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Autore: Papillon_    21/02/2016    2 recensioni
“Non puoi mai sapere cosa si portano dentro le persone, Kurt.”, borbottò Will, la voce bassa. “Solo perché dall'involucro sembrano stare bene, non vuol dire che dentro non stiano continuamente combattendo battaglie.”
*
Dopo un grave incidente, Blaine ha preso l'uso della parola. Dopo la morte di sua madre, a Kurt non importa più niente di nessuno e ha deciso categoricamente di smettere di provare. Sembrano persone agli angoli opposti; non si direbbe mai che hanno il compito di salvarsi a vicenda.
Ma l'amore è fatto di strade tortuose e non sempre la meta è facile da raggiungere. Ma neanche impossibile.
[Badboy!Kurt (una specie) & Mute!Blaine]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Per l’idea di questa storia non smetterò mai di ringraziare little sis – quindi grazie, little sis! Se dovete prendervela con qualcuno sapete che la colpa non è interamente mia. La OS è molto, molto lunga - 25000 mila parole circa per quaranta pagine di word, ma non me la sentivo di dividerla. Cercate di perdonarmi :,)
La canzone che dà il nome alla storia e che la accompagna per buona parte la trovate qui. Ho deciso di inserirvi questa versione perché la preferisco ed è più lenta (e adatta al contesto). Se non vi piace, ci sono mille versioni che potete trovare in giro, compresa quella di glee :3
Le tematiche sono molto forti, tuttavia ho mantenuto il raiting arancione. Se qualcosa dovesse darvi fastidio fatemelo sapere e provvederò a cambiare raiting. Le informazioni che ho appreso sul mutismo selettivo sono da prendere con le pinze, le ho trovate tuttalpiù su articoli su internet e per questo non credo si possa dare loro l’affidabilità al cento per cento. È una condizione che colpisce molti bambini, ma si può ritrovare anche negli adulti se associata a un trauma molto forte.
Credo di aver detto abbastanza e non voglio ammorbarvi più. Buona lettura!



 
When I am with you there’s no place I’d rather be

 
Le pareti di quell’ufficio erano di un colore carta da zucchero assolutamente irritante; francamente a Kurt veniva da sorridere vedendolo perché andiamo, sembrava che la gente ti stesse prendendo in giro, addirittura. Di certo non finivi lì perché eri una brava persona. Di certo, se ci finivi, eri un pezzo di merda. E l’ultima volta che Kurt aveva controllato sì, si era reso conto di essere una persona di merda, in effetti. Sperò per lo meno che finissero in fretta (incredibile quel momento in cui smetti di curarti delle cose, delle persone. Smetti di credere. Smetti di pensarci. E da un lato, non è neanche così brutta come sensazione).
La signorina Parker, l’assistente sociale che si occupava di lui e del suo caso, gli si sedette di fronte senza alcun accenno di sorriso. La scrivania era in legno scuro, elegante, e per quanto gliene importava, Kurt avrebbe tanto voluto afferrare un coltellino e disegnarci sopra qualcosa di imbarazzante. Magari dopo un sorriso glielo avrebbe pure fatto.
“Kurt Hummel.”, lo richiamò lei senza emozione, non distogliendo lo sguardo dal foglio che stava leggendo con cura. “Come le avevo detto la scorsa volta, c’è davvero poco che posso fare adesso. Ha superato il limite.”
Kurt ridacchiò – un vago e debole sentore di sangue gli invase la bocca. Si era dimenticato di avere il labbro inferiore spezzato – non che gli facesse male. Non gli importava. Aveva smesso di curarsi del dolore.
“Mi mandate in prigione?”
La signora Parker alzò la testa verso di lui, sollevando un sopracciglio. “No, Kurt – non hai ucciso nessuno. O ferito. Ma questa volta non ti lascio andare senza una bella strigliata d’orecchie.”
Kurt a quel punto sbuffò sonoramente, alzando gli occhi al cielo. “Possiamo darci una mossa? Avrei una certa fame, sa – c’è quel fantastico negozio che fa una pizza sublime all’angolo, ed è praticamente ora di – uh, pranzo? Quindi mi lascia andare?”
La signora Parker si sistemò gli occhiali sottili e neri sulla radice del naso, non sembrando affatto divertita. “Se fosse per me, ti avrei spedito con il tuo caro amico Puckerman a ripulire le strade dall’immondizia. Ma a quanto pare di ragazzi ne basta uno, quindi ti devo trovare qualcos’altro da fare.”
Kurt sbuffò una risata. “Sul serio – lavori socialmente utili? Tanto – tanto lo sapete che farò il bravo per una settimana e poi – beh, suppongo che sto solo perdendo tempo.”
La dottoressa Parker girò un paio di pagine della sua enorme, consumata rubrica. Scorse con la matita fino a frase a metà pagina scarabocchiata, e un angolo della sua bocca si alzò verso l’alto. “So cosa farmene di te.”, borbottò, afferrando la cornetta del telefono fisso che aveva lì vicino. “Kurt Hummel, cosa ho fatto di male per averti qui.”
Kurt si sforzò di non sputarle su quei suoi preziosi fogli. Non sarebbe cambiato nulla comunque. Non cambiava niente in ogni caso.
Sua madre non sarebbe tornata, non lo avrebbe preso per mano e non lo avrebbe sgridato; sua madre sarebbe rimasta fredda, senza vita su quel letto d’ospedale, lasciando lui e suo padre da soli a cavarsela con una cucina che non sapevano nemmeno usare. Non avrebbe mai asciugato le sue lacrime.
Bruciare qualche ponte e fare dispetti a qualche vecchietto non gli avrebbe mai, mai restituito sua madre, lo sapeva, non era stupido. Ma neanche fare il bravo avrebbe cambiato qualcosa, no?
 
*
 
Kurt si sistemò sulle spalle lo zaino grigio e consunto praticamente vuoto e si passò una mano tra i capelli – le ciocche pesavano tra le sue dita, mentre cercava di farle stare sulla testa invece che sulla fronte. Osservò l’istituto che aveva di fronte con un sopracciglio alzato e una voglia lacerante di ridere e poi scappare a gambe levate (o magari, fare tutte e due le cose insieme). Si disse in ogni caso che non aveva scelta (Non cambia niente, non cambia niente) e si incamminò verso l’entrata.
Dentro, quel posto non era poi così diverso da un piccolo, affollato e claustrofobico ospedale privato. C’erano persone ovunque, di tutte le età; infermiere che cercavano di stare dietro a tutti quanti senza lasciarsi andare ad un imminente crisi di nervi, eppure – in un certo senso, c’era una sensazione di pace che regnava in qualche modo. Una pace che metteva inquietudine.
A un certo punto Kurt vide un uomo venire nella sua direzione – sembrava pulito e scrupoloso, sulla trentina, dal sorriso facile. Presto lo vide allungare la mano verso di lui, e si sentì costretto a stringergliela.
“Devi essere Kurt Hummel.”, borbottò lui, accennando un sorriso nella sua direzione. Kurt annuì senza entusiasmo. “Io sono Will Schuester, il direttore di quest’istituto. Non hai idea di quanto mi faccia piacere averti qui.”
Kurt, dal canto suo, cominciava a credere che fosse stato meglio andare con Puck a raccogliere la spazzatura dalle strade. Si guardò attorno con attenzione, sentendo la pelle pizzicare come se si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato.
“Mi dispiace, sei – sei capitato nel giorno di visite. C’è un sacco di gente.”, spiegò Will, grattandosi il lato della testa. “Tutta questa gente oltre ad affollare i corridoi affolla la mente.”
Kurt lo guardò di sbieco, coprendosi lo stomaco con le braccia. “Cosa, uhm – cosa devo fare?”
“Oh, giusto.”, borbottò Will, muovendosi a disagio per indicargli un corridoio, facendogli capire che voleva essere seguito. “Da quello che mi spiegava la dottoressa Parker rimarrai qui per un mese, è esatto?”, chiese Will, e Kurt annuì. “In poche parole, Kurt – qui accogliamo persone che hanno bisogno di aiuto. Ma le patologie non sono – non sono eccessivamente gravi. Sono persone che soffrono, ma che con le adeguate cure potrebbero stare meglio.”
Kurt aggrottò la fronte. Dopo qualche passo, incrociò gli occhi chiarissimi di una bambina che non doveva avere più di otto anni. Will gli sfiorò la spalla e Kurt sussultò.
“Lei è Lily.”, gli disse, Kurt la vide distogliere lo sguardo e catturare le mani di quella che aveva tutta l’aria di essere sua madre, ma il movimento gli aveva suggerito qualcosa di sbagliato. Troppo brusco, tanto per cominciare, come se non riuscisse a calcolare bene le distanze.
“E’ rimasta cieca da un occhio dopo un incidente. Ma può guarire.”, gli disse immediatamente Will, facendogli un sorriso confortante. “Questo è ciò che facciamo qui. Accogliamo persone che sono sulla via di una guarigione. Gli aiutiamo a capire che – le cose possono cambiare, e che non sono costretti a rimanere così per sempre.”
Per Kurt, tutto quello non aveva senso. “Chiunque vorrebbe guarire, credo.”
Will scrollò le spalle. “A volte non è così semplice, ragazzo.”, disse piano, prendendo un bel respiro. Kurt abbassò lo sguardo bruscamente – in tutta sincerità non riusciva a capire cosa ci stesse facendo lì; improvvisamente voleva solo andarsene e mettere quanta più distanza potesse da quel luogo, eppure –
“So che non ti aspettavi nulla di tutto questo.”, borbottò Will, ancorando le dita alla sua spalla destra. “Ma Kurt – i volontari che si prendono cura di loro sono sempre meno. A livello psicologico, non ti chiederò di fare nulla – ci sono i dottori per quello. Solo – ogni tanto sarebbe bello che avessero compagna. Qualcuno che legga le storie ai bambini, che accompagni chi è sulla sedia a rotelle a fare una passeggiata. Qualcuno che ascolti. Credi di poterlo fare?”
Kurt voleva dire di no. Voleva mettersi le dita nelle orecchie e gridare, perché nonostante avesse sofferto nella sua vita, credeva che il mondo in cui era appena capitato fosse mille volte peggio. Quella stronza della Parker probabilmente voleva far leva sul suo cuore e – forse ci stava riuscendo, non lo sapeva.
Quando alzò gli occhi, però, qualcosa catturò la sua attenzione. Qualcuno, per la precisione. C’era una piccola stanza infondo al corridoio, completamente bianca; da dove si trovava Kurt riusciva a vederne solo un pezzettino. Dentro, seduto a gambe incrociate su un tappeto colorato fatto di lettere, c’era un ragazzo che gli dava le spalle.
Non doveva essere tanto più grande di lui – forse diciassette, diciotto anni. Era uno scricciolo, tuttavia. Minuscolo in confronto ai ragazzi che conosceva, con un casco di ricci disordinati sparsi un po’ ovunque sulla sua testa. Senza nemmeno rendersene conto e involontariamente, Kurt si ritrovò a fare un passo verso quella stanza.
“Quel ragazzo –”, soffiò, sperando di apparire disinteressato. “Chi è?”
Will seguì il suo sguardo e un leggero sbuffo di fiato abbandonò le sue labbra. “Quello è Blaine Anderson.”
Kurt aggrottò la fronte; Will aveva detto che quello era un giorno di visite, ma quel ragazzo era completamente solo. “Non è venuto a trovarlo nessuno?”
Will abbassò lo sguardo. “Non gli è rimasto nessuno. Ha perso – ha perso tutta la sua famiglia in un incidente l’anno scorso, in estate.”
Kurt si sentì improvvisamente senza fiato, come se qualcuno glielo avesse portato via con la forza, e poi pensò E’ così maledettamente piccolo, sembra così maledettamente fragile –
Non si curò di Will. Cominciò a camminare verso la stanza, entrandoci senza dire nulla. C’era una finestrella sulla destra di quel ragazzo – Blaine, di cui non si curava minimamente. Stava fissando un punto impreciso della parete di fronte a lui, e attorno, non c’era nessuno. Nessuno con cui parlare. Solo un’infinità di lettere sotto di sé, di gomma, incastrate nel tappeto.
“Ciao.”, esordì. Si sentì immensamente stupido, quando quel ragazzo nemmeno si voltò nella sua direzione. “Uhm – mi chiamo – mi chiamo Kurt, già. È sempre meglio presentarsi prima.”, disse ad alta voce, sentendo le proprie guance diventare rosse – sul serio, perché non riusciva a dire qualcosa che potesse essere considerato vagamente intelligente? Camminò lentamente verso di lui, finalmente riuscendo a vedere il volto nella sua interezza.
Sentì il cuore precipitargli nello stomaco – non gli era mai successo con nessun ragazzo, prima. Con nessuno. La pelle olivastra, il naso netto in contrasto alle guance morbide e tonde che sfumavano in una mascella squadrata e assolutamente – mascolina, il tutto che formava l’emblema di una bellezza che Kurt era pronto a definire come rara. I suoi occhi, poi. Kurt non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Di fronte alla luce della finestra sembravano di un’insolita ambra dorata. Un colore che gli ricordava quello delle foglie sugli alberi in autunno, appena prima che stiano per cadere.
Al di là di tutto, Blaine non gli aveva ancora detto niente, così Kurt pensò di schiarirsi la voce. “Uh – stai facendo qualcosa di importante, vuoi che – che ti lasci solo?”
Solo in quel momento Blaine spostò lo sguardo dalla parete al volto di Kurt, senza cambiare minimamente espressione. Di nuovo, non gli disse niente.
Kurt fece per aprire le labbra, un piccolo rantolo che ne fuoriusciva. “Ma almeno mi senti…?”, soffiò nella sua direzione, desiderando di diventare infinitamente piccolo quando Blaine fece di sì con la testa, debolmente. Okay, lo stava solo prendendo in giro, fantastico.
“Okay, uh – scusami. So già che ti chiami Blaine, uhm – speravo però di sapere qualcosa di più.”, mormorò sorridendogli con calore. Usare la carta del fascino non era proprio la mossa che avrebbe preferito in quel momento, ma – aveva bisogno che quel ragazzo parlasse. Che dicesse qualsiasi cosa.
Aspettò per qualche istante, ma di nuovo Blaine non disse nulla. Si ritrovò ad alzare un sopracciglio. “Non è carino se mi stai facendo uno scherzo. Tecnicamente non ci conosciamo nemmeno.”, borbottò e no, non voleva si leggesse tutta quella stizza nella sua voce, ma gli sembrava quasi di parlare da solo, e non era piacevole –
“Kurt, se aspetti una sua parola puoi aspettare anche all’infinito.”, intervenne Will, comparendo dalla porta. “Blaine non parla.”
Blaine non parla.
“Come, non parla?”
Gli occhi di William sapevano di battaglie perse. “Soffre di mutismo selettivo. Significa che –”
“So cosa significa.”, lo interruppe Kurt, sentendosi infinitamente arrabbiato, ed infinitamente impotente. Significava che Blaine era rimasto traumatizzato da qualcosa di talmente grave che gli impediva di parlare. Mosse le mani e le strinse a pugno lungo i fianchi, immergendo gli occhi in quelli di Blaine – come poteva una persona con quegli occhi non poter dire nulla? Essere rinchiuso dentro un involucro di vetro?
“Ascolta –”
“Può lasciarmi una manciata di secondi?”, sbottò Kurt, osservando Will andandosene con la coda tra le gambe. Quando finalmente fu di nuovo solo con Blaine, prese la decisione di abbassarsi verso di lui, per avere il suo volto esattamente di fronte. Rimase in silenzio ad osservarlo per un po’, il cuore che palpitava come impazzito, al cospetto di un ragazzo che nemmeno conosceva.
Si chiese come fosse osservare il mondo senza poter dire nulla. Si chiese che cosa si portasse dentro quel ragazzo, e allo stesso tempo sentì così tanta rabbia perché lui solitamente non sentiva niente e non voleva provare niente. Eppure c’era qualcosa – c’era qualcosa in quel ragazzo, qualcosa che lo stava costringendo a rimanere nonostante la maggior parte delle persone avrebbero preferito lasciare quella stanza.
Non riusciva a capire il perché, e in un certo senso non voleva neanche scoprirlo.
Inclinò il volto di lato, continuando ad osservare Blaine.
“Dev’esserci un interno mondo dentro di te, non è vero?”, chiese, senza ricevere risposta. Blaine sosteneva il suo sguardo. “Non riesco nemmeno a immaginare come dev’essere – è come una scatola che vuole esplodere. E fa male. E io –”, borbottò, distogliendo lo sguardo. “Sto straparlando. Mi dispiace.”
La punta delle labbra di Blaine si sollevò leggermente verso l’alto, Kurt che sentì il proprio cuore scivolargli nello stomaco per una manciata di secondi. “Ma allora riesco a farti ridere.”, borbottò, sentendosi infinitamente ridicolo. Blaine si strinse nelle braccia, cercando di mascherare con tutto sé stesso che si stava divertendo.
Kurt si guardò attorno – e forse per la prima volta da quando era entrato si rese conto che tutte quelle lettere sotto di loro potevano servire a qualcosa. “Dimmi qualcosa.”, sussurrò, sfiorando con le dita le lettere di gomma che c’erano sul tappeto sotto di loro. “Tutte queste lettere – dovranno pur servire a qualcosa. Usale. Dimmi qualcosa.”, lo pregò. Non riusciva a capire nemmeno perché fosse così importante che quel ragazzo gli parlasse. “Qualsiasi cosa.”
Kurt vide Blaine prendere un bel respiro, e fu sul punto di credere che aveva già perso la battaglia in partenza, e poi – Blaine allungò la dita per sfiorare velocemente alcune lettere una dopo l’altra, e Kurt capì. Cercò gli occhi di Blaine, scrollando una singola spalla.
“Ho combinato un po’ di guai.”, disse ad alta voce, rispondendo alla domanda Cosa ci fai qui?
Blaine lo scrutò per un attimo, sembrando assolutamente serio. Sfiorò un’altra manciata di lettere, mentre Kurt cercava di stargli al passo. “Un mese.”, disse piano, come risposta alla domanda, Sai già quanto rimarrai?
Blaine accennò un sorriso, coprendosi lo stomaco con le dita mentre giocherellava con un pezzo della sua felpa, e Kurt – Kurt lo trovò così indifeso, e immensamente vulnerabile, così tanto che voleva solo fare un passo avanti e afferrare il suo corpo per abbracciarlo. Sapeva che era un pensiero assurdamente irrazionale, ma buona parte di lui non riusciva nemmeno a farci caso.
Dopo qualche secondo di silenzio, Blaine si mosse per comporre una nuova frase. Come ti chiami?
Kurt non avrebbe mai dimenticato che proprio in quel momento, un raggio di sole penetrò dalla finestra colpendo le lettere che Blaine aveva appena toccato. “Kurt.”, disse forse fin troppo sbrigativamente, seguendo con gli occhi quel raggio di sole. Blaine annuì, lentamente, ruotando il capo per guardare la finestra a qualche metro da loro.
E Kurt pensò, Non posso lasciarlo solo.
“Posso tornare domani?”, mormorò pianissimo, sentendo il cuore scivolargli nella gola. Blaine non si voltò nemmeno, e Kurt pensò che non avesse sentito la domanda, o che forse nemmeno aveva voluto sentirla, e fece per alzarsi, ma immediatamente dopo le dita di Blaine colpirono due singole lettere, e Kurt si bloccò.
Sì.
Kurt sorrise, mentre si mordicchiava un pezzetto del labbro inferiore.
“A domani, Blaine.”
Blaine non si voltò nemmeno una volta quando Kurt lasciò la stanza, in mezzo a una bolla che il sole aveva creato con i suoi raggi.
Kurt aveva un enorme groviglio di pensieri nella mente, e l’unica cosa a cui riusciva a pensare chiaramente era che non capiva, non voleva capire cos’era appena successo, ma sapeva solo che voleva tornare lì il giorno dopo. E quello dopo ancora. Il resto non importava.
 
