Anime & Manga > Owari no Seraph
Segui la storia  |       
Autore: B Rabbit    24/02/2016    2 recensioni
{ Mikayuu & implicit!Gureshin | Lasciate ogni speranza, o voi che leggete (?) }
Yuu scosse la chioma scura. «Sei un uomo, Mika! Non voglio raccomandazioni da femmine» scherzò, ridendo allegramente, ma appena notò un insolito sorrisetto comparire sul viso del ragazzo, l’ilarità si spense, lasciando la bocca arida e socchiusa.
«Non vuoi neanche questo?» domandò il biondo, la voce bassa, lieve, quasi le sue parole fossero un bisbiglio confidenziale, e posando la mano sulla sua nuca, intrecciando le dita nei suoi capelli di lucido inchiostro e guidando il suo capo verso il proprio, unì le loro tiepide labbra in un bacio delicato, leggero e piacevole come il freddo vespertino che pizzicava le pelli.

[A Niv cara, con tanto affetto]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Metamorphosis'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A










Ouroboros




« Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse:
“Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà
in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina"? ».

(Friedrich Wilhelm Nietzsche, La gaia scienza.)




I




—— † ——




L’orrore mutò forma, traboccò in gelide grida da una bocca sfigurata dal terrore e, simile al fragore di un tuono caduto, si spanse tristemente per le vie, buie e dimentiche, fino ad evaporare. Bagnata dalla pallida luce di un lampione, una figura pareva ascoltare con serena compiacenza le vibrazioni che il suo udito riusciva a carpire al silenzio – erano i passi rapidi e disarmonici della preda, i suoi rantolii e i singhiozzi che scuotevano il corpo spossato –. Attese qualche istante nella corona di luce, le iridi celate dietro le palpebre e il viso privo di qualsivoglia sfumatura emotiva, ma appena la scia sonora della sua vittima divenne oltremodo sottile, la sua bocca, lucida di cremisi, si contrasse in un piccolo, beffardo sorriso.
Piegò profondamente le gambe fino a sfiorare il lastricato umido con le ginocchia e i muscoli delle cosce guizzarono contro la stoffa dei calzoni. Stette in quella postura per qualche rapido istante, quasi potesse, in quella maniera, ottenere una spinta maggiore, e balzò agilmente, superando con strabiliante ed inverosimile facilità il fianco dei grandi edifici in mattoni – nel punto di massima tensione verso l’alto, il mantello che era solito proteggerlo dal freddo e dallo sguardo straniero si gonfiò intorno a lui, si distese come le morbide ali di qualche affascinante, pericola creatura, e per un attimo fugace l’essere parve librarsi nel cielo torbido –.
Atterrò con destrezza su di un’ampia terrazza e prese a correre, ad inseguire la propria preda che, tenace amante dell’esistenza, barcollava inutilmente verso un’agognata, infattibile salvezza, equivocando la concessione di un generoso vantaggio con il trionfo sul cacciatore. Notò il povero derelitto cadere a terra, fiaccato dalla corsa e dagli effetti del vino; colse, miscelati al suono ritmico dei propri passi, strani boati sferzare l’aria gelida intorno a lui, ma non si impensierì – era la sua risata, instabile e trafelata e stridente, ad infilzare e lacerare il silenzio, ma la fame confondeva le percezioni e il tutto, il mondo, pareva addensarsi nella minuscola vittima –. Saltò, e come un rapace piombò sull’uomo, trascinandolo rovinosamente a terra, nel buio viscoso della chiusura. L’umano gemette, si agitò sotto la presa ferrea che gli stringeva le spalle, come una patetica bestiolina fra gli artigli o le zanne di qualche belva. E nel rifiuto della fine, mentre tentava di spinger via il corpo immobile dell’aggressore, di ferirlo artigliandogli e graffiandogli