-Cos’è che vorresti ancora, tu?-
La voce di Makoto è il ringhio del lupo cui hanno appena sottratto la preda per darla in pasto ai porci. La coppietta alla loro destra sobbalza, fissandoli attonita; il bambino in braccio al padre, a sinistra, inizia a piangere a dirotto. Il proprietario del tirassegno suda, a disagio.
Kuroko non spreca fiato a parole. Le sue labbra sottili si arricciano attorno alla cannuccia, mentre aspira un’altra boccata del milkshake alla vaniglia che lo ha costretto a comprargli (il quarto, per la precisione), e l’indice della mano destra si va a puntare con estrema nonchalance verso un enorme peluche a forma di cane.
Un peluche che assomiglia quasi sinistramente a quel botolo che la prima volta che ha messo piede a casa sua gli ha pisciato sui pantaloni e ha tentato di staccargli una gamba a morsi, ma fa nulla.
-Non se ne parla neppure!- sbraita, oltraggiato. Fa per voltarsi e andare via, e già è pronto a spintonare il gruppetto di mocciosi che si è assiepato alle loro spalle per farsi largo e toglierseli dai piedi, ma non va lontano: viene subito spinto indietro, perché Kuroko l’ha preso per mano.
Makoto apre la bocca. Sputacchia, anche, mentre fissa con occhi sbarrati le loro dita che… si stanno intrecciando tra loro?! Vorrebbe urlare. Sbattere i piedi. Prendere quel maledetto nano e sbatterlo contro il muro e ringhiargli addosso che lui non è, e non sarà mai, il suo…
Il pollice di Kuroko gli preme sul palmo della mano. Lento, in un moto circolare che dall’esterno scivola verso l’interno e che gli fa formicolare i nervi di quella stranissima sensazione che ancora non ha imparato a catalogare. E per quanto ci provi, non riesce a impedirle di riverberare lungo il braccio e giù per la colonna vertebrale, in un tremito che gli accappona la pelle e gli fa arricciare le dita contro la suola delle scarpe.
È solo un attimo.
-Fuori dai piedi- sibila, spintonando via il giovanotto che, trovato il coraggio di ignorarli, tentava di farsi bello agli occhi della sua spasimante –Dammi qua- sbraita contro il povero proprietario dello stand, che subito gli allunga un cestino con il numero designato di palline accartocciate e che tenta, balbettando di spiegargli come funziona la prova.
E che si tuffa subito a terra, quando un missile terra aria gli passa a un centimetro dalla guancia, chiedendosi disperato perché anziché al luna park non abbia provato a cercar lavoro come coltivatore di begonie.


Kuroko, intanto, sorride.
E ingoia l’ultima sorsata di milkshake.
 

Venti minuti dopo, la coppia si allontana verso l’ottovolante. Hanamiya ha ancora l’aria incarognita, schiumante di rabbia pronto ad esplodere contro il primo essere animato che oserà intralciare il suo cammino. Ha il cane stretto sotto braccio, più un peluche più piccolo a forma di tigrotto che la sua dolce metà ha deciso di regalare a Kagami per il suo prossimo compleanno e che provvederà a distruggere in milioni di frammenti non appena arriveranno a casa.
Kuroko, al suo fianco, stringe impassibile la sua mano libera, facendo lentamente oscillare il braccio ad ogni passo.
E sorseggia il suo quinto milkshake, perché andiamo. Makoto Bad Boy Hanamiya? Non può semplicemente negargli nulla, a quel maledetto stronzo manipolatore.