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Autore: Mannu    24/02/2016    0 recensioni
Un altro quando, un altro dove: in un mondo animato dalla forza del vapore Veruska è una giovane domestica accompagnatrice da poco diplomata in cerca del suo primo impiego. Non esita a salire a bordo di un bellissimo treno che la porta verso una movimentata avventura che non avrebbe mai sospettato di poter vivere.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Veruska'
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Schmeisser (Vollversion)
Der letzte Teil

Aprì gli occhi di scatto, sobbalzando.
Si era appisolata. Per forza, si disse umettandosi le labbra disidratate. Il sole la colpiva attraverso il finestrino del treno e la veletta di pizzo del suo cappello da viaggio non la riparava.
Con un solo sguardo perquisì il compartimento dove si trovava. Nessun viaggiatore seduto con lei, nessun bagaglio oltre la sua borsa. Si tranquillizzò un poco.
Non voleva addormentarsi: non doveva farlo. Anche se aveva dormito poche ore, anche se era stanca e indolenzita in ogni punto del corpo. Soprattutto le gambe a causa di tutta la strada che aveva fatto. Non si sentiva ancora abbastanza al sicuro. Si rimproverò subito per quel pensiero sciocco. Era tutto finito. Non doveva temere più nessuno.
Con la memoria andò indietro ai fatti della sera prima. Rivisse tutto come guardando una pellicola troppo veloce: l'edificio dove Eric Schmeisser aveva assemblato un titano di acciaio grigio azionato dalla potenza del vapore e dalle membra scattanti grazie ai prodigi dell'elettricità. Poi la lotta con gli emissari di diverse superpotenze europee. Chissà se l'avevano davvero tutti scambiata per una spia dello Zar di Russia. Certo non le avevano riservato un trattamento di favore: ricordava molto bene le abili e consumate mosse con cui i due uomini del Kaiser l'avevano ridotta all'impotenza. Ma li aveva distratti abbastanza a lungo da permettere a Eric di salire a bordo del suo mostruoso congegno e decretare così la sua stessa sorte. Le si strinse il cuore al pensiero, tanto da sentire dolorose lacrime affiorarle agli occhi. Non avrebbe voluto un epilogo del genere! Oh, come avrebbe voluto che le cose fossero andate diversamente!
Ma l'edificio di mattoni era crollato seppellendo tutto sotto le macerie. Tutto tranne lei, Maria e i progetti degli arti meccanici, trafugati dalla spia britannica avendoli forse scambiati per quelli della corazza gigante.
Veruska si abbandonò contro lo schienale e si lasciò cullare dal treno che procedeva spedito. Lasciò gli occhi sulle macchie sfuocate che correvano come impazzite incontro al treno, sfrecciando a poca distanza dalle rotaie.
Aveva colpito Maria e sfruttando la sorpresa era fuggita coi disegni di Schmeisser. Aveva corso e camminato fino a stare male. Finalmente aveva scorto i fari di un veicolo, salutandoli come un naufrago la terraferma: erano i tecnici dell'azienda elettrica che andavano a vedere cosa fosse accaduto alla cabina. Si era fatta accompagnare poi in città, dove aveva scoperto che doversi difendere tutti i giorni da due serpi velenose come Inga e Karin poteva avere dei risvolti positivi. Aveva tutto il denaro con sé e anche i documenti, quindi non ebbe difficoltà a farsi ospitare in un modesto albergo. Qui si lavò, pulì i vestiti in qualche modo e dormì più che poté. Sonni ricchi di incubi e intervallati da lunghe crisi di pianto. Dalla stamberga alla stazione del treno non c'era moltissima strada e subito andò a guardare gli orari dei treni per Berlino. Aveva comprato il biglietto e, dopo una robusta colazione e una fruttuosa visita a un negozio di abiti preconfezionati, era partita.