la gola, sfilò per errore il cappuccio che nascondeva l’essere al mondo, permettendo alla luce di ferirlo. L’uomo gridò: incastonati in un pallido viso dalle fattezze geniali, due occhi spiritati lo scrutavano con bramosia, sporcando il suo riflesso di ombre scarlatte – erano un vivido cielo crepuscolare, quelle ampolle colme di un colore raro, sbagliato, in cui la violenza e il peccato avevano imbrattato con il sangue, in quel centenario di solitudine, la cerulea umanità custodita al loro interno –. La creatura gli artigliò la mandibola per zittirlo, ma lacrime gravide di sogni fumosi e maledizioni succedettero le urla violentemente soppresse, rotolando giù dagli occhi sbarrati e inumidendo il guanto che fasciava la mano efferata. Una risata gorgogliò dalla bocca fremente dell’essere, permettendo alle zanne di luccicare come gemme – era roco e compiaciuto, quel tremolio di ilarità, eppure una debole, recondita nota d’infelicità ne deturpò il suono, incrinando leggermente il riso del maledetto –. Con un gesto vuoto di pietosa gentilezza, il predatore denudò il collo dell’umano e, celere, si avventò su di esso: affondò completamente i denti nella carne, lacerò l’epidermide, il muscolo contratto, e quando la linfa si riversò bollente nella sua bocca, dolce come l’ambrosia dal voluttuoso sapore proibito, la tensione lasciò le sue membra, e un mugolio pago affiorò dal suo animo – l’aridità, il supplizio della durevole astinenza e l’inutile ostilità del raziocinio furono subito dimenticati, lavati via dal tiepido e piacevole sangue –. Stordito dal piacere, l’essere sovrannaturale rilassò il corpo, e le sue mani smisero di stritolare la preda, scivolando appena sulla stoffa lacera della sua camicia. Bevve con meno impeto, bisogno, avvertì il proprio cuore rasserenarsi. Udì un boato. Percepì qualcosa penetrargli freddamente l’addome, lacerandogli la carne e radicandosi in lui. Un gemito fuoriuscì dalle sue fauci aperte e, prima di poter soltanto comprendere quei frenetici secondi, l’umano lo colpì in viso con la guancetta di una pistola, guadagnandosi così la propria salvezza.
E mentre la preda, soccorsa dalla benevola ventura, fuggiva lontana da quella strada nefasta, da quel ricordo che la sua coscienza avrebbe presto tramutato in un vago incubo, la bestia crollò disastrosamente a terra, battendo il fianco sinistro contro il duro, gelido lastricato. Premette la mano destra sull’addome, nel punto in cui il dolore aveva il suo fulcro pulsante; percepì un liquido caldo lambirgli il palmo e scivolargli tra le dita fino a precipitare sulla strada, dilatandosi lentamente in uno specchio cremisi. Il vigore e la follia che lo ebbero temprato durante la caccia parvero fluire via da lui, sgorgando dalla ferita miscelati al sangue e alla forza. Rimase solamente la paura, in quel giovane, fragile corpo, che rimase giacente a terra, circondato dal sottilissimo velo di luce del lampione.
Con la bocca tremante, catturò una rapida boccata d’aria e la trattenne nel petto, ma la rigettò subito dopo, increspandola con un lamento. Tossì forte, serrando gli occhi e digrignando le zanne a causa degli spasimi che lo trafissero. Acuì l’udito, nonostante il palpitare del dolore gli incrinasse la ragione e gli confondesse le percezioni, nel disperato tentativo di cogliere qualunque minima, debole scia di pericolo – doveva alzarsi all’istante, lasciare quei vicoli rischiosi e guarire, sopravvivere per riavere lui –.
Schiuse debolmente gli occhi e, alzando lo sguardo, scrutò l’indefinito torreggiare su di lui – il cielo notturno si corruppe di stoltezza e forti desideri umani, in quelle iridi vermiglie, luccicanti di amarezza, e in esse parve farsi più buio, triste come l’animo del dannato –.