*
 
Il giorno dopo era lunedì, e Kurt ricominciò la scuola. Non appena fu finita si precipitò all’istituto come si era ripromesso, senza dare nessuna spiegazione a Puck – che fortunatamente aveva i suoi lavori socialmente utili a cui pensare. Will lo accolse con un enorme sorriso, dicendogli che era estremamente felice che fosse tornato, e Kurt si limitò a stringere le spalle.
“Allora, visto che tecnicamente è il tuo primo giorno, è giusto che tu cerchi di ambientarti. Così puoi capire di chi vuoi occuparti.”
“Di Blaine.”, disse Kurt senza pensarci un secondo, puntando con gli occhi insistentemente il corridoio che portava alla piccola stanza dove il giorno prima aveva trovato Blaine. Will sembrava piuttosto stupito.
“Uh – apprezzo il tuo entusiasmo, Kurt. Ma Blaine – Blaine è un caso…particolare.”, mormorò Will. Non sembrava cattivo, semplicemente sconfitto, e infinitamente stanco. “Nonostante tutte le cure dei nostri dottori, nonostante abbiano insistito per mesi e mesi – c’è ancora qualcosa che impedisce a Blaine di parlare. Ha bisogno di molte, molte attenzioni.”
Kurt a quel punto si coprì lo stomaco con le braccia. “E pensa che io –”, borbottò, “Pensa che io non sia in grado di –”, di fare cosa, prendersi cura di uno sconosciuto?
Will a quel punto aggrottò la fronte. “Kurt, io –”, disse piano. “Lo so che sei giovane, che vuoi divertirti, ma credo che tu abbia frainteso –”, Will si bloccò di colpo, cercando di trovare le parole giuste. “So che Blaine è un bel ragazzo –”
“Crede che voglia scoparmelo?”, sbottò a quel punto Kurt, senza tanti giri di parole. Si rese conto solo in quel momento di quanto tutto quello sembrasse – semplicemente assurdo. Fino al giorno prima i ragazzi gli erano interessati solo per quello. Blaine era la prima persona che riusciva a vedere al di là del sesso – Blaine non era qualcuno da usare. Lo sapeva, non era stupido. Blaine era diverso. Aveva quei due occhioni color dorato così puri e semplici da far male ed era – immensamente fragile. Quindi no, non lo voleva in quel modo. Non avrebbe mai potuto. Come poteva anche solo pensarlo
“Okay, forse ho esagerato. Mi dispiace.”, borbottò Will, massaggiandosi le tempie con delicatezza. “Solo – immaginati un albero in pieno inverno, Kurt. Immaginatelo con tutte queste foglie che stanno per spezzarsi. Qui dentro, Blaine è la più piccola. La foglia in cima all’albero, quella che sente di più il vento, quella che oscilla di più. Ecco chi è Blaine.”
Kurt sentì il sangue scorrergli più veloce, e un impulso improvviso di prendere a calci qualcosa. “Voglio aiutarlo.”, mormorò semplicemente. “Voglio stargli vicino – essergli amico?”, gli uscì come una domanda, anche perché dall’ultima volta che aveva controllato, di amici non ne aveva, fatta eccezione per Puck, ma lui era un’altra storia. “Avrà bisogno di un amico. Vero?”
Will si sistemò gli occhiali sulla radice del naso. “Credo di sì.”, soffiò con un sorriso confortante. “Non gli farebbe male una persona che gli sta vicino, certo che no.”, gli disse per conferma. “Forza, vieni.”
Attraversarono lo stesso corridoio del giorno prima, solo che questa volta era vuoto. Di lunedì tutto tornava tranquillo e alla normalità. Quando arrivarono in fondo, si affacciarono entrambi sulla porta – Blaine era esattamente nello stesso punto del giorno prima, con dei vestiti diversi, mentre giocherellava con le lettere di gomma.
Qualcosa nello stomaco di Kurt si spezzò – e fece infinitamente male.
“Eppure –”, soffiò piano. “Da fuori sembra così – pacifico.”, disse senza pensare. “Sembra che stia bene.”, mormorò, pensando ai suoi occhi fatti di un oceano di foglie autunnali e quei suoi riccioli che cascavano sulla sua fronte così dolcemente. È bello. È speciale. È una persona.
“Non puoi mai sapere cosa si portano dentro le persone, Kurt.”, borbottò Will, la voce bassa. “Solo perché dall’involucro sembrano stare bene, non vuol dire che dentro non stiano continuamente combattendo battaglie.”
 
“Ciao.”, esordì Kurt, con il tono più dolce che riuscì a trovare. Era certo che Blaine lo avesse sentito, nonostante questo continuò comunque a guardare fuori dalla finestra. Kurt iniziò a sospettare che fosse un modo che aveva per – proteggersi. Finchè gli occhi di una persona non li cercavi, potevi sempre fare finta che non ti importasse. “Sono tornato.”, sussurrò, sedendosi esattamente di fronte a lui, a gambe incrociate. “Come promesso.”
Solo a quel punto gli occhi di Blaine scivolarono appena nei suoi, e Kurt ebbe quasi la sensazione come se stesse evitando di scottarsi, ma lo accettò comunque. Aspettò, cercando di non fare troppo caso alla punta di ansia che stava crescendo alla bocca del suo stomaco – sperava con tutto il cuore che Blaine non stesse pensando che non lo voleva lì, che avrebbe solo voluto stare solo, quando vide le dita di Blaine cercare le lettere di gomma per sfiorarle.
Il ragazzo che combina guai, gli disse, e Kurt scoppiò a ridere, lasciando andare via la tensione.
“Sarà l’unica cosa che ti ricorderai di me?”, borbottò scherzosamente. In tutta risposta Blaine alzò una singola spalla, come a dire, Chi lo sa. E Kurt smise di avere dubbi, Blaine lo voleva lì esattamente come lui voleva esserci.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, finchè Kurt non cercò di capire cosa Blaine stesse guardando. “Ti piace guardare il cielo, eh?”
Blaine annuì con semplicità, prima di sfiorare le lettere con l’indice e dirgli, Soprattutto quando è così.
C’erano infiniti raggi di sole rosa quel pomeriggio, che coprivano i tetti delle case come tappeti decorati. Anche Kurt amava ciò che riusciva a vedere da quella finestra, così fece esattamente quello che faceva Blaine. Rimase in silenzio a guardare le luci modificare i colori delle strade e dei tetti delle case, finchè la sua attenzione non fu catturata da qualcosa.
“Cosa c’è dentro quella scatola?”, chiese, indicando una scatola di cartone che era appena dietro Blaine. Lui la guardò per qualche istante, sembrando combattuto se rispondergli o no, ma alla fine la raccolse, portandosela in grembo. Kurt gli sorrise.
“Posso vedere?”, gli chiese in un soffio, e Blaine alla fine cedette, porgendogliela. “Credevo mi dicessi di no, magari qui dentro c’erano i tuoi più oscuri e inconfessabili segreti.”
Blaine a quel punto si concesse un minuscolo, bellissimo sorriso, e Kurt rischiò di farsi cadere il coperchio dalle dita nel vederlo, ma immediatamente dopo si concentrò e guardò dentro la scatola. Sorrise.
“Ti piace colorare con le cere?”, chiese, notando tutti piccoli pezzetti di cere colorate implicate con ordine a fianco ad alcuni fogli bianchi. Blaine annuì, e a Kurt venne in mente un’idea.
“Perché non mi fai un disegno?”, chiese dolcemente, raccogliendo tutto il materiale per metterlo sopra il tappeto. “Quello – quello che vuoi. O magari il cielo, che ti piace tanto.”, gli propose. Gli occhi di Blaine erano assurdamente grandi, curiosi e attenti. “Posso aiutarti, se lo vuoi.”
Blaine non fece nulla per diverso tempo; si limitava a scrutare i suoi preziosi colori a cera e i fogli bianchi, quando finalmente catturò lo sguardo di Kurt. Sfiorò le lettere di gomma.
Il tramonto è il momento della giornata che preferisco, gli disse. E Kurt lo prese come un sì.
Si piegò verso di lui e lo osservò mentre colorava, aiutandolo quando aveva bisogno nel passargli qualche colore a cera o tenendogli fermo il foglio. Dopo circa trentacinque minuti il disegno era pronto, e quando Blaine glielo porse Kurt si sentì un bambino delle elementari che riceve qualcosa di importante per la prima volta in tutta la sua vita.
“E’ stupendo.”, mormorò. E non era una bugia. Forse era semplice, ma non banale. I colori erano potenti e richiamavano il tramonto, e dal tratto si poteva capire quanto Blaine avesse da dire. “Lo custodirò con cura, io – te lo prometto.”
Le guance di Blaine si imporporarono appena, e – se Kurt si fosse comportato come di solito si comportava, lo avrebbe baciato. Fregandosene di tutto, fregandosene del resto. Non sapeva cosa sarebbe successo il giorno dopo; un momento prima ci sei, quello dopo può succederti qualcosa, e aveva bisogno di sentire la vita sulla pelle, lui. Ma non lo fece. Non lo fece perché Blaine – era Blaine, perché la sua pelle sembrava di vetro, perché era la foglia più fragile dell’albero, e perché lui di solito le persone le feriva, non era tanto bravo a prendersene cura.
“Hai voglia di fare qualcos’altro?”
Blaine tracciò la frase, Sono stanco, è meglio che vada a riposare. E Kurt annuì, naturalmente.
“Vuoi che torni domani?”
Blaine cercò i suoi occhi, poi le lettere di gomma. Sì, per favore.
Kurt strinse il disegno tra le dita, facendo capire a Blaine che se ne sarebbe preso cura. Si alzò, quando vide che anche Blaine si alzava con lui, impacciato e meraviglioso. Era tanto, tanto più piccolo di lui, e un pochino più basso. Avrebbe tanto voluto portargli dei dolci fatti bene per fargli mettere un po’ di carne sulle ossa di quelle braccia.
Blaine gli indicò il retro del foglio. In un primo momento Kurt non capì, ma poi se lo rigirò tra le mani, e si rese conto che in un angolino, con una scrittura piccola piccola, Blaine aveva scritto una frase.
I tramonti sono stati fatti perché vanno osservati insieme a qualcuno. Da soli, è come se se ne vedesse solo metà.
Kurt cercò gli occhi di Blaine. “Vorrà dire che da oggi in poi verrò tutti i giorni all’ora del tramonto. Va bene?”
Blaine mosse la testa in un fatidico sì.
Lasciarlo, quella sera, fece un po’ più male della sera prima, ma meno male della sere dopo, e quella dopo ancora, in un susseguirsi di tramonti e di disegni.
E velocemente, la vita di Kurt Hummel si stava trasformando in qualcosa che nemmeno riusciva a riconoscere.
 
*
 
I giorni passavano assomigliando infinitamente tanto a foglie autunnali che svolazzavano sulle strade, e ogni giorno finita la scuola Kurt continuava ad andare a trovare Blaine. Doveva ammettere che la prima settimana era stata la più difficile – Blaine aveva evitato il suo sguardo continuamente, preferendo scorrere le dita sui suoi amati fogli o colori, ma con il passare dei minuti, delle ore intere passate insieme, entrambi si lasciavano andare sempre un pochino di più.
C’era stato un giorno in cui Kurt aveva portato a Blaine un dolce che aveva preparato con le sue mani a casa, sotto lo sguardo sbalordito di suo padre. Ci aveva messo dentro troppa marmellata e la crosta era venuta forse troppo secca, ma non aveva mai visto nessuno mangiare di gusto come Blaine aveva mangiato in quel momento. Senza complimenti, raccogliendo le briciole e sorridendogli con il cuore alla fine.
C’era stato un giorno in cui purtroppo il tramonto non si era visto, perché fuori pioveva, e allora – Kurt non era riuscito davvero a vedere quel broncio sulle labbra di Blaine, così era tornato a casa per recuperare il suo portatile e lo aveva messo sulle loro ginocchia, ricercando tra le immagini quelle di tramonti in tutti i luoghi del mondo.
Quando aveva visto gli occhi di Blaine diventare più luminosi si era detto che probabilmente in quel tipo di vita i computer non erano ammessi. Lo aveva capito dal modo tacito con cui Blaine gli aveva chiesto di scorrere le immagini, di cercare sempre nuovi posti. E anche se quel giorno Kurt si era dimenticato l’ombrello e tornando a casa si era bagnato tutto, aveva pensato che ne era comunque valsa la pena.
Sempre.
Per Blaine, sempre.
E poi c’era stato un giorno in cui Kurt lo aveva trovato addormentato nella stanza, ed era rimasto a guardarlo senza dire nulla. Gli aveva solo fatto una foto di nascosto, e poi si era avvicinato per sfiorargli un ricciolo con le dita.
Al suo risveglio, Blaine si era stropicciato gli occhietti e aveva tracciato la frase, Mi dispiace di portare via così tanto del tuo tempo, e Kurt gli aveva detto di no. “Non è tempo sprecato, Blaine.”
Quando poi Kurt si era alzato per andarsene, Blaine si era aggrappato al suo polso con tutta la sua forza, e aveva allungato l’altra mano per porgergli una cosa.
Era una lettera di gomma, la lettera K.
Will il giorno dopo gli aveva detto che per Blaine dare una delle sue preziose lettere era come per qualsiasi altra persona condividere un ricordo. O dare un abbraccio. Quel piccolo passo che c’è appena prima del qualcosa.
E Kurt aveva pensato che aveva solo tanta, tanta voglia di piangere.
 
*
 
Un giorno, all’arrivo di Kurt, Blaine non era nella solita stanza col tappetto fatto di lettere; William gli disse con un certo dispiacere che aveva preferito rimanere nella sua stanza – nei suoi occhi c’era una vaga preoccupazione e Kurt la notò immediatamente.
“A volte ci sono le giornate no.”, si limitò a dargli come spiegazione, e Kurt capì. Perché Will aveva ragione – c’erano giorni in cui il sorriso di Blaine era debole ma splendeva come mille soli, e giorni invece dove faticava a comunicare con lui. Ma aveva imparato a superare tutto. Aveva imparato a capirlo, a prendergli la mano se necessario, e anche quel giorno avrebbe fatto di tutto per rendere le cose migliori.
Lo trovò rannicchiato sul letto con una coperta di plaid bianca addosso, mentre guardava un punto impreciso sotto di sé.
“Ciao, Blaine.”, esordì Kurt con calore. Sapeva che in quei momenti era meglio sembrare sicuri di sé ed allegri; c’era una vaga speranza che Blaine vedesse i suoi sorrisi e li imitasse. Il ricciolo si limitò ad alzare lo sguardo verso di lui, abbozzando un debole sorriso, e Kurt sentì il proprio cuore nella gola.
“Sei stanco?”, mormorò, avvicinandosi a lui cautamente, vedendo che si faceva sempre più piccolo contro la testata del letto. Blaine scrollò le spalle, in un chiaro segno che non intendeva parlarne, e Kurt si morse delicatamente il labbro inferiore. “Vuoi dirmi che non hai voglia di fare niente?”, chiese dolcemente. “Coloriamo un po’, lo so che ti va. Oppure – mi dai cinque minuti e ti porto qualcosa da mangiare. Forza.”
Blaine gli lanciò un’occhiataccia e fu categorico, gli disse di no con la testa e si strinse nelle braccia, sembrando infinitamente più grande di quanto fosse in realtà.
“Non mi stai aiutando.”, borbottò Kurt, apparendo appena più brusco. Sapeva che anche quello a volte serviva – non era sua intenzione ferirlo, mai. Voleva semplicemente aiutarlo, e okay, Blaine era davvero carino quando faceva il testardo, ma aveva bisogno di vederlo sorridere almeno una volta. “Non me ne vado finchè non facciamo qualcosa. Oppure possiamo stare qui tutto il pomeriggio a non fare proprio niente, decidi tu.”
Kurt vide le dita di Blaine chiudersi a pugno, e cercò immediatamente i suoi occhi. “Non sto cercando di farti arrabbiare, per Dio – voglio solo farti stare un pochino meglio, Blaine –”
Successe qualcosa di inaspettato, poi.
Un momento prima Kurt stava guardando Blaine e un secondo dopo, Blaine si era fatto infinitamente piccolo tra le sue braccia, aggrappandosi alla sua maglietta e facendo scomparire la fronte nel suo petto. Qualche parola senza senso abbandonò la gola di Kurt, che si ritrovò immobilizzato con un ragazzo tra le braccia, e solo dopo qualche istante riuscì a chiudere le braccia attorno al torso di Blaine.
Era così piccolo. Infinitamente piccolo. Kurt avrebbe tanto voluto essere più intelligente e sapere più cose, perché in quel momento avrebbe voluto calcolare quanti battiti stava scartando il suo cuore – un’infinità, si disse. Immerse le dita nei riccioli di Blaine e glieli accarezzò dolcemente, ed era – era quella la magia del tutto. Che non fosse necessario che si dicessero niente.
Sapeva quanto Blaine avesse bisogno di contatto. Chissà da quanto tempo non veniva abbracciato da qualcuno – chissà quanto bisogno sentiva dentro di sé di aggrapparsi a qualcosa, a qualcuno, o di sentirsi semplicemente protetto.
“Sono qui, piccolo.”, mormorò Kurt senza pensarci. “Proprio qui, tranquillo.”, mormorò, sorridendo contro i suoi ricci. Rimasero così per così tanto tempo che Kurt perse il conto dei secondi, dei minuti, forse delle ore intere, quando furono interrotti da qualcuno che bussava alla porta. Kurt disse “Avanti”, ma non lasciò andare Blaine.
Quando Will entrò sembrava piuttosto sbalordito. Un rantolo abbandonò la sua gola, prima che trovasse le parole. “Sta...”
“Sta bene.”, sussurrò Kurt, proteggendolo con le braccia. “Starà bene.”
Will annuì, un angolino della bocca che si alzava verso l’alto. “Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere guardare un po’ di TV.”, borbottò, sollevando verso l’alto dei DVD e posandoli sul comodino che c’era lì vicino. “Sono cartoni animati della Disney. Magari gli fanno piacere.”
Kurt annuì, osservando Will che usciva. Blaine si staccò da lui di pochissimo, puntando gli occhi sulla pila di DVD che erano proprio lì accanto. Allungò la mano verso quello che era in cima, La Bella e la Bestia. Kurt sbuffò una risata.
“Credo di saperlo a memoria dopo tutte le volte che l’ho visto, non sto scherzando.”, borbottò. Blaine invece guardava il DVD come se stesse contemplando un tesoro a lui sconosciuto. Kurt aggrottò la fronte, sembrando piuttosto perplesso.
“Non lo hai mai visto?”, chiese in un mormorio, e Blaine fece di no con la testa. Ruotò il corpo per prenderli tutti tra le dita, riguardò Kurt con sguardo sconsolato, e Kurt capì senza che ci fosse bisogno di dire niente.
“Non hai mai guardato cartoni animati?”, sussurrò, e Blaine abbassò lo sguardo, in una risposta tacita piuttosto chiara. Il cuore di Kurt si strinse in una morsa; si ritrovò ad allungare le dita per accarezzare parte dei capelli di Blaine, e sorrise. “Rimediamo subito, allora.”, soffiò dolcemente, afferrando il DVD della Bella e la Bestia per metterlo nel lettore. Tornò a sedersi accanto a Blaine, che si rannicchiò contro di lui, e naturalmente Kurt lo lasciò fare. Distese la coperta sui loro corpi mentre compariva sullo schermo la piccola casetta di Belle – e Kurt pensò, Bacialo.
Poi si disse che era troppo presto, che Blaine era così maledettamente innocente, che non aveva nemmeno mai visto i cartoni animati. E si limitò a stringerlo un po’ più forte.
Non spezzarti. Ti tengo io. Ti tengo io.
 
Ogni volta che appariva la Bestia, Blaine aveva qualche serio problema nel rimanere fermo sul letto.
“So che fa un po’ di paura, ma cerca di non basarti solo sulle apparenze, okay?”, mormorò Kurt, cercando di rassicurarlo. Vide Blaine alzare un sopracciglio.
“Che c’è, non ti fidi di me?”
Blaine alzò gli occhi al cielo, qualcosa che significava Certo che di te mi fido, ma non smetto di avere paura comunque. E Kurt aveva così una tremenda voglia di baciarlo, era tutto il film che ci pensava, ma si limitò ad appoggiare le labbra sulla sua tempia, pianissimo. “Quello è solo l’involucro, Blaine.”, disse. “Non puoi mai sapere cosa si portano dentro le persone.”
 
