Dedicata a Leryn, Ilaria e Serena.
Buona lettura!
*Act I*
–
Monday: frozen inside –
Faceva freddo. Questo fu il suo primo pensiero.
Aprì gli occhi e si rese conto di avere i brividi, ma la finestra
era chiusa e le coperte tirate fin sopra le spalle. Sbatté le palpebre un paio
di volte e sorrise mestamente: aveva sognato freddo.
Lo stesso sogno che aveva fatto subito dopo quella notte, in cui tutto era finito.
La sua storia, il suo amore, le
sue bugie.
Avrebbe dovuto sentirsi sollevata, invece i primi mesi erano stati
un inferno.
Fingere di star bene le era costato molta fatica, soprattutto con
Harry: la conosceva bene al punto da riuscire a interpretare ogni suo stato
d’animo attraverso le piccole cose. Il modo nervoso in cui si legava i capelli,
i sorrisi tirati, il tempo eccessivo che trascorreva da sola. Con lui mentire
era stato così difficile che, in cuor suo, aveva più volte temuto di essere
stata scoperta.
Forse Harry aveva davvero intuito qualcosa, ma non le aveva mai
chiesto nulla. Da buon migliore amico quale era, aveva aspettato che fosse lei
a muovere il primo passo… passo che lei non mosse mai.
Non era la fiducia nel ragazzo a mancare, al contrario, ma quella storia era stata così forte e
improvvisa e intensa e travolgente che lei stessa a volte faticava a
comprenderne la natura. Si era interrogata spesso sulle sue azioni, sui suoi
sentimenti… oh, quei sentimenti bruciavano ancora in fondo al suo cuore, ma li
aveva seppelliti con il passare del tempo, soffocandoli con il ritorno ad un
amore più tranquillo e rasserenante.
Un amore che non la faceva arrabbiare, che non la offendeva – pur
senza volendo, la maggior parte delle volte – che non le faceva girare la testa
né battere il cuore tanto forte.
Un amore che sapeva di
affetto, da parte sua.
E da parte di lui? Indubbiamente lui l’amava moltissimo, e per
questo i sensi di colpa non l’avrebbero mai abbandonata.
Sbadigliò e si girò nel letto, tirando più in alto le coperte e
chiudendo gli occhi.
«A quanto pare vieni spesso qui.»
Si voltò e vide un viso fin
troppo conosciuto. «Mi stai seguendo?»
«In realtà penso che abbiamo gusti
simili» si avvicinò e scelse un cuscino blu notte su cui accomodarsi.
«Il castello è grande, perché
vieni proprio qui?»
«Dovrei chiedertelo io, semmai»
sorrise beffardo. «Tu questa materia l’hai abbandonata.»
Si voltò dall’altra parte. Certo,
lui aveva pienamente ragione, oltre ad avere più diritto di lei a trovarsi lì.
«Solo perché non mi piace
Divinazione non è detto che non possa piacermi l’aula in cui viene insegnata.»
«Questa risposta l’hai preparata
stanotte?»
Si girò a fissarlo con il fuoco
negli occhi. «Mi spieghi perché sei sempre così prevenuto?»
«Senti chi parla.»
Ci fu silenzio dopo quelle
parole.
La prima volta che si erano
incontrati per caso, Hermione l’aveva accusato di avere qualche piano diabolico
in testa. Draco l’aveva squadrata con sorpresa e divertimento, e aveva risposto
che i piani diabolici in testa ce li aveva lei.
«Mi piace qui.»
«Lo so.»
I fiocchi di neve cadevano ormai
da una settimana. Nonostante il castello fosse perfettamente riscaldato, però,
lei si sentiva fredda.
Fredda dentro.
«Stai tremando.»
«Non dire sciocchezze.»
«E tu non dire bugie.»
Non rispose a quelle parole né
gli lanciò uno dei suoi soliti sguardi di rimprovero. Con lui si sentiva…
strana.
Era sola, senza Harry né Ronald –
ogni suo tentativo di convincerli a tornare era fallito – e con troppi ricordi
che tormentavano le sue notti. Continuava a fare brutti sogni, sogni
riguardanti la guerra, sangue, corpi senza vita, funerali… era troppo. Non ce
la faceva più.
Sarebbe crollata.
«Non credere che per me sia più
facile» disse lui qualche minuto più
tardi.
«Cosa?»