«Yuu…» tramutò in suono il pensiero massimo della sua mente, il fondamento che salvò, in quel secolo tempestato di disgrazie, la sua esistenza. «Dove sei, Yuu…?» mugolò, la voce fioca, sonante d’angoscia. Celò il viso dietro la mano sinistra, quasi provasse vergogna della sua natura perfino nell’invocare quel ragazzo dall’animo gentile. Lo chiamò nuovamente, ma il suo nome venne spezzato da un singhiozzo – le labbra fremettero e gli angoli della bocca si incurvarono tristemente all’ingiù –.
Una perla d’acqua scintillò fra le ciglia dorate, limpida come il naturale desiderio di voler accanto la persona amata, calda come i sorrisi che, nella precedente vita, addolcivano frequentemente la sua espressione. E come l’adorato tesoro che le sue mani non riuscirono a salvare, la lacrima cadde e si infranse sul lastricato in un suono che soltanto Mikaela udì.




—— † ——




Nell’oscurità di una notte morente, nubilosa, disadorna di stelle e incanto e della preziosa, venerata luna, la misera città appariva lugubre e bigia a causa delle vesti fumose che la ammantavano, sfumando le strade e gli edifici. Le prime lanterne si destarono in cerchi di tiepida luce, colorando di pallido oro gli interni delle botteghe o rischiarando sommessamente i gelidi vicoli in cui erravano le ultime anime dannate alla ricerca di un tugurio in cui dissolversi fino alla notte seguente.
In una piccola, modesta drogheria, un giovane ragazzo si occupava della merce, disponendola secondo il volere del padrone, uscito per qualche affare pochi minuti prima. Afferrava i grossi sacchi di legumi, uno per mano, e dal magazzino sul retro li trascinava fino al negozio, depositandoli a sinistra del bancone, vicino alla parete, così da poter essere sorvegliati costantemente, prevenendo gli sciocchi, patetici furti che, a volte, i bambini commettevano, ficcando frettolosamente nelle tasche dei loro pantaloni le piccole e tremuli e livide mani piene di fagioli. Sistemò con cura le varie erbe su di una mensola, ciascuna tipologia in un vasetto differente e ben sigillato, così da preservare il loro caratteristico odore. Tornò nel retrobottega e ammucchiò le cassette vuote in un angolo, annotando mentalmente i prodotti esauriti – essendogli stata negata la scuola, al sedicenne erano ignote l’arte della lettura e della scrittura, ma l’esperienza lo aveva soccorso, in quell’ultimo lustro, insegnandogli il calcolo –. Lavorò rigorosamente, come ogni giorno soleva fare per continuare ad esistere in quella realtà – non si fermò un istante, nemmeno per distendere le membra tese delle braccia, delle gambe, e l’aria non si riempì mai di un suo sospiro o lamento –. Agguantò uno straccio dalla tasca dei pantaloni, troppo larghi per il suo fisico asciutto nonostante i numerosi ritocchi della madre, e cominciò a pulire i pochi mobili della bottega, spazzando la polvere e l’unto dalle superfici – qualche volta, per via degli energici movimenti del braccio, un ciuffetto biondo cadeva e dondolava dinanzi ai suoi occhi, e il giovane, sbuffando, se lo portava infastidito dietro l’orecchio –. «Prima o poi li taglierò, questi stupidi capelli» giurò di nuovo a sé stesso, liberando la florida chioma ondosa dal garbuglio che la soffocava, realizzato con una fettuccia di ruvida tela che il garzone aveva tagliato da un sacco sforacchiato. E mentre cercava di fermare e unire ogni ciocca in una docile coda, udì la porta d’ingresso cigolare alla spinta di una sagoma buia, che subito la fiamma della lanterna chiarì, facendo emergere dal nero i lineamenti di un viso caro.
