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Autore: LeaRachelBlackbird_et_Ann    25/02/2016    1 recensioni
Noah e Timothy stanno insieme da cinque mesi, sembra tutto rose, fiori e arcobaleni... ma sappiamo che sono due idioti e doveva per forza venir fuori qualche problema, no?
Rieccoli qui, la nostra divah e il nostro emo preferito in una piccola parentesi di vita quotidiana. A modo loro.
Questa storia è il seguito di "Un piano (non proprio) perfetto", meglio leggerla prima.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Scolastico
- Questa storia fa parte della serie 'Clichè a vari stadi di idiozia'
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Eccoci qui. Vi avevamo detto, no, che avreste rivisto questo manipolo di idioti, giusto? Chi però sperava in qualcosa incentrato su Tyler e Abram rimarrà un po' deluso... i protagonisti indiscussi, per ora, sono ancora Noah e Timothy.
Che dire? Inanzi tutto che siamo rimaste piacevolmente colpite dal successo che ha avuto "Un piano (non proprio) perfetto", vi assicuro che per i nostri standard siete un sacco di fan, davvero. Tra l'altro siamo anche arrivate seconde nel contest in cui partecipava (siamo state fregate dagli orrori di battitura... perchè avevamo caricato il file non betato :'D siamo stupide) e siamo state così felici da festeggiare con questa cosina. Inoltre, ci è stato chiesto se Ann facesse qualche disegno anche sulle storie e, per chi interessasse, sulla nostra pagina FB abbiamo messo una chicca che lei ha fatto velocemente con l'acquerello. Ann non si dice molto soddisfatta, ma è un Noah molto carino <3
Niente, vi lasciamo alla storia, sperando che venga un pochino apprezzata e che non deluderemo nessuno.
Fateci sapere cosa ne pensate!
Lea e Ann
 



 
-La mia gioia
Frammenti sul muro

 



Noah mordeva nervosamente la base della matita, traendo un certo gusto nel sentire affondare i molari nel legno tenero, come se quella matita gli avesse fatto un imperdonabile torto personale che lui stava punendo.

Della lezione non stava seguendo assolutamente nulla, in fin dei conti non gliene fregava gran che. Matematica non era nelle sue corde, proprio no, poi mancavano due mesi alle vacanze estive e anche se quell'ultima parte di programma la mandava al diavolo non sarebbe stato chissà quale dramma, non per lui, a cui bastava la sufficienza politica, anche un po' stiracchiata.

Tutte scuse, ovvio, ma convincenti abbastanza da sentirsi autorizzato a farsi i fatti propri.

Ogni tanto l'insegnante lo guardava per capire se stesse seguendo o meno, ma lo sguardo omicida del ragazzino chiariva che sarebbe saltato al collo di chiunque gli avesse rivolto la parola, quindi la donna aveva deciso di lasciar perdere a priori. Non che Noah fosse chissà quanto spaventoso, con la maglia a fiori e la fascia per capelli coordinata... ma aveva un caratterino abbastanza problematico, di quelli che per quieto vivere è meglio lasciarli in santa pace.

Quindi, Noah erano due ore buone che torturava la sua cancelleria, lo sguardo assassino puntato nel vuoto cosmico. Sperava di somigliare a una tigre pronta ad attaccare, benché in realtà sembrasse più che altro un pulcino arruffato e offeso. Ma era davvero arrabbiato, frustrato e la causa di tutto ciò era bellamente ignara della cosa.

Non che si fosse aspettato diversamente, dall'emoscemo.

Dannazione!

Noah sbuffò per l'ennesima volta e nemmeno il suono della campanella migliorò il suo umore.

Strascicando i piedi come un bambino offeso arraffò la tracolla e altezzoso attraversò i corridoi, con la chiara intenzione di rendere noto al mondo intero il suo malumore - perché il mondo doveva essere assolutamente informato di certe crisi di tale portata ed entità.

Uscì in cortile, circumnavigando l'edificio, diretto alle scale antincendio.