«Essere qui» il suo sorriso era
privo di gioia. «Il castello è silenzioso, gli studenti hanno perso la voglia
di farsi sentire, i professori sono stanchi.»
«Credo sia normale. La scuola è
ricominciata da tre mesi. Un’estate sola non è sufficiente a sanare certe
ferite.»
«Non parli mai dei morti» quasi
sovrappose la voce alla sua. «Perché?»
«Perché dovrei farlo?» Provò una
fitta al cuore.
«Per ricordare.»
Le mancò il fiato nei secondi
successivi.
«Ricordo fin troppo.»
«Ma non ne parli.»
«Non sono affari tuoi.»
Si erano incontrati lì poche
volte e, strano a dirsi, tra i due la più scostante era proprio lei.
Hermione Granger era stanca.
Non voleva parlare né farsi
notare, non voleva persone intorno, non voleva essere additata nei corridoi,
non voleva essere chiamata “eroina del Mondo Magico” ogni giorno della sua
vita.
Si comportava male con l’unica
persona che non l’aveva guardata con riverenza e che la trattava, stranamente,
da pari.
La stuzzicava per provocare
qualche reazione. Qualsiasi reazione.
Senza saperlo, si stavano
aiutando l’un l’altro.
L’allarme svegliò Hermione al primo suono. Aprì gli occhi di
scatto e mosse la mano verso il cellulare per spegnerlo, sbadigliando
sonoramente.
«Buongiorno, mondo» disse con voce impastata.
Scostò le coperte e scese dal letto. Lo specchio sull’anta centrale
dell’armadio le rimandò l’immagine di una ragazza troppo poco felice. Avrebbe
dovuto sprizzare gioia ad ogni ora del giorno, ma lei proprio non ci riusciva. Emise
il primo di tanti sospiri che l’avrebbero accompagnata fino a sera e si recò in
cucina per preparare la colazione.
Non sentiva Ron da una settimana, per essere precisi da quel momento: lui le aveva chiesto di
sposarlo, e lei… lei era scappata.
Gli aveva scritto un biglietto di scuse poche ore dopo, dicendo di
essere tesa ed emozionata e di aver bisogno di riflettere da sola.
Si sentiva confusa, frastornata, come se fosse stata risucchiata
da un vortice che le impediva di respirare.
Gli aveva scritto di nuovo.
Ovviamente lui non aveva risposto, ma cosa poteva aspettarsi?
L’aveva abbandonata senza una parola, dopo tutte quelle che le aveva detto solo
pochi giorni prima quando gli aveva inviato il primo biglietto.
Scosse la testa e cercò di non pensarci. Ormai era storia passata…
era finita. Non c’era più niente tra loro, niente a cui pensare, niente da
ricordare.
Decise così di recarsi al lavoro, sperando che fosse un lunedì
positivo, ma invano.
Quasi tutti i clienti della libreria erano stati particolarmente
antipatici con lei fin dalle prime ore del mattino ma, da brava assistente alle
vendite, Hermione aveva continuato a sorridere e mostrarsi disponibile nei
confronti di ognuno di loro.
«Mi sembri stanca» le disse Annabeth, collega da ormai due anni e
con cui aveva instaurato un buon rapporto, durante la pausa pranzo.
«Si nota così tanto?»
«Un po’, in effetti» ammise con un sorriso. «Non vuoi dirmi cosa
succede?»
Hermione soppesò quelle parole. Non aveva confidato a nessuno
della proposta di matrimonio di Ronald. Era sicura che Harry ne fosse al
corrente, tuttavia da lui non era giunta neanche una parola. Forse attendeva
che fosse lei a prendere l’iniziativa e parlargli.
«Ecco…» iniziò, titubante, «settimana scorsa il… mio… ragazzo…»
esitò su quelle parole, «mi ha chiesto di sposarlo.»
Annabeth fece quasi cadere la fetta di pizza che stava portando
alle labbra.
«Cosa?!» Esclamò a voce troppo alta. «Ti sposi e me lo dici solo
ora?»
«Non ho ancora risposto» si affrettò a dire lei. «Io non… non gli
ho detto niente, ho chiesto di poter riflettere da sola per qualche giorno.»
Gli occhi celesti dell’amica si velarono di incertezza a quelle
parole. «Perché? State insieme da tanto, vi conoscete da una vita… cosa c’è che
non va?»
«Io…» si morse il labbro inferiore, incerta. «Forse è proprio
questo il problema. Siamo troppo amici
per sposarci.»