«Sai che stai meglio con i capelli sciolti?» gli disse la figura appena arrivata che, dopo aver gettato delle occhiate lungo la strada, entrò nella drogheria con un sorrisino bizzarro e malizioso, chiudendo lentamente la porta dietro di sé.
«Li odio» rispose prontamente l’altro con voce arida, allacciando faticosamente l’umile nastro intorno ai capelli. «Saranno corti, un giorno!» dichiarò con fermezza, quasi il giuramento acquistasse più valore se detto con forza, e il sedicenne appena giunto mugolò in disaccordo, avvicinandosi a lui con una strana e tenera espressione corrucciata.
«Mika! Non voglio!» gridò, ma il biondo parve crucciarsi unicamente dei suoi capelli che, ostinati, continuavano a fuggire dalla presa della fascetta – abbozzando un piccolo sorriso, l’interlocutore assistette a quella buffa scena e scosse la testa, piano, facendo oscillare leggermente alcune ciocche scure –.
«Aspetta, ti aiuto io» si offrì, preferendo abbandonare il ruolo, seppur divertente, di spettatore per soccorrere l’altro.
«Yuu…?» soffiò debolmente il suo nome, ma il citato stette in silenzio, sorrise e gli rispose con dei semplici passi che annullarono la distanza incastrata fra loro; fermandosi alle sue spalle, il moro sfiorò, con i polpastrelli irruviditi dal lavoro, le mani di lui, che piano si schiusero come rosei boccioli di rosa, lasciando fluire la chioma preziosa sul collo.
«Mi piacciono i tuoi capelli…» mormorò, districandogli i nodi con movimenti lenti, gentili, per non causargli alcun dolore – le palpebre calarono appena sugli smeraldi e le labbra si incurvarono morbidamente all’insù, rendendo dolce e incantevole la sua espressione –. «Quindi non tagliarli… va bene?».
L’altro annuì con cenni lenti del capo, un po’ confuso dal tono basso e gentile del corvino, che stranamente sghignazzò, scaldando il negozio e l’animo di Mikaela con una serena e limpida e genuina risata.
«Lega i capelli, su. Te li mantengo io» disse. Egli obbedì immediatamente e avviluppò più volte la fascetta intorno al crine di luce – quando, per sbaglio, gli sfiorava la mano con la sua, quando le loro pelli si baciavano con tocchi fugaci, il biondo esitava, le sue dita si irrigidivano, e il ragazzo alle sue spalle lo richiamava, intimandogli di proseguire per non perdere qualche filo dorato –.
«Fatto!» esclamò allegro, indietreggiando appena dall’aiutante della drogheria e portandosi le mani sui fianchi. «Va meglio?».
Il sedicenne si massaggiò la nuca e asserì con un mugolio leggero. «Piuttosto…» e unì le iridi a quelle smeraldine del ragazzo. «Non dovresti già essere alla miniera, Yuu? Fra poco inizierà il lavoro».
«Beh, sì. Sarò lì fra pochissimo» lo rassicurò il citato che, vagando per il locale, guardava la merce senza alcun interesse. «Prenderò la solita scorciatoia» stabilì. A quelle parole, il giovane irrigidì le spalle, ma camuffò prontamente l’inquietudine con una crepitante irritazione.
«Yuu» lo chiamò, la voce dura e severa, come quella di un fratello, di un amico, di un’anima legata in modo tragicamente splendido ad un’altra. «Quante volte dovrò ancora ripetere che quella strada –».
«È troppo pericolosa perché tu possa percorrerla, prima che ti entri nella zucca?» lo imitò scherzosamente il secondo, allacciando le mani dietro la testa. «Andiamo, Mika! Ogni cosa lo è! …Quindi, possiamo dire che nulla è pericolo, giusto?» concluse, arricciando la bocca in uno allegro sorriso, subito preda delle limpide iridi dell’aiutante, che sbuffò contrariato.
«Stupido».
