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Autore: Black Swallowtail    24/02/2016    0 recensioni
"C'è una parte di noi di cui tutti ci vergogniamo. Tentiamo di tenerla nascosta, di seppellirla nel profondo; facciamo in modo di sbarazzarcene, così che non torni più a tormentarci; tuttavia, come si suol dire, è qualcosa di più facile a dirsi che a farsi. Il passato torna sempre a bussare alla tua porta, in un modo o in un altro."
Minato Saito è stato un caso più unico che raro di sindrome di seconda media - del tipo peggiore, un così detto "Evil Eye". Deciso ad iniziare una vita diversa, intenzionato ad allontanare il passato che lo tormenta, si appresta ad iniziare un nuovo anno scolastico; tuttavia, quello che lo attende supera di certo le sue aspettative. Scoprirà, suo malgrado, che non si sfugge tanto facilmente dagli artigli di quella strana malattia e che, spesso, se ne rimane vittime per sempre, anche dopo che si è tentato di fare di tutto per sfuggirgli.
Quella ragazza che, seduta poco davanti a lui, è convinta di essere un'eroina imprigionata in una falsa realtà, lo trascinerà con sé verso un mondo fantastico che si nasconde sotto gli occhi di tutti - un mondo di vetro; un mondo d'immaginazione.
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Glasslife – mondo d'immaginazione

 

A Prologue

 

She lives in a fairytale,

somewhere too far for us to find;

Forgotten the taste and smell,

of a world that she left behind.”

 

Qui, la luna è di un pallido colore blu, e scintilla in cielo illuminando il mondo di un'aura soffusa e magica; non è altro che il sinistro, tetro rimasuglio di una maledizione, una oscurità caduta sul mondo e che minaccia di divorarlo di giorno in giorno, estendo le sue lunghe, tremolanti dita di nebbia verso ogni luogo, vicino e lontano, senza alcuna distinzione, rinchiudendo nelle illusioni di un altra realtà coloro che vi finiscono vittime. Non sembra ci sia speranza, per noi. Tutto sembra destinato a scomparire, divorato dall'avanzare lento ma inesorabile di questa essenza incolore ed allo stesso tempo avvolgente quanto soffocante, che procede portando con sé una subdola quanto invisibile distruzione. Come un araldo dell'apocalisse imminente, che porta l'abbandono di ogni castello ed ogni casa, e reca con sé l'estinzione, la Nebbia scivola senza fermarsi, come una legione invisibile di creature demoniache e folli; è cantata in leggende e storielle da taverna, dove bardi brilli suonano con il loro strumento, intonando canzoni epiche di una maledizione infinita ed antica, senza tempo, sgorgata da un gigantesco portale verso il vuoto, spalancato dall'incauto desiderio dell'uomo di conoscere quel che non è a lui dovuto, di mettere piede in un territorio che non è destinato ai mortali, per dimostrare che non vi sia nulla che all'uomo sia proibito o limitato; una superbia, una tracotanza che è costata caro a tutti noi. Sono stati chiamati eroi da ogni angolo del mondo, per fare in modo che questa nuova apocalisse giunga alla fine prima che sia troppo tardi; quando la Nebbia ha iniziato a fuoriuscire, ed i cieli sono divenuti di uno smorto color granito, lacerati tutt'attorno al Cratere, quasi come se siano risucchiati inesorabilmente verso di esso, il presagio che tutti abbiamo atteso, che abbiamo pregato non dovesse mai verificarsi si è materializzato davanti ai nostri occhi. È stato allora che tutti quei combattenti si sono accalcati ai confini della Nebbia, unendosi in grandi legioni, in piccoli gruppi o intraprendendo l'arduo viaggio in solitaria, con le loro armi in mano, sfidando creature abominevoli e pericoli di ogni sorta solo per arrivare fino al Cratere e distruggere la fonte di questa maledizione. Il suo silenzio mortale inizia ad ingoiare qualunque suono, e la sua fitta cappa, talmente spessa da non potervi distinguere nulla attraverso, a nascondere quel che vi è dietro. In qualunque luogo vi si trovi, non c'è bocca che non parli della fine del mondo e di come si stia inesorabilmente approcciando a noi, minacciando di ingoiare ogni terra, vicina e lontana.

Tuttavia, nonostante il terrore, nonostante il vessillo della morte di ogni cosa che si fa sempre più vicino, nonostante tutti, in cuor loro, si stiano preparando ad un destino feroce ed inevitabile, la speranza non si è del tutto spenta. Come un'esitante candela che vive delle ultime gocce di cera, allo stesso modo la tremolante fiamma nei loro animi, seppur esitante di fronte a quella suprema dimostrazione di forza virtualmente imbattibile, espressione stessa della fine di ogni cosa, ancora sta fieramente eretta, illuminando tenue le tenebre della loro oppressiva, agonizzante paura. Le chiese si riempiono di fedeli che pregano silenziosi, augurando buona fortuna a quegli uomini valorosi che ogni giorno passano di città in città stringendo le loro armi, elaborate e lucenti, simboli di mille battaglie; spesso con strane creature al seguito, o palpitanti magie ad aprire loro la strada, con mitragliatrici talmente grandi da potervi accogliere sopra un uomo sdraiato, o cecchini con canne talmente lunghe da sfiorare il terreno quando tenuti di traverso sulla schiena, questi magnifici mercenari peregrinano senza sosta, in una marcia continua e faticosa, verso quei confini perennemente immobili e compatti di grigiore assoluto: in loro, non sembra esserci alcuna esitazione, e per questo tutti hanno messo sulle loro spalle quel briciolo di flebile speranza che ancora persiste. Fermeranno sicuramente tutto questo, ripetevano tutti, e le leggende rimarranno rimaste tali.

Questo è quello che volevano credere. Questo è quello che dicevano, per allontanare il fantasma sempre più prossimo della soffocante Nebbia, una massa senza forma né colore che stava divorando senza limite ogni cosa, senza lasciare alle proprie spalle nulla, se non una ancor più fitta massa indistinta a nascondere il risultato de suo operato.

Sono passati mesi e mesi, e nessuno dei valorosi eroi che ha sfidato il Cratere con tutta la sua forza di volontà e la sua sconfinata potenza ha fatto ritorno. Ogni tanto, la Nebbia avanza ancora, prendendo in sé intere città, cancellando spesso villaggi interi dalle mappe del mondo. Tutto sembra perduto, a questo punto. Nessun nuovo combattente è più giunto fin qui, nessuno ha osato più sfidare la punizione crollata sulle spalle dell'uomo. E solo ora la consapevolezza della fine ha spento anche l'ultima, flebile fiammella rimasta accesa nei cuori della gente, e una cupa comprensione mai stata così reale è caduta su tutti. Senza più nessuno ad innalzarsi di fronte al nemico come ultimo baluardo, non vi è alcuna possibilità; dopotutto, chi può sapere cosa vi sia oltre quel muro indifferente e mutevole, eppure sempre uguale?

Ma ora, ora tocca a me.

Sono stata scelta per brandire un potere che va oltre ogni immaginazione. Un potere proibito, ma allo stesso tempo l'unico in grado di poter riportare al suo sonno l'Antico, un potere garantito alla nascita da un prescelto che abbia impresso il suo marchio nell'occhio destro, dove un'effige dalla forma di spirale imprime l'iride di un profondo color porpora: il simbolo dell'Occhio Demoniaco, l'unico in grado di fronteggiare e sconfiggere la Nebbia, ricacciarla nel luogo da cui viene, e con essa la distruzione al suo seguito.

Non ho conosciuto il mio potere fino al giorno del mio quindicesimo compleanno, quando i miei genitori hanno dovuto abbandonare la nostra casa per andare a combattere contro la Nebbia, per guadagnare il tempo necessario allo sviluppo dei miei poteri. Il sacrificio di tutti quegli uomini non è stato vano, ma mi ha dato il tempo di affinare il controllo che posso esercitare su quel dono oscuro datomi per combattere l'ultima battaglia di questo mondo.

O almeno, così ho creduto. La verità, è che sono caduta io stessa vittima del mio nemico e della sua illusione. Quando ho compiuto i quindici anni e ho assistito alla rivelazione del mio potere, dopo aver scoperto di poter brandire l'Occhio Demoniaco, ho realizzato anche una terribile verità – il mondo in cui sono imprigionata ora, non è quello reale; così come le persone tutte attorno a me, sono stata ingannata dalla Nebbia che mi ha inghiottito e che ha offuscato la mia mente. I miei genitori non sono scomparsi, semplicemente sono andati avanti, perché hanno intravisto l'inganno, e mi attendono ancora, più avanti, perché io possa raggiungerli. Ora che l'Occhio mi ha permesso di osservare la verità, la mia unica speranza, è quella di trovare il portale, che risiede oltre l'orizzonte, attraverso il quale troverò l'Antico e spezzare questa maledizione che tiene tutti quanti imprigionati, ed ignari.

Ora mi rendo conto di quanto sia grande il potere della Nebbia e di come plagi la mente, spingendola a credere che non vi sia nulla di diverso da questa realtà, e che qualsiasi altro mondo non sia che un sogno, una fantasia, qualcosa che va tenuto lontano. Nessuno oltre a me sembra volersi svegliare – sono pochi quelli che ancora serbano i ricordi della nostra vera casa. Combattono una battaglia persa, perché non riescono a mantenere del tutto la loro sanità, e lentamente iniziano a perdere la memoria. Lentamente, rifiutano quel che sono stati, rinnegano del tutto il loro passato, la loro vera essenza, lasciando che l'invito della Nebbia li plagi con le sue visioni di un mondo come perfetto; iniziano a demonizzare coloro che persistono, perché la Nebbia li spinge a combattere contro i valorosi che ricordano, nella speranza di mutare anche loro in esseri vuoti e privi dei veri ricordi. Ma l'Occhio Demoniaco può combattere tutto questo, può spezzare i sigilli che sono stati applicati alle loro menti.

Quando troverò qualcuno in grado di aiutarmi, quando avrò dei compagni al mio fianco, quando finalmente potrò liberare il mio potere – allora, trapasserò questo velo che ci separa dal vero mondo. Fino ad allora, dovrò sopportare, e camminare a testa bassa, sola nella mia lotta contro tutto ciò che mi circonda. A volte, mi sento sola. A volte, vorrei poter porre fine a questa battaglia. Ma l'Occhio Demoniaco non può essere sconfitto.

Oggi, sono più vicina che mai all'Antico e al centro della sua Nebbia.

Oggi, è un anno della mia lotta.

Oggi, a sedici anni—sono tornata nella mia città natale.

*

C'è una parte di noi di cui tutti ci vergogniamo. Tentiamo di tenerla nascosta, di seppellirla nel profondo; facciamo in modo di sbarazzarcene, così che non torni più a tormentarci; tuttavia, come si suol dire, è qualcosa di più facile a dirsi che a farsi. Il passato torna sempre a bussare alla tua porta, in un modo o in un altro, che sia con un rapido flashback mentre stai tentando di addormentarti inutilmente in una nottata afosa, o con un oggetto che salta fuori dal fondo del tuo armadio, da quella scatola che pensavi di aver buttato con le altre in fondo alla cantina, in un modo o nell'altro, i peggiori ricordi tornano sempre, come se fosse il destino stesso a volerti ricordare com'eri un tempo, nonostante tutti gli innumerevoli sforzi di toglierti per sempre dalla testa quell'imbarazzante situazione.

Per me, è quella che ho portato fino all'età di quindici anni come una maschera sul mio volto. Posso dire di aver finto di essere qualcun altro per almeno tre anni; ed ora che ne ho sedici, e sono finalmente “pulito” da quell'immagine distorta di me stesso che mi ero creato, una versione alternativa della mia personalità, posso finalmente dire di sentirmi un ragazzo normale. Il grande segno rosso sul calendario, che racchiude la data di oggi in un ampio cerchio sbarrato da una croce dello stesso colore, indica che è esattamente un anno da quando ho smesso del tutto di imbottirmi la testa di illusioni e di distorcere la realtà attraverso i miei occhi di giovane ed ingenuo ragazzino. Posso quasi considerarla una conquista – aver eliminato ogni segno della mia vecchia esistenza, dopotutto, non è cosa da poco e in questa mattinata che mi appare così frizzante e luminosa, inizia un nuovo, lungo anno scolastico da affrontare. Eppure, nonostante sia un giorno tutt'altro che buono, non posso fare a meno di sentire una vaga sensazione di diffusa gioia, una felicità tipica di chi riesce a raggiungere un traguardo dopo tanta fatica e determinazione. Oggi, ne sono sicuro, è l'inizio di una nuova vita, quella all'insegna della normalità.

