudirmi, quando salgo su un palco, e nessuno ha il divieto di ignorarmi. So che ci sono moltissimi umani che vorrebbero essere potenti come me, ma sono davvero ciechi: non si accorgono di quanto sia meraviglioso essere vulnerabili». Il volto era ormai affranto, ed una lacrima rigò il volto del Fae. «Ma tu mi odi, e io non voglio più partecipare a questo gioco, mi è bastato essere sconfitto una volta. Non voglio più essere il cattivo della tua storia, Sarah. Sarà meglio dirti addio». Il Re fece per alzarsi ed andarsene, quando la mano di Sarah, ormai non più singhiozzante, lo fermò ,afferrandolo per un braccio.
«J…John» disse, con un filo di voce, fissandolo con i suoi verdi, stanchi e limpidi. «John» ripetè, più forte, dolcemente. «John, ci siamo appena conosciuti e mi sembri una persona meravigliosa» accennò un sorriso. «Ora mi lasci qui, a quest’ora? Di solito i John accompagnano le Selene a casa, per non lasciarle sole per strada, di notte. E’ un’usanza di questo posto» continuò, ironica e dolce, cercando di sfoggiare il suo migliore sorriso. Poi, in tono più serio: «non ti ho mai odiato Jareth, né ora, né in passato.  E’ solo difficile, dopo tredici anni, vedere che tu esisti… che esistete davvero. E tu sei così diverso» fece una pausa. «Ho cercato, per tutto questo tempo, di convincermi del contrario. Non mi sono fidata di me stessa, quando avevo tutti i motivi per farlo. Non volevo dire quello che ho detto, non è te che odio, ma le mie insicurezze, le mie paure, tutto ciò che non hai mai visto nella Sarah che ha superato il Labirinto! Ah, vorrei essere sicura, energica, determinata, potente quanto te. Io mi sento così debole…»
Il re, fissandola negli occhi, la interruppe. «Sarah» scosse la testa, come se avesse sentito delle assurdità. «E’notte fonda e devo riaccompagnarti a casa. John ha una buona reputazione da difendere, quindi lascia che ti accompagni fino a casa prima che faccia giorno».
I due s’incamminarono per la strada deserta, in silenzio, di nuovo, senza sfiorarsi. A far loro compagnia la luna piena, gelida, luminosa, con i suoi raggi argentei.
Sarah non sapeva più che pensare, se non che Jareth non fosse più il fae subdolo di un tempo, e se non che dopo le rivelazioni di quella notte, qualsiasi sarebbe stato l’epilogo, la sua vita sarebbe cambiata di nuovo, così come successe tredici anni fa.
I due erano quasi arrivati al cortile di casa della ragazza, quando Jareth, di nuovo contrariato, esclamò: «Sarah, continui a non capire chi sei! Di nuovo. Eri solo una ragazzina quando ti ho incontrata per la prima volta, ma guardati adesso! Eppure ancora non hai capito! Sei arrivata ad accusarti di debolezza, sei arrivata ad odiarti, sei arrivata ad invidiare me, pur di non avere a che fare con te stessa».
Sarah, meravigliata, rispose «cosa…cosa non capisco?» e lui, sempre più irato: «Nulla, non capisci nulla! Nulla di nulla. Dipende tutto da te, ma non l’hai mai capito. Così straordinaria e così cieca. Vorrei che vedessi le cose chiaramente tanto quanto le vedo io» rispose, rassegnato, il fae.
Poi, un improvviso guizzo nei suoi occhi azzurri. «Sarah, prima che tu rientri a casa, vorrei che mi raccontassi una storia» disse, risoluto.
Sarah non riusciva ancora a capirlo. «Quale storia?»
«La storia del Labirinto. Raccontamela, dall’inizio, come facesti con Toby, quella notte. Fallo Sarah, ti prego» implorò. «La ricordi?»
«C’era una volta…una ragazza tanto carina che la sua matrigna lasciava sempre a casa con il bambino.» Si fermò imbarazzata, era così ridicolo ripetere quelle parole ora, ad alta voce! Jareth rise. «Continua!» le fece. Lei lo guardò storto.
«E il bambino era tanto viziato, quello voleva tutto per sé, e la ragazza era praticamente una schiava. Ma ciò che nessuno sapeva…» si fermò di colpo, deglutendo. Ora ricordava. Il re aspettava le sue parole, ora serio come non mai.
«Ciò che nessuno sapeva era che il re degli gnomi… si era innamorato della ragazza, e che le aveva dato certi… poteri…»
Jareth rimase a fissarla, speranzoso, piegando leggermente il capo. «Mia preziosa, piccola bimba coi poteri» sussurrò.
«Donna coi poteri!» rimandò Sarah, più felice che mai, gettandosi tra le braccia del re, che la baciò come aveva sognato di fare da ormai troppo, troppo tempo. Quando due… umani si baciano per la prima volta, di solito, provano qualcosa di completamente nuovo: nuove sensazioni, nuovi sapori, un retrogusto di ignoto. Ma per Jareth e Sarah non fu così: entrambi sentirono le labbra dell’altro come un ritrovarsi, come ritornare nella propria casa dopo un lungo viaggio, come mettersi sotto le coperte dopo una giornata sfiancante. Quel bacio sembrava già vissuto e poi sognato, ridesiderato per un’eternità.
Riaffiorati alla realtà, con Sarah ancora tra le braccia, Jareth fece comparire un cristallo tra le mani, giocarellandoci.
«Vuoi di nuovo offrirmi i miei sogni, re di Goblin?» chiese maliziosamente Sarah.
«No, non questa volta. Quelli saresti in grado di realizzarli da sola, donna coi poteri». Scagliò il cristallo a terra con forza, rompendolo: fu così che l’aspetto da umano svanì, facendo posto all’immagine di Jareth in tutto il suo splendore: folta chioma spettinata, mantello nero, camicia con balze, bastone, stivali… proprio come tredici anni fa! Fece uno dei suoi soliti sorrisi, per poi staccarsi da lei e dirigersi di corsa verso un vicolo cieco, dove Sarah lo raggiunse.
Jareth le tese una mano. «Ecco la mia offerta. Che ne dici?» le disse, raggiante. Sarah, questa volta, capì al volo.
«Per… sempre?»
«Non è poi tanto tempo!» sorrise, mentre la ragazza gli prese la mano.
   
 
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