Tra la prima e la seconda ora aveva mandato un SMS minatorio a Tyler che ora lo aspettava sul pianerottolo tra il secondo e il terzo piano, sbocconcellando un panino talmente imbottito da essere quasi ai limiti della decenza e della legalità per il piano dietetico di Noah.

Non appena il ragazzino, con fare melodrammatico, si lasciò cadere al suo fianco con l'ennesimo sospiro, Tyler lo squadrò, inarcando un sopracciglio.

“Tesoro, non è per dire, ma hai delle occhiaie davvero spaventose.”

Noah, perdendo ogni posa da divah incompresa, si portò le mani al volto scandalizzato, tastando la zona sotto gli occhi come se la sua faccia si stesse sciogliendo

“Dici sul serio?”

Tyler annuì: “Già, e tu non hai mai le occhiaie. Ciò vuol dire che hai dormito poco e, per i tuoi standard, significa non più di un paio d'ore - prima o poi me lo dirai come fai a non dormire un cazzo e non cadere dal sonno sul banco.

Quindi gioia, metti da parte l'attrice di melodrammi e racconta al caro vecchio Tyler qual'è il problema, vuoi?”

Noah mise il broncio sporgendo il labbro inferiore, scontento che Tyler gli avesse rovinato la parte tanto in fretta e con così poca considerazione.

Alla fine però sospirò sommessamente, un sospiro finalmente naturale e, nervosamente, si mise a giocherellare con una ciocca di capelli di un improbabile lilla.

La verità era che nemmeno lui sapeva bene quale fosse il problema, cos'è che gli levasse il sonno. Aveva vagamente capito cos'è che gli desse tanto fastidio, quale fosse il puntiglio molesto ma era così... strano per lui. Per questo gli serviva la consulenza del quoterback: se c'era qualcuno al mondo che poteva capire tutti i suoi isterismi senza sminuirli era Tyler.

Intanto, il quoterback attendeva pazientemente che l'altro si sbloccasse, finendo di mangiare il panino. Ah, quanta pazienza ci voleva con la sua reginetta! Però lo adorava anche per quelle cose, per quella sua tenerissima insicurezza per cose che sarebbero dovute essere invece normalissime.

“Timothy non vuole che si sappia che stiamo insieme.”

Lo vomitò così, conciso e diretto, fingendo nonchalance staccandosi le doppie punte con molto più impegno di quello richiesto.

Tyler aggrottò la fronte, mentre appallottolava la stagnola del panino e faceva un centro perfetto in un vaso di fiori la cui pianta aveva visto giorni migliori.

Tyler non si aspettava che Noah tirasse fuori l'argomento proprio a quel punto.

Insomma, la divah e l'emoscemo -come lo chiamava Noah quando era arrabbiato con lui- stavano insieme da.... quanto?

Fece mentalmente una botta di conti.

Cinque mesi?

“Ma perché proprio ora viene fuori il problema?”

Noah storse il naso, indispettito. La verità era che si sentiva lui per primo un po' un cretino...

All'inizio, appena si erano messi insieme, gli era parso di toccare il cielo con un dito: aveva così faticato per far ammettere all'altro cretino di amarlo che poi gli era sembrato tutto così rosa e meraviglioso che mancavano solo gli unicorni e gli arcobaleni per far somigliare la sua visione del mondo ad un film dei My Little Pony.

Aveva vagato per mesi in una sorta di bolla fatta di nuvole, zucchero filato e lustrini, felice come una tredicenne al primo fidanzatino, talmente preso dalla relazione in sé che non aveva pensato troppo a sbandierare la cosa ai quattro venti -che, doveva ammetterlo, per lui tutta quella riservatezza era assai strana.

Quando qualcuno aveva avanzato a Noah qualche domanda impudica sul suo stato lui si era messo a ridacchiare come uno scemo e svariate persone avevano tratto la conclusione che l'ultima decolorazione gli aveva del tutto fritto il cervello

Qualcuno aveva invece iniziato a vociferare che si fosse messo stabilmente con qualcuno, altrimenti come spiegare i dieci mesi di astinenza del ragazzo - cosa che aveva strabiliato in molti - e l'improvviso cambio d'umore - insomma, non sembrava più in un permanente sindrome premestruale - ?