*
 
Le domeniche erano i giorni più difficili, sia per Kurt che per Blaine.
Praticamente tutti nell’istituto ricevevano visite, ma Blaine – Blaine non aveva nessuno, come Will gli aveva detto la prima volta che era stato lì. E Kurt provava a fare qualcosa di più, ma come avrebbe potuto sostituire una famiglia? Non ci riusciva, ed ammetteva la sua sconfitta. Solo che odiava vedere Blaine così triste. Odiava il fatto che tutte le domeniche da quando era arrivato lì, Blaine chiedesse di andare a dormire presto, perché non voleva stare sveglio. Essere svegli significa essere consapevoli di quello che si prova. Essere svegli significa soffrire.
Quella era l’ultima domenica del mese che potevano passare insieme, e Kurt – Kurt non aveva intenzione di andarsene così. Non aveva intenzione di avere come ultimo ricordo un Blaine spezzato che se ne andava a letto presto.
Quel giorno c’era un bel sole, una temperatura calda e piacevole in vista della primavera, e le famiglie erano state spostate nel giardino. Naturalmente, Blaine non c’era. Will gli disse che aveva preferito rimanere nella stanza delle lettere di gomma, e senza pensarci un minuto di più lo raggiunse.
Esattamente come i primi tempi, Blaine era seduto sul tappeto con i piedi nudi e l’aria di un ragazzo che non mangia abbastanza; il suo volto era rivolto alla finestra, che aveva la sua totale attenzione. Kurt ci si mise davanti.
“Vieni fuori con me.”, disse semplicemente, guardandolo negli occhi. Blaine distolse lo sguardo forse fin troppo bruscamente. “C’è una bella giornata, hai visto? Un bel sole. Possiamo fare i disegni là fuori, insieme. Coraggio.”
Blaine si coprì il corpo con le braccia, sfiorando con le dita le lettere di gomma accanto a sé, Ti prego smettila, sto meglio qui.
Ma Kurt non aveva intenzione di cedere. Si abbassò all’altezza di Blaine. “Almeno – provaci. Ci sono io con te. Nessuno può farti del male là fuori.”, Kurt si avvicinò leggermente, ed abbassò la voce. “Provaci.”
Blaine puntò gli occhi nei suoi, e Kurt notò che erano leggermente lucidi. La fogliolina più fragile dell’albero. Toccò le lettere ancora una volta, e disse, Ho paura.
“Lo so.”, acconsentì Kurt. Allungò le dita per intrecciarle a quelle di Blaine, stringendole con forza. “Ma Blaine – non puoi rilegarti qui dentro per sempre. Ricordi la Bestia, che se ne stava sempre nel suo castello? Ma poi ha superato le sue paure, è uscita e ha affrontato il mondo, grazie a Belle. Ora, non sto dicendo che voglio essere la tua Belle.”
A quel punto, un largo sorriso si distese sulle labbra di Blaine, mentre i suoi occhi rimanevano umidi.
“C’è così tanto da vedere e scoprire là fuori, Blaine. So che lo sai. E so anche che non vuoi passare il resto della tua vita qui dentro. Lo so dal modo in cui disegni i tuoi tramonti. I tramonti vanno visti dal vivo, Blaine, non da una stanza. Vieni fuori con me. Sconfiggiamo questi demoni, forza.”
Blaine abbassò lo sguardo, i riccioli morbidi gli caddero sulla fronte uno dopo l’altro. Kurt lo vide allungare le dita, e tracciare un percorso tra le lettere.
Puoi restare con me
Blaine non trovò il punto di domanda, ma Kurt capì ogni cosa comunque. E questa volta nemmeno lui disse nulla, si limitò a tracciare una parola sul tappeto di gomma.
Sempre.
A quel punto Blaine si aggrappò alle sue dita e si lasciò aiutare ad andare in giardino. Kurt poté giurare di aver visto una lacrima abbandonare l’occhio destro di Will, ma non disse nulla. Blaine aveva tutta la sua attenzione. Blaine alla luce del sole. Blaine, bellissimo e coraggioso, il suo principe. 
 
Verso sera, Kurt osservò Blaine colorare il tramonto dal vivo, seduto su un tavolo nel giardino dell’istituto. Non c’erano parole, c’erano solo pace e silenzio, e Kurt riusciva solo ad ascoltare i suoi pensieri, e si rese conto che non sarebbe stato in grado di lasciare quel ragazzo.
Era troppo presto, aveva bisogno di più tempo.
(E non sapeva cosa fosse l’amore, ma ogni volta che sentiva il proprio stomaco contorcersi perché Blaine sorrideva – quello ci assomigliava, quello poteva essere amore, vero?)
Prima che Blaine finisse, andrò dritto da Will. Non fece stupidi preamboli, aveva solo bisogno che gli dicesse di sì.
“Voglio continuare a venire.”, borbottò, passandosi una mano tra i capelli. “Voglio prendermi cura di lui – posso fare anche altre cose, se pensate che il mio sia un disturbo. Solo – devo rimanere. Non – la prego, non mi chieda di lasciarlo. Non ce la faccio a lasciarlo.”
Kurt era praticamente senza fiato quando finì, e Will lo guardava con un mezzo sorriso.
“Credo – sì, che tu possa rimanere. Ne parlo anche coi dottori. Blaine sta meglio da quando ha te.”
Da quando ha te.
Mi ha?
Kurt si voltò, cercando gli occhi di Blaine che, per un’inspiegabile ragione, proprio in quel momento lasciò andare il disegno e si immerse nel suo sguardo.
Kurt gli sorrise, e vide Blaine sorridergli di rimando.
Rimango, pensò.
E per qualche ragione fu certo che Blaine avesse capito senza che ci fosse bisogno di dire niente.
 
*
 
Un pomeriggio, Puck affondò le dita così forte nel suo braccio che Kurt si ritrovò a sibilare – si voltò verso di lui.
“Che cazzo –”
“Si può sapere dove vai ogni giorno dopo la scuola?”, gli chiese Puck con un’occhiataccia. “Non sei più venuto con me e gli altri.”
Kurt doveva immaginare che prima o poi quelle domande sarebbero arrivate, ma non aveva alcuna voglia di rispondere. “Ho da fare.”
“Quello non lo dubitavo.”, grugnì Puck. “Mi chiedo solo chi sia diventato improvvisamente più importante dei tuoi amici.”
I colori limpidi degli occhi di Blaine. Le retini dorati che catturano la luce e la rilasciano con il triplo della forza. Perché è la foglia più fragile dell’albero. E io non posso lasciare che cada, non posso –
“Fatti i cazzi tuoi, Puckerman.”, borbottò Kurt, infilandosi una sigaretta tra le labbra. Odiava sapere di fumo prima di andare da Blaine, ma a volte ne aveva davvero bisogno. La mano sulla sua spalla si fece ancora più presente.
“Cosa non mi stai dicendo?”
“Vuoi lasciarmi?”, sbottò Kurt, togliendosi dalla sua presa. “Sai – forse non tutto ruota intorno a te, intorno a voi. Non mi va più di andare in giro a fare cazzate. Siamo finiti nei guai troppe volte, Puckerman –”
“E da quando questo ti spaventa?”, lo prese in giro Puck, con un sorriso beffardo. “Da quando sei diventato questa fichetta che se la fa sotto dalla paura –”
“Lasciami in pace, Noah.”, disse a quel punto Kurt, facendo qualche passo verso la strada. “Se ti sbattono dentro non venire a cercare me. Sono stufo di avere problemi.”
Prima di voltarsi, Kurt vide chiaramente il ghigno che segnava il volto di Puckerman. “Spero che chiunque sia, ne valga la pena. Magari se continui a scopartelo diventi meno acido.”
Kurt ebbe così tanta voglia di tornare indietro e colpirlo in piena faccia – ma non lo fece. Non lo fece perché quasi in vent’anni di vita, Kurt non aveva mai avuto qualcuno che potesse chiamare amico, e nonostante a volte fosse un’autentica testa di cazzo, Noah era tutto ciò che ci assomigliasse.
Lasciò correre.
Nessuno può toccare Blaine, nessuno può capirlo, lasciatelo in pace, lasciatelo in pace, lui è così fragile, così fragile
 
*
 
Inaspettatamente, quel giorno Blaine lo aspettava nell’atrio che c’era all’entrata. Indossava una maglietta bianca che gli fasciava il petto mollemente e un paio di jeans, e sembrava – non sembrava, era giovane, giovane e meraviglioso. Aveva preso qualche chilo in quelle ultime settimane, i suoi riccioli erano più corposi, e i suoi occhi sempre più luminosi. Quando lo vide entrare gli corse in contro abbracciandolo, infilando la testa nell’incavo del suo collo, e in una manciata di secondi Kurt dimenticò di aver appena litigato con Puck.
“Ciao, piccolo.”, mormorò pianissimo, accarezzandogli i capelli. “Scusa il ritardo.”
Blaine tracciò un no con la testa sulla sua clavicola destra, sfiorandola con il naso. Gli sorrise timidamente, e poi gli porse un foglietto.
Mi accompagni in un posto?
Kurt sorrise enormemente, tenendolo stretto per i fianchi. “Certo.”, gli disse senza bisogno di pensarci. “Dove vuoi andare?”
Blaine recuperò dalla tasca dei jeans un blocchetto, e sopra ci scrisse E’ una sorpresa, e Kurt arricciò il naso, contrariato. “E va bene. Ma non metterti in testa strane idee, niente di pericoloso.”
Blaine annuì, ed afferrò la mano di Kurt, forte.
E poi lasciarono l’istituto.
 
Camminarono ininterrottamente per quindici minuti, le mani ancorate e strette, finchè non raggiunsero quello che aveva tutto l’aspetto di essere un orfanotrofio. Kurt non – non riusciva a capire, francamente. Non capiva cosa potessero farci in un orfanotrofio, ma inspiegabilmente Blaine sembrava davvero a suo agio e felice, così decise di seguirlo.
Quando entrarono, un’infermiera molto giovane sorrise dolcemente alla vista di Blaine. Chiese loro di accomodarsi in sala d’attesa, e Blaine strinse le dita di Kurt trascinandolo su una poltrona lì vicino.
Kurt continuava a guardarlo senza capire.
“Blaine.”, soffiò a un certo punto. “Non – non capisco.”
Blaine tirò su i piedi per rannicchiarsi sulla poltrona, appoggiando la tempia alla spalla di Kurt, mentre recuperava il blocchetto degli appunti.
Qui c’è la mia sorellina, gli scrisse.
E il cuore di Kurt – precipitò nello stomaco senza un minimo preavviso. Com’era possibile che nessuno gli avesse mai detto che a Blaine era rimasta una sorellina più piccola? Will aveva avuto almeno un milione di occasioni per intavolare l’argomento. Si sentì così stupido, e immensamente colpevole, perché a Blaine era effettivamente rimasto qualcuno e lui non aveva mai fatto niente di tangibile per saperlo.
“Cos –”, non riuscì a controllare le parole che uscivano dalle sue labbra. “Blaine. Io non sapevo niente. Potevi – potevi dirmelo. Lo sai che avrei voluto saperlo –”
Blaine scontrò le proprie dita contro il suo ginocchio, come a fargli capire che andava tutto bene. Kurt non riuscì a dire molto altro, era – più che sbalordito. Strinse le sue dita appena di più, baciandogli la testa.
“Come si chiama?”
Blaine recuperò la penna, indugiò solo un attimo. Scrisse, Serena. E Kurt sorrise, ovvio che sorrise, perché era un nome bellissimo. Di origini italiane probabilmente, e già l’amava, quel fagottino che Blaine era venuto a trovare.
Aspettarono per minuti interi, così tanti che a un certo punto Kurt si chiese effettivamente se si fossero dimenticati di loro, quando tornò la giovane infermiera di prima. Si presentò a Kurt, e raccolse Blaine in un abbraccio.
“Tesoro, la tua sorellina – non si sente molto bene oggi. Ma non fa niente, vero? Verrai la prossima volta, e vedrai che starà meglio.”
Per Kurt, fu come venire pugnalato dritto al cuore. “Ma – è sua sorella. Abbiamo fatto tanta strada. Non può nemmeno vederla?”
La giovane ragazza immerse i suoi occhi di ghiaccio in quelli di Kurt. “Posso parlarti, Kurt?”, gli chiese dolcemente. “Blaine, perché non vai a salutare Clara? Mi chiede sempre di te. La trovi nel primo corridoio.”, gli disse con calma, e Blaine annuì con vigore, sparendo dietro l’angolo.
“Non capisco.”, soffiò Kurt, scrollando le spalle. “Blaine non mi aveva mai parlato di nessuna sorella, e –”
“C’è qualcosa che devi sapere, Kurt.”, mormorò Patty, l’infermiera. “William è in viaggio in questi giorni e ha chiesto a me di parlartene. Lo avrebbe fatto lui, ma non ne ha trovato l’occasione.”
Kurt si sentiva irrequieto, come se non riuscisse più a riportare alla mente un’immagine positiva.
“L’incidente ha portato via tutta la famiglia di Blaine. Nessuno è riuscito a salvarsi. Aveva un padre, una madre, e anche una sorellina piccola.”
Kurt continuava a non capire.
“L’unico che si salvò fu Blaine. Uhm – quando riuscirono a tirarlo fuori dalla macchina, Blaine si rifiutava di lasciare andare la mano di una bambina. Sua sorella, Serena. Lei era morta sul colpo.”
Kurt fu grato del fatto che le sue ginocchia stessero cedendo in quel momento, perché cadde sulla poltrona dove poco prima aveva stretto Blaine. “Serena – lei è morta?”
“Sì.”, disse Patty con un filo di voce. “Da come hanno descritto l’incidente alcuni testimoni, sembra che quando Blaine abbia riacquistato conoscenza, l’unica cosa che riusciva a vedere dalla sua posizione era Serena. Ma Serena non rispondeva, ed era…era ricoperta di sangue, e…”
Eccolo lì, dunque.
Il trauma che aveva reso Blaine ciò che era. Il trauma che gli impediva di parlare. La paura che Blaine aveva ingoiato tutto in una volta vedendo la vita della sua dolce, piccola sorellina venire stroncata così, senza poter fare nulla per cambiarlo.
Kurt si passò entrambe le mani tra i capelli, sospirando pesantemente. “Perché…”, soffiò debolmente. “Perché non ricorda che è morta?”
“Probabilmente lo ricorda, ma il suo inconscio sta cercando di respingere quel ricordo con tutta la forza che ha. Blaine non è assolutamente pronto per realizzare che Serena non c’è più. Per questo negli ultimi mesi ha continuato a venire qui. Lui crede che Serena stia bene, che vivi qui. E che quando guarirà potrà riportarla a casa.”
Kurt non riusciva a smettere di tremare. Non riusciva a stare fermo. Un piccolo rantolò abbandonò le sue labbra – si coprì la gola con le dita. “Cosa –”, sputò fuori, “Cosa posso fare io?”
“Stargli vicino.”, mormorò Patty. “Ascoltare il modo che ha trovato di comunicare.”
Kurt scrollò le spalle. “Cioè – mentirgli?”, sbottò.
“Non sono bugie studiate per fargli del male.”, disse Patty. “Sono costruite per proteggerlo. Kurt – se realizzasse che Serena non c’è più, ne uscirebbe distrutto. Non è pronto.”
“E cosa – cosa facciamo quando lo scopre?”
Patty prese un enorme respiro. “Ognuno di noi ha un modo diverso di sentire il dolore.”, mormorò. “Aspettiamo, e vediamo cosa succede. Solo – non lasciarlo solo, va bene? Non l’ho davvero mai visto sorridere così. Dipendere da una persona. È – stupendo, quello che avete. Cerca di proteggere quello Kurt. Puoi farlo?”
Kurt guardò un punto impreciso del corridoio, gli occhi lucidi. “Posso farlo.”, soffiò debolmente, poco prima che la porta dell’atrio si spalancasse. Blaine sorrideva, e non appena Kurt lo vide, si alzò in piedi e si diresse verso di lui. Non disse nulla, lo abbracciò solamente, immergendo la punta del naso nei suoi capelli. Ti prego, non spezzarti. Ti prego, sii forte. Ti prego ti prego ti prego, se non ce la fai lascia che sia io a soffrire per te, ma ti prego, non lasciarti andare.
Blaine spinse i palmi delle mani al centro della schiena di Kurt per sentirlo un po’ di più, diventando infinitamente piccolo contro di lui.
Kurt capì solo in un secondo momento che Blaine stava tracciando delle lettere sulla sua schiena.
Stai bene?
Kurt scosse la testa in un minuscolo sì, immergendo la fronte nell’incavo del collo di Blaine. “Mi prometti che non soffrirai mai da solo?”, gli chiese pianissimo, proprio sull’orecchio. Sentì Blaine rabbrividire tra le sue braccia, poi annuì, e Kurt lo strinse più forte. “No, Blaine. Devi prometterlo. Scrivimelo sulla schiena. Promettilo.”
A quel punto Blaine si staccò da lui, alzò l’indice della mano destra e lo puntò sul petto di Kurt, e usò quello come foglio. Te lo prometto, tracciò. Kurt prese il suo volto tra le mani molto, molto delicatamente, raccogliendo un ricciolo che aveva sulla fronte per portarlo indietro insieme agli altri.
“Okay.”, sussurrò, prima di stringerlo di nuovo. “Okay, piccolo.”
 
*
 
La seconda volta che Kurt accompagnò Blaine all’istituto, conobbe Serena attraverso un vetro.
Non era altro che una bambola di pezza, e Blaine disegnava figure su fogli e glieli porgeva come se lei potesse effettivamente capire; le passava le cere e sorrideva, sorrideva veramente, e Kurt –
Kurt resistette per sette minuti. Poi il suo stomacò si spezzò e fece a malapena in tempo a raggiungere il bagno – vomitò tutta la colazione, e non fu in grado di tornare nell’altra stanza per un’intera ora.
Era tutto così spaventoso e lacerante da fargli credere di non riuscire nemmeno più ad alzarsi.
 
*
 
Quella notte, Kurt sognò volti di bambini e sangue e strade asfaltate con vetri rotti. Si svegliò con il cuore pulsante e la fronte sudata, il cuore nella gola che premeva per uscire, e le dita che tremavano nel tentativo di chiudersi attorno a qualcosa.
Il giorno dopo, finita la scuola, sapeva di dover andare da Blaine. Lo sapeva, e la voglia era lì, sotto la pelle, eppure – eppure non riusciva a muoversi. La promessa che aveva fatto a Blaine gli dondolava nella mente, eppure non riusciva ad afferrarla con le dita.
Così, invece di dirigersi verso l’istituto, seguì Puck verso la piazza, il posto in cui andavano di solito. Si fece offrire una sigaretta, e una volta arrivato in piazza si fece offrire anche qualcosa da bere, e – c’era un ragazzo nuovo, un ragazzo che non gli toglieva gli occhi di dosso e gli sorrideva in quel modo, e Kurt pensava – Dovrei essere con Blaine, la mia fogliolina, dovrei essere con lui adesso, non posso lasciarlo solo –
Quel ragazzo si avvicinò a lui con un ghigno dolce e consapevole, e posò le mani sui suoi fianchi, ed era tutto così maledettamente offuscato da fare fisicamente male. “A casa mia o a casa tua?”, gli chiese vicino all’orecchio, e Kurt chiuse gli occhi forte perché – per un secondo aveva immaginato fosse Blaine. Chissà com’era la voce di Blaine, aveva così tanta voglia di sentirla. Così tanta voglia di farlo tacere con un bacio, di sentirlo urlare, arrabbiarsi.
Kurt abbassò bruscamente lo sguardo e lasciò che quel ragazzo posasse le labbra su un pezzetto del suo collo – si morse le labbra.
Blaine è come una granata, esploderà e lascerà pezzi di vita incastrati alla tua e sapranno di dolore e tu non sei capace di gestire il dolore, lascialo andare, devi lasciarlo andare –
Proprio in quel momento, Kurt lasciò che quel ragazzo posasse le labbra sulle sue. Fu un secondo, poi Kurt si tirò indietro, e fu più o meno allora che si rese conto della persona che era a qualche metro da lui, al centro della piazza.
“Blaine?”, soffiò, il cuore che precipitava nello stomaco. Non fece in tempo a ripetere il suo nome che Blaine si era voltato, una smorfia di puro dolore dipinta sul suo volto. Il ragazzo che lo aveva appena baciato si aggrappò a lui ma Kurt lo spinse via con tutta l’energia che aveva in corpo, e poi corse nella direzione di Blaine. I suoi vestiti sapevano di fumo ed alcool, e si sentiva stanco, così stanco e sporco dentro e inutile. Riuscì a raggiungere Blaine e stringere un suo polso, ma lui si tirò indietro con uno strattone, puntando gli occhi lucidi nei suoi.
Non c’era alcun bisogno che urlasse, perché il modo in cui lo stava guardando equivaleva già a un grido. Sembrava che tenesse il proprio cuore tra le dita, per far assistere a Kurt che si stava sgretolando. Avevi promesso. Avevi promesso e non c’eri. E dov’eri, Kurt? Dov’eri?
“Mi dispiace.”, sussurrò Kurt, odiando il suo tono di voce, odiando le sue patetiche scuse. “Mi dispiace da morire, piccolo, mi –”
Blaine fece un passo indietro, fatale e categorico, gli occhi arrossati. Mosse la testa a destra e a sinistra in un no, e Kurt ci lesse dentro, Stammi lontano. Fece un passo verso di lui allungando le braccia, ma Blaine lo spinse via – nonostante fosse così piccolo, aveva così tanta forza da spaventare. Poi tirò fuori un foglio dalla tasca completamente stropicciato, lo strappò in due e lanciò i pezzetti verso Kurt, sparendo poi lungo la strada.
Kurt li raccolse, riunendoli. Nel mezzo, disegnato con la cera rossa, c’era un cuore rotondo, perfettamente regolare. Sull’angolo la frase, Grazie di dividere ogni tramonto con me.
Kurt si sentì senza fiato, e cadde sulle proprie ginocchia. Si aggrappò all’asfalto, notando che si stava bagnando delle sue piccole lacrime.
No no no no no no –
(Ognuno ha un modo diverso di sentire il dolore.)
(Kurt sperò che quel dolore bastasse per ricordargli cosa significava deludere qualcuno.)
 