Non voleva più sentire parlare di Kräaftenburg, di Villa Schmeisser e di fabbriche per almeno una decina d'anni. Ne aveva avuto abbastanza. Di una sola cosa era contenta: di essersi sbarazzata del tubo metallico, ma non dei progetti che conteneva. Erano i disegni molto dettagliati delle gambe artificiali di Eric Schmeisser. Le parole dell'uomo l'avevano colpita profondamente: la tecnologia del metallo, la potenza del vapore e l'energia elettrica dovevano essere unite tra loro per la creazione di opere benefiche, non per creare altre armi. Distruzione, predominio, potere dei pochi sui molti. Mors tua vita mea. Era ora che qualcuno dicesse basta, che questo meccanismo perverso venisse fermato.
Veruska immaginò macchine di precisione manovrate da esperti operai produrre le parti che poi venivano assemblate da artigiani sotto la stretta supervisione dei migliori medici. Arti meccanici per bambini sfortunati, per invalidi del lavoro e mutilati di guerra; perché no, arti più forti per chi svolgeva lavori faticosi e ingrati. Sognò un futuro di uomini meccanici, un mondo più saggio e più felice. La fine della sua disavventura di una notte coincideva con l'inizio di una bella, duratura favola. Applaudita dalla folla, additata da tutti. E lei si voltava additando una colossale statua scintillante di Eric Schmeisser.
Sì, era deciso: avrebbe fatto in modo che così fosse.
Aprì gli occhi di scatto, sobbalzando.
Si era appisolata di nuovo. Il treno correva sempre velocissimo, accompagnando la sua fuga dai tristi fatti di Kräaftenburg. Il sole si era alzato e non riusciva più a raggiungerla. Le membra cantavano ancora in vivace coro il loro malcontento per il rude sforzo cui erano state sottoposte la notte precedente. C'era qualcuno nello scompartimento.
- Buongiorno, mia cara Veruska.
Il tedesco dell'uomo era quasi perfetto. L'averla chiamata per nome lo tradì: la sua pronuncia era uguale a quella di sua madre. Il ricordo della sua dolce genitrice non le fu di consolazione alcuna, anzi: eclissò subito nella paura e nello spavento, lasciandola sgomenta.
Tutt'altro che spaventoso, l'uomo la guardava sorridendo sereno. Aveva superato la quarantina e si vedevano i primi fili grigi nei capelli tagliati corti in stile militare. Le mani posate su un bastone dal pomo bianco a testa di levriero, aveva occhi di ghiaccio e il viso rasato era largo e squadrato. Indossava un completo blu scuro sopra un gilet nero dai bottoni d'argento; dal taschino pendeva la catenella dell'orologio, lucide maglie tubolari che giocavano con la luce scheggiandola in modo intrigante. Un Ascot nero decorato da una spilla d'argento era portato morbidamente intorno al collo.
Veruska lo guardò bene due volte: non si lasciò ingannare dal bell'aspetto. L'averla chiamata per nome, l'accento lo tradivano. E le mani: segnate, grandi, ruvide, forti. Mani da soldato.
- Chi siete? Che volete? Come sapete il mio nome? - Veruska soffiò quelle domande tutte d'un fiato, con lo stomaco freddo e serrato dalla paura.
- Le mie scuse, mademoiselle... il mio nome è Ivan Grimovski, capitano di artiglieria dell'esercito del Popolo Sovietico. Per servirla.
Accennò un inchino col capo, ma ostentava il sorriso di un coccodrillo. Sembrava una molla compressa: pronta a scattare.
- Non ho nulla che possa interessare il popolo sovietico o... il suo Zar, capitano.
Il sorriso del soldato si fece un poco più caldo, gli occhi brillarono di soddisfazione.
- Vengo da una famiglia di contadini e mio padre mi ha insegnato il prezzo del lavoro e il valore del tempo. Apprezzo sempre chi sa cos'è il primo e non spreca il secondo.
Sorrise ancora e poi disse con disinvoltura sconcertante:
- Che ne dice di diecimila corone svedesi? O preferisce i franchi svizzeri?
   
 
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