«Ma state insieme» ribatté l’altra in tono ovvio. «Come puoi
definirvi troppo amici?»
Hermione non ricambiò il suo sguardo, consapevole di aver appena
commesso un errore. O forse il suo inconscio aveva voluto che si confidasse con qualcuno.
«Non sono sicura di amarlo quanto dovrei.»
«Tesoro…»
«La mia pausa sta finendo. Devo tornare in negozio.»
Non diede all’amica il tempo di ribattere, lasciò una banconota
sul tavolo e corse fuori dal bar.
Le mancava il respiro.
Forse quel lunedì non sarebbe affatto stata una bella giornata.
«E’
lunedì.»
«Non ti piace il lunedì?»
Alzò le spalle. «Dipende.»
«Da cosa?»
«Oggi hai voglia di fare
conversazione?»
Sbuffò. «Malfoy, non si
risponde…»
«…ad una domanda con un’altra
domanda, lo so» finì la frase per lei, conscio che fosse una di quelle cose che
la irritavano.
«Perché cerchi sempre di farmi
arrabbiare?»
Lui non rispose subito. Pensò
seriamente a quella domanda. Già, perché si impegnava tanto?
Di sicuro per lei: non sopportava
di vederla così cupa e silenziosa. Ormai la si sentiva parlare solo in classe
per rispondere alle domande e guadagnare punti.
Si era isolata anche dalla
Weasley. Beh, in realtà anche lei era cambiata molto. Dopo la morte di suo
fratello aveva perso quella scintilla che l’aveva contraddistinta durante i
suoi primi sei anni a Hogwarts.
E poi… per se
stesso, riconobbe. Non aveva mai avuto molti amici, aveva perso uno dei pochi
che gli erano sempre stati accanto e questo l’aveva profondamente scosso.
Aveva bisogno di normalità e
stuzzicare la Granger gli faceva tornare in mente i primi diverbi avuti a
undici anni con lei, Potter e Weasley.
In quel momento gli parve di
sentire sulle proprie spalle il peso della solitudine che lei provava.
«Ti mancano molto, vero?»
«Non hai risposto.»
«Tu non rispondi mai alle mie
domande.»
Si alzò, ripose il cuscino
insieme agli altri e uscì dall’aula, schiacciato da quel senso di vuoto che gli
aveva stretto il cuore in una morsa ferrea.
Nonostante tutto lui aveva ancora
qualcuno accanto.
Lei aveva avuto sempre e solo
Potter e Weasley. Si sentì triste per lei.
Il pomeriggio fu meno impegnativo della mattina ed Hermione ne fu
felice. Aveva ripreso a piovere, quindi la maggior parte delle persone,
potendo, era rimasta al caldo dentro le mura domestiche.
Annabeth cercò di fermarla per parlare, ma lei si scusò, dicendo
di avere un impegno, e uscì dalla libreria a passo veloce.
Le dispiaceva trattare male la ragazza, ma non aveva voglia di
parlarle dei suoi problemi e pensieri, dei dubbi che l’assalivano giorno dopo
giorno, ora dopo ora.
Avrebbe dovuto sposare Ron?
Scosse la testa mentre apriva l’ombrello. La vera domanda era
un’altra: amava Ron?
Gli era molto affezionata. La loro amicizia durava da tanti anni.
Ma era sufficiente per sposarlo?
Si guardava distrattamente intorno mentre camminava, forse
cercando in altre persone le risposte ai suoi dubbi.
In realtà sapeva bene che rifiutare era la scelta migliore, per
lui soprattutto, perché non meritava di vivere accanto a una donna che non
l’amava davvero, che non era convinta di voler trascorrere la propria vita
insieme a lui.
Si trovava nei pressi di casa sua quando vide qualcuno in piedi sotto
il portico del portone. Si bloccò dov’era, e lui la riconobbe. Incurante della
pioggia che gli bagnava il viso e i capelli, la raggiunse.
«Credo che tu abbia qualcosa da dirmi.»
«Non ho ancora preso una decisione» abbassò lo sguardo e cercò le
chiavi nella borsetta. «Ti ha mandato Ron?»
«Non ho bisogno di suggerimenti per preoccuparmi per te.»
«Harry, per favore…» alzò l’ombrello per coprire anche lui e
insieme entrarono nello stabile.
Nessuno dei due parlò fin quando non si trovarono dentro casa.