*
 
Kurt non ci fece niente con quel ragazzo – ovvio, ovvio che non ci fece niente. Tornato nella piazza gli urlò in faccia di stargli lontano, poi tornò a casa per raccogliere lo zainetto e un po’ di soldi e andò l’istituto, ma non appena entrò nell’atrio Will gli corse incontro puntandogli le mani sul petto.
“Kurt –”, soffiò infinitamente piano, probabilmente per non disturbare i pazienti. “Non vuole vederti. Lascia stare.”
“Non capisce.”, sussurrò Kurt, tentando di divincolarsi. “Lei non capisce, non capisce – io devo vederlo. La prego –”
“Kurt.”, lo bloccò Will, tenendolo stretto per i fianchi. “Sei ubriaco.”, mormorò. Dopo qualche strattone deciso da parte di Kurt, Will lo spinse di lato, puntandogli il dito contro. “Non puoi fare cazzate qui. Niente cazzate, Kurt.”, ringhiò, e nonostante ci fosse rabbia nella sua voce, Kurt era perfettamente consapevole che glielo stesso dicendo per il suo bene.
Un rantolo abbandonò la sua gola, mentre si passava le dita tra i capelli. “La prego, io –”, disse, senza riuscire a finire la frase. “Le dica almeno che sono stato qui. Le dica –”, la voce di Kurt fu interrotta da un singhiozzo, e Will si avvicinò a lui definitivamente posandogli una mano sulla spalla.
“Ci penso io.”, mormorò William, accennando un minuscolo sorriso. “Vai a casa adesso. Ci penso io a lui. Torna quando starai meglio.”, lo ammonì con voce grave. Kurt fece un passo verso la porta barcollando, sentendosi smarrito quanto un bambino che aveva appena perso la mamma in un posto affollato.
Lasciò l’istituto mordendosi il labbro inferiore talmente forte da sentire dolore, e si incamminò verso casa. Cercò la finestra di Blaine diverse volte, sperando di trovarci qualcosa. I suoi occhi. Il suo dolore.
Non vide nulla.
 
*
 
Kurt tornò ogni giorno, e ogni giorno Will gli diceva che Blaine non intendeva vederlo.
Le prime volte Kurt si ritrovava ad alzare la voce – era così assurdamente facile, era come lasciar che il suo cuore gridasse attraverso le crepe, ma non cambiava niente. Non cambiava il fatto che avesse calpestato la fiducia che Blaine aveva riposto in lui, che avesse baciato un altro, nonostante Blaine non fosse ancora quel qualcosa per lui. Era assurdo. Prima di Blaine, Kurt non aveva mai voluto nulla di più di divertimento e semplice sesso; ogni volta che pensava cosa aveva fatto con quel ragazzo, quello che avrebbe potuto fare, gli veniva da vomitare.
I giorni successivi Kurt non era riuscito nemmeno a trovare la forza di arrabbiarsi, e vedendolo Will gli dava sempre qualche pacca sulla spalla, chiedendogli se voleva rimanere comunque e stare lì con lui e bere qualcosa di caldo, ma Kurt – Kurt non riusciva. Si sentiva come immobilizzato senza Blaine. Senza un senso.
Arrivò un giorno in cui Kurt si sentiva così piccolo che si aggrappò alla spalla di Will e cercò di riprendere fiato. Gli disse, “Può farle avere questo fiore?”, mormorò, porgendogli una rosa gialla. Era passato davanti a un negozio di fiori e aveva visto un enorme cesto di rose, ma per qualche inspiegabile motivo aveva raccolto quella gialla. Gli ricordava tremendamente tanto i giorni di sole, il sorriso di Blaine, il profumo dei suoi capelli.
“Gliela farò avere senz’altro, Kurt.”
Kurt si strinse nelle braccia, osservò Will sparire lungo il corridoio.
Si prenda cura della mia fogliolina, pensò. E poi, lo ripeté anche a voce alta. “La mia fogliolina.”
 
*
 
Qualche notte dopo pioveva a dirotto, Kurt non riusciva a dormire ed era in grado solo di pensare al rumore della pioggia sui vetri, la pioggia riflessa negli occhi di Blaine – alla fine, quel ticchettio così monotono lo spinse ad uscire dal letto. Si preparò lo zaino e senza un piano e corse all’istituto, arrivando completamente fradicio.
La finestra di Blaine era piuttosto alta, ma era facilmente raggiungibile dal tetto. Così Kurt andò sul retro, verso la scala anti-incendio – era una follia e lo sapeva, ma aveva bisogno di vederlo. Aveva bisogno di stringerlo un’ultima volta, di spiegargli com’erano andate le cose.
Non fu nemmeno difficile come aveva creduto. Scivolò facilmente nello spazio della finestra di Blaine, i capelli fradici che perdevano gocce d’acqua sulla pelle del suo viso. Diede qualche colpo deciso al vetro, e la serratura scattò verso l’interno – Will gli aveva spiegato che le finestre erano state costruite in quel modo per sicurezza. Si appuntò di ringraziare quell’uomo, prima o poi.
La stanza di Blaine era completamente al buio, fatta eccezione per il lieve bagliore dei lampioni che proveniva dalla strada. Una volta entrato, i vestiti di Kurt gocciolarono sul pavimento. Non passò nemmeno mezzo secondo, che Kurt vide quasi immediatamente la figura di Blaine muoversi sul letto verso il fondo della stanza. La sua mano scattò verso sinistra per accendere la luce della lampada sul comodino – e immediatamente il volto di Blaine si riempì di consapevolezza, delusione e incredulità tutte insieme.
Kurt allungò le dita verso di lui. “Blaine –”
Non era nemmeno arrivato a metà del nome, che Blaine gli aveva lanciato addosso un cuscino. Poi un altro ancora. Poi probabilmente cominciò a lanciargli addosso altri oggetti, come pupazzi e colori a cera e fogli accartocciati, ma Kurt provò a fare qualche passo verso di lui comunque. “Blaine, ti prego –”
Blaine si fermò di colpo, immergendo gli occhi nei suoi. Sembrava – devastato. Kurt ricordava com’era stato i primi mesi, piccolo e magro e assolutamente indifeso, e in quel frangente, nel bel mezzo della notte, sembrava essere tornato indietro nel tempo. Era chiaro che non dormisse bene. I ricci gli erano cresciuti e profonde occhiaie segnavano il suo bellissimo viso.
“Non è – non è successo niente con quel ragazzo.”, mormorò Kurt pianissimo, la voce che si spezzava. Blaine si rannicchiò contro la testata del letto, e recuperò più in fretta possibile una penna e il blocchetto degli appunti che aveva sempre a portata di mano. Si affrettò a scrivergli una frase, e rigirò il blocchetto verso di lui.
Non mi interessa niente di quel ragazzo. Avevi fatto una promessa.
Kurt si leccò le labbra. “Lo so, e mi dispiace. Ti giuro che mi dispiace, io –”, si passò una mano tra i capelli fradici. Francamente non riusciva a spiegare cosa gli fosse passato per la testa. “Avevo bisogno di –”, si bloccò. “Non so nemmeno come spiegarlo.”
Blaine strappò via il foglietto che aveva appena usato, scrivendo qualcosa su quello che veniva dopo. I movimenti del suo polso erano netti e convulsi, come se stesse odiando profondamente non poter usare la propria voce. Non voglio che torni più.
“B-Blaine.”, soffiò Kurt in un rantolo, avvicinandosi a lui. “Non – ti prego. Posso – posso rimediare. Non – ti prego, non chiedermi di allontanarmi da te perché non ne sono capace.”
Gli angoli delle labbra di Blaine si abbassarono bruscamente, finché un singhiozzo non spezzò la sua voce. Kurt lo vide rannicchiarsi sul letto e fece per avvicinarsi, ma Blaine si tirò indietro, in un chiaro gesto di quello che stava succedendo.
Non voglio che torni più.
Le gocce di pioggia scivolavano sulla schiena di Kurt facendolo rabbrividire, togliendogli un po’ il fiato. Barcollò come un cieco in avanti per colpa delle lacrime, immergendo una mano tra i ricci di Blaine. “P-promettimi che non ti lascerai andare, fogliolina.”, disse pianissimo, lasciando andare i suoi capelli quasi subito, quasi come se scottassero.
Si calò fuori dalla finestra, la pioggia che gli cadeva addosso e che aveva il sapore amaro di una sconfitta. Mentre camminava verso casa, non riusciva a fare altro che piangere.
Perché lo amava.
Non sapeva nemmeno come aveva cominciato, quando era successo. Non sapeva nemmeno di esserne capace, o come dargli un significato, ma era innamorato di lui. Era innamorato di Blaine.
E lo aveva appena perso.
 
*
 
Nei giorni successivi, Kurt si rifiutò di andare a scuola.
Rimaneva a letto tutto il giorno, rifiutando di lasciare la propria stanza se non per le cose strettamente necessarie, come andare in bagno e recuperare un po’ di acqua. Nel pomeriggio del secondo giorno, suo padre entrò nella sua stanza con un bicchiere di succo e un panino, ma Kurt non volle sentir ragioni.
E forse anche Kurt aveva imparato come comunicare senza usare le parole; anche se non disse nulla, suo padre scelse di stargli vicino tutto il pomeriggio. Non fecero nulla, non si dissero nulla. Burt Hummel era immobile sul letto del figlio e lo ascoltava respirare, e a quello Kurt bastava.
Il giorno dopo, Burt però si decise a chiamare Rachel, la migliore amica di Kurt. L’unica persona con un po’ di sale in zucca che non aveva perso dopo la morte della madre.
Ecco, lei – lei era decisamente più chiassosa di Burt. Arrivò in camera canticchiando, probabilmente per impedire a quel silenzio di diventare assordante.
“Sorgi e brilla bell’addormentato.”, borbottò lei, togliendogli via la coperta e sedendosi sul letto. Kurt si stropicciò gli occhi e la guardò molto, molto male. Se solo le occhiate avessero potuto uccidere. Rachel si tolse velocemente le scarpe e il cappotto, abbandonando il tutto su una sedia lì vicino, e si rannicchiò contro lo schienale del letto.
“Non vieni a scuola da tre giorni.”, sottolineò, mentre si guardava le unghie. “Vorrei poterti dire che sono tutti preoccupati, ma in realtà sai benissimo che gli unici a cui frega davvero di te siamo io e tuo padre, e ci stiamo spaventando.”, spiegò lei, alzando un sopracciglio. “Perché non mi spieghi cosa è successo?”
Kurt si voltò dall’altra parte, così da darle le spalle. “Non ho voglia di parlarne.”
“Perfetto.”, borbottò lei. “Allora staremo qui fino alla fine dei nostri giorni, moriremo di fame e spaventeremo i passanti curiosi che entreranno nella casa abbandonata degli Hummel. Ti va?”
Kurt a quel punto accennò un sorriso – dio, quella donna era insopportabile la maggior parte delle volte, e diceva cose senza senso, ma le voleva bene comunque.
“Rach, quello che hai detto non ha senso.”
“Ma allora non hai perso la linguaccia che ti ritrovi, eh?”, gli chiese sarcasticamente, dandogli una pacca dolce sul braccio. “Perché non ti fai una doccia? Hai tutti i capelli in disordine. Poi possiamo parlare.”
Kurt si voltò verso di lei. “Sul serio?”
“Non ho intenzione di consolarti se non ti lavi da tre giorni.”, disse lei disgustata. “E se ti vesti in modo decente, poi magari andiamo anche al Lima Bean per un caffè. Spiegami come hai fatto a sopravvivere senza caffè per tre giorni –”
“Sto andando.”, sbottò Kurt, scalciando via le coperte e dirigendosi verso il bagno. “Guardami, sto andando.”
Rachel gli sorrise, vittoriosa. “Sto diventando vecchia. Datti una mossa!”
 
Circa venti minuti dopo, Kurt e Rachel erano seduti a gambe incrociate sul letto, l’uno di fronte all’altra.
“Ho fatto una cazzata.”
“Fino a qui lo avevo capito anch’io.”, mormorò Rachel, osservando il suo viso. “Se aspetti a metterti la crema un altro giorno, temo che cominceranno a vedersi i segni dell’età –”
“Rach, sono serio.”, borbottò Kurt, fulminandola con lo sguardo.
“E quand’è esattamente che tu non fai cazzate?”, sbottò lei, allargando le braccia. “O hai dimenticato quella volta in cui hai dato fuoco al ponte della zona abbandonata –”
“Non è quel tipo di cazzata. Mi fai parlare?”, la pregò Kurt con sguardo supplichevole. “Si tratta – si tratta di Blaine. Quel Blaine.”, soffiò pianissimo, il suo nome che gli scivolava sulla lingua come il fantasma di un ricordo lontano.
Rachel si fece immediatamente seria. “Il ragazzo che non parla?”
Kurt annuì, mentre giocherellava con le sue stesse dita. “Non so se ti sei mai trovata in quella situazione in cui – tu e quel qualcuno non vi state definendo, ma – ti ritrovi a pensare a lui ogni momento, capisci? E a guardarlo. E noti quelle piccole cose, come – come il modo in cui arriccia il naso mentre disegna. O se sorride veramente o se fa solo finta. E inspiegabilmente non riesci più a controllare quello che provi – qui dentro.”, borbottò Kurt, indicandosi il punto in cui batteva il cuore. “E’ più o meno questo quello che provo per Blaine.”
“Lo ami.”
“Non ho detto che lo amo.”
“Non c’era bisogno che lo dicessi.”
Kurt fece per aprire la bocca, ma si bloccò di colpo, sbuffando sonoramente. Il suo sguardo scivolò in diversi punti della stanza. “Forse, va bene?”, le disse pianissimo. “Non lo so. Non so come riconoscerlo. E ho paura. Non so come si scende a patti con la cosa. E poi Blaine è –”, Kurt a quel punto prese un bel respiro. “E’ la fogliolina più fragile dell’albero, e io non voglio essere il vento che la porta via.”
Rachel aggrottò la fronte a quel punto, e Kurt chiuse gli occhi in segno di frustrazione.
“Il punto è – che mi ha visto baciare un altro.”
“Che –”, sbottò Rachel, portandosi una mano alla bocca. “Sei uno stronzo, Kurt!”
“Grazie, sei molto d’aiuto.”, mormorò lui. “Non l’ho fatto perché – mi piaceva. Non mi andava nemmeno. Solo – quel ragazzo era lì e sai cosa avrebbe fatto il Kurt di una volta, no? Ero così. E non me ne fregava niente. Ma adesso –”, Kurt a quel punto si passò entrambe le mani nei capelli, sentendosi miserabile. “Ho lasciato che mi baciasse. Non stavo pensando, ma immediatamente dopo volevo anche sparire perché la verità è che non mi interessa niente di quel ragazzo, non mi interessa niente di tutti quelli che ci sono là fuori, io voglio solo – voglio solo vedere Blaine sorridere. Voglio sentire la sua voce mentre ride, e voglio che la sua risata mi riempia le orecchie. Questo voglio, e ho – rovinato tutto.”
“Hai provato a parlargli?”, gli chiese piano Rachel. Kurt annuì.
“Non vuole vedermi più.”, soffiò quasi impercettibilmente Kurt. “E solo – avrei voluto dirgli che –”, una singola lacrima cadde dall’occhio destro di Kurt, e Rachel si sentì sopraffatta, perché era dalla morte di sua madre che non aveva visto Kurt piangere. Provare. “Avrei solo voluto che sapesse che mi ha cambiato la vita.”
Quando Kurt si fece ancora più piccolo per piangere, il volto immerso nelle dita, Rachel gli si fece più vicina circondandogli le spalle con le braccia, e ascoltando il suo dolore. Lasciarono scorrere le lacrime insieme ai minuti, e alla fine Kurt abbozzò un sorriso distrutto, ma ormai Rachel aveva già deciso cosa fare.
“Ti va ancora quel caffè?”
 
*
 
La domenica dopo, Rachel si presentò all’istituto dicendo a Will che era un’amica di Kurt, e che voleva vedere Blaine. In un primo momento lui sembrò titubante, ma alla fine le chiese di seguirlo.
Blaine era nella stanza delle lettere, la porta leggermente aperta, così che Will potesse bussare in qualsiasi momento. Quando lo fece, vide Blaine sobbalzare e voltarsi immediatamente. I suoi occhi attenti e brillanti squadrarono Rachel a lungo, e alla fine Will lasciò loro da soli.
Lei entrò con passo titubante, tenendo le braccia salde lungo i fianchi. “Mi dispiace per questa improvvisata.”, mormorò, incrociando le braccia al petto. “Temo che vedere i tuoi migliori amici soffrire in questo modo ti impedisca di startene con le mani in mano.”
Blaine recuperò un blocchetto di appunti e una pena, e si affrettò a scrivere. Sei Rachel, vero?
Rachel accennò un sorriso. “Sono contenta che ti abbia parlato di me.”, sussurrò, avvicinandosi a lui con piccoli passi. “Sai, prima di te – Kurt era una persona completamente diversa.”
Blaine distolse lo sguardo.
“Te lo dico chiaramente. Non so cosa si provi ad avere passato quello che hai passato tu, quindi non ti dirò che ti capisco, perché sarei una terribile bugiarda.”, mormorò Rachel. “Ma sono la migliore amica di Kurt da quando eravamo entrambi piccoli, e se c’è qualcuno che conosco, è proprio lui. E anche lui ha sofferto, Blaine. Ti ha detto che ha perso la madre in un incidente qualche anno fa?”
La testa di Blaine scattò verso l’alto, i suoi occhi sembravano increduli e pieni di sorpresa.
“Già, tipico di Kurt.”, sussurrò Rachel. “Uh – non sono qui per insegnarti cosa fa il dolore, perché credo che tu lo sappia meglio di chiunque altro. Kurt era questa persona stupenda e piena di sogni, e poi improvvisamente è diventato uno sconosciuto e - io lo odiavo, ma poi ho capito che – è molto più facile lasciare che il mondo ti distrugga, piuttosto che combattere. E Kurt perdeva tutte le volte, finchè non sei arrivato tu.”
Gli occhi di Blaine erano luminosi e lucidi.
“Non so cosa gli hai fatto. Non lo so. So solo che ha ricominciato ad aprirsi. Negli ultimi mesi abbiamo ricominciato a parlare ed uscire, e la stessa cosa ha fatto con sua padre. Non è il Kurt di una volta, quello no. È una versione diversa. Quasi migliore.”
Rachel puntò gli occhi verso la finestra, e Blaine la seguì, calde lacrime che gli rigavano le guance. “Kurt non sbaglia perché vuole farti del male. Sbaglia perché non sa come si fa a fare la cosa giusta. E lo so, lo so che è chiedere un grande sforzo, ma – non lasciarlo andare. Ha bisogno di te nello stesso modo in cui tu hai bisogno di lui. Ti ha deluso, e lo so. Ma davvero vuoi dimenticare tutto il bene che ha portato nella tua vita per un singolo momento di buio?”
Blaine non guardava lei, guardava il tramonto. Il movimento fu quasi impercettibile, ma Rachel fu quasi certa di averlo visto annuire.
Lei a quel punto prese un bel respiro. “Davvero, scusami se sono stata un po’ brusca. Me ne vado. È stato bello conoscerti, e spero davvero di poterti conoscere meglio. Non – non sentirti costretto a fare nulla perché sono venuta qui. Volevo solo che tu sapessi che hai cambiato la vita di Kurt. Lui – lui non sarebbe mai riuscito a dirtelo.”
I tacchi di Rachel risuonarono sul legno del parquet della stanza delle lettere. Blaine ne raccolse una manciata e le distribuì sul pavimento, e solo dopo si rese conto di quello che aveva composto.
Sei tu il mio tramonto.
 