Finalmente, qualche sua compagna di classe aveva tastato il terreno, andandoglielo a chiedere direttamente e mettendolo quasi sotto torchio, al pari di un gruppo di agenti segreti durante la guerra fredda come solo un gruppetto di ragazzine che vivono di ossigeno e gossip possono fare e Noah, improvvisamente, si era reso conto che nessuno era a conoscenza della sua storia con Timothy e che se le sue compagne erano arrivate a chiederglielo direttamente voleva anche dire che, da fuori, non si notava che loro avevano una relazione.

Sorvolando sul fatto che molti ormai consideravano Timothy l'appendice silenziosa di Noah e che dunque il fatto che fossero sempre insieme non era affatto strano, il ragazzino si era reso improvvisamente conto che, al di fuori delle mura domestiche, non si scambiavano nessun tipo di effusione, ed era sconvolgente. Tutto, nella vita di Noah, era sempre stato un manifesto, messo sotto la luce del sole e sbandierato ai quattro venti e che proprio quella parte della sua esistenza, così bella e importante, fosse passata in sordina, l'aveva lasciato senza parole.

Alle sue compagne di classe non aveva risposto nulla, scappando invece a gambe levate alla ricerca di Timothy, trascinandolo letteralmente fuori dalla classe - che fosse l'intervallo era solo una favorevole circostanza, avrebbe fatto irruzione ugualmente anche nel mezzo di una lezione.

Lo aveva preso da parte, guardandosi attorno con molta poca discrezione come un rapinatore alle prime armi e aveva chiesto a Timothy, candidamente, se poteva dire alle sue amiche che stavano insieme.

Nemmeno lui sapeva bene perché glielo avesse chiesto, non si era mai fatto quel tipo di patemi, però lo aveva domandato in maniera retorica, convinto che Timothy gli avrebbe risposto che non c'era alcun problema.

Il secco no era stato una fucilata nelle rotule.

 

“E non ti ha dato ulteriori spiegazioni?”

“No,” rispose, rabbuiandosi.

“No perché non te ne ha volute dare o perché te ne sei andato con l'orgoglio ferito e poi lo hai evitato?”

L'improvvisa mancanza di voce da parte di Noah diede esaustiva risposta.

“Che senso ha chiedergli perché? E' evidente che si vergogna di stare con me!” disse allora piccato, lasciando finalmente stare i capelli.

Tyler sospirò, abbandonando la schiena all'indietro e spalmandosi su tre gradini, la testa abbandonata all'indietro in contemplazione del nulla, riflettendo.

Era questo che piaceva tanto a Noah dell'altro: il suo essere riflessivo malgrado le apparenze, il suo prendere sul serio i suoi dilemmi da reginetta, il suo ascoltare senza giudicare, sempre e comunque.

“Mi sembra una sciocchezza, Noah. Non credo proprio si vergogni di te; insomma, è sempre stato la tua appendice, il suo essere eletto finalmente a fidanzato non dovrebbe essere chissà quale scandalo, tutt'altro. Oltretutto, tu per primo mi hai raccontato di come ha sofferto il suo amore per te perché qualcuno qui era cieco come una talpa... mi è sempre sembrato uno abbastanza sincero con se stesso da non dover fare cose del genere.”

Noah incassò la testa tra le spalle, in parte piccato dalla poco velata frecciatina di Tyler, in parte demoralizzato. Non riusciva a venirne a capo e questo lo mandava ai matti.

Per quanto la tesi ti Tyler fosse assolutamente sensata non riusciva proprio a levarsi dalla testa che Timothy si vergognasse di lui, di loro.

Perché no, in fondo? Sapeva bene cosa voleva dire essere dichiaratamente gay, Tyler era il primo a nascondere a tutti la sua omosessualità per non incorrere in determinate conseguenze. Oltretutto era assolutamente conscio di essere appariscente ai limiti del consentito, di essere considerato uno facile, uno leggero, sia di modi che di intelletto. Era consapevole di tutto questo e ci aveva sempre convissuto con discreta serenità, ma perché mai Timothy avrebbe dovuto essere orgoglioso dell'essere il suo ragazzo?