Non entrerò più in classe fingendomi ferito per uno scontro con un mago della Chiesa del Male Necessario, non disegnerò più cerchi magici d'evocazione sul pavimento di camera mia nel tentativo di richiamare un demone, non passerò più intere ore a scrivere appunti sovrannaturali in tre quaderni – ma sopratutto, non farò più svolazzare il mantello nero, allungando il braccio destro verso il “nemico”, coprendomi il viso con il sinistro, gridando “Inchinati ad Overlord of Nightmare—Il Signore dell'Oscurità!”. Mi contorco al solo ricordo di queste scene imbarazzanti, che sono ancora sorprendentemente vivide e tangibili, abbastanza per tormentarmi come vecchi spettri che mi sussurrano cose terribili. O meglio, in questo caso, me le mostrano.

Sono finiti quei giorni. D'ora in avanti, sarò semplicemente Minato – non “Minato il Signore dell'Oscurità”, non “Minato colui che brandisce la Black Zagan”, non “Minato the Nightmare Edge”, niente di tutto questo.

Ed è con questa determinazione che esco sul terrazzo della mia camera da letto, respirando a pieni polmoni l'aria mattutina che appare, quest'oggi, così rilassante e meravigliosa, perché finalmente, dopo tanto tempo, non dovrò più sprofondare dalla vergogna quando entrerò in classe, non dovrò più stare a sentire gli altri che mi sbeffeggiano e sopratutto, potrò finalmente avere una vita completamente normale. Mentre sto appoggiato alla ringhiera, con il mento sorretto dal palmo della mano, il mio sguardo cade pigramente sul camion dei traslochi parcheggiato in strada, mentre alcuni uomini spostano gli ultimi pacchi all'interno. Sono arrivati ieri pomeriggio e non hanno smesso di lavorare da quel momento, portando verso l'ingresso della casa di fronte alla nostra voluminosi pacchi e contenitori, che, in confronto alla quantità di mobili, sono decisamente numerosi. Da quel poco che sono riuscito a vedere, sembra che il nuovo inquilino sia solo una persona, il che mi ha portato a dedurre che si tratti di qualche studioso o accademico, e che in tutte quelle scatole vi siano libri e tomi necessari per il suo lavoro, non c'è altra spiegazione. È alquanto strano che qualcuno si trasferisca qui in questo periodo dell'anno, ma probabilmente si tratta di lavoro. Forse, se il destino è abbastanza annoiato, deciderà che quest'uomo venga ad insegnare nella mia scuola, magari nella mia classe; sarebbe davvero un colpo di scena più adatto ad un manga, qualcosa che nella vita reale non potrebbe mai accadere: il nuovo arrivato che finisce nella stessa scuola del protagonista.

Scuoto le spalle, tornandomene all'interno, senza prestare più attenzione agli ultimi preparativi che i traslocatori stanno approntando. Dopotutto, tra poco, avrà inizio l'anno scolastico – nuova scuola, nuova vita. Mi getto lo zaino in spalla e, dopo aver guardato per un'ultima volta la mia stanza, ora meno ingombra, senza tutti quegli scatoloni che ora sono depositati nel ripostiglio in fondo al corridoio, ribattezzato in “la stanza dei ricordi terribili da non rivangare”, chiudo la porta con un mezzo sorriso.

“Io vado. Ci vediamo,” dico, mentre spalanco l'uscio di casa, salutando mia madre e mia sorella che probabilmente sono ancora in cucina, e senza attendere alcuna risposta esco nell'abbraccio del tiepido sole primaverile.

Siccome le facciate delle due case sono esattamente l'una di fronte all'altra, quando mi ritrovo sul vialetto, non posso che notare come il camion dei traslochi si sia allontanato, probabilmente hanno finito di poggiare le ultime scatole ricolme di tomi e se ne sono andati. Quindi, a tutti gli effetti, posso dire di avere un nuovo vicino di casa, l'ennesima novità di questa giornata; ad essere onesti, non ricordavo nemmeno che la casa fosse stata venduta. Sono più che sicuro che appartenesse ad una coppia, tempo addietro, che poi si è trasferita nel luglio di due anni fa; se non ricordo male, mi pare avessero perfino una figlia della mia stessa età, ma all'epoca ero troppo preso dalle mie smanie e dalla mia personalità di Conquistatore delle Tenebre per poter prestare attenzione ad una persona qualunque. La solitudine non mi pesava per nulla, probabilmente perché non mi ero nemmeno reso conto di non avere nessuno vicino – dopotutto, gli altri non potevano certo comprendere il mio potere, o la battaglia che dovevo ingaggiare ogni giorno contro esseri invisibili ai loro sguardi, ma che tormentavano il nostro mondo. Ora che ci penso, forse nemmeno io riesco a capirlo. È come se qualcosa, in me, si fosse spento, come se avessi perso qualcosa, posso quasi sentire il me stesso di quel tempo rimproverarmi, probabilmente mi rimbeccherebbe dicendo che sono divenuto “uno di loro”, o qualcosa di simile. Ah, ecco, un altro ricordo imbarazzante. Devo assolutamente smetterla, ormai è tutto finito, e non ho intenzione di tornare a sognare ad occhi aperti, a mettermi in imbarazzo di fronte a tutti.

Dopo una rapida occhiata al telefono, e dopo essermi accertato di avere ancora un margine di anticipo sull'orario dell'inizio delle lezioni, non perdo altro tempo e chiudo il cancello con un tonfo. Mentre mi allontano verso la scuola, tuttavia, mi sembra quasi di cogliere una fugace visione, una figura indistinta che sta alla finestra, come un'ombra dall'occhio scintillante che segue i miei passi. Quando mi volto di scatto, non c'è nessuno, come se si fosse tratto solamente della mia immaginazione. Possibile che la mia mente mi abbia giocato un brutto scherzo? Sto immaginando mostri nascosti proprio come allora. Sbuffo e, come per riportarmi alla realtà, mi do una pacca sulla fronte, “Non è possibile, decisamente no. Forza, Minato, riprenditi. Nuovo inizio, ricordi?”