*
 
C’era stata una settimana di pioggia, una settimana che Kurt aveva odiato con tutto il suo cuore. Quel pomeriggio, invece, timidi raggi di sole cercavano di fare capolino dalle nuvole; si prospettava una giornata migliore, almeno per quanto riguardava il tempo.
Kurt sentiva un vuoto enorme dentro, come se dal suo corpo fosse stato strappato via quello di Blaine, e lui fosse rimasto con la pelle costretta ad adattarsi al nulla. Non aveva mai creduto che qualcuno potesse entrare dentro qualcun altro con quella forza, ma la cosa che più di tutte lo stupiva, è che era successo proprio a lui. E a Kurt Hummel certe cose non succedevano, punto.
Nel pomeriggio decise di lasciarsi casa propria alle spalle e fare un giro a piedi. Una leggera giacca di pelle gli copriva le spalle, e aveva deciso di tenere una sigaretta in tasta. Aveva così poca voglia di combattere, così poca voglia di sorridere.
Mise le cuffie nelle orecchie e camminò con la musica che gli invadeva l’anima per un tempo che gli parve infinito, finchè a un certo punto non alzò lo sguardo e si rese conto di essere arrivato in una zona abbandonata. C’erano industrie e palazzi, un fiume praticamente prosciugato con degli alberi attorno e più in là, un ponte che dava sulla città. Decise senza pensarci due volte di salirci sopra, arrampicandosi sul cornicione. Da lì, i contorni delle case sembravano quasi nere, e il sole piano piano si stava abbastando per nascondercisi dietro.
Accese la sigaretta e la fumò ascoltando le canzoni più deprimenti della sua playlist, mentre la sua attenzione era completamente concentrata su una fogliolina dell’albero più vicino che stava combattendo per non staccarsi. C’era una leggera brezza quel giorno, quasi piacevole da sentire sulla pelle.
Quando la sigaretta finì Kurt la schiacciò contro il muretto per spegnerla, e nel voltarsi notò un movimento. Il cuore gli si bloccò immediatamente nella gola quando realizzò cosa stava succedendo – a pochi metri da lui, Blaine si stava arrampicando sul cornicione.
“Cazzo –”, imprecò, togliendosi immediatamente le cuffie dalle orecchie e alzandosi in piedi. “Blaine, che cavolo – stai attento –”
Blaine gli lanciò un’occhiata, e dopo qualche secondo riuscì a trovare completo equilibrio sul cornicione. Mise pianissimo un piede davanti all’altro barcollando appena, guardando in giù e deglutendo. Bastò solo quello a far scattare in piedi Kurt, che a grandi passi cancellò la loro distanza, smettendo improvvisamente di avere paura del vuoto che sentiva sotto di loro; cercò gli occhi di Blaine per un istante, come per chiedergli il permesso, e non trovando alcun tipo di resistenza, lo afferrò per le spalle e se lo portò vicino per stringerlo forte.
“Sei impazzito –”, soffiò tra i suoi capelli, accartocciandoci le dita in mezzo e stringendo gli occhi per imprimersi il suo profumo addosso, dolce ed intossicante. “E’ pericoloso, per dio.”, mormorò, immergendo la punta del naso nel suo collo. Sentì le dita di Blaine pizzicargli le spalle, e un secondo dopo si stavano abbracciando completamente, aggrappandosi l’uno all’altro come se ne dipendesse delle loro vite.
I minuti passavano assolutamente silenziosi, e nessuno di loro sembrava voler fare il primo passo, almeno finchè Blaine si spinse leggermente via da Kurt, ed estrasse una strisciolina di carta. Kurt la raccolse con le dita che tremavano.
 
Mi dispiace.
(So che stai pensando che non sono io quello tra i due che dovrebbe chiederti scusa, ma non è così. Mi dispiace.)
Non è vero che di quel ragazzo non mi importava niente. Ha fatto male vedervi insieme, perché per un attimo ho pensato a quanto sarebbe semplice per te allontanarti per stare con un ragazzo che possa darti tutto. Perché per quanto io ci provi, Kurt, a me mancherà sempre qualcosa, e so che lo sai.
Vorrei poterti dare tutto, ma non posso.
Queste cose vorrei potertele dire, ma non posso.
E se fossi una persona buona, ti lascerei andare. Ma non ne sono capace.
Ti voglio con me. Quindi – possiamo ricominciare a guardare i tramonti insieme?
 
Kurt tenne il foglio tra le mani tremolanti, e cercò gli occhi luminosi di Blaine. Afferrò la sua nuca per portarselo vicino, avvolgendolo completamente con le braccia e stringendolo più forte che poteva – Se ti stringo, nessuno può portarti via, nessuno può farti del male. Calde lacrime cominciarono a solcare le sue guance; tuttavia, non riusciva proprio a non sorridere.
“Ti amo.”
Il silenzio intorno a loro era confortante.
E anche se Kurt era praticamente sicuro che Blaine lo avesse sentito, chiuse gli occhi e lo disse di nuovo. “Ti amo.”
Blaine rabbrividì tra le sue braccia, aggrappandosi forte alla giacca di pelle che Kurt stava indossando.
“Amo chi sono quando sono con te.”, soffiò Kurt, tirando su con il naso. “Amo il fatto che mi fai provare tante di quelle cose che mi sembra di non riuscire a contenerle. Amo essere riuscito a non essere più quella persona orribile che ero mesi fa. Amo – amo il modo in cui arricci la matita ai tuoi capelli, quando stai per scrivermi qualcosa che ti fa arrossire. Amo la tua purezza, la tua semplicità, amo il fatto che nonostante il mondo ci sia messo di impegno per distruggerti, tu sei ancora qui che combatti. Ti amo. Quando sono con te, non c’è nessun altro posto in cui vorrei essere.”, Kurt lasciò scorrere le lacrime, a quel punto, e Blaine lo strinse forte a sua volta, come per consolarlo. Diverso tempo dopo, Blaine si staccò leggermente per recuperare il blocchetto e la penna, e ci scrisse sopra qualcosa in velocità.
E la mia voce?
Kurt arrotolò un singolo dito attorno ai suoi ricci sopra l’orecchio destro. “Non hai idea di quanto vorrei ascoltarla.”, mormorò Kurt, sorridendo appena. “Credo di averla sognata, anche, più di una volta. Ma non è – non è tutto, Blaine. Ci sono un milione di altre cose che voglio conoscere di te, che sono altrettanto importanti. Ti amo comunque. Ti amerei anche se non ricominciassi a parlare, lo sai? Non m’importerebbe, perché sei tu. Con o senza la tua voce, sei sempre tu.”
Blaine si mordicchiò forte il labbro inferiore, abbassando lo sguardo nel momento in cui un piccolo singhiozzo abbandonava la sua gola – Kurt si affrettò a stringerlo di nuovo, e gli baciò i capelli.
“Voglio stare con te.”, gli disse pianissimo, proprio sopra l’orecchio. “Non m’importa niente del resto, io voglio stare con te.”
Blaine pianse più forte, ma annuì.
Perché non aveva scelta.
Kurt li sistemò in modo che potessero sedersi sul cornicione, continuando a stringersi forte mentre il pianto di Blaine invece si faceva sempre più debole, un’eco lontana.
Rimasero ad osservare il tramonto fino all’ultimo istante, quando anche l’ultimo raggio venne ingoiato dall’orizzonte e nascosto dai tetti delle case.
E’ un momento perfetto per baciarlo, si disse Kurt. In qualche modo, però, riuscì ancora a lasciarlo andare. Perché era stata una giornata piena di emozioni, ed era stata in ogni caso già perfetta così.
E poi, quel pomeriggio era solo l’inizio.
 
*
 
Da quei Ti amo sussurrati, le cose cambiarono in modo sostanziale tra Kurt e Blaine. Certo, i cambiamenti potevano passare inosservati se non si prestava abbastanza attenzione, ma c’era – la curva del sorriso di Blaine leggermente più viva, dolcemente storta sulla destra; Kurt passava interi pomeriggi ad osservarlo attraverso le ciglia, arrossendo quando Blaine poi, inevitabilmente, se ne accorgeva.
Era come un cerchio.
Fu come se un intero muro si fosse sgretolato tra di loro. Ogni tanto, se Blaine era spossato o più triste del solito, lasciava che la testa cadesse sulla spalla di Kurt, rannicchiandosi contro di lui senza chiedere il permesso; Kurt gli cingeva la vita e gli baciava la punta della testa, chiedendogli se stesse bene.
Non c’erano ancora stati baci, ma nonostante quello Kurt era piuttosto sicuro che ciò che avessero fosse molto, molto di più di una semplice amicizia. Il modo in cui a volte le loro dita si intrecciavano, o il fatto che dopo essersi addormentato all’improvviso si svegliasse rannicchiandosi tra le braccia di Kurt erano piccoli gesti che avevano più importanza di un bacio.
Anche se spesso Kurt osservava le labbra di Blaine e desiderava semplicemente assaggiarle. Piano, solo per sentirne la consistenza.
Okay, sarebbe volentieri morto per quelle labbra. Per sentirle sulle proprie, sulla pelle, addosso. Ma non importava, non finchè potevano guardare insieme i tramonti con le mani intrecciate e Blaine gli sorrideva con gli occhi luminosi.
 
*
 
Un pomeriggio di Aprile, quando Kurt arrivò nella stanza delle lettere, trovò Blaine e Will intenti ad avere una conversazione. Blaine arrossì di colpo quando vide Kurt varcare la soglia, e d’istinto Kurt si sentì in dovere di indietreggiare.
“Torno più tardi?”
“No, Kurt – per favore.”, gli chiese Will, alzandosi da terra mentre con le braccia lo pregava di entrare con un gesto eloquente. “Solo – Blaine mi ha detto che vorrebbe provare a fare una cosa con te, uhm – so che forse ti sembrerà un po’ strano.”
Kurt arricciò le labbra in direzione di Blaine, perplesso. “Tutto okay, piccolo?”, chiese senza pensarci. Blaine si alzò da terra e annuì cercando i suoi occhi, e Kurt si sentì più tranquillo.
“E’ questa – sorta di esperimento a cui Blaine sta lavorando con la sua terapista, ha a che fare con i colori, visto che ama colorare. Uhm –”, Will recuperò una scatola a qualche metro da loro, togliendo velocemente il coperchio. “Tempere.”
Kurt aggrottò la fronte. “Blaine usa le cere per colorare.”
“Lo so.”, disse semplicemente Will, sorridendogli cautamente. “Come ho detto – è un esperimento che stiamo provando. Prima che arrivassi tu Blaine aveva dei problemi nel – sfiorare le persone, rapportarsi con loro. Non ha mai avuto problemi con te, però.”
Kurt cercò gli occhi di Blaine, allarmato, trovandoci dentro solo pace. Ricordò che la prima volta che lui e Blaine si erano toccati seriamente, era stato quel lontano pomeriggio in cui Blaine lo aveva abbracciato con una scatto, e Kurt aveva ricambiato la stretta senza esitare perché – perché voleva farlo, semplicemente. Non aveva mai forzato Blaine a fare nulla.
“Kurt, puoi – toglierti la maglietta?”, chiese con un certo imbarazzo Will, grattandosi la nuca. Allo sguardo sbalordito di Kurt, Will si schiarì la voce. “E’ per l’esperimento, te ne prego.”
Kurt sorrise, sempre più incuriosito dalla piega che stava prendo quello strano esperimento. Fece come gli aveva chiesto Will, togliendosi la maglietta e mordendosi il labbro per impedirsi di rabbrividire al contatto con l’aria fresca che proveniva dalla finestra. Naturalmente, i suoi occhi scivolarono in quelli di Blaine, che stava guardando il suo petto longilineo con la bocca leggermente aperta in una “o” inconsistente, almeno fino al momento in cui non si impose di sbattere le palpebre e riprendersi. Kurt lo vide arrossire, e sentì il proprio cuore precipitare nello stomaco.
“Will, uh – ora dovrà spogliarsi qualcun altro? Perché non credo che la cosa sia – ecco –”
“No, no – uhm. Vorrei semplicemente che Blaine ti – toccasse. Con la tempera. Voglio studiare i suoi comportamenti mentre lo fa. Come ti ho detto, sei l’unico che non ha mai avuto problemi nel toccare.”
Kurt a quel punto deglutì, cercando gli occhi di Blaine. Erano più scuri, leggermente nascosti da quelle lunghe ciglia – Kurt giurò di vedere le sue dita tremare leggermente quando recuperò dalla scatola il colore giallo. Senza indugiare oltre, Kurt allungò le mani per intrecciare le dita alle sue.
“Va tutto bene.”, gli disse semplicemente, avvicinandosi a lui con un piccolo passo. “Fai finta che sia un foglio bianco.”
Blaine deglutì e alzò un sopracciglio, come a dire La tua pelle ci assomiglia.
“Okay, smettila di flirtare con me e cerca di portare a termine questo esperimento, va bene?”, borbottò scherzosamente Kurt, facendo scoppiare a ridere Blaine. Will, a qualche passo da loro, sembrava sbalordito. Non riusciva a capire come Kurt potesse sempre capire cosa intendesse dire Blaine anche senza il bisogno di parole.
A quel punto, con estrema calma, Blaine racimolò ossigeno. Aprì la boccetta di colore per cospargerlo sulle dita, sbattendo appena le palpebre prima di concedere tutta la sua attenzione al petto di Kurt. Allungò un singolo dito per sfiorargli una clavicola – non appena la toccò sussultarono entrambi, e Kurt rise.
“La tempera.”, borbottò, chiudendo un singolo occhio. “E’ fredda.”
Blaine cercò i suoi occhi per un secondo, come per chiedergli scusa – tenne il suo dito fermo per qualche istante, poi lo mosse per formare una linea netta, proprio sopra l’osso che sporgeva. Sorrise leggermente nel vedere quei colori espandersi, e nel giro di poco tempo recuperò un nuovo colore, l’azzurro. Ne mise una piccola quantità sul dorso della mano, e ne raccolse una ditata per sfiorare la gola di Kurt, creando una onda che ricordava i movimenti del mare.
“Tutto okay?”, chiese Kurt quasi impercettibilmente, inclinando la testa per rincorrere i suoi occhi. Blaine annuì sorridendo, e anche Kurt si trovò a sorridere inspiegabilmente.
Will osservava Blaine con attenzione, particolarmente fiero di quello che quei due ragazzi erano riusciti a costruire in così poco tempo. “E’ un modo che esiste per comunicare.”, spiegò a quel punto con calma Will. “Fidarsi dell’altro a tal punto da sfiorarlo con i colori, tracciando forme e linee. Ogni colore significa qualcosa di diverso.”
Kurt lo stava ascoltando, Blaine invece sembrava troppo rapito dal piccolo fiorellino che stava disegnando sopra la spalla sinistra di Kurt. Era talmente concentrato da parere surreale, e Kurt non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo viso.
Recuperò un po’ di giallo e disegnò delle stelle al centro dello stomaco, poi si spostò verso l’alto, tracciando un sole stilizzato. Alzò gli occhi per incontrare quelli di Kurt, che rabbrividì appena quando si rese conto di quanto esattamente fossero vicini.
Kurt vide Blaine abbassare leggermente lo sguardo, che scivolò lentamente sulle sue labbra. Il ricciolo si morse brevemente il labbro inferiore, avvicinandosi a Kurt con un minuscolo, impercettibile sorriso, almeno finchè un colpo di tosse non li riportò alla realtà.
Dall’imbarazzo i colori a tempera caddero dalle mani di Blaine e si infransero sul legno per terra, fortunatamente senza sporcare nulla. Sia lui che Kurt si abbassarono all’unisono per raccoglierli, e così facendo le loro fronti si scontrarono a metà percorso. Finirono per scoppiare a ridere, mentre Will sembrava ancora in preda a una tosse piuttosto consistente dietro di loro. Quando tutti e tre si furono ripresi, Will ridacchiò.
“Quando te la senti ricomincia pure, Blaine. Ancora un minuto, poi ti lascio riposare.”
Blaine sorrise leggermente a Kurt, e si allontanò un secondo per recuperare l’unico colore che non aveva ancora usato, il rosso. Ne cosparse una buona quantità sul palmo della mano destra, l’unico punto che non aveva ancora sporco, e scelse di disegnare un cuore all’altezza del petto di Kurt. Kurt rise, immergendo gli occhi in quelli di Blaine. Sollevò una mano per accarezzargli la guancia, e come per istinto Blaine coprì il suo polso con le dita, dimenticandosi che era ancora sporco di tempera.
“Oh.”, soffiò Kurt ridacchiando, osservandosi il polso completamente sporco di rosso. “Beh, direi che stasera mi aspetta una bella doccia.”, borbottò, grattandosi parte della guancia con lo stesso polso e ridendo al contempo. Raccolse parte del colore con le dita, sporcandosi anche parte della gola – sperava di riuscire a toglierlo, ma in realtà stava solo peggiorando la situazione e finì per scoppiare a ridere. Si rese conto troppo tardi di Blaine.
Aveva gli occhi spalancati e fissi sul colore rosso; tramava con una piccola fogliolina e stava indietreggiando. La risata di Kurt gli si smorzò nella gola e sentì il cuore precipitargli nello stomaco – il rosso. Era il rosso ad avere quell’effetto su Blaine. Strofinò le mani sporche di colore sui jeans cercando di pulirle e fece un passo verso Blaine, che indietreggiò a sua volta.
“Piccolo – sono io.”, sussurrò, alzando le mani e pregandolo con gli occhi di credergli. “Sto bene, è solo – tempera. Solo tempera.”, mormorò. Blaine si strinse nelle braccia, un piccolo singhiozzo che abbandonava le sue labbra mentre chiudeva gli occhi, e Kurt ne approfittò per fare un passo avanti e raccoglierlo tra le braccia. “Va tutto bene.”, soffiò, stando attento a non sporcarlo troppo, posando le labbra sul suo orecchio. “Tutto bene, stai bene. Sei qui con me.”, mormorò, e piano piano le dita di Blaine si fecero più presenti ancorandosi ai suoi bicipiti. “Così bravo, fogliolina.”
Kurt sentì Will avvicinarsi a loro preoccupato, e lo osservò da sopra la testa di Blaine, continuando a cullarlo. “Ci penso io.”, disse semplicemente, sorridendogli. Will lo ringraziò tacitamente, mimandogli con la bocca che, quando Blaine sarebbe stato pronto, poteva andare a riposare.
Si resero conto che il sole era tramontato semplicemente perché a un certo punto era sceso il buio nella stanza. Blaine si staccò da lui, racimolando gli ultimi residui di colore che aveva sulle mani, e scrisse qualcosa sul petto di Kurt, Resta.
Kurt gli baciò la fronte, e quello valeva più di mille parole.
 
Kurt si lavò sorprendentemente in fretta, togliendo con cura ogni residuo di tempera rossa sul suo corpo, e aspettò impaziente che anche Blaine si lavasse. Quando questo tornò nella stanza, Kurt lo aspettava rannicchiato nel suo lettino. Gli permise di distendersi parzialmente sul suo corpo, e li coprì con la coperta leggera che forniva l’istituto. Gli baciò la testa.
“Sai che dovrò andarmene, vero?”, soffiò a un certo punto. “Se domani mattina mi scoprissero non passeremo un bel momento.”
Blaine annuì tra le sue braccia.
“Posso aspettare che ti addormenti, però. È un buon compromesso, vero?”
Blaine annuì di nuovo. Sembrava stanchissimo, e Kurt era certo lo fosse per la giornata piena di emozioni, per lo spavento preso poco prima. Gli accarezzò le spalle, i riccioli morbidi.
“Sai, uhm – venerdì prossimo mio padre farà questa grigliata.”, borbottò Kurt, assurdamente imbarazzato. “Verrà la donna che sta frequentando, Carole, e anche suo figlio Finn. Ma devi ancora scoprire la parte migliore, Finn è il ragazzo di Rachel! Quanto è piccolo il mondo?”, borbottò. Sentì Blaine muoversi e cercò il suo sguardo, trovandoselo a un insignificante distanza, e perdendosi in quegli occhi dorati. “Vienici con me, ti va?”
Blaine sollevò le dita, tracciando alcune lettere sul suo petto, Non lo so.
Kurt tornò a guardarlo. “Di che hai paura, piccolo?”
Fu la volta di Blaine di arrossire. Di tutto. Di non piacere alla tua famiglia.
“Come potresti mai non piacere alla mia famiglia?”, chiese Kurt alzando gli occhi al cielo. Gli occhi di Blaine erano ancora preoccupati, e per questo Kurt capì. “Va bene, va bene. È lo stesso se non te la senti. È solo – volevo sapessi che quando mio padre mi ha chiesto di portare qualcuno ho pensato a te, naturalmente. Perché vorrei averti sempre accanto.”
Blaine sorrise leggermente. Immerse il volto nell’incavo del collo di Kurt, e dopo pochi istanti scrollò le spalle e scrisse qualcosa. Va bene, verrò.
Kurt rise più forte. “Sì!”, esultò in silenzio, accarezzando i capelli di Blaine con più decisione. “Andrà tutto bene. E poi –”, spiegò, arricciando le labbra in un sorriso. “Ci sarò io con te, lo sai.”
 
