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Autore: Jess2792    20/02/2016    4 recensioni
Il Bullismo esiste, lo vediamo con i nostri occhi, lo viviamo e ne sentiamo parlare, attraverso giornali e TV, ma come ti sentiresti leggendo le parole di chi questo fenomeno lo ha vissuto sulla sua pelle e nella sua mente?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Bullismo Secondo il mio Diario
di JESSICA USARDI
 
 
N.D.A.: Questo breve scritto è parte di un progetto molto più grande che, però, non verrà pubblicato su EFP. E' la bozza di un'introduzione che verrà poi modificata e risistemata. Un progetto a cui io tengo moltissimo e che punta a raggiungere i cuori di tutti quei giovani che ogni giorno subiscono vioelnze fisiche e psicologiche.
Vi ringrazio per l'attenzione e vi auguro una buona lettura.
 

 
“Non ha più senso abitare questa Terra tanto bella, forse troppo per un essere umano come me.
Non c’è spazio qui per me, solo per violenza e pattume.
Oh, povera Terra. Sei venuta anche a trovarmi in sogno, mi hai detto di resistere.
Purtroppo non ho la tua forza.
Guarda cosa ti stanno facendo: cemento, disboscamenti, pesanti mattoni e inquinamento.
Io sto bene rispetto a te, fisicamente parlando. È la mente che è abbattuta.
Non ho più la forza mentale per andare avanti.
Vorrei avere la forza di salutarti per potermi reincarnare in una nuvola bianca, così da poterti proteggere. O almeno per provarci.
Perdonami!”
 
 
Lo scrissi esattamente il 13 gennaio 2008, frequentavo la prima superiore. Tornai a casa e impugnai un coltello, controllai che fosse ben affilato e andai in bagno.
Non ce la feci. Ripensai ai miei nonni e a quelle poche persone che mi volevano realmente bene.
Ripensavo a quante cose volevo diventare, a quante cose avrei voluto fare. La mia passione per la fotografia, il disegno e la musica. La voglia di conoscere Chris Evans e l’idea di perdere la mia migliore amica, tutte le risate e i dolori che avrei vissuto con lei.
Non volevo perdere tutto a causa di quattro bambocci inutili alla società.
Gettai il coltello lontano da me e scoppiai in lacrime, sentendomi uno schifo per tutto ciò che avevo pensato. Il suicidio? Secondo molti è un peccato, per altri è un gesto egoista, per altri ancora un gesto vergognoso. Stavo di nuovo pensando a cos’avrebbe detto la gente di me.
Volevo lavarmi di dosso tutto lo schifo che mi avevano gettato. Gli insulti, le malelingue, le brutte parole e i regali indesiderati.
Desideravo stare bene, almeno una volta nella mia vita.
Mi spogliai e andai in doccia. Sentivo ancora le mani che mi spingevano e i piedi che mi prendevano a calci. Non so perché pensai al mio zaino e, ancora fradicia, corsi ad aprirlo: la mia penna portafortuna era sparita! Scoppiai di nuovo a piangere, tenevo a quella penna; un oggetto obiettivamente inutile, soprattutto se con del pelo rosa al posto della gomma, eppure mi fece male pensare che qualcuno me l’avesse rubata. Ma cosa non mi fece male in quel momento?
Ritornai nuovamente in bagno a sciacquarmi i capelli.
Guardandomi allo specchio vidi una ragazza con un seno prorompente che aveva il viso di un ragazzo, col doppio mento e i baffi.
Smisi di piangere solo quando alla radio partì “Spring Nicht” (“Non Saltare”), un brano dei Tokio Hotel, in quel periodo il mio gruppo preferito. Ascoltai a fondo le parole della canzone. Non studiavo tedesco, non lo avevo mai studiato, ma avevo tradotto da sola ogni singola parola di quel brano mesi prima, sapevo cosa diceva. Mi fece sorridere, anche se solo appena. Amo quella canzone, soprattutto la melodia che la accompagna.
 
