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Autore: Stray_Ashes    28/02/2016    4 recensioni
[Traduzione] - [Priest!Gerard] - [Frerard]
"«Gerard pensa che io abbia delle stigmate*» disse Frank, perché tanto, dannazