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Autore: MadnessInk    22/02/2016    0 recensioni
Una voce femminile acuta e arzilla rispose da dietro il legno: «Sì? Chi è?».
«Sono Venice, Venice Blanche, la nuova allieva del cav...»
«Oh, certo, certo». Richiuse la porta, poi si sentì un rumore metallico. La porta si riaprì, svelando la figura morbida di una signora sorridente. «Vieni, cara, entra, ti stavo aspettando».
La signora le chiuse la porta alle spalle, poi la invitò a togliersi il cappotto e il lungo mantello che l'avvolgevano.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi facenti parte dell'universo Saint Seiya non mi appartengono, sono invece frutto della mente e della mano di Masami Kurumada. Questo scritto è pubblicato senza scopo di lucro alcuno.

 

Salve a voi, amici appassionati di Saint Seiya. Sono MadnessInk e ho il piacere di presentarvi il prologo della mia prima fanfiction in questa sezione. Se la storia non v'è chiara fin da subito non avete di che preoccuparvi, non è ancora troppo chiara neanche a me! Spero di dare un tocco di colore a questo vostro (e nostro) lunedì e v'invito ad esprimere liberamente la vostra opinione che sono impaziente di conoscere. Buona lettura!

MadnessInk

 

 

 

ALL THAT GLITTERS IS NOT GOLD

Mille facce della stessa medaglia


 

00. HAI MAI SENTITO IL COSMO DENTRO DI TE?

 

Gocciare cadenzato, metronomo degli ultimi istanti della sua vita. La macchia si allargava velocemente sul pavimento fino a raggiungere i bordi del tappeto che ricopriva il parquet. Si insinuò fra gli spazi vuoti e, quando i passi pesanti e veloci di Mya attraversarono il corridoio, il sangue riaffiorò da quelle fessure.
«Jake». Mya cadde in ginocchio accanto a suo fratello e i suoi pantaloni bianchi assorbirono il suo sangue. Non ce l'avrebbe fatta. Nancy, aggrappata al telefono per parlare con l'ambulanza, cercava di pronunciare correttamente l'indirizzo di casa Sion tra un singhiozzo e un grido.
«Promettimi che non mi vendicherai, Mya. Promettimelo». Gli occhi ghiacciati spalancati e la bocca aperta. Le labbra fremevano, come a voler dire qualcosa. E gli occhi tremavano, volevano piangere. Mya annuì a scatti, tenendo stretta la mano del fratello.
Tosse e respiri affannosi riempivano il corridoio interrompendo il silenzio che nessuno osava rompere. Anche Alex arrivò dalla casa di fronte e tirò a sé una catatonica Mya, piegata sul corpo del fratello ormai morto.

Cos'è tutta questa luce? Sono... morta? È un sogno? Se è un sogno, allora perché non riesco a svegliarmi? Chi è questa donna? Un bastone tra le mani, forse uno scettro. Che sia un angelo?
«Non temere, Mya. La tua vita non è perduta. Hai ancora molto da dare all'umanità, Cavaliere».

Aveva fissato il nulla per quattro ore e trentadue minuti. Svegliatasi da quella specie di trance, Mya si guardò intorno spaesata. Dov'era? Pareti in legno, un divano consumato, tendaggi pesanti.
“La vecchia casa di mamma e papà”, pensò. Da quanto tempo era lì? Forse un giorno o due. Si alzò di scatto e, non dopo aver perso l'equilibrio almeno due volte, riuscì a prendere il telecomando che era sul tavolino in legno d'abete davanti a lei. Accese quindi il televisore, le ci volle un po' per trovare un canale che fosse visibile dato che l'apparecchio era un po' vecchio. Riuscì quindi a vedere la data: 25 Giugno 2010. Era passata più di una settimana da quando Jake era morto e lei l'aveva passata in isolamento. Era proprio da lei. Prese a guardarsi le unghia insanguinate e spezzate, muovendo lentamente le dita tremanti. Era piena di graffi, di lividi e non aveva un aspetto sano, per niente. Strofinandosi gli occhi con l'indice e il medio di entrambe le mani si diresse in bagno. Quando lo specchio riflesse la sua immagine Mya non poté fare a meno di ridere di sé. In che stato si era ridotta. “Se Jake mi vedesse adesso...” pensò mentre sciacquava la vasca da bagno. “Se mi vedesse adesso, vorrebbe dire che sarebbe ancora vivo”.

Fare il bagno fu difficile. Le ferite superficiali bruciavano a contatto con il bagnoschiuma aggressivo, l'acqua era più fredda che tiepida, oltre a sembrare sangue agli occhi di Mya. Serrò gli occhi e immerse la testa nell'acqua. Aprì gli occhi e vide le lunghe ciocche nere separarsi e muoversi lentamente nell'acqua. Passando le mani fra i capelli trovò mille nodi che si occupò di sciogliere più tardi, armata di pettine e balsamo.
Le sopracciglia nere scattavano su e giù mentre tamponava con ovatta imbevuta di disinfettante le braccia, le gambe, l'addome. La cicatrice. Non fu un dolore fisico quello che sentì passandoci su il dito. Non volle pensarci, si vestì in fretta e uscì nel portico posteriore. Prese la destra subito fuori la porta e si sedette su un dondolo con fantasie floreali. La luna brillava alta nel cielo e, essendo la casa in una zona fuori mano, la quasi totale assenza di illuminazione pubblica contribuiva allo splendido scintillio delle costellazioni.
“Si nasce sotto una buona o una cattiva stella. Non pensavo che i Gemelli significassero tanta disgrazia”.

La luna era ancora visibile quando Mya schiuse gli occhi, teneva compagnia a Mercurio e Venere nel cielo gradiente da arancio al blu: l'alba. Era ora di ricominciare.
Si trascinò dentro con non poca fatica, dato che la caviglia le faceva ancora male per la storta presa e non curata. Avrebbe risolto anche quel problema, dopo aver rimesso in sesto la casa e reso se stessa presentabile.
Facendo un giro per i tre piani dell'eredità di famiglia Mya si rese conto che, per fortuna, era stata solo in due o tre camere e che solo quelle erano in condizioni catastrofiche, mentre il resto della casa era rimasto pressoché intatto.
Dopo un paio di giorni di lavori continui senza sosta – non è un problema per chi soffre d'insonnia – la casa sembrò tornare in condizioni accettabili.
Mentre Mya era intenta a fasciarsi il piede, il suo cellulare squillò. Nancy.
«Pronto?»
«Ciao tesoro, non sai che sollievo sentirti!»
«Immagino. Dimmi»
«Senti, qui c'è un uomo che vorrebbe parlare con te, sembra che sia importante»
«Capisco. Allora vengo subito»
«Max vuole venirti a prendere, dice che sarà lì tra un quarto d'ora»
«D'accordo. Ciao Nancy, a dopo»
Mya si guardò allo specchio nel corridoio: era tornata normale. I capelli raccolti nella solita acconciatura, con il ciuffo sempre a destra. Il solito completo scuro: camicia, pantaloni e converse. Il solito pallore. Non andava mai via.
Un doppio suono di clacson. Prese le chiavi, messo il cellulare in tasca e indossato l'immancabile trench nero, Mya uscì.
Chiuse lo sportello, mise la cinta.
«Ciao»
«Ciao Bianca Neve». Max sorrise, Mya non ricambiò anche perché, probabilmente, non ci fece caso.
«Grazie per essere passato» disse con tono piatto e freddo.
«Grazie per essere ancora tra noi. A giudicare dalle mani non hai avuto una bella permanenza in quella casa». Mya non rispose, guardava davanti a sé mentre Max guidava. «È da un po' che non ci si vede, non hai proprio nulla da dirmi? D'accordo, come non detto. È meglio così».

Mya guardò Max guidare verso la fine della strada, poi si girò verso la porta di casa. Mise le mani nelle tasche del trench, le smosse per un po', finché non trovò le chiavi. Aprì la porta e vide Nancy con in mano quello che sembrava un vassoio su cui c'era il servizio da tè preferito di suo fratello Jake. La seguì silenziosamente fino alla soglia del salotto, aspettò che posasse il vassoio e poi entrò a sua volta.
«Salve»
Nancy spalancò gli occhi e ringraziò il cielo più volte prima di abbracciare la figliastra. Notò i graffi sul viso ma non disse niente, presentando così la ragazza all'ospite.
«Lei è mia figlia adottiva, Mya»
Mya chinò istintivamente il capo. Quando lo rialzò si trovò davanti un uomo, un po' avanti negli anni, con dei sereni occhi cremisi.

Nancy lasciò la stanza e chiuse la porta, non prima di aver sentito quell'uomo – pareva chiamarsi Sion – rivolgersi alla figlia dicendo: “Hai mai sentito il Cosmo dentro di te?”.

  
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