“Da qualche parte qua fuori, hai perso te stesso.
Tu sogni la fine, per poter ricominciare daccapo!
Grido nella notte per te, non lasciarmi.
Non saltare”
 
Recita la canzone.
Trovai il CD e la misi a ripetizione per ore.
Trascorsi ore e ore nella mia cameretta, in silenzio. Volevo solo ascoltare quelle parole all’infinito. Volevo chiudere fuori tutti i problemi e sfogarmi scrivendo sul mio diario, lo stesso dal quale prendo gli appunti per questo scritto. Poi credo che lo butterò via, o ancora meglio gli darò fuoco. Non sopporterei di vederlo in casa ancora per molto, fa parte di un angolo del mio passato troppo doloroso e troppo “vigliacco” per avere la forza di tenerlo in giro. Pagine di lacrime e dolori da dimenticare a qualsiasi costo.
Perché venivo trattata in quel modo? Che avevo fatto loro di così male da meritarmi tali atteggiamenti?
Non sono credente, mai stata, nonostante sia stata battezzata e fatte Comunione e Cresima, però quel giorno iniziai a parlare da sola. Volli credere che qualcuno ci fosse lì al mio fianco, avrei voluto tanto qualcuno che non fossero i miei genitori che mi ascoltasse senza fiatare.
In quella stessa classe, con me, c’era anche F., una simpatica ragazza con un ritardo mentale di qualche annetto. L’avevo conosciuta alle medie, ove eravamo prese in giro per i motivi più disparati, e me la ritrovai alle superiori per il primo anno. Un po’ volle seguirmi, visto e considerato alle medie fui una delle poche a trattarla bene, a non prenderla in giro.
Ricordo che, alle medie, mi capitava anche di assecondarla in quelli che gli altri definivano “momenti da pazza”. Poteva trattarsi di cantare a squarciagola le canzoni dei cartoni animati di Barbie, oppure di raccogliere le margherite per tentare invano di farne dei braccialetti.
Quando accadde il “Patatrac” in prima superiore, verso maggio, mi portò un bracciale realizzato con le linguette delle lattine, interamente fatto da lei. Dovrei averlo ancora rinchiuso in qualche scatola. Probabilmente l’unica cosa bella accadutami quell’anno, un piccolo pezzetto di gioia nel momento più brutto che mantengo gelosamente nel cuore.
Non ho più avuto contatti con quella ragazza, ma ho impresso il suo volto e questo mi basta.
Oggi, ricordando quei mesi di continui dolori, penso a quanto ho perso. Però non vorrei tornare indietro nemmeno se mi pagassero, non sopporterei di rivedere quei volti.
Il mio corpo ha sopportato violenze di ogni tipo nell’arco di appena otto mesi. Non credevo possibile di poter sopportare tanto e di arrivare sull’orlo del precipizio per poi tirarmi indietro. So di non essere stata io da sola, so per certo che qualcuno mi ha tenuta, non voleva che io finissi come molti altri prima di me.
Siamo nel 2016 e ancora sento notizie di bambini e ragazzi che l’orlo del precipizio lo hanno visto e sorpassato senza pensarci, qualcuno invece ci ha riflettuto, senza però cambiare idea. E le istituzioni che fanno a tal riguardo? Nulla. Nel nostro paese non esiste una legge che rimedi a questi fatti di cronaca. Se ne continua a parlare, ma senza risultati concreti.
La faccenda è sempre la stessa: troppo grassa, troppo maschile, che musica di merda, che vestiti da balordo, sei peloso, sei andicappato, sei questo, sei quello. Mai qualcuno che si guardi al proprio specchio e che trovi dei miseri difetti, sembra che loro siano perfetti. I Bulli credono di essere forti e potenti, credono di poter sottomettere qualcuno più “debole” facendola franca. Beh, in parte hanno ragione: potranno sottomettere gli altri, ma in futuro gli si ritorcerà tutto contro. Potrebbe accadere presto o tardi, chi lo sa, ma accadrà.
Per molto tempo, troppo tempo, ho sofferto le pene dell’inferno in silenzio, senza mai rivelare a nessuno quanto fossi triste e depressa. Mossa sbagliata e l’ho capito solo ora, dopo quasi dodici anni.
Con questo piccolo scritto non voglio impressionare. Non cerco niente. Con questo breve scritto voglio raggiungere tutti quei ragazzi e quelle ragazze che come me hanno subito e/o subiscono ciò che ho subito io. Voglio che il Bullismo venga preso più in considerazione, voglio che ne parli, voglio che qualche buon’anima si renda conto che ogni anno muoiono troppi giovani a causa dei bulletti, gli stessi che poi sono capaci, davanti ai telegiornali e ai giornalisti, di dire che erano amici della Vittima, gli stessi che probabilmente si presentano anche ai funerali.
Voglio che, una volta per tutti, ogni bambini, ragazzo, uomo e donna dica BASTA a tutto questo.
   
 
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