«Ehi!» gemette lui, offeso da tale risposta. «Perché?» chiese, portando le braccia ai lati del corpo, e notò le sopracciglia dell’altro corrucciarsi appena.
«Mi fai preoccupare» furono le sue parole, e Yuu si irrigidì all’istante – stupito, Mika deglutì l’amara e improvvisa colpa che avvertì nell’osservare quegli occhi di giada, quelle ampolle colme di lealtà, audacia e gentilezza adombrarsi –.
«Anche io ero logorato dall’ansia, quando vagavi per le strada fino a tarda sera cercando di vendere quegli stupidi fiori…» svelò egli, abbassando leggermente la testa, quasi a voler sfuggire allo sguardo dell’altro e al dispiacere che avrebbe trovato in esso. «Ancora oggi ringrazio quell’uomo per averti portato via da lì, offrendoti un lavoro decente» continuò, riferendosi al proprietario della drogheria.
Imitando il giovane, Mika abbassò il capo e stette in silenzio; si mordicchiò internamente il labbro inferiore, inquieto, soppesando con cura le parole che avrebbero lavato via il dispiacere dall’animo dell’altro, ma dei passi riecheggiarono al posto della sua voce e la porta lo richiamò all’attenzione con striduli lamenti. Alzò lo sguardo, e con mortificante sorpresa notò il sedicenne immergersi nel buio notturno in procinto di uscire.
Lo chiamò, gridando il suo nome, e il citato volse la testa all’indietro, senza però allacciare gli occhi ai suoi.
«Vado…» gli rispose Yuuichiro, aprendo maggiormente la porta, ma il biondo lo chiamò ancora, imprimendo nella voce il suo completo disaccordo – più che un ordine o un’irremovibile protesta, il suo tono parve esprimere una supplica, che il moro intese e soddisfò in muta concessione, socchiudendo il battente dell’uscio alle proprie spalle –. Mika sorrise debolmente.
«Aspetta» gli chiese, marcando la richiesta con un cenno del palmo; aggirò sveltamente il bancone e afferrò dalla cesta una rosetta di pane avanzata dal giorno passato, che avvolse in un brandello di stoffa. Si avvicinò al corvino e, prendendogli la mano destra, gli diede il piccolo fagotto. «Tieni» gli disse, arricciando la bocca in un amabile sorriso. «Così mangerai anche tu» aggiunse subito dopo, riferendosi velatamente all’abitudine dell’altro di cedere il proprio misero pasto ad un ragazzino – Yoichi, gli sussurrarono alla mente i ricordi di una vecchia conversazione – che lavorava con lui da pochi mesi.
Yuu scosse la chioma scura. «Sei un uomo, Mika! Non voglio raccomandazioni da femmine» scherzò, ridendo allegramente, ma appena notò un insolito sorrisetto comparire sul viso del ragazzo, l’ilarità si spense, lasciando la bocca arida e socchiusa.
«Non vuoi neanche questo?» domandò il biondo, la voce bassa, lieve, quasi le sue parole fossero un bisbiglio confidenziale, e posando la mano sulla sua nuca, intrecciando le dita nei suoi capelli di lucido inchiostro e guidando il suo capo verso il proprio, unì le loro tiepide labbra in un bacio delicato, leggero e piacevole come il freddo vespertino che pizzicava le pelli. Sconcertato, Yuuichiro indietreggiò immediatamente e nascose dietro al pugno socchiuso la bocca, ancora memore della sofficità di quel tocco che fece tremare l’anima d’emozione. «Sei scemo? Poteva entrare qualcuno!» lo rimbrottò, sussurrando iracondo i suoi timori per non farsi udire da qualcuno, ma il ragazzo rise divertito di cotanta preoccupazione, inusuale da parte del compagno – l’imbarazzo sbocciò maggiormente sulle gote del giovane portatore di carbone, nutrendo la serena ilarità che riecheggiava nella bottega –.