Nonostante ciò, non posso fare a meno di sentire gli occhi di qualcuno puntati sulla mia schiena, come una sorta di fastidiosa sensazione di essere osservati, mentre perdo di vista la casa e continuo a procedere verso la scuola.

Casa mia non è troppo distante, circa quindici minuti di una camminata sostenuta, abbastanza tempo per poter riflettere su come pormi con la classe ed i nuovi compagni che troverò. Vorrei davvero poter stringere qualche amicizia, poter uscire con gli amici e fare cose normali, cose che sembrano nella mia mente così distanti dalla realtà, ma che ora ho l'opportunità di raggiungere; ora che mi sono lasciato indietro tutto, non c'è più nulla che mi impedisca di vivere quella che potrei definire “normale adolescenza”, una terra promessa che sembrava irraggiungibile. Dopo tutto questo tempo, finalmente...

I cancelli della Gakuen High School sono già aperti, a lasciare passare il flusso di pigri studenti che, ancora assonnati, si muovono lentamente verso le porte della scuola; il loro basso brusio, il diffuso chiacchiericcio, i saluti, alcuni, spenti, altri, davvero pochi, gioiosi, di chi trova un volto già conosciuto, riempiono l'aria tiepida. Il fatto che una doppia fila di ciliegi in fiore, a destra e a sinistra del viale scolastico, filtrino i raggi solari in una luce rosata che incornicia il mio camminare tra i petali che cadono spinti da un venticello appena percettibile, rende tutto talmente perfetto da apparire come falso, un altro sogno non diverso da quelli che facevo fino a che—no, no, no. Non devo più pensarci; mi è bastato solo richiamare alla memoria per errore un episodio di quel periodo per infiammarmi il volto e darmi un'improvvisa voglia di scappare via e seppellirmi nel giardino di casa per non uscirne più. Quindi, per il mio bene, è meglio evitare. Il più possibile.

“Nuova scuola, nuova vita, eccetera!” mi ripeto a voce alta, bloccandomi in mezzo alla strada. Ovviamente realizzo un secondo troppo tardi di aver accompagnato a questa azione un movimento risoluto del braccio, che è andato a chiudersi in un pugno davanti al mio volto, in un'espressione di determinazione che è l'eredità del Nightmare Edge. Sentendo gli sguardi di qualcuno calamitati su di me, mi affretto ad allontanarmi senza alzare la testa, tenendo lo sguardo fisso a terra come se la punta delle mie scarpe fosse la cosa più interessante del mondo – in breve, ho appena rovinato questo momento all'apparenza così perfetto. Che tu sia dannato, Minato del Passato! Aaaah, ma davvero sono arrivato a questo punto?! Riprendere me stesso chiamandolo per nome? Un'altra pessima abitudine rimastami da quel periodo oscuro che non sono riuscito a purgare. Bisogna procedere a piccoli passi, per compiere un lavoro perfetto, ed io ho fatto tutto insieme, un cambiamento radicale nell'arco di cinque o sei mesi, quindi non ho avuto tempo per rifinire i dettagli. Dovrò accontentarmi di quel che sono riuscito a fare, e finire il lavoro strada facendo.

Non so se sia più triste stare ancora riflettendo su queste cose, o il fatto di trattare questa intera situazione come una malattia terribile di cui liberarsi al più presto – in entrambi i casi, non ho intenzione di sprecare tutto il duro lavoro che ho fatto. “Forza, Minato, ci siamo… la mia classe dovrebbe essere questa,” sussurro mentalmente a me stesso, dando una rapida occhiata all'interno, prima di entrare, giusto per accertarmi di non compiere alcun fatale errore che potrebbe pregiudicarmi a vita. Quindi, dopo aver preso un bel respiro, quando sto per entrare—

“Hey, vuoi toglierti di mezzo? O hai intenzione di fare la statua di cera qui davanti?” la voce che mi riprende suona tutt'altro che amichevole. A dirla tutta, è abbastanza tetra, e il solo sentirla è sufficiente ad irrigidire il mio intero corpo; come un automa, meccanicamente, mi volto fino a trovarmi faccia a faccia con un teppista da strada probabilmente in procinto di compiere una sorta di crimine. O almeno, è questa l'impressione che dà la sua figura. Sarà il taglio affilato degli occhi, anzi dell'unico occhio, visto che i capelli, di un colore biondiccio, ricadono disordinatamente sulla fronte, a nascondere quello destro, appena visibile al di sotto del ciuffo; ed è anche terribilmente altro, almeno dieci o quindici centimetri in più di me, a giudicare da come mi guarda dall'alto in basso con la bocca serrata in un'espressione seccata e vagamente minacciosa, forse la stessa che ha un animale da preda prima di divorare la sua vittima giornaliera, “Sto parlando con te. Mi hai sentito?!”

“S-sì. Scusami, scusami tanto, stavo solo...” le parole tremanti mi muoiono incerte sulle labbra, e l'unica cosa che riesco a fare è spostarmi, dopo aver ordinato con sommo sforzo alle gambe di schiodarsi da quella posizione simile a quella di un palo della luce, dritto, immobile e rigido. Il teppista schiocca la lingua irritato, prima di entrare a testa bassa in classe senza guardare nessuno, per poi caracollare sul suo banco con la testa affondata tra le braccia. La mia solita, immensa fortuna, a quanto sembra – in classe con quello che sembra un criminale tesserato nella Società Criminali Palesi, ammesso che ne esista una.

Quando sento il mio corpo riacquistare sensibilità, mi accorgo di un'altra persona che mi sta guardando; e non una qualunque, ma bensì una ragazza, i cui occhi verdi hanno una sfumatura di preoccupazione nel vedermi ridotto in questo stato. Si inchina profondamente, completamente mortificata, ed io non posso che rimanere a guardarla con aria a dir poco confusa mentre si scusa, “Perdonalo, per favore. Solitamente non si comporta così—” il suo sguardo improvvisamente si rattrista di colpo, e le sue dita si intrecciano nervosamente, mentre aggiunge qualcosa sottovoce che suona terribilmente come un “O almeno, non lo faceva...”

Nonostante in questo momento io sia l'immagine stessa della confusione e dello sgomento, riesco a ricompormi in un istante, sopratutto quando l'imbarazzo e l'emozione di star parlando con una ragazza normalmente mi colpiscono come un treno, spazzando via lo choc di un attimo fa, “No, non fa niente, davvero,” rispondo scuotendo la testa con più vigore di quanto vorrei, e facendo un rapido cenno con la mano, agitandola quasi convulsamente, “Va tutto bene. Mi ha solo preso di sorpresa, ecco tutto.”

“Capisco. Non giudicare troppo male Kazuhiro, ti prego… è un bravo ragazzo in fondo. Ah, non mi sono presentata, perdonami!” si dà un colpetto alla tempia, come per sottolineare la sua improvvisa sbadataggine, “Mi chiamo Nao. Sembra che saremo insieme, quest'anno, quindi cerchiamo di andare d'accordo!”

Il mio cervello sta faticando a processare del tutto la situazione. Una ragazza che si sta presentando a me, senza chiedermi per quale motivo sono bendato, o perché ho una spada da cosplayer sulle spalle? Siamo sicuri che non sia un sogno? Dovrei darmi un pizzicotto? Combattendo contro questo istinto, e contro la mia stessa incredulità, riesco a collegare abbastanza neuroni per riuscire a trovare le parole adatte a presentarmi - “Il mio nome è Minato, the Nig—” mi mordo la lingua, divorando immediatamente quella parola che stava per uscire fuori dalla mia bocca inavvertitamente, a testimoniare che non ho ancora ben interiorizzato la situazione, “Minato, scusami. Piacere di conoscerti. Spero andremo d'accordo.”

“Non sei di queste parti? È la prima volta che ti vedo.” non sembra essersi accorta del mio quasi fatale errore, fortunatamente. Posso solo esultare per essere riuscito a non rovinare tutto a partire dalla mia prima conversazione.

“Frequentavo una scuola media in un altro quartiere, perché mio padre lavorava lì, prima di trasferirsi all'estero per lavoro.”

“Tuo padre lavora all'estero? Dev'essere incredibile!”

“Lo sarebbe, se tornasse più spesso a casa…”

“Vivi da solo?”

“No, no, ci sono mia madre e mia sorella, con me.”

“Quindi sei l'uomo di casa? Dev'essere dura, eheh...”

“Più di quanto immagini.”

Ovviamente è una bugia. Non c'è mai davvero molto da fare, a casa, ed anche fosse stato, probabilmente non lo avrei fatto, preso com'ero dalle mie fantasie e dal mio mondo di immaginazione. Ma questo era il passato, ora che ho rimesso la mia vita sui binari giusti, probabilmente le cose cambieranno. Mentre continuiamo a chiacchierare del più e del meno, qualche domanda e qualche battuta, a cui lei ride mostrando il suo sorriso – che, ai miei occhi, appare come un meraviglioso raggio di sole in una giornata nuvolosa, probabilmente preso ancora come sono dal momento e dalla sua bellezza che va crescendo man a mano che la guardo, veniamo interrotti da un'altra persona che passa tra di noi per entrare in aula. O meglio, sguscia tra di noi, perché è come se scivolasse sinuosamente sul pavimento, talmente veloce che non riesco nemmeno a vederla bene. Io e Nao ci scambiamo una veloce occhiata dubbiosa, ma le domande che sono sul punto di nascere vengono bloccate dall'arrivo del nostro docente, che intima a tutti di andare a sedersi al proprio bianco.

Mentre prendo posto, posso notare come lo sguardo di molti, se non tutti, sia calamitato sulla figura del grande e sinistro Kazuhiro, che nonostante sia seduto compostamente e si sia alzato a salutare normalmente, come tutti gli altri, emette una sorta di aura che sembra dire “Sono un teppista che ti divorerà come un povero animaletto se oserai incrociare il mio sguardo”. Dev'essere per via della sua altezza, dei suoi capelli, dei suoi occhi, che insieme formano un complesso abbastanza inquietante. Per quanto Nao abbia detto che sia un bravo ragazzo, una vocina dentro di me mi ricorda come poi abbia sussurrato tra se e se qualcosa con aria malinconica; ed il fatto che si sia rivolto a me in quel modo, di certo non gli fa guadagnare punti.

Il professore apre il registro, esaminandolo per qualche istante nel tentativo di associare nomi ai volti, prima di picchiettare la penna contro il bordo della cattedra con fare pensoso; il suo sguardo scorre lentamente su di noi, squadrandoci con attenzione, uno ad uno. Nonostante mi ispiri una sorta di soggezione, in lui non c'è alcun intento ostile, in questa semplice azione, sta semplicemente osservando quella che sarà la sua nuova classe per i prossimi tre anni; tuttavia, com'è prevedibile, sembra quasi pietrificarsi quando arriva a Kazuhiro e il suo intero corpo si irrigidisce di colpo. A questa reazione segue un frenetico confrontare il registro ed i posti, nel tentativo di individuare il nome di quel ragazzo dall'aria losca seduto a metà dell'aula, con lo sguardo annoiato che si perde fuori dalla finestra e le labbra strette, come se fosse abituato a scene simili. Probabilmente non è la prima volta che qualcuno si spaventa nell'osservarlo. La situazione sembra appianarsi quando il docente riesce a scrollarsi di dosso l'improvviso choc per passare alle presentazioni di ognuno di noi.

A cominciare dalla fila di destra, uno ad uno, i miei compagni si alzano in piedi e, detto nome e cognome, aggiunta qualche curiosità sulla loro vita o sui loro gusti, tornano a sedersi, in un processo meccanico che sembra quello di una macchina che accende uno dopo l'altro degli automi per controllarne la funzionalità. Mi mordo la lingua di colpo, come a scacciare questo paragone, terribilmente affine al me stesso di tempo fa – e mi redarguisco mentalmente di evitare certi pensieri tossici, che devo tenere il più lontano possibile, se voglio realizzare il mio obbiettivo di abbandonare per sempre quel pallido fantasma del passato che è Minato the Nightmare Edge. Mentre le presentazioni proseguono pigramente, mi ritrovo a tamburellare con un misto di tensione ed eccitazione le dita sul banco. È importante che io faccia una buona, prima impressione; mi sono allenato tanto per evitare che accada qualcosa come quella verificatasi alle medie, un ricordo talmente vivido da arrivare quasi ad ardere sulla mia pelle, e che mi fa imporporare leggermente le guance al solo pensiero; si tratta di una di quelle memorie così dure a morire da rimanere impresse nella mente come scolpite, e più la si tenta di allontanare, più si rafforza e si imprime nell'insieme di ricordi sempre più imbarazzanti.

Il primo giorno di prima media, quando la mia profonda convinzione di essere stato scelto per controllare poteri oscuri mi colpì come un treno, trasformandosi in una vera e propria sindrome – quello fu il giorno in cui iniziò tutto. Il giorno in cui, anche solo pensarlo mi manda un brivido gelido lungo la schiena, sprofondai nelle mie delusioni e contrassi quella che viene definita “sindrome di seconda media” in una delle sue tipologie peggiori, la “Evil Eye”. Quando fu il mio turno di presentarmi, in quel preciso istante, nacque Minato the Nightmare Edge, Colui che brandisce la lama delle anime Black Zagan, il Dominatore delle Tenebre, eccetera, eccetera. Rivangare quella scena è sufficiente a far nascere in me un istintiva voglia di colpirmi il più forte possibile sul naso, al solo pensiero di quanto sia stato insopportabile ed idiota. Prima di tutto, senza nemmeno degnarmi di alzare lo sguardo, senza accennare a mettermi in piedi, con fare teatrale mi portai una mano al viso… ed iniziai a ridere. Uno sghignazzare in un primo momento basso, ma che poi aumentò in un crescendo sempre più alto, fino a divenire una vera e propria folle risata; quando si spense, unii le punte delle dita di fronte al viso, scostai i capelli dalla fronte con un gesto quasi stizzito, e passai lentamente lo sguardo sugli astanti, tutti totalmente assorbiti da quella mia reazione inaspettata, probabilmente chiedendosi cosa diavolo stesse accadendo – mentre, nel mio mondo personale, filtrato attraverso i miei occhi, mi stavano tutti guardando con aria allibita, soverchiati dall'improvvisa realizzazione del mio potere. O qualcosa di simile.

“Voi poveri esseri inferiori pretendete di conoscere il mio nome? Ebbene, così sia! Io sono Nightmare Edge, colui che brandisce la lama che fende le anime, la Black Zagan. Ho combattuto contro il Signore dell'Oscurità e ne sono uscito vincitore. Mi sono seduto sul suo trono e sono divenuto immortale. Ed ora, mi sono reincarnato dopo millenni in questo fragile corpo! Quindi, temetemi e servitemi come merito, o verrete spazzati via dal mio potere.”

Non c'è nemmeno bisogno di dire che, nel pieno di questo delirio, mi ero tirato in piedi, sfoggiando un improbabile mantello nero da cosplayer ed un ghigno che nella mia mente sarebbe dovuto apparire folle, ma che dall'esterno sembrava decisamente ridicolo. Il gelo che piombò nella classe fu più che sufficiente, per quell'idiota che ero, a darmi soddisfazione, ritenendo di averli lasciati basiti a causa della mia rivelazione incredibile.

Resisto all'impulso di sbattere ripetutamente la testa contro il banco per infliggermi abbastanza dolore fisico da rimuovere questo ricordo, e attendo pazientemente che sia il mio turno. Proprio mentre mi ritrovo ad aspettare, senza prestare davvero attenzione agli altri, tutto preso dall'organizzare mentalmente un discorso che possa farmi apparire il più normale possibile agli occhi degli altri – quindi, niente poteri oscuri, spade incantate o anime tormentate – la vedo. È seduta tre posti davanti a me, e sembra tutta raccolta su se stessa, come se attendesse qualcosa. Tiene una mano poggiata sotto il mento, e le ginocchia unite, ben serrate, in trepidante attesa. I suoi capelli di un profondo nero, come quello dell'inchiostro che gocciola da un calamaio rovesciato, le sfiorano appena le spalle, e seppur disordinatamente lasciati liberi, senza alcun vincolo a dare una parvenza di ordine, appaiono lisci e brillanti, quasi palpitanti, come tessuti di fili notturni. Se ne sta talmente immobile, da apparire come una statua; no, non una statua, ma una bambola, così piccola e così diafana. Complessivamente, non sembra nemmeno reale, è quasi come se non fosse di questo mondo.

“Bene, il prossimo,” la voce del professore suona lontana alle mie orecchie, come se la udissi attraverso un ampia parete di spesso vetro, immerso nell'acqua, un suono attutito che tuttavia mi fa sobbalzare. Perso com'ero nei miei pensieri, e nell'osservare la ragazza di fronte a me, non ho fatto caso che fosse il mio turno. E, la cosa peggiore, è che non ho pensato a nulla. Posso quasi sentire il sudore gelido scivolarmi addosso, mentre mi alzo meccanicamente in piedi, probabilmente tremando leggermente. Prego mentalmente che nessuno lo noti, ma un respiro profondo basta a farmi riprendere la calma sufficiente per parlare, “Mi chiamo Minato Saito, e vengo da una scuola media fuori da questo distretto. Non conosco praticamente nessuno qui, ma spero andremo d'accordo.”

Una presentazione estremamente banale, talmente normale da suonare praticamente vuota. Non è del tutto quello che desideravo, ma si tratta comunque di un grande passo in avanti, e quindi non posso fare a meno di sentirmene soddisfatto. Mi siedo rapidamente, e con gli occhi cerco Nao, seduta nella seconda fila a destra; incidentalmente, nell'istante in cui la individuo, i nostri sguardi si incrociano e lei mi rivolge un sorriso seguito da un rapido saluto, prima di tornare immediatamente a seguire la nuova presentazione, come se il suo sguardo fosse stato calamitato dalla persona che, in questo momento, si è alzata in piedi per parlare.

È lei. La bambol—voglio dire, la ragazza seduta davanti a me. Inizialmente, non sembra voler dire nulla, solo rimanere immobile così, su due piedi, con le braccia lungo i fianchi e la testa bassa, che non accenna ad alzarsi, come se si trattasse effettivamente di una bambola rotta. Confusa. Quasi non sapesse che fare. Per un lungo istante, mi chiedo cosa voglia fare, perché non stia parlando, ma semplicemente rimanga paralizzata, così, su due piedi; come a rallentatore, proprio nell'istante in cui tutti hanno iniziato a mormorare, il suo braccio destro ha seguito un ampio arco che ha tagliato l'aria. La sua figura ruota su se stessa, come trasportata da un peso invisibile legato alla sua mano, fino a trovarsi di tre quarti rispetto a me. Il suo indice, teso di fronte a lei come a lanciare una sentenza verso qualcuno, tant'è che mi aspetto di sentirla gridare “Obiezione!” da un secondo all'altro, si blocca, come la lancetta di un orologio.

Su di me.

Gli sguardi di tutti i compagni si muovono pieni di confusione dalla figura esile della ragazza senza nome alla mia, come calamitati da un magnetismo irresistibile. Nao mi lancia un'occhiata confusa, alla quale io non posso che rispondere con un'alzata di spalle e scuotendo la testa, tanto sorpreso quanto lei. Mi volto per un secondo, come ad accertarmi che non stia indicando la persona alle mie spalle, ma è più che chiaro che quel dito stia puntando a me. Proprio a me. Verso il mio petto, con una intensità tale da sentirmi quasi trapassato da quel mero gesto.

—Cosa sta succedendo?, sarebbe una domanda perfetta da porre in questo caso. Non riesco a capire minimamente perché una persona che non ho mai visto senta il bisogno di alzarsi nel bel mezzo dell'aula e, senza proferire una parola, invece di presentarsi, indicarmi. Non ha ancora detto nulla, ma continua a puntarmi con insistenza, come a volermi far prendere coscienza che sia io la persona designata per… per cosa? Per quale motivo mi sta indicando con tanta insistenza?!

“Finalmente ti ho trovato.” sussurra improvvisamente, con voce funerea, come cenere che venga soffiata nell'aria gelida, un tono vibrante, pieno di una nota che non riesco a distinguere chiaramente – ma che suona quasi come minacciosa. O forse è più il fatto che le sue parole assomiglino alla battuta di un assassino che abbia raggiunto il suo bersaglio. In un'altra situazione, probabilmente mi sarei odiato per tutti gli strani paragoni che continuo a tirare fuori, ma l'intera situazione mi appare così surreale che l'unica cosa che sono in grado di fare è rimanere lì, immobile, con gli occhi sbarrati e la bocca leggermente storta in un'espressione di confusione totale. È come se l'intero mondo si fosse congelato, e fossimo rimasti solo noi due, in quest'aula. Non sento più nemmeno le occhiate penetranti dei miei nuovi compagni, eppure fino ad un momento prima non potevo fare a meno di sentirle come punzecchiarmi ogni angolo del corpo.

“Mi hai… trovato?” le parole che riesco a fatica a dire sono esitanti, e il mio dito, che si stende verso il petto, ad indicarmi da solo come per ricevere la prova definitiva quanto inutile che stia parlando con me, trema leggermente. La ragazza annuisce profondamente, senza accennare a voler abbassare quel dito, “Tu sei come me. Ho sentito il mio Occhio reagire al tuo potere latente. Anche tu sei un guerriero rimasto soggiogato dalla Nebbia e dalla sua maledizione!” con tono teatrale, chiude a pugno la mano sinistra, ed allo stesso tempo muove lateralmente la testa di scatto, abbassando lo sguardo, “Sei potente proprio come immaginavo. Nonostante l'Antico tenti di soffocare la tua aura, riesco ancora a percepirla,” digrigna i denti e, come se qualcosa l'avesse colpita, arretra di qualche passo, piegandosi sui talloni, “Insieme, possiamo riuscire a sfuggire da questo incubo!” Nessuna titubanza, nessun dubbio, esattamente come se ogni cosa che sta uscendo dalla sua bocca sia nient'altro che la verità, una realtà inafferrabile ma sulla quale non vi è dubbio.

Sul suo viso, c'è un'espressione di determinazione che mi fa rabbrividire.

Una profonda, totale convinzione in ciò che sta dicendo.

Esattamente come è stato per me.

Sì, per un singolo istante, in lei, non posso far altro che vedere la mia immagine riflettersi pallidamente, che mi rivolge un sorriso ironico, beffardo.

Possibile che sia—

“Gli umani mi chiamano Mana Maeda. Ma per te, mio compagno eterno, io sono The Evil Eye, l'Occhio Demoniaco!”

E, a quelle parole, come nelle mie fantasie più sfrenate, il suo occhio sinistro scintilla improvvisamente, come avvolto da un'energia spirituale fino ad ora invisibile. Con un secco movimento, rivela il dorso della sua mano destra e l'emblema scintillante rappresentato su di esso, un complesso cerchio magico che incide la sua pelle come se fosse stato marchiato con il fuoco. Le sue dita si allungano verso di me, in una surreale, sospesa atmosfera di sogno. Quei suoi occhi magnetici, sono neri, più neri delle piume di un corvo, più neri dell'inchiostro – sì, sono neri come l'Abisso che ho tante volte immaginato di affrontare. Più guardo in loro, più sembrano volermi attirare.

“Vieni con me, Nightmare Edge! Insieme, possiamo sconfiggere qualunque nemico.”

Come attratto irresistibilmente, come se il mio corpo si muovesse da solo, spinto da un automatico istinto che non riesco a comprendere, mi tendo in avanti, finché le nostre dita non si sfiorano. Ed è allora, in quel preciso momento, quando i nostri polpastrelli si toccano, che riesco a vedere per la frazione di un istante un'immagine che si imprime nella mia mente come un marchio ardente – qualcosa di stranamente bello. Le sue labbra, fino ad allora rimaste immobili in un'espressione gelidamente seria, sembrano come sciogliersi, liberate da un peso invisibile.