Tyler sospirò, comprendendo bene cosa stesse penando l'altro: “Noah, in ogni caso... non lasciare che questo diventi un problema. Affronta Timothy e la situazione, non lasciare che si deteriori. E' costato troppo il vostro affetto per essere rovinato da una sciocchezza del genere”

 

La parola giusta era angosciato.

Quella volta Noah se l'era data a gambe e dopo non avevano più avuto alcun contatto.

Non rispondeva alle sue chiamate e ai suoi messaggi, la mattina partiva prima che lui passasse a prenderlo e all'uscita da scuola si volatilizzava, cosa non proprio facile considerato il suo essere così appariscente.

Erano passati due giorni e Noah lo ignorava da allora. Dannazione a lui e alla sua maledetta abitudine di essere conciso al limite del monosillabo nelle risposte.

Timothy si era reso conto della cazzata fatta quando Noah era già sparito in mezzo alla calca di studenti in pausa, non era riuscito a riacciuffarlo.

Quella mattina, durante l'intervallo, era andato a cercarlo anche in classe, scoprendo che si era dato alla macchia non appena era suonata la campana e nessuno sapeva dove fosse.

L'ennesimo sospiro contrito venne interrotto dal cellulare, che vibrò brevemente nella sua tasca dei jeans.

Corrugò la fronte quanto lesse il nome sul display, corrucciandosi ulteriormente quando lesse il contenuto dell'SMS.

Borbottò tra se e se qualche imprecazione, digitando una risposta veloce e rimettendo via il telefono, ringraziando un qualsiasi dio in ascolto per quella volta in cui, messi da parte orgoglio e gelosia, aveva scambiato il numero di telefono con Tyler.

 

“Noah non è in casa Timothy, mi dispiace.”

“Non è vero un accidente, Abram, l'ho appena visto alla finestra della sua stanza. Ti prego, fammi entrare, devo sistemare questa storia.”

Abram storse la bocca e si aggiustò gli occhiali sul naso, seccato di essere finito di nuovo in mezzo ai casini di suo fratello: dopo la storia della torta ai mirtilli non ne aveva più voluto saper niente dei suoi piani assurdi.

Silenziosamente si fece da parte, lasciando entrare Timothy che piano lo ringraziò, correndo poi alle scale, spalancando la porta della camera dei fratelli senza troppe cerimonie.

Noah, steso supino sul letto, sobbalzò, guardandolo stralunato.

“Timothy, ma cosa-”

Il ragazzo lo agguantò per un polso, trascinandolo in piedi e poi fuori dalla stanza, la presa ferrea mentre Noah tentava di divincolarsi, protestando.

Sotto lo sguardo impassibile di Abram Timothy trascinò Noah fino in strada, fregandosene che la gente li guardasse male perché Noah sembrava un tarantolato, che Noah fosse a piedi scalzi sul marciapiede, che l'altro gli avesse piantato le unghie nel polso nel tentativo di farsi mollare.

Lo trascinò nel vialetto accanto, quello di casa sua, borbottando qualche bestemmia quando Noah punto i piedi contro lo stipite del portone di casa, sotto lo sguardo allibito della madre di Timothy.

Riuscì a fargli sorpassare la soglia, sospingendolo attraverso il corridoio, buttandolo letteralmente dentro la sua camera da letto. Solo allora lo lasciò, appoggiandosi con la schiena contro la porta, le braccia incrociate e la testa incassata, muto.

Noah lo stava guardando tra lo sconvolto, l'arrabbiato e l'impaurito, in compenso finalmente aveva smesso di avere le convulsioni e di strepitare volgarità irripetibili.

Rimasero a fissarsi a lungo, entrambi con il fiaco grosso, finchè Timothy sospirò e prese Noah per le spalle, voltandolo.