Yuu sospirò. «Se il padrone di questo posto scoprisse ogni cosa…» lo avvisò, preferendo lasciar vaga la conclusione, e sollevò la mano in cui stringeva il pane, facendo intendere che il loro stretto legame non sarebbe stato l’unica minaccia per l’aiutante.
Il biondo acquetò le proprie risate e sorrise. «Tranquillo» gli disse, posando le dita sul braccio alzato. «Non caccerebbe mai la copia di suo figlio morto. Sarebbe come perderlo nuovamente».
Il giovane aggrottò le sopracciglia nere, per nulla convinto da quella risposta, ma scelse di ignorare il tutto e si avvicinò all’uscio. «Me ne vado» lo informò, incatenando lo sguardo al suo.
Mikaela annuì e lo salutò con un sorriso. «Buon lavoro».
L’altro annuì con espressione determinata e si volse per uscire, ma subito dopo aver schiuso la porta tornò a guardare il sedicenne. «Oggi potrei finire più tardi, visto che ieri abbiamo perso due mani nelle gallerie» lo informò, la voce avvizzita dal rammarico. «Cercherò di non tardare e–» ma si zittì appena il ragazzo scosse la testa in muto diniego.
«Preferisco aspettare tutta la notte, piuttosto che lasciarti percorrere quella zona» disse, sperando in un qualche ragionevole compromesso da parte dell’altro.
Ma Yuu non rispose. Sorrise e sparì via.

Sbuffò ancora, il giovane ragazzo, abbandonato contro la porta della drogheria oramai chiusa da un paio di ore; aveva le braccia intrecciate fra loro, strette saldamente al petto, quasi a voler custodire il calore del proprio corpo, tanto anelato dal freddo che lo accerchiava. Fissava la strada dinanzi a lui con sguardo vigile, duro, senza mai posare infedelmente l’attenzione su altri oggetti, visi. Aspettava in silenzio l’attimo in cui il moro sarebbe giunto per quella via buia alla conclusione dell’ennesimo, estenuante turno lavorativo, sfoggiando, solo dopo aver incontrato le sue iridi celesti con le proprie, l’abituale sorriso, largo e soddisfatto, radioso nonostante le fatiche. Sospirò a quel pensiero, a quella visione che danzò nella sua mente, e che cadde subito dopo al peso del timore, sfumando tragicamente come un miraggio. Yuuichiro stava tardando.
Le dita artigliarono la stoffa che avvolgeva le sue braccia, e le contrazioni del cuore acquistarono rapidità. Mikaela temeva che, spinto dalla fretta, il ragazzo avesse ignorato volutamente il suo comando, assecondando il consiglio suggeritogli dal forte desiderio di raggiungerlo – e il biondo lo vide, con gli occhi della mente, camminare in solitudine fra il decadimento e l’ingiustizia di quella zona maledetta, circondato dalla disperazione e dall’invidia –.
«Stupido…» ringhiò il sedicenne. Con una spinta rabbiosa, Mika si scostò dal muro e, deciso a trovare e sgridare il compagno, marciò nell’oscurità viscosa della notte, conscio del percorso che l’altro avrebbe seguito. I pugni chiusi sfioravano il suo corpo ad ogni movenza. I passi divennero falcate e l’urgenza infuse vigore nelle sue gambe, spingendolo a correre verso il giovane, la sola fiaccola che avrebbe sciolto la sua paura. Fantasmi concreti sfilarono intorno a lui, emersi dai loro antri allo spegnersi del sole. Figure smunte seguivano la sua ricerca con occhi lattei, privi di vivido interesse, ma attratti da quella magnetica vitalità che il ragazzo mostrava.
«Perché non mi ascolti…?» chiese Mikaela fra gli ansiti, consapevole dell’impossibilità di ottener risposta. Udì dei passi echeggiare vicini e decelerò. Aspettò, ma subito comprese che quella camminata non appartenesse al corvino - era troppo leggera ed incerta per essere di Yuuichiro, il biondo lo sapeva, ma decise di avvicinarsi, appena l’eco svanì, davanti all’imbocco di un vicolo stretto –.