Quando Kurt passò a prendere Blaine venerdì sera, sembrava un principe uscito dal libro delle fiabe. Aveva acconciato i capelli con un leggero strato di gel; indossava pantaloni attillati con una camicia morbida e le maniche arrotolate fino a metà braccio. Fresco, incredibilmente giovane e - meraviglioso.
Kurt ci mise qualche minuto buono per recuperare le parole, ma alla fine lo raccolse in un caldo abbraccio. Promise a Will che lo avrebbe riportato indietro entro la mezzanotte, e poi si allontanò dall’istituto guidando fino a casa. Kurt vedeva Blaine continuamente agitato sul sedile della macchina, irrequieto mentre guardava fuori dal finestrino e passava le dita sulle proprie ginocchia; Kurt a un certo punto allungò la mano e intrecciò le dita alle sue, cercando i suoi occhi. Non ebbe nemmeno bisogno di parlare, gli fece capire con gli occhi che ci sarebbe stato per lui quella sera, e Blaine si rilassò all’istante.
Quando arrivarono, Carole e Burt stavano aspettando loro in giardino. Si persero in abbracci e Blaine scoppiò a ridere ben due volte grazie alle battute pronte di suo padre, cosa per cui Kurt fu infinitamente grato. Rachel coinvolse Blaine in un veloce abbraccio, complice il fatto che si fossero già conosciuti (alla fine, Kurt l’aveva fatta cedere e lei gli aveva confessato tutto) e Blaine strinse con piacere anche la mano di Finn.
Si sedettero vicini, durante la cena. C’era un’aria piacevole quella sera, giusta per poter mangiare all’aperto cibi caldi. Nonostante Blaine non potesse parlare, era estremamente attento alle conversazioni e Kurt lo faceva intervenire chiedendogli il suo parere, che si impegnava a scrivere sui post-it che si portava costantemente dietro. All’inizio Blaine si era sentito leggermente in imbarazzo, ma col passare del tempo si era reso conto che famiglia di Kurt era estremamente gentile e di buon cuore. Non lo avrebbero mai giudicato. E ogni volta che non riusciva a esprimersi come voleva, Kurt allungava un braccio dietro alla sua schiena e lo aiutava.
Kurt si era reso conto che c’era qualcosa di diverso, quella sera. Blaine non smetteva di guardarlo ed arrossire, ogni volta che le loro dita si sfioravano sussultava distogliendo lo sguardo, eppure – era perfetto. Perfetto in ogni cosa che faceva, e Kurt non poteva negarlo.
Sparecchiarono tutti insieme, e a fine sera concordarono all’unisono di spostarsi sotto il portico per via della temperatura che si stava abbassando. Kurt e Blaine presero posto su un divano di vimini, Finn e Rachel si sistemarono su una sdraio, mentre Carole e Burt si sedettero sue due poltrone. Bevvero del thè parlando di tutto e facendo qualche partita a carte, fino a che a un certo punto Kurt sentì un peso sulla spalla; voltandosi si rese conto che Blaine si era praticamente addormentato addosso a lui, e sorrise teneramente.
“Mi sa che vi abbandonerò.”, mormorò, osservando gli occhi chiusi di Blaine e riferendosi alle carte. “Se mi muovo troppo potrei svegliarlo.”
Burt e Carole sorrisero all’unisono, inteneriti; portarono via le carte e le tazze con l’aiuto dei ragazzi, mentre Kurt dava un’occhiata a Blaine. Lo vide muoversi contro di lui in cerca di calore, per quel motivo si spostò da lui per permettergli di rannicchiarsi completamente sul divano, e andò a recuperare una coperta da casa sua, posandola sul suo corpo. Trascinò una delle due poltrone lì vicino per continuare a vegliare su di lui. Pensò che fosse un momento perfetto per fumare una sigaretta, ma non voleva far respirare a Blaine quella robaccia, quindi finì per guardarlo dormire, un’alternativa decisamente migliore.
Sentì la porta di casa aprirsi e chiudersi. Rachel lo raggiunse, con ora addosso una giacca di jeans che le copriva le esili spalle. Prese posto sull’altra poltrona, sorridendogli ampiamente.
“Allora.”, esordì lei. “State insieme.”
Kurt si morse pianissimo il labbro inferiore. “Non lo so. Forse. Credo di sì.”, borbottò, scrollando le spalle. “Dobbiamo ancora, uhm…”
Rachel ridacchiò dolcemente. “Tesoro, è sempre meglio aspettare per quel tipo di passo.”
Kurt vide i suoi occhi e intuì che Rachel aveva frainteso tutto. “No, non hai capito – non parlo di quel tipo di passo.”, borbottò arrossendo. “Stavo per dire che dobbiamo ancora fare il più semplice dei passi.”
Rachel aggrottò la fronte.
“Non l’ho ancora baciato.”, soffiò Kurt. Non sapeva dire perché avesse detto così. Tecnicamente, anche Blaine avrebbe potuto baciarlo in qualsiasi momento. Solo – quando si immaginava quel momento, voleva che Blaine fosse assolutamente convinto di quello che faceva. Avrebbe rispettato ogni sua piccola scelta.
Rachel raccolse le proprie ginocchia al petto, rannicchiandosi contro lo schienale della poltrona. “Tesoro – dopo tutto quello che Blaine ha passato credo che – stia solo cercando di capire se è pronto a dare qualcosa di così importante a qualcuno.”, mormorò. “Ha perso tutti quelli che amava.”
“Lo so.”, disse pianissimo Kurt. “Ma questo non vuol dire che perderà anche me.”
“Ma questo lui come fa a saperlo?”, chiese Rachel sorridendo. “E’ più che legittimo che abbia paura.”
Kurt a quel punto allungò le dita, accarezzandogli pianissimo una tempia e attorcigliando un dito a un suo riccio. “E io cosa posso fare per fargli capire che non deve averne?”
Rachel abbassò lo sguardo. “Continua a fare quello che hai fatto fino ad ora.”, gli disse semplicemente. “Sul serio, Kurt – vi osservavo, a cena. Siete una cosa sola. Non credo di aver mai visto niente del genere. Lui è per te è come una melodia imparata a memoria, ma che continua a emozionarti. Non credo che esista qualcosa di abbastanza forte da farvi separare.”
Rachel a quel punto si alzò, lasciando a Kurt un bacio sulla testa. “Torno dentro. Finn si starà chiedendo che fine ho fatto.”
Kurt annuì, seguendo il suo esile corpo mentre si rifugiava in casa. Ebbe a malapena il tempo di voltarsi verso Blaine che sentì questo muoversi contro la sua mano. Si voltò, sorridendogli appena, il calore di quel sorriso che gli faceva male allo stomaco per quanto fosse reale.
“Ehy.”, soffiò. “Ti ho lasciato dormire, mi dispiaceva svegliarti. Conoscendoti ti sei rigirato tutta la notte solo perché eri agitato per stasera.”
Blaine si tirò su a sedere, avvolgendo il proprio corpo con le braccia. Estrasse matita e post-it dalla tasca. Sul serio, come fai a saperlo? Eri in camera mia?
Kurt a quel punto scoppiò a ridere. “Non c’era bisogno che ti agitassi così tanto. La cena è andata benissimo, mio padre e Carole ti adorano.”, disse. “Come potrebbero non farlo.”
Blaine abbassò lo sguardo mentre arrossiva, grattandosi un braccio con nervosismo. Lo vide mordicchiarsi il labbro nervosamente, per poi scrivere alla rinfusa qualcosa sul post-it. Quello lo accartocciò, poi ne scrisse immediatamente un altro, che piegò in qualche pezzetto. Glielo diede, ma poi lo ammonì con lo sguardo. Kurt aggrottò la fronte e fece per aprirlo, ma Blaine glielo strappò via dalle mani. Mosse la testa in un secco no, e Kurt sembrò capire.
“Non vuoi che lo apra.”, borbottò sarcasticamente. Blaine annuì, poi mosse le dita in un gesto eloquente. “Vuoi che aspetti che tu non ci sia.”, disse piano Kurt, e Blaine annuì prontamente. Si mise una mano sul cuore, alzando un sopracciglio.
“Te lo prometto.”, borbottò Kurt, alzando gli occhi al cielo. “Adesso però devo portarti all’istituto, va bene?”
Blaine annuì leggermente, strofinando gli occhi con i pugni chiusi. Salutò cordialmente tutti quanti con un abbraccio, e poi lasciò che Kurt lo riportasse all’istituto.
Si perse per diversi minuti tra le sue braccia prima di lasciarlo andare, e gli indicò la tasca della giaccia, come a dire, Ricordati del bigliettino.
La prima cosa che fece Kurt quella sera quando tornò a casa, fu scartarlo.
Perse un battito di cuore.
Ho sognato che mi baciavi mentre dormivo.
Vorrei tanto fosse stato reale.
Il bigliettino di carta scivolò dalle dita di Kurt, che sorrise tra sé e sé.
Un passo alla volta, si disse, mentre il cuore batteva fortissimo nel suo petto.
 
*
 
Qualche giorno dopo, mentre Kurt e Blaine stavano guardando nella stanza di quest’ultimo per l’ennesima volta il film della Bella e la Bestia, Will venne a chiamare Kurt. Blaine cercò i suoi occhi allarmato, ma Kurt lo rassicurò dicendogli che non era successo niente – seguì Will quindi nel suo studio, trovando qui la terapista di Blaine. Era una donna di mezza età e di colore, burbera con tutti quelli che incontrava e piuttosto severa coi propri pazienti.
Kurt non capiva. Non capiva perché quella donna cominciò a parlargli fitto fitto di tutti i progressi che Blaine aveva fatto da quando lui era arrivato, che per questo gli sarebbe stata sempre grata, ma poi – cominciò anche a dirgli che il suo aiuto non serviva più. Che nonostante tutto Blaine non aveva ancora ricominciato a parlare, e che per quel motivo i minuti passati insieme a Kurt erano uno spreco di tempo prezioso che Blaine avrebbe dovuto usare per sé stesso e la propria guarigione.
Kurt cercò gli occhi di Will, che sembrava affranto quanto lui.
“Io non lo lascio.”, disse Kurt senza molti giri di parole.
Will si passò entrambe le mani sugli occhi chiusi, mentre la terapista di Blaine iniziò ad alzare la voce. Kurt, in tutta risposta, alzò la sua ancora di più. Ovvio che perse il controllo – non era mai stato bravo ad averlo, e in quel momento si trattava di Blaine, la sua fogliolina –
“Lei gli ha fatto da terapista per quanto – mesi, e non è riuscita a fare un cazzo. Io l’ho fatto – fatto colorare, l’ho portato fuori, l’ho accompagnato ad andare a trovare la sua sorellina nonostante non ci sia più attenendomi al vostro stupido piano – e adesso mi chiedete di lasciarlo andare così?”
La dottoressa a quel punto assottigliò le palpebre. “Non lascerò che una cotta adolescenziale intralci la guarigione del signor Anderson, mi dispiace. Non potrà più vederlo.”
Kurt cercò gli occhi di Will, praticamente disperato. “La prego, faccia qualcosa –”
“Janette.”, soffiò Will, in un ultimo disperato tentativo. “Blaine sta – sta meglio da quando c’è Kurt. Se separiamo l’uno dall’altro, creeremo una voragine in entrambi. E perderemo Blaine. Davvero vuole questo?”
La terapista a quel punto puntò un dito verso Kurt, rivolgendosi a Will. “Se tiene lui, perde me. Non ho intenzione di continuare a lavorare in un posto in cui sono ammessi dei delinquenti –”
“Ho capito, ho capito.”, soffiò Kurt, alzando le braccia. “Sa che le dico – vaffanculo. Non è colpa mia se non è stata in grado di lavorare bene con Blaine –”
“Insultami un secondo di più e chiamo la polizia, ragazzino.”, ringhiò lei. Kurt a quel punto raccolse un raccoglitore di matite e lo lanciò sul pavimento in modo che facesse più rumore possibile, e poi corse verso la camera di Blaine. Lo trovò a gambe incrociate sul letto, gli occhi spalancati e il labbro inferiore tra i denti.
Kurt si passò entrambe le mani tra i capelli, mentre sentiva calde lacrime solcargli le guance. Cominciò a camminare avanti indietro, mentre la televisione davanti a loro era bloccata sulla scena del ballo tra la Bella e la Bestia.
“Quella stronza della tua terapista vuole –”, singhiozzò, aggrappandosi all’armadio di Blaine così forte da farsi venire le nocche bianche. “Vuole che me ne vada. Dice che stiamo sprecando solo tempo, e che tutto quello che usi con me lo dovresti impiegare con lei. Per ricominciare a parlare.”
Blaine si strinse nelle proprie braccia, facendosi immensamente piccolo su quel letto. Kurt lo osservò con il cuore a pezzi, respirando a fondo e cercando di calmarsi, con una voglia tremenda di annullare la loro distanza e stringere Blaine fino a che sarebbero entrambi rimasti completamente senza fiato.
Chiuse gli occhi per un singolo secondo, poi andò a sedersi sul letto con passi lenti e calcolati. Blaine non osava guardarlo.
“Non voglio perderti.”, disse Kurt, semplice, senza doverci pensare, la voce che tremava barcollando in certi punti. “Vorrei avere tutta la forza del mondo per impedire che mi portino via da te, ma – forse hanno ragione, capisci? Forse il mio è solo un comportamento da egoisti e – ti sto portando via tutto questo tempo che potresti usare per guarire.”, Kurt allungò una mano, fece per sfiorare un polso di Blaine, ma si tirò indietro. Quando parlò, la sua voce era quasi inudibile. “Lo sai che lo farei.”, soffiò. “Lasciarti andare. Solo – ti amo – ti amo da morire. E a volte vuol dire anche questo, no? Essere abbastanza forti da lasciarti andare. Lo farei. Farei qualsiasi cosa, Blaine.”, mormorò, lasciandosi scappare un singhiozzo. Vedendo che Blaine non intendeva fermarlo, Kurt si sporse in avanti per posare le proprie labbra sulla sua fronte. Rimase immobile per un tempo che gli parve infinito, respirando la sua pelle e pensando che non poteva davvero finire così, non dopo tutti i loro sforzi, non quando lo amava così tanto.
Ma forse era quello ciò che significava essere forte per entrambi.
Dopo diverso tempo fece per alzarsi – ma proprio allora Blaine allungò una mano verso di lui, bloccandogli il polso. I suoi occhi erano spalancati e leggermente umidi, tuttavia decisi, le sue labbra stese in una linea netta.
Kurt sentiva il cuore tremare nella gola.
Vide Blaine schiudere le labbra leggermente, la bolla di pelle del labbro inferiore scontrarsi dolcemente con quella del labbro superiore per una, due, tre volte di fila, e non successe niente. Finchè non successe qualcosa.
“N-o.”
Kurt credeva di aver sentito male. Aveva passato così tante notti a sognare che Blaine parlasse, che per un attimo credette che quello fosse un meraviglioso, travagliato sogno. Sbattè le palpebre diverse volte per assicurarsi che quella fosse la realtà, ma trovò Blaine ancora lì di fronte, completamente a fuoco.
“Blaine?”, soffiò Kurt, calde lacrime che abbandonarono i suoi occhi.
Vide Blaine deglutire, prendere un bel respiro. “Ho det-to no.”, soffiò pianissimo, così piano da sembrare la voce di un fantasma. Ma era vero, era reale, Blaine stava parlando. “Io voglio restare con te.”
In mezzo al disastro di lacrime, Kurt trovò la forza di sorridere. Crollò sul letto accanto a Blaine, allungando le mani verso il suo viso e piangendo a dirotto, come era convinto di non sapere più fare. “Certo.”, singhiozzò, cercando di riprendere fiato. “Certo amore mio, certo che rimango. Rimango.”, mormorò, trascinando Blaine contro il suo petto, e continuando a piangere fino a quando sentì di non avere più alcuna forza.
 
*
 
Il giorno dopo Kurt si presentò comunque all’istituto, senza seguire minimamente quello che gli aveva detto la terapista di Blaine. Si diresse nell’ufficio di Will, incontrando i suoi occhi tondi e perennemente all’erta.
“So che non dovrei essere qui.”, esordì, sollevando le mani verso di lui. “Solo – ieri è successa una cosa, e volevo che lei fosse il primo a saperlo.”
William gli concesse un ampio sorriso. “So già tutto.”, mormorò, infondendogli sicurezza con le sue parole. Kurt deglutì, non riuscendo a nascondere il sorriso che stava nascendo sulle sue labbra.
“Blaine gliene ha parlato?”, chiese con gli occhi che brillavano, ma Will gli fece di no con la testa.
“Me lo ha spiegato stamattina, con alcuni post-it. Non ha usato le parole, no.”, spiegò con calma, versandosi un po’ di tè in una tazza. Kurt sentì il proprio cuore scivolargli nello stomaco.
“Ma…”, soffiò, incredulo. “Ieri – ieri ha parlato. Posso giurarlo, signor Schue, lei deve credermi –”
“Ma io ti credo, Kurt.”, mormorò William, sorridendogli in modo confortante. “Solo – non possiamo aspettarci che ora Blaine torni a parlare da un momento all’altro. Un passo alla volta. Tornerà ad usare la parola con calma.”
Kurt si mordicchiò il labbro inferiore – effettivamente avrebbe dovuto pensarci che per Blaine non sarebbe cambiato tutto da un momento all’altro. Era un processo che richiedeva tempo. Per questo si fece la promessa che ci sarebbe sempre stato per lui, dall’inizio alla fine.
“Kurt, io –”, Will si passò una mano tra i capelli, ridacchiando appena. “Io non so davvero come ringraziarti. Senza di te, temo che non saremmo mai riusciti ad aiutare Blaine. C’era questo blocco, e tu – tu sei riuscito a superarlo. Chi lo avrebbe mai detto.”
Kurt sorrise. Già, chi lo avrebbe mai detto che il ragazzo che non sapeva più come sorridere avrebbe aiutato il ragazzo senza voce.
Fece per lasciare la stanza, ma Will lo bloccò di nuovo.
“Volevo solo farti sapere che ho licenziato la terapista di Blaine.”
Un ghigno piuttosto inopportuno – ma sicuramente necessario – sporcò il viso di Kurt. “Può farlo?”
Certo che posso farlo.”, borbottò Will, ridacchiando sommessamente. “Se mi stai chiedendo se posso permettermelo – quello no. Ma risolverò ogni cosa al più presto possibile, te lo prometto.”
Kurt annuì, e non appena ebbe lasciato la stanza un vago sorriso si impadronì delle sue labbra. Qualche mese prima non avrebbe mai, mai potuto pensare che lui e William avrebbero mai trovato un punto d’incontro su qualcosa – adesso, era quasi certo di aver trovato un amico.
Una persona disposta ad ascoltarlo.
 