Sotto lo sguardo di Noah si rivelò la piccola camera da letto di Timothy, che conosceva bene malgrado fosse parecchio tempo che non ci entrasse: casa sua paradossalmente era molto più grande, non c'erano adulti molesti a supervisionare i loro deliri e Abram aveva delle capacità culinarie davvero apprezzabili, quindi tendevano a stare lì, più che a casa di Timothy.

Con una certa curiosità Noah studiò la stanza notando che era rimasta pressoché immutata, minimalista quanto il suo proprietario: pareti bianche, un letto singolo, una scrivania, una finestra senza tende, una libreria stipata da tomi enormi e poco altro. In questo elogio all'essenziale la parete sopra al letto era un pugno in un occhio e, calamitato lì, i passi di Noah si mossero da soli.

Quello, l'ultima volta, non c'era.

Una moltitudine di foto facevano mostra di sé una accanto all'altra, attaccate con puntine o del biadesivo.

Eccola lì, la foto che Abram aveva fatto loro il giorno del ballo l'anno precedente, entrambi in abiti eleganti, uno accanto all'altro in fondo alle scale di casa sua.

Poi un selfie scattato al capodanno appena passato, lui visibilmente alticcio che stringe con un braccio il collo di Titmohy, i fuochi d'artificio sullo sfondo.

Più in basso loro due in costume, con l'acqua del fiume ai polpacci: Timothy lo sta evidentemente prendendo in giro per la sua faccia disgustata per via del fondo melmoso.

In diagonale una lunga striscia di istantanee fatte in stazione, in quei trabiccoli per farsi le fototessere, dove un imbarazzatissimo Timothy era stato coinvolto in un bacio piuttosto umido.

In formato più grande una foto solo di Noah, del quale lui non conosceva l'esistenza, immortalato di fronte al cavalletto, concentrato con un pennello in mano, la fronte aggrottata, la finestra che lo illumina da dietro, sbiadendone appena i contorni.

Poi tante altre immagini, alcune molto più vecchie, di quando erano bambini; biglietti del cinema strappati; un bigliettino dei biscotti della fortuna; il disegno con gli auguri di natale che gli aveva fatto quell'anno; un tovagliolo con una serie infinita di partite a tris.

In mezzo a tutto ciò troneggiava, colorato ed enorme, un poster a ottima risoluzione del “Cielo stellato” di Van Gogh, protagonista indiscusso di quella serie di piccoli ricordi.

Il loro quadro. La loro storia.

Su quel muro era stata raccolta tutta la genesi della loro relazione, da quando erano solo due marmocchi. Era un altare dedicato a loro due, alla loro vita insieme, dalle cose più serie come quel poster, alle stronzate, come il tovagliolo del tris di quella sera che si erano sbronzati con la dama alcolica.

Timothy, esitante, si affiancò a lui.

“Cos'è tutto questo?”

“La mia idea di perfezione. La mia gioia”

Rimasero in silenzio, a lungo, Noah sconvolto, Timothy circospetto.

“Non mi vergogno di te, Noah, non pensarlo mai”

Silenzio ancora.

“Tyler?”

Timothy annuì e Noah borbottò: “Traditore.”

Ancora silenzio, Timothy prese lentamente aria, preparandosi a parlare.

“Ha fatto benissimo, invece. Sembri così forte e indifferente di fronte ai problemi che a volte mi dimentico di quanto puoi essere fragile. Ti prego, fammi finire,” aggiunse quando l'espressione di Noah si accartocciò, scontenta.

“Ti considero la persona più meravigliosa della terra, Noah, con tutti i tuoi difetti, il tuo essere essere eccentrico e, Dio, non sai quanto ho invidiato ogni singolo uomo che ha potuto sfiorarti e baciarti... non mi vergognerei mai di te. Di noi”

Noah si addentò il labbro inferiore, senza il coraggio di guardare Timothy, lo sguardo fisso su una delle istantanee, quella in cui aveva afferrato Timothy per il bavero e l'aveva baciato.

“Allora perché?”, la voce si incrinò appena.

Non capiva, non comprendeva. Se non si vergognava di lui... allora perché?

“Perché non ci ho riflettuto sopra prima di risponderti, quindi ho scelto le parole sbagliate.

Io... sono geloso di quello che abbiamo, credo. Scioccamente, come se non dirlo a nessuno lo rendesse più... nostro. Intimo. Credo”

Corrugò la fronte.

“La gente ha la brutta abitudine calpestare le cose belle. Non voglio che abbiano modo di sminuire e bistrattare quello che siamo noi. Ma... sono paturnie infondate mie, dovute alla mia incurabile misantropia. Paturnie un po' sciocche. Lo so. Quindi, se vuoi dirlo alle tue amiche, non farti problemi di sorta. Voglio che tu sia felice.”

Due grossi lacrimoni rigarono le guance di Noah, che con delicatezza prese le dita di Timothy tra le proprie, stringendole appena.

“Non sono sciocche... sono tenere”

Timothy strinse la presa, facendosi più vicino al suo fianco. In tutto quello, non si erano ancora guardati direttamente. Guardavano l'altro attraverso le foto, attraverso i sorrisi e le smorfie di altri momenti, passati, ma che erano parte integrante del loro presente.

“Perché hai pensato che mi vergognassi di te?”

Non c'era accusa nella voce, era pacata, gentile, come era gentile la stretta della sua mano, la sua presenza al suo fianco, la sua presenza nella sua vita, malgrado tutto.

“Io-...Come fai a non vergognarti di quello che sono?”

Non si aspettava di certo che, nel rispondere, Timothy ridacchiasse, perché era assurdo in quel momento, perché Timothy non rideva, figurarsi se ridacchiava.

“Perché dovrei vergognarmi di te?”

“... Mi hai rigirato la domanda”

“Lo hai fatto prima tu”

Noah si girò,andando di fronte a Timothy, prendendogli anche l'altra mano, lo sguardo sulle loro dita intrecciate.

“Non sono una cima, sono parecchio ignorante e non so usare le parole, sbaglio anche i tempi verbali!

Sono eccentrico, egocentrico, incostante, a volte volgare, eccessivo in tutto quello che faccio, che sono.

Sono iperemotivo, lunatico, checca fino al midollo con tendenze isteriche.

Tendo a essere appiccicoso, teatrale... molesto.”

Timothy inclinò leggermente la testa di lato, verso la spalla.

“Noah, io sono asociale, ombroso, verbalmente stitico e scontroso. Sono estremamente pudico e odio il contatto fisico con la gente, ma sopratutto odio la gente.

Sono puntiglioso, ambisco alla perfezione al limite dell'autismo, sono invisibile e privo di gusto estetico, eccessivamente pragmatico, un modo carino per non dire rude.”

“Ma sei tu. A me piaci così.”

“E' reciproco, Noah. Sei una divah egocentrica ed eccentrica. La MIA divah egocentrica ed eccentrica e non ti cambierei di una virgola. Magari mi piacerebbe che tu fossi meno insicuro di te.”

Questa volta fu Noah a ridacchiare.

“Non dirlo a mio fratello. Lui dice che sono troppo sicuro di me”

Timothy si sporse in avanti, posando la fronte contro la sua.

“Lo sei sulle sciocchezze, per sentirti sicuro anche sulle cose importanti.

Eppure... diavolo, Noah, sarei io a dovermi chiedere come puoi non vergognarti di me.”

Noah arricciò le labbra, contrariato, ma tacque.

“Ti amo, Noah. Ti amo tanto.”

Noah rabbrividì, emozionato e avanzò con il viso, sfiorando i nasi, poi le labbra, facendole combaciare, assaggiandole piano, vezzeggiandole come a chiedere il permesso per entrare.

Si baciarono lentamente, con dolcezza, un bacio per ogni foto in cui sorridevano, un bacio per ogni gioia.

Poi Noah gli posò la testa su una spalla, il naso contro il suo collo e Timothy lo circondò con le braccia; rimasero fermi, uno in contemplazione dell'altro, avvolti un una calda coperta di gioia al cospetto dei piccoli frammenti di felicità appesi al muro.

“Ti amo anch'io, Timothy. Ti amo anch'io.”

   
 
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