Lì, notò una bambina affiorare silenziosamente dall’oscurità e scrutarlo con i suoi grandi e indecifrabili occhi scuri, come in attesa di qualche sua parola o gesto, comando. Egli ricambiò l’attenzione con un sorriso impacciato, leggermente turbato da quello sguardo così penetrante e bizzarro per una fanciullina, ma una smorfia di ribrezzo corruppe le labbra di Mika appena si delineò, alla sua vista, il ventre orribilmente gonfio della piccola, in raggelante opposizione al suo fragile corpo acerbo, adagiato stancamente contro il muro di mattoni. Deglutì dinanzi a quella tragica realtà e percepì la collera pizzicargli le mani.
Lentamente, il ragazzo si sfilò la giacca, preferendo tenere lo sguardo basso, lontano dalla giovane sfortunata; si avvicinò di qualche passo e, tendendo le braccia in avanti per non esserle troppo vicino, per non alimentare maggiormente la paura radicata nel suo cuore, porse il misero indumento alla bimba che, stupefatta, sfiorò con la manina.
«Prendila» le disse, ammorbidendo la voce per mitigare il suo animo, e la piccina parve tranquillizzarsi un poco – afferrò la giaccia, che piano scivolò dalle mani del più grande, e l’adagiò sulle proprie spalle come un umile e grande e caldo scialle –. La bambina puntò gli occhi in quelli del giovane, lo fissò a lungo, senza più intimorirlo. E Mikaela vide la sua boccuccia tremare nello sforzo di articolare qualche parola, un ringraziamento per quel dono inatteso che la avrebbe confortata nelle notti a venire.
Le sorrise in gesto di commiato e, voltandosi lentamente, se ne andò via, piano, quasi potesse ferirla con una corsa improvvisa, ma appena si infilò in una seconda via, obbedì al desiderio di incontrare Yuu, affrettando immediatamente l’andatura. E mentre si avvicinava sempre più a lui, pensò alla strigliata che gli avrebbe fatto, senza concedergli il privilegio di difendersi.
Rise.
Sapeva benissimo che quelle parole di rimprovero non avrebbero mai lasciato la sua bocca, increspando l’aria gelida della notte e, soprattutto, infastidendo il giovane mascalzone.
E sapeva per certo che Yuuichiro non avrebbe ascoltato o detto alcunché.
Mai più.
Fu un battito. Fu come un percossa.
Un istante.
Il respiro perì. Il nero delle pupille divorò i frammenti di cielo.
Percepì chiaramente un senso di vuoto germinare in lui, rompergli il cuore e sventrargli il petto.
Le labbra tremarono, un piccolo singhiozzo sgorgò da esse, ma la smorfia di sconcerto si trasformò subito in ringhio sofferente.
Barcollò in avanti, ma cadde miserevolmente a terra.
E ansante, incredulo, guardò avanti a sé: seduto sul lastricato con la schiena mollemente adagiata contro il muro, il ragazzo dalla chioma scura pareva affogato in un torpore abissale, vuoto di sogni e fantasie. Il viso di lui, volto nella direzione del biondo, era rilassato, ma nessun, debole sorriso addolciva la sua sterile espressione. E Mikaela avrebbe preferito credere in un suo improvviso svenimento, in una strana, gravosa stanchezza; avrebbe giurato a qualsivoglia divinità di non infuriarsi mai più con il sedicenne fino all’epilogo della propria esistenza, pur di non accettare la verità, di cancellare quelle orripilanti e livide chiazze che ricoprivano le braccia e le guance morbide del corvino.
La voce uscì fuori dalle sue labbra come suoni confusi, fievoli. Si trascinò in avanti, continuando a guardare quella creatura gentile, ad avvicinarsi a lui con terrore e bisogno – percepì il freddo colpirlo come gocce di pioggia, penetrarlo come terra –.