*
 
Kurt finse di non fremere ad ogni suo incontro con Blaine – le dita che tremavano e la voce impaziente – solo perché aspettava che parlasse da un momento all’altro.
Ma non funzionava così, esattamente come aveva detto Will. Così tornarono alle loro abitudini, ai colori a cera e ai fogli bianchi, e gli inseparabili post-it.
Un giorno, quando Kurt lo raggiunse in camera, trovò Blaine seduto sul letto, le guance inspiegabilmente rosse e la scatola di colori tra le sue gambe incrociate. Kurt alzò un sopracciglio con grazia, indicando la scatola e poi lui – di solito non coloravano nella stanza di Blaine, ma era sempre pronto ad accogliere i cambiamenti.
Blaine raccolse la propria matitina di legno e cominciò a scrivere qualcosa, che poi mostrò a Kurt.
Ricordi quando ti ho…oh, è imbarazzante. Quando ti ho colorato la pelle. Ti ricordi?
Kurt si mordicchiò il labbro inferiore, per evitare che Blaine vedesse il suo accennato sorriso.
“Come dimenticarmi.”, soffiò, e le guance di Blaine divennero ancora più rosse. Si affrettò a scrivere qualcosa di Blaine.
Ti andrebbe di – insomma, non devi farlo se non vuoi. Ma – mi piacerebbe invertire i ruoli. Ti va?
Quando Kurt finì di leggere le parole i suoi occhi scivolarono in quelli di Blaine, concentrati ed attenti. Si leccò appena le labbra, sentendo qualcosa di denso muoversi al livello del proprio stomaco.
“Sei logorroico anche attraverso un foglietto, lo sai?”, sussurrò, alzandosi per scompigliargli i capelli. Blaine sorrise appena, senza mai distogliere lo sguardo. “Va bene, facciamolo.”, disse Kurt scrollando una singola spalla. “Dove mi devo mettere?”
Blaine scivolò leggermente davanti e gettò un’occhiata dietro di sé, e Kurt capì. Fece in modo di sistemarsi dietro il suo corpo, appoggiando la schiena contro lo schienale in legno scuro del letto. Blaine aprì la scatola e cominciò a frugarci dentro, recuperando un flacone di colore azzurro, e lo porse a Kurt.
“Credo tu ti stia dimenticando qualcosa.”, mormorò Kurt vicino al suo orecchio. Afferrò i bordi della maglietta di Blaine, che allarmato ruotò il capo verso di lui. Kurt mantenne il contatto visivo per capire se era qualcosa che poteva fare, e alla fine Blaine si rilassò e lasciò che gli sfilasse l’indumento. Kurt lo vide rabbrividire appena a contatto con l’aria fresca della stanza, ma si fece più vicino a lui per infondergli più calore possibile.
Raccolse un po’ di colore dal tubetto, spalmando il liquido tra le dita e chiedendosi per un singolo istante cosa stesse facendo – ma quando appoggiò la punta delle indice sulla spalla destra di Blaine, capì che non era mai esistito nulla di più semplice. Sorrise, persino, divertito dalla curva che stava creando nel formare un fiore che aveva tutta l’aria di essere malconcio.
“Non sono bravo come te.”, offrì come scusa. La pelle di Blaine scottava sotto le sue dita; era liscia e ricca di nei sulla parte inferiore della schiena e sulle spalle, e c’era una piccola voglia rotonda sul punto più alto della spina dorsale, color caffelatte. La usò come spunto per creare una tazzina dal quale usciva del fumo, e poi chiese a Blaine di passargli il colore verde, e con quello disegnò prati, steli di fiori, foglie. Il respiro di Blaine era regolare eppure leggermente pesante, a volte, quando il tocco di Kurt si faceva più attento e le sue dita spingevano contro alcuni nodi.
Blaine gli prestò poi il giallo, e con quello Kurt segnò appena i suoi fianchi, continuando una linea immaginaria che finiva verso lo stomaco, a contatto dall’ombelico. Blaine a quel punto si agitò appena, gettando la testa di lato e prendendo un profondo respiro, e a quel punto Kurt lo strinse fortissimo dalla nuova angolazione che avevano trovato, e gli baciò la testa, il punto dell’attaccatura dei capelli, la sua gola esposta.
If you gave the chance, I could take it.”, soffiò Kurt, mentre respirava i capelli di Blaine, sorridendo. “It’s a shot in the dark, but I’ll make it.”, continuò Kurt, stavolta alzando la voce. Le sue corde vocali vibrarono appena, facendo ascoltare a Blaine per la prima volta che era in grado di cantare. “Know with of all of your heart you can’t shake me.”, a quel punto Blaine ruotò il capo verso di lui, per poterlo guardare negli occhi. Sembrava – letteralmente senza fiato, gli occhi pieni di vita e di luce e di speranze di qualcosa che stava andando finalmente per il verso giusto. Per la prima volta, non c’era traccia di paura. “When I am with you there’s no place I’d rather be.”
Gli occhi di Blaine scivolarono quasi troppo velocemente sulle labbra di Kurt, un minuscolo sorriso che colorava il suo volto incredulo e pieno di emozioni e, come sempre, senza che ci fosse il bisogno di dire nulla, si avvicinarono facendo incontrare le loro labbra esattamente al centro.
Blaine incastrò le dita con quelle di Kurt, che erano ancora attorno al proprio stomaco; cercò di prendere familiarità con le sue labbra nonostante fosse la primissima volta che conosceva il significato della parola bacio. Sentì la stessa sensazione che avrebbe sentito chiunque se fosse caduto in un enorme, infinito buco nero, eppure percepiva comunque le braccia di Kurt tenerlo stretto e ancorato alla realtà.
Kurt a un certo si spinse più completamente contro di lui – non voleva forzare i tempi, voleva solo che Blaine lo sentisse – e schiuse leggermente le labbra, Blaine che ne approfittò per fare lo stesso, sentendo lo stomaco tradirlo ribaltandosi come mai era successo prima. Quando Blaine assaggiò appena la sua lingua Kurt si concesse un minuscolo, basso mugolio, mentre le sue dita correvano tra i ricci di Blaine e si appoggiavano delicatamente sul suo mento per trascinarlo più vicino – Sono qui, solo qui per te, sentiti al sicuro.
Kurt aveva baciato un sacco di ragazzi e aveva fatto una buona quantità di sesso nella sua vita – ma nulla, mai un momento nei milioni che aveva sprecato era paragonabile a quello. Chiuse gli occhi più che poteva imprimendosi dentro tutto quello che stava provando, finchè sentì Blaine muoversi tra le sue braccia e sollevò le palpebre solo per rendersi conto che adesso Blaine era inginocchiato di fronte a lui e aveva raccolto con le dita il bordo della sua maglietta, mentre si torturava il labbro inferiore. Il cuore di Kurt fece una capriola di fronte alla sua tenerezza, e naturalmente lasciò che Blaine raccogliesse il suo indumento e lo gettasse via.
I baci continuarono – Kurt perse il conto dei secondi, dei minuti, delle ore. Fu la prima volta da quando erano insieme che non riuscirono a vedere il tramonto – ma alla fine, pensarono che comunque ne era valsa la pena. Scivolarono sul letto senza mai lasciarsi, le loro mani che si rincorrevano intrecciandosi esattamente come i loro corpi, almeno fino al momento in cui Kurt capì che tutto quello stava diventando troppo per entrambi, e che c’era solo un modo in cui poteva finire, e allora si fermò, raccogliendo il volto di Blaine per baciarlo con estrema lentezza.
C’era un intero mondo dentro i suoi occhi, qualcosa di tremendamente puro che lui aveva il privilegio di custodire – e per la prima volta, Kurt capì che era nei momenti come quelli in cui le parole non erano così fondamentali come si credeva.
 
*
 
Si resero conto che scoprire il mondo dei baci fu come una sorta di – maledizione. O benedizione, a seconda di come la volevano vedere.
Non riuscivano a farne a meno – Kurt faceva una sorpresa a Blaine, Blaine si sentiva in dovere di annullare la loro distanza e baciarlo piano, comprimendo insieme le loro labbra. Blaine disegnava qualcosa di particolare sul foglio, Kurt allora afferrava i suoi ricci dolcemente e se lo trascinava vicino per coprire le sue labbra con le proprie. Si baciavano all’inizio del pomeriggio, quando Kurt arrivava; durante i tramonti, perché era semplice, e ancora dopo, quando Kurt lo lasciava andare, in una routine che ogni giorno si trascinava dietro guance rosse e dolci sorrisi.
Blaine stava diventando più forte giorno dopo giorno, i suoi sorrisi si erano colorati della bellezza del cielo, e Kurt lo amava come si amano le cose belle – i colori sfavillanti, i libri con le pagine consunte, le nuvole.
C’erano ancora le giornate difficili, le giornate in cui Blaine si rifugiava sotto le coperte e Kurt arrivava con il cuore che tremava leggermente e lo stringeva così forte da temere che le loro anime si spezzettassero insieme per trovare le angolazioni giuste e completarsi – e piano piano, andava meglio.
Blaine gli chiedeva spesso di cantare.
Si aggrappava con le proprie dita alla sua maglia e immergeva la testa nell’incavo del suo collo, baciandogli la gola esposta e ridendo, poi estraeva un bigliettino già pronto dalla tasca dei jeans, Canta per me.
Kurt ridacchiava imbarazzato – come quel giorno di primavera, appoggiati contro la ringhiera di un ponte che dava su un fiumiciattolo; Blaine lo aveva baciato e come di consueto gli aveva dato il biglietto. C’era stato silenzio, poi.
“Cosa vuoi che canti?”
Blaine lo guardò con occhi che avevano sapore del sole. Quello che vuoi. Scriveva sempre così, poi. Kurt avrebbe voluto sentire la sua voce, più di tutto. Avrebbe voluto sentirlo chiamare il suo nome, avrebbe voluto litigare con lui per il gelato da prendere, invitarlo a cena e sentirsi dire di sì – forse un po’ per quello lo baciò un po’ più forte. Da quando Blaine gli aveva detto quella manciata di parole, Kurt aveva sognato la sua voce tutte le notti.
Cantava ciò che gli tornava alla mente. Canzoni d’amore, per lo più, che parlavano di spensieratezza e di voglia di trovarsi e non lasciarsi più; Blaine scompariva tra le braccia e si lasciava cullare dalla voce più particolare che avesse mai sentito.
Quando poi Kurt finì di cantare, Blaine tracciò alcune lettere sul suo petto, il labbro inferiore bloccato tra i denti. Vorrei così tanto poter cantare con te, tracciò con la punta dell’indice, e Kurt annuì.
“Un giorno non lontano.”, disse, anche se non poteva esserne sicuro. “Te lo prometto.”, di nuovo, anche se non poteva esserne sicuro.
Ti prego, di’ qualcosa. Qualsiasi cosa, voglio solo – solo sentire la tua voce. Una volta, una singola volta, il resto non conta -
Blaine chiuse le proprie labbra sulle sue, come se sapesse. Come se volesse chiedergli scusa, e Kurt lo tenne così vicino da aver paura da sentirsi inutile, quando poi lo avrebbe lasciato andare.
 
*
 
Le cose si fecero complicate solo dopo.
Quando Kurt doveva mentire riguardo a Serena – agli inizi era stato difficile, guardare Blaine negli occhi e dovergli mentire. Ma adesso – adesso che lui e Blaine erano praticamente una cosa sola, era vicino all’impossibile.
E così almeno una volta al mese Kurt si ritrovava ad accompagnarlo all’orfanotrofio e raccoglierlo tra le braccia quando Serena era – troppo stanca per venirlo a trovare, o malata, o addormentata. E Blaine sembrava triste per qualche minuto, dopo inspiegabilmente tornava a sorridere – William gli aveva spiegato che era un modo che usava per difendersi, quello di non mostrare il suo dolore.
Un pomeriggio Kurt aveva trovato Blaine addormentato, e aveva voluto raggiungere Will e i medici per parlare proprio di quello – perché non ce la faceva più, perché non era giusto nei confronti di Blaine, perché mentire alla persona che più amava al mondo lo faceva sentire un verme, e aveva bisogno di liberarsi.
Non seppe nemmeno dire cosa successe – ma alzò la voce. Perse il controllo, e Will alzò la sua a sua volta per cercare di calmarlo, e ogni piccola cosa scivolò via dalle loro dita, irrecuperabile.
Nessuno si era reso conto che nel frattempo Blaine si era svegliato.
Nessuno si era reso conto che, in punta di piedi, si era messo dietro la porta a origliare, come farebbe chiunque per vedere perché le persone gridano. Blaine non pensò alle conseguenze, sentì solo la voce di Kurt, alta e fuori controllo, e dalla soglia della porta ascoltò ogni parola, sentendo le dita delle mani perdere consistenza e la testa svuotarsi.
Ha il diritto di sapere che Serena non c’è più –
Non ce la faccio più a guardarlo negli occhi e dirgli che lei sta bene e che un giorno la vedrà, perché non è vero –
Blaine si staccò improvvisamente dalla porta, coprendosi le labbra con le mani. C’era così tanta confusione nella sua testa, così tanta da fargli male; c’era solo un posto dove poteva andare per avere le sue risposte. Sapeva che era proibito andarci ma – aveva bisogno di sapere. Sentiva il cuore battergli nella gola mentre percorreva il corridoio per raggiungere lo studio di Will – c’era tutto buio dentro, c’erano fogli scribacchiati dappertutto. Blaine si gettò sul pavimento, le gambe che non riuscivano nemmeno più a sorreggerlo, e si trascinò vicino ai cassetti della scrivania. Aprì quello che su lato del legno chiaro segnava “A-N” e recuperò il proprio fascicolo, aprendolo con dita tremanti.
 
Blaine Anderson, diciassette anni, disturbi di mutismo selettivo, depressione.
Genitori, Pam e George Anderson e sorella minore, Serena Anderson, deceduti in un incidente stradale il ventisei di settembre del 2014.
 
Serena.
La sua Serena.
La sua bambolina –
Quando Blaine separò le labbra, un grido muto abbandonò la sua gola.
 
Quando Kurt tornò nella camera di Blaine e non lo vide, qualcosa di incredibilmente sgradevole e denso si mosse al livello del suo stomaco. Sapeva che Blaine non si sarebbe mai allontanato senza di lui – o che lo avrebbe cercato prima di farlo. Ebbe a malapena il tempo di cercare di capire cosa stesse succedendo che Will lo raggiunse; aveva il fiato corto e gli occhi sbarrati.
“Ho trovato –”, rantolò, stringendo una cartella di fogli tra le mani, “Ho trovato questa per terra, nel mio ufficio.”, disse poi. “Credo che Blaine abbia letto il suo fascicolo –”
A Kurt bastò un’occhiata al volto sconvolto di Will per capire cosa contenesse quel fascicolo, e non ebbe nemmeno la forza di raccoglierlo tra le dita. “Come è potuto succedere?”
William sembrava disperato quanto lui. “Devo essermi dimenticato di chiuderlo a chiave –”, borbottò, la voce che era un unico tremolio. “B-Blaine non si trova da nessuna parte e sarà – sarà sconvolto –”
Kurt si aggrappò a una spalla di quell’uomo, immergendo gli occhi nei suoi. “Vado a cercarlo. Avvisatemi se dovesse tornare.”, borbottò, la voce che suonò come un ordine più che come una richiesta gentile, e poi semplicemente corse via dall’istituto, nelle orecchie il suono della voce di Will che urlava, Trovalo, Kurt, ti prego.
Trovalo.
 
Kurt lo cercò per buona parte della giornata – il cuore nella gola e i palmi sudati delle mani – pregando un’entità in cui nemmeno credeva veramente che Blaine stesse bene, che fosse al sicuro da qualsiasi parte, che non avesse fatto qualcosa di assurdamente stupido.
Il sole stava tramontando, quando per caso Kurt passò davanti al ponte di qualche giorno prima, lo stesso posto in cui Blaine gli aveva chiesto di cantare per lui. I raggi di sole quel giorno quasi scottavano sulla pelle, la primavera era arrivata in tutta la sua potenza e bellezza, e proprio come un spruzzo di sole, Blaine si scagliava contro il cielo, in piedi sul cornicione.
Kurt si precipitò fuori dalla macchina – Blaine era immobile, sembrava incapace di muoversi, un piede leggermente spostato davanti all’altro e il corpo che tremava, e Kurt aveva paura, così tanta paura da credere di non riuscire a parlare.
“Blaine.”, disse, troppo piano, un rantolo soffocato. “Blaine –”, chiamò più forte, avvicinandosi a lui con le braccia tese in avanti, come un bambino che giocava a mosca cieca. “Scendi di lì amore mio.”
Blaine si voltò quasi immediatamente, ancorando le braccia attorno al proprio corpo. La sua guancia destra era segnata dal passaggio di una lacrima, e i suoi occhi erano gonfi e rossi, e suggerivano l’idea che fosse pronto per piangere davvero, ma sembrava che non avesse la forza.
Blaine non smetteva di guardarlo, e c’era un universo intero nelle sue iridi dorate, che sapeva un po’ di dolore e un po’ di Non ce la faccio davvero più, e per quello Kurt fece un altro passo.
“Troveremo un modo per superarlo. Insieme.”, soffiò, allungò una mano verso Blaine, un sorriso accennato che gli segnava le labbra.
Blaine lanciò un’occhiata alla sua mano, e una fugace al fiume davanti a sé. Era chiaro agli occhi di Kurt che non sapesse cosa stava facendo, che la paura stesse dominando ogni suo piccolo gesto.
“Blaine.”, lo chiamò più forte, perché aveva bisogno che lo ascoltasse. Aveva bisogno che scendesse di lì, che lasciasse che Kurt lo portasse via. “Fidati di me.”, soffiò pianissimo, le lacrime che lo tradivano per lo stress e la paura accumulati. “Prendi la mia mano. Ti prometto che dal momento in cui la prenderai – non ti lascerò mai solo. Mai. Non lo sarai mai più.”, disse, radi singhiozzi che abbandonavano la sua gola, facendolo sentire infinitamente fragile.
Blaine tornò a guardarlo a quel punto. Lì, tremava come la foglia più piccola e vulnerabile dell’albero, al cospetto della tempesta più grande di tutte.
Kurt chiuse gli occhi per un singolo istante, poi li riaprì, uno squarcio di cielo in mezzo alla tempesta. “Blaine, ti prego –”, soffiò pianissimo, sentendo lo stomaco spezzarsi in mille minuscoli pezzi. “Ho bisogno di te.”
Kurt capì di aver trovato le parole giuste nel momento in cui qualcosa, nel volto di Blaine, si infranse definitivamente. Lo vide crollare in mille pezzettini e cercare di ricomporsi per il tempo necessario di allungare una mano e avvolgerla attorno a quella di Kurt, e naturalmente lui lo trascinò giù in velocità, portandoselo vicino e stringendolo come non credeva di essere capace – e Blaine attraversò un momento in cui accolse un dolore così potente da essere capace di distruggere.
Kurt sperò di poter essere forte abbastanza da raccogliere un po’ di quel dolore e farlo suo. Tenne lo sguardo fisso sul tramonto mentre stringeva la sua fogliolina, pensando che in qualche modo, nonostante tutto, avesse trovato il modo di superare anche quella tempesta. Ne era uscita un po’ ammaccata, ma a volte è meglio andare avanti e portarsi dentro delle ammaccature, piuttosto che rimanere bloccati e credere che vada tutto bene.
 
Blaine non ebbe bisogno di chiedergli attraverso un post-it di rimanere, quella notte, perché Kurt lo avrebbe fatto comunque. E sempre.
Rimase con lui aiutandolo a cambiarsi tra le lacrime e i singhiozzi radi, perse la battaglia contro la sua testardaggine per farlo mangiare; e alla fine gli rimboccò le coperte, la mano che inevitabilmente si infrangeva contro i suoi bellissimi ricci.
C’era qualche lacrima incastrata tra le sue lunghe ciglia e le pieghe della pelle degli occhi, lacrime che Kurt si premurò di spazzare via con un debole sorriso. Poi incontrò finalmente lo sguardo di Blaine, perso eppure presente allo stesso tempo, e Kurt seppe per la prima volta che aspetto aveva una persona spezzata.
Stava per andarsene, quando Blaine si sollevò appena dal cuscino per posare le labbra sulle sue in un bacio che era un crescendo di emozioni – e chi era Kurt Hummel per negargli un bacio? Lo baciò di rimando, aggrappandosi ai suoi capelli e cercando di dimenticare per qualche istante tutto quello che era successo, immaginando di vivere in un mondo senza dolore e paure.
Blaine aprì appena gli occhi poi, si mordicchiò il labbro inferiore.
“Kur-t.”
Ci fu un soffio, non era niente di più. Kurt si separò fin troppo bruscamente da lui, per poterlo guardare negli occhi.
“Kurt.”, ripetè Blaine, il suono un po’ dolce e un po’ impestato ma che assomigliava a una melodia antica imparata a memoria.
“Sono qui.”, disse Kurt senza pensarci minimamente, stringendolo di nuovo, tutto da capo. “Sono qui, amore mio, sono qui.”
 
*
 
Kurt cercò di esserci per lui sempre, anche quando il sempre implicava svegliarsi nel cuore della notte con le urla di Blaine che gli si conficcavano nelle ossa, per colpa degli incubi.
Allungava le braccia e se lo teneva vicino, sussurrandogli tra i capelli parole a cui cercava di dare un senso. “Ci sono io, ti tengo io, lo so che fa schifo e mi dispiace ma ti prego, ci sono io, non sei solo. Mai solo.”
Blaine passava le giornate a letto, le mani conficcate nei capelli e il corpo stanco rannicchiato sul materasso; durante le giornate buone riusciva a mangiare qualcosa, in quelle cattive Kurt doveva sforzarsi di non scoppiare a piangere nel vederlo stare così.
Gli aveva chiesto di chiudere le finestre, perché non aveva voglia di vedere il sole sorgere. Per poi tramontare. I minuti scorrevano sulla pelle come ferite, e a Kurt era stato dato il compito di guarirle.
Un giorno Will gli chiese perché. Non aggiunse altro – solo “Perché?”, e Kurt capì, e gli concesse un sorriso ricco di malinconia.
“Perché quando ami un tramonto, ami anche quel momento in cui il sole sparisce.”, rispose.
I giorni passarono e si fece l’inizio di Giugno, l’ultimo anno di Kurt era quasi finito, e c’era ancora tutto un mondo da scoprire, là fuori.
“Voglio una tua foto.”, soffiò un giorno Kurt, accarezzando i capelli di Blaine. Il ricciolo era disteso su di lui, il volto incastrato tra l’incavo del collo e la spalla. “Sei la cosa più bella della mia vita. È normale volere una foto delle cose belle, no? Ci sono persone che vogliono foto di tramonti. Io voglio una foto in cui ci sei tu.”
Blaine strofinò il naso contro la sua pelle e strinse la sua maglietta di cotone bianco con forza.
Tracciò un Molto presto, sul suo petto. Poi cercò i suoi occhi, deglutì appena. “P-puoi –”, gracchiò. I suoi occhi dorati erano pieni di meraviglia. “La finestra.”
Kurt capì, ed andò ad aprire la finestra. Aspettarono il tramonto come ogni altro giorno, come se non si fossero mai fermati.
Poi Blaine si alzò sulle punte dei piedi e baciò Kurt così piano da fare male, e Kurt lo sentì sorridere appena contro le sue labbra, e pensò che in qualche modo tutto quello fosse un nuovo inizio.
 