Mana Maeda sorride. Tutt'attorno, la realtà si infrange in un milione di schegge senza colore, che si dissolvono nell'aria in un soffio, prendendo la forma di innumerevoli, infinite farfalle che volano tutt'attorno a noi in una miriade di colori diversi.

Sembra… un sogno.

“Posso sapere esattamente cosa sta succedendo?” con un improvviso colpo basso, la realtà crolla sulle mie spalle con il peso di un milione di macigni. Mi ci vuole un lungo, infinito istante per realizzare cosa sia appena successo, per capire esattamente quale madornale, gigantesco, no!, titanico errore io abbia commesso. Sono in mezzo alla classe, con la mano tesa a sfiorare quella di una ragazza mai vista, durante il primo giorno, mentre lei, invece di presentarsi, si è messa a gridare quelle cose con un tono talmente serio, talmente deciso, da avermi afferrato e trascinato con sé nella tana del coniglio e nelle sue profondità, dalle quali sono stato tirato fuori a forza dalla brutale realtà. In altre parole, ho appena distrutto ogni mia possibilità di apparire come una persona normale. Ma sopratutto, lei mi ha chiamato… Nightmare Edge?! Come fa a saperlo?!

“Vede, io ed il Nightm—”

“Ah, niente, niente. Mi ha solo teso la mano, ecco tutto, e pensavo… che sarebbe stato giusto stringerla...” la interrompo prima che possa continuare a parlare ed abbasso lo sguardo imbarazzato, lasciandole di scatto la mano, come se fosse bollente e minacciasse di ustionarmi da un momento all'altro. Non riesco più a sopportare gli sguardi basiti di tutti che si sono conficcati su di noi, come tanti spilli che lacerano la carne. Non riesco a credere che sia tutto andato in pezzi così, ancor prima di iniziare. Sono condannato a vivere perseguitato dal mio passato fino a questo punto? Il destino mi odia al punto da mandarmi contro una incarnazione vivente delle mie peggiori ed imbarazzanti memorie, come se non fosse abbastanza doverle richiamare involontariamente dai ricordi senza poter fare nulla se non sentire il bisogno di seppellirmi sottoterra ogni qualvolta accade.

“Ah, ma voi due siete vicini di casa. Maeda si è trasferita di nuovo qui dopo molto tempo, eh? Dev'essere stata una bella sorpresa ritrovarvi così. Ora capisco, certo,” annuisce compiaciuto il professore, come se improvvisamente avesse capito esattamente tutto, soddisfatto della sua deduzione, “Molto bene, allora. Il prossimo.”

Con un sospiro esausto, crollo a sedere sulla sedia, con un desiderio estremamente profondo di sparire dall'aula il prima possibile. Non posso far altro che ringraziare fortuitamente il caso che il professore abbia letto che abitiamo vicini, così da aver arginato il problema, quanto meno per ora. Dovrò persistere su questo errore e convincere Maeda a fare altrettanto, oltre a prepararmi a rispondere ad una quantità enorme di domande che sicuramente mi pioveranno addosso da tutti i compagni. Sopratutto, ho bisogno di una giustificazione per il fatto che mi abbia chiamato Nightmare Edge. Immagino che troverò qualcosa con cui salvarmi per un soffio, nella speranza che questo episodio venga dimenticato al più presto – anche se ho la pessima sensazione che non sarà così.

Mentre rifletto su come affrontare questi problemi appena germogliati, come triste augurio della mia nuova vita scolastica, non posso fare a meno di tornare a guardare Mana. Non c'è dubbio che quella che sembra la possegga sia una sindrome di seconda media. Non c'è altra spiegazione per cui una ragazza debba saltare in piedi gridando di essere Evil Eye, l'Occhio Demoniaco, farneticando di una Nebbia, dell'Antico e di altri scenari chiaramente inventati da una mente che mostra tutti i sintomi di quella sindrome divorante che ho sofferto anche io. Un'altra Evil Eye… rabbrividisco. Sembra una ragazza normale, avvolta da una bellezza tutta sua, una sorta di vago fascino che non riesco a spiegare, eppure è stata maledetta da quello stesso problema che mi ha tormentato come un fantasma per così tanto tempo.

Quando Nao ha terminato, mi getta un'occhiata di sottecchi, piena di dubbi, prima di sedersi, uno sguardo con mille domande e che cerca disperatamente risposte. Mi riprometto mentalmente di soddisfarla non appena ne avrò l'occasione, al termine delle lezioni la fermerò e le spiegherò tutto, senza scendere troppo in dettagli imbarazzanti. Per qualche ragione, sento che lei mi possa capire. Quanto meno, lo spero. Altrimenti, dovrò sparire dalla faccia della Terra per l'imbarazzo, e sinceramente non voglio dovermi trasferire ancor prima che l'anno scolastico sia davvero iniziato.

Per qualche ragione, il professore sembra saltare del tutto la presentazione di Kazuhiro, che si limita ad alzarsi e dire il suo nome, prima che le presentazioni vengano sospinte in avanti con una certa fretta dal docente. Effettivamente, non posso certo biasimarlo del tutto per essere impaurito da quello che ha tutta l'aria di essere una sorta di teppista.

Mentre la campanella della lezione suona, ed il professore esce dalla classe,mi sembra di avvertire uno sguardo estremamente insistente sulla schiena; riseco a cogliere, per un secondo, gli occhi di Mana che si staccano velocemente dalla mia figura, tornando a precipitare sui fogli davanti a lei, senza dire una parola. Come se stesse “misurando la mia aura”.

Durante il corso della giornata, a volte, mi sembra che si tocchi il marchio sulla mano e poi tenda la mano verso di me, come a volermi chiamare. Prima ovviamente di tornare a nascondersi da qualche parte. Così, fino al suono della campanella, non posso che sentirmi continuamente, morbosamente osservato da una ragazza piccola e innocente che sembra una bambola e ha un cerchio magico tatuato sul palmo, profondamente convinta di possedere un potere oscuro.

Se questo è l'inizio della mia carriera scolastica alle superiori, non posso che chiedermi cosa mi riserba il resto dell'anno.

Ma sopratutto, quante volte dovrò pentirmi di essere stato un malato di sindrome di seconda media.

 

 

   
 
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