Si accasciò sulle proprie gambe di fronte al ragazzo; gli cinse le spalle con triste dolcezza, lo accolse nelle sue deboli braccia – un singulto sfuggì alle sue labbra appena il capo di lui crollò docilmente all’indietro, svelando un taglio sulla fronte –. Tremante, avvicinò la mano sinistra al suo viso e sfiorò con i polpastrelli la bocca ferita, schiusa come un candido bocciolo di biancospino, quasi dovesse catturare all’improvviso un sorso d’aria, di vita.
Serrò forte le palpebre, incurante del dolore che gli punse gli occhi, banale se paragonato allo strazio che lo privava del respiro. Inarcò la schiena, e come velo funebre la chioma luminosa precipitò sul viso dell’amato, coprendolo – avrebbe sicuramente riso, Yuuichiro, come le precedenti volte in cui il sedicenne lo catturava in un abbraccio e gli solleticava innocentemente la pelle del viso e del collo con i morbidi capelli, ma fu il silenzio, scosso dai lamenti, a soffiare tra loro, non la sua ilarità –.
«Y-Yuu…» riuscì finalmente a biascicare. Lo strinse maggiormente a sé, e le loro fronti si carezzarono reciprocamente – nessuna vibrazione scaldò il petto dell’altro, abbandonando il cuore di Mika ad un canto solitario –. Cominciò a cullare il suo tesoro, piano, con infinita, straziante delicatezza, quasi potesse lavare via le brutture dal suo corpo moribondo, offeso dalle botte e dai segni delle cinghie dovute al mestiere di portatore, con le cure, il sostegno e il conforto che non poté dargli in quell’istante. «Yuu…!» lo chiamò ancora, e il suo nome si riempì di sofferenza. Singhiozzò, mentre lacrime bollenti trapelavano dai riflessi dell’anima, bagnando le tremuli labbra da cui fuoriuscì un lungo gemito, dapprima lieve, spezzato, ma successivamente più forte.
Lo chiamò, pianse il suo nome, sfiorandogli la guancia con il dorso delle dita. E maledisse quegli esseri immondi, le belve che depredarono Yuu dello spirito, abbagliati da futili motivi.
Chiese aiuto a Dio, Mikaela; lo supplicò di rendergli la vita del ragazzo, la sua unica speranza in quel lurido mondo, incolpandolo allo stesso tempo della sua precoce e crudele dipartita.
Invocò il Diavolo e lo pregò di rompere le catene che trascinarono il giovane verso l’annichilimento, imputandogli la causa di quella stessa sciagura, mossa per invidia nei confronti della loro felicità.
E una risata gutturale echeggiò nelle sue orecchie.
«Vuoi che resusciti Yuuichiro Hyakuya?».

















Sto tremando. Giuro.
Sarà perché mi dispiace per quello che ho fatto a Mikaela e Yuuichiro – e per quello che farò poi –. Non so, davvero.
Parliamo un po’ della storia, veh.
In principio, doveva essere una one-shot, ma visto che stava venendo oscenamente lunga, ho preferito dividerla in due capitoli. In sintesi, sarà una mini-long di due capitoli – con la speranza che non diventino tre, come per un’altra shot trasformata in long –.
L’origine della storia, purtroppo, non posso ancora raccontarvela perché risulterebbe un enorme, indesiderato spoiler.
Spero che sia tutto chiaro e, soprattutto, spero che il capitolo sia piaciuto. Avviso che l’aggiornamento risulterà tardivo a causa degli impegni – i giorni liberi sono davvero pochi, ma sfrutterò anche i minuti e i secondi per continuare –. Aah, quanto vorrei tornare in prima superiore, quando trascorrevo ogni santo pomeriggio a scrivere o a leggere.


Beh… alla prossima :3

Cloud~

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Owari no Seraph / Vai alla pagina dell'autore: B Rabbit