*
 
Blaine posò le dita sul foglio di carta e lo avvicinò a Kurt, sbattendolo dolcemente contro il suo gomito.
C’era scritto, Perché non stai guardando il tramonto?
Kurt gli sorrise dolcemente. “Guardo te.”, disse semplicemente, e Blaine sollevò un sopracciglio. “Sei molto più bello di un tramonto.”
Le guance di Blaine diventarono rosse, ma Kurt non smise di guardarlo.
 
*
 
Un pomeriggio, Kurt stava preparando dei biscotti insieme a Carole – la sua intenzione era imparare a farli nel modo migliore per poi riuscire a portarli a Blaine. A un certo punto, le dita infarinate e con buona probabilità anche il naso, ricevette un messaggio. Si affrettò a lavarsi le mani mentre Carole gli lanciava un sorriso caloroso, come se avesse già capito di chi si trattasse.
 
Da: Blaine
17:04
Ti andrebbe di andare da qualche parte stasera?
 
Kurt alzò un sopracciglio, mordicchiandosi accuratamente il labbro inferiore, mentre sentiva un dolce calore annidarglisi nello stomaco.
 
A: Blaine
17:06
Pensavo di portarti da me, ho fatto i biscotti ;)
 
Da: Blaine
17:07
Sicuro che non vuoi andare da qualche parte? È venerdì!
 
A: Blaine
17:09
Mi basti tu. Il posto non importa.
 
Da: Blaine
17:11
Prima di me cosa facevi il venerdì sera?
 
A: Blaine
17:11
Non vuoi sul serio saperlo…
 
Da: Blaine
17:14
E invece sì!
 
A: Blaine
17:15
Feste, per lo più. Non avevo una compagnia esattamente raccomandabile. Ma lo sai che sono cose di cui non m’importa più, non da quando ho te.
 
Da: Blaine
17:16
E se io ti dicessi che vorrei venirci a una festa con te? Voglio provarci. Non sono un bambino. Ti prego, non trattarmi come tale.
 
A: Blaine
17:18
Non era mia intenzione farlo, mi dispiace se hai avuto questa sensazione. Possiamo andare, se è ciò che vuoi. Però prima ti porto qui e mangiamo i biscotti, chiaro?
 
Da: Blaine
17:19
Non volevo farti preoccupare. È okay per i biscotti. Grazie di essere sempre così - tu. <3
 
A: Blaine
17:21
Un cuoricino, sul serio?
 
Da: Blaine
17:22
Sei così antipatico!
 
A: Blaine
17:24
Scherzavo, piccolo. Sei sempre così adorabile. Ci vediamo stasera.
Ti amo
 
Da: Blaine
17:25
A stasera, amore mio
 
A: Blaine
17:28
Ha! Amo quando mi chiami così!
 
Da: Blaine
17:29
*///*
Finisci i biscotti Kurt, forza!
 
*
 
Il locale scelto da Kurt rimase tranquillo fino alla mezz’ora prima della mezzanotte; improvvisamente poi si affollò di persone sia adulte che adolescenti, con fiumi di alcool che passavano di mano in mano, spintoni e risate isteriche, caratteristiche tipiche del venerdì sera.
Il braccio di Kurt era ancorato al fianco di Blaine e se lo teneva stretto come se ogni minima persona che lo sfiorava potesse strappargli via un pezzetto di anima. Cercava così spesso i suoi occhi da averne imparato a memoria le sfumature dell’iride date dalle luci stroboscopiche - e ne leggeva comunque voglia di rimettersi in gioco, un pizzico di malizia, e immacolata perfezione.
La musica era così alta da essere intossicante, quasi irriconoscibile per la scarsa qualità dell’impianto, ma Blaine si muoveva comunque accanto a lui cercando di seguire il ritmo e aggrappandosi alle sue spalle, di tanto in tanto immergendo la testa nell’incavo del suo collo e sorridendo senza paure.
Kurt a un certo punto raccolse il suo volto e cercò le sue labbra in un bacio mozzafiato; Blaine in un primo momento rispose timidamente e gemendo pianissimo, ma poi prese familiarità e schiacciò il proprio corpo contro quello di Kurt per sentirlo più vicino, quasi compresso, nel fondersi e creare una cosa sola.
Quando si lasciarono andare Kurt lo accompagnò al bar a prendere qualcosa da bere, senza mai staccargli gli occhi di dosso. Blaine era abbagliante quella notte, un giovane ragazzo che scopriva la vita per la prima volta, spericolato e di una bellezza che toglieva ogni briciola di fiato, e Kurt sentiva il cuore nella gola ogni volta che pensava che quel ragazzo fosse suo completamente, ed era suo compito proteggerlo e tenerlo al sicuro.
Cercarono poi di farsi spazio tra la folla, e nel muoversi Blaine urlò per sbaglio la spalla di un ragazzo che di riflesso lo spinse via, e a quel punto Kurt vide – rosso rosso rosso, perché nessuno poteva fare del male alla sua fogliolina, nessuno poteva toccarlo in quel modo –
“Attento a dove cammini.”, borbottò quel ragazzo a denti stretti verso Blaine, che si fece infinitamente piccolo contro Kurt. “Che c’è, non mi chiedi nemmeno scusa?”, insistette, facendo un passo verso di loro. “Hai perso la lingua –”
Fu il turno di Kurt spingerlo via, e il colpo fu talmente forte da sbilanciarlo e farlo cadere a qualche metro da loro. “Non parlare così al mio ragazzo.”, disse Kurt semplicemente, circondando Blaine con le braccia. “Rompi i coglioni a qualcun altro.”
A quel punto Kurt trascinò Blaine lontano dalla pista, accarezzandogli un ricciolo per portarglielo dietro l’orecchio, e gli sorrise dolcemente. “Va tutto bene.”, gli disse dolcemente. “Non è successo niente, era - solo un coglione.”
Blaine si aggrappò alle sue spalle, ancora leggermente sconvolto e con la fronte aggrottata. Kurt notò che stava cercando di dire qualcosa, e posò due dita sotto il suo mento.
“Cosa c’è?”, chiese pianissimo, sfiorando con il pollice il suo labbro inferiore. Blaine fece scivolare lo sguardo su tutto il volto di Kurt, bagnandosi le labbra e abbozzando un sorriso.
“Gra-zie.”, sussurrò, accartocciando le dita attorno alla maglietta di Kurt. E lui – lui non riuscì a fare altro che far scontrare le loro labbra con assoluto bisogno, perché tutto quello che era in grado di fare era amarlo, tutto quello che faceva era amarlo, e non riusciva più a capire come smettere, e nemmeno lo voleva.
 
*
 
Era una sera come tante, un giorno in cui Kurt si era messo d’accordo con suo padre per andare a fare un giro – non lo faceva da una vita, e suo padre era così felice, così felice, e Kurt continuava a pensare che prima di Blaine quelle piccole cose nemmeno riusciva a farle - e si sentiva malissimo. Sperò che con il tempo suo padre potesse perdonarlo. Che si sarebbero perdonati entrambi. Non era colpa loro se la mamma se n’era andata, non era colpa di nessuno – e Burt aveva bisogno di lui, esattamente come Kurt aveva bisogno di suo padre.
Stavano ridendo, perché Burt non faceva altro che prendere in giro Kurt che quando nominava Blaine diventava più rosso di un peperone, e – fu più o meno in quel momento che il telefono di Kurt cominciò a squillare, interrompendo bruscamente il discorso.
Un vago sorriso colorava ancora le labbra di Kurt mentre afferrò il telefono e rispose senza curarsi di chi lo stesse cercando – dall’altra parte, c’era un miscuglio di voci indistinte, rumori forti e metallici, delle urla.
La voce di Will sembrava un fantasma. “Kurt.”, lo chiamò in uno sbuffo, sembrando sfinito. “C’è stato – un incendio qui, all’istituto.”
Il cuore di Kurt precipitò da qualche parte nello stomaco, la mente che si affollava di un solo pensiero Blaine Blaine Blaine Ti prego fa che stia bene Non posso perdere anche lui Blaine –
“Torna indietro.”, sbottò, puntando gli occhi sul volto di suo padre, che sembrò capire all’istante. “Torna indietro torna indietro devi andare all’istituto – devo trovare Blaine –”
 
Quando Kurt arrivò, trovò l’ala dell’istituto in cui si trovavano le cucine totalmente bruciata – era praticamente impossibile distinguere dove finissero le finestre e cominciassero le pareti. Il fumo annebbiava la sua vista e gli impregnava le narici, ma non erano cose su cui riusciva a concentrarsi – voleva trovare Blaine a tutti i costi. Intravide la maggior parte dei pazienti evacuati e sembravano stare bene; scorse alcune bruciature sui ragazzi che erano stati più lenti a scappare e si sentì – talmente male, e talmente impotente. I suoi occhi si riempirono di lacrime, proprio mentre Will lo scorgeva tra la folla e gli veniva incontro. In braccio aveva una bambina – Lily, ricordava fosse Kurt, la bimba che aveva perso la vista.
“Blaine –”, rantolò Kurt, rendendosi conto che doveva collegare il cervello alla bocca se voleva dire qualcosa che avesse un minimo senso. “Dov’è Blaine –”
“Dev’essere qui da qualche parte, sono usciti tutti.”, disse Will, guardandosi intorno con grande preoccupazione. “Trovalo, Kurt –”
Kurt lo superò senza aspettare oltre, guardandosi attorno con le dita che tremavano come mai prima di allora. Urlò il nome di Blaine così forte che temette di rovinarsi le corde vocali, ma nemmeno gli importava, perché aveva bisogno che stesse bene, aveva bisogno che arrivasse e lo stringesse e che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene –
Stava per tornare indietro per cercarlo nella parte più lontana del cortile, quando intravide una figura esile e familiare venirgli incontro. Quando gli fu abbastanza vicino e il fumo si diradò permettendogli di vederlo completamente, Kurt si rese conto che aveva il viso sporco e i ricci tutti sparpagliati sulla testa; ma sembrava stesse bene. Blaine stava bene, ed era proprio lì. Kurt gli corse incontro senza aspettare un secondo di più, circondando il suo corpo con le braccia e immergendo le dita tra i suoi capelli, prendendo a lasciare piccolissimi baci sulla sua tempia, per cullarlo.
“Stai bene.”, soffiò, combattendo il tremendo desiderio di piangere. “Stai bene, stai bene, stai bene –”
Blaine lo strinse più forte, annuendo sulla sua spalla più forte che poteva per fargli capire che sì, andava tutto bene. A quel punto Kurt raccolse il suo volto tra le dita e appoggiò la fronte contro la sua, concedendosi un minuscolo sorriso. “Non farmi mai più prendere questa paura.”, borbottò sorridendo e piangendo al contempo. “Ho bisogno che tu stia con me ancora per un bel po’ – capito?”, sussurrò, poi lo baciò pianissimo, muovendo le mani sulle sue guance per spazzare via la polvere. Lo baciò più forte, quando percepì le sue lacrime, e poi lo tenne stretto, appoggiando le labbra contro il suo orecchio. “Vieni a casa mia stanotte.”, gli disse semplicemente, e Blaine disse di sì.
 
Dopo una lunga e rigenerante doccia, Blaine tornò nella stanza di Kurt con una semplice canottiera addosso e un paio di boxer. Kurt si alzò dal letto e gli andò incontro, circondandolo con le braccia e lasciandogli un bacio impercettibile sulla tempia.
“Will mi ha detto che eri fuori, che eri salvo.”, sussurrò. “Ma che sei tornato dentro per riprendere dei bambini.”
Blaine annuì contro la sua spalla.
“Sei pazzo.”, disse semplicemente Kurt, trattenendo un singhiozzo. “Sei la persona più incredibilmente coraggiosa che abbia mai avuto l’onore di conoscere, ma sei pazzo.”, ripetè, iniziando a piangere tra i suoi capelli. “Io – io sarei perso senza di te.”
Fu Blaine a raccogliere il suo viso, questa volta; si mise sulle punte per lasciargli un bacio sulle labbra. “Ma mi hai.”, disse semplicemente, tre paroline così piccole da sembrare tre foglioline su un albero. Kurt accennò un sorriso, e Blaine lo baciò di nuovo, più forte, così forte che rischiarono di perdere l’equilibrio e finirono per muoversi alla cieca verso il letto. Poco prima di distenderci sopra, Kurt aprì completamente la mano e la posò sopra il cuore di Blaine, cercando i suoi occhi ambra timidamente.
“Voglio solo – fare l’amore con te.”, sussurrò. Non c’era mai stata l’occasione prima, ed era chiaro stessero aspettando il momento giusto, e Kurt aveva la tremenda sensazione che fosse quello. Amava Blaine con tutto sé stesso, più della sua stessa vita, più dei tramonti, e aveva bisogno di dimostrarglielo più completamente possibile.
Gli angoli delle labbra di Blaine si contrassero verso l’alto, prima che trovasse la forza di annuire.
 
Kurt stava baciando la parte più alta della schiena di Blaine, spostando le labbra tra i suoi capelli di tanto in tanto mentre imparava a memoria il suo respiro – prima spezzettato e rotto, poi sempre più regolare, fino quasi a fargli credere che si fosse addormentato.
Era stato perfetto. Molto probabilmente perché Blaine lo era. E Kurt non riusciva come avesse fatto a credere che la vita non potesse essere fatta di tramonti colorati, piccole foglie e burrasche, perché era esattamente quello di cui aveva bisogno. Aveva bisogno di vedere il minuscolo sorriso di Blaine quando gli baciava la guancia, aveva bisogno di sentire il suo respiro spezzarsi quando gli sfiorava la pelle – aveva bisogno di quel tipo di amore che lo faceva sentire come appeso sopra un enorme, infinito pozzo senza fine.
A un certo punto Blaine ruotò il capo verso di lui – era ancora sveglio. Assonnato, felice e assolutamente appagato, ma sveglio. Si sporse per lasciargli un minuscolo bacio sulle labbra, leggermente spostato verso l’alto (colpì parte del suo naso, e Kurt ridacchiò). Poi si fece infinitamente serio, puntando gli occhi in quelli di Kurt, grandi e luminosi come soli.
“Ti amo.”, disse.
E in quel momento a Kurt non importava niente che ci avesse messo più tempo di lui a dirlo; pensò invece che Blaine finalmente avesse smesso di essere quella fogliolina fragile sulla punta dell’albero. Adesso era questo fiore meraviglioso che stava sbocciando, e lui più di tutto voleva essere la sua acqua, il suo ossigeno, i raggi di sole che gli davano la vita.
 
*
 
Giorni dopo l’incendio, Will contattò Blaine e gli disse che naturalmente l’istituto avrebbe trovato una nuova sistemazione. Kurt vide Blaine guardare un punto impreciso del proprio letto – la scuola stava per finire e lui era così stufo di Lima, di quell’ambiente ristretto e bigotto, e decise di articolare un pensiero che affollava la sua mente da diverso tempo.
“Andiamocene via da qui.”
Blaine cercò immediatamente il suo viso con aria interrogativa.
“Lima non è il posto per me, io voglio – voglio qualcosa di più grande, che mi dia più possibilità, che mi faccia sentire libero di baciarti su un marciapiede se ne ho voglia. Andiamocene via da qui. Vieni con me, Blaine.”
Blaine sembrava più che sbalordito. Kurt fece qualche passo per raggiungere il letto e ci si inginocchiò di fronte, prendendo le dita di Blaine tra le sue. “Lo so che non vuoi stare in quel posto per tutta la vita.”, soffiò pianissimo. “E so anche che l’ultimo anno è stato – un vero e proprio disastro, ma adesso hai me, e io ho te. Abbiamo un punto da cui ripartire. Non siamo soli. Forse possiamo farcela, che ne dici?”
Blaine strinse le sue dita più forte che poteva, e accennò un sorriso. “New York.”, soffiò dolcemente, scrollando le spalle. Il sorriso che Kurt gli concesse dopo oscurava la luce di mille soli.
“E New York sia.”
 
*
 
6 mesi dopo
 
Kurt osservava il cielo grigio di New York attraverso le ciglia chiare, quei contorni degli enormi palazzi che creavano disegni sulle nuvole che erano sempre nuovi e sempre diversi.
Quando si voltò, un minuscolo sorriso riempì il suo sguardo e la sua mente. Blaine camminava dritto verso di lui, mordicchiandosi il labbro inferiore. Kurt allargò le braccia, nel cuore una punta di ansia che superava tutte le altre emozioni – e finirono per stringersi forte.
“Ehy.”, soffiò Kurt, immergendo la punta del naso tra i suoi capelli. Blaine rimase a farsi stringere per un tempo che parve a entrambi infinito, finchè non si staccò cercando i suoi occhi, assolutamente serio.
Fino a che la linea delle sue labbra non si spezzò, formando un debole sorriso.
“La direttrice ha detto che posso cominciare dal prossimo semestre.”, sussurrò Blaine. “Devo seguire, uhm – un p-programma di recupero. Perderò un po’ di mesi, ma…”
Blaine.”, lo interruppe Kurt, il cuore nella gola. “Stai scherzando? È una bellissima notizia!”, esclamò ridendo forte, e fregandosene del mondo. “Stiamo parlando della NYADA, hai presente? Una delle scuole più prestigiose di questa città. A piccoli passi, sei riuscito a entrarci.”, mormorò, strappandogli un piccolo bacio sulle labbra. “Sono così fiero di te, amore mio.”
Blaine ridacchiò, immergendo il volto nell’incavo del collo di Kurt. “A volte faccio ancora – fatica a esprimermi come vorrei. Dovrò lavorare il triplo degli altri, e – sai che cominceranno a girare delle voci, e solo – ho paura. Tutto qui.”
“Lo so che ce l’hai.”, soffiò Kurt. “Ma non sarai mai solo durante il percorso. Avrai me.”
Blaine cercò i suoi occhi per un breve istante. “Credi davvero che possa farcela?”
Kurt a quel punto gli accarezzò una guancia molto lentamente. “Non c’è stato un singolo momento in cui abbia smesso di credere in te.”, soffiò. “Puoi farcela. Hai la voce più bella che abbia mai ascoltato.”
Blaine aveva ricominciato a parlare a piccoli passi dopo l’incendio all’istituto, da quando Kurt gli aveva chiesto di stare da loro per l’estate. Era stato un processo graduale fatto di alti e bassi; all’inizio, Blaine parlava solo con Kurt e non riusciva ad esprimersi con nessun altro, ma con calma aveva cominciato a chiedere piccole cose a Burt, Carole, Finn e Rachel. Poi aveva ricominciato ad esplorare il mondo. Nei negozi a volte chiedeva di parlare, nei caffè di ordinare – e anche se c’era qualche inceppo, Blaine era riuscito a vincere quella battaglia.
Il canto era arrivato molto prima di quanto tutti si aspettassero. Perché era proprio con quello che Blaine esprimeva tutto quello che provava – e in alcune sere, Kurt lo aveva trovato nella propria stanza rannicchiato sul pavimento a scrivere note su un foglio e tentare di cantare, e aveva capito qual era la chiave per sbloccare Blaine.
Ed ora eccolo lì – a New York insieme a lui, con un milione di sogni in tasca e poco denaro, ma un amore così grande che era difficile da contenere.
Kurt baciò piano la sua tempia, cullandolo proprio come faceva agli inizi, nonostante ora Blaine non fosse più quella fogliolina con la costante paura di cadere. Blaine era un bellissimo fiore, adesso. Un bellissimo fiore del colore del tramonto.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, almeno finchè Kurt non sentì le labbra di Blaine muoversi contro la sua gola – stava cantando, la voce bassa e dolce ed incredibilmente Blaine. “When I am with you –”, soffiò, “There’s no place I’d rather be.”
Kurt sorrise, la vaga sensazione che gli scaldava il cuore che finalmente stessero entrambi di nuovo bene
   
 
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