«Hai imposto il silenzio stampa a tutti quanti, come credi che ci
sentiamo?»
Era arrabbiato, si sentiva ignorato e messo da parte, come se lei
non avesse abbastanza fiducia nella loro amicizia. Hermione lo sapeva e si sentiva
terribilmente in colpa, tuttavia aveva scelto di tenere lontano chiunque.
«Ron avrà la sua risposta» cercò di tranquillizzarlo, mentre si
toglieva il cappotto e prendeva anche quello dell’amico.
«Ron sta male. Non capisce perché tu non gli abbia detto niente»
la rimproverò lui. «E sto male anch’io, perché non so come aiutarlo né come
aiutare te.»
«Non ho bisogno di aiuto!» esclamò lei a quelle parole.
Harry la fissò con occhi che lei non riuscì a comprendere.
«Perché non ti fidi di me?»
Perché nessuno sa. E nessuno deve sapere.
Scosse la testa e si diresse in cucina. «Vuoi un caffè?»
L’amico la seguì. «Voglio che mi parli.»
«Te l’ho già detto» rispose senza voltarsi, «non ho ancora preso
una decisione. Ho bisogno di riflettere.»
Ho bisogno che lui risponda. Che
mi dica qualcosa. Qualsiasi
cosa.
«Riflettere su cosa?»
Chiese, esasperato. «Stai con Ron
da sei anni, sembrate felici, perché non vuoi sposarlo? È troppo presto? Ti
senti giovane per farlo, o pensi che avrete bisogno di una maggiore sicurezza
economica?»
Hermione ebbe l’istinto di ridere. Sicuramente si sentiva giovane
per sposarsi, venticinque anni non erano sufficienti per compiere un passo del
genere. Ron aveva appena terminato gli studi e iniziato da poco il suo lavoro
da Auror e lei aveva un impiego che, per quanto le piacesse, di certo non le
forniva una retribuzione altissima.
Con lo stipendio della libreria riusciva a pagare l’affitto, le
bollette e la spesa, e mettere da parte una piccola cifra ogni mese, ma i suoi
risparmi non le avrebbero concesso di comprare una casa né affrontare i costi
di un matrimonio.
Era sicura che Ron le avrebbe proposto di trasferirsi alla Tana
per i primi tempi… ed era altrettanto sicura che, se avesse accettato,
sarebbero rimasti lì per sempre.
«I soldi, la casa e l’età sono di certo problemi da affrontare» disse lei qualche istante dopo, «ma non sono
il vero problema.»
«Allora, quale…»
«Ho bisogno di pensarci.»
Harry, ormai al limite della sopportazione, afferrò l’amica per le
spalle e la fece voltare verso di sé. C’era qualcosa
nei suoi occhi, qualcosa di cui lui non poté carpire l’essenza, ma era certo
che stesse divorando la sua anima.
«Hermione, per Merlino, parlami!» Esclamò, quasi fuori di sé. «Cosa
ti succede? Cosa ti ferma dal dire di sì a Ron?»
Lei abbassò lo sguardo, ma lui le portò una mano sotto al mento
per impedirglielo.
«Dimmi la verità.»
«Io…» mormorò a voce bassa, «io non sono sicura di amare davvero
Ron.»
A Harry sembrò di sentire il peso del mondo crollargli addosso.
«Cosa…»
Lei non disse altro, sicura di aver appena distrutto l’immagine
felice del Trio sempre unito che l’amico vedeva già davanti a sé.
«Forse è solo panico da
proposta di matrimonio.» Sembrava convinto di quelle parole mentre le
pronunciava.
Non conosceva la realtà, però, i sentimenti che si agitavano nel
cuore di Hermione.
«Può essere» si sforzò lei di sorridere. «Capita spesso, così ho
letto.»
Harry distese i nervi e decise di credere alle sue parole. Le
mostrò un sorriso, prima di annunciare che sarebbe tornato a casa e non avrebbe
più tentato di forzarla.
Hermione pensava alle sue parole, a quello che stava facendo ai
suoi amici e a Ron con quel silenzio, ma ciò che occupava davvero la sua mente
– e il suo cuore – era l’attesa: aveva bisogno di vederlo, di parlargli e non come una settimana prima, quando avevano
litigato e si erano gridati addosso tutto il tempo.
Doveva trovare una soluzione al problema e non sapeva come fare.
Non sapeva se ne avrebbe avuto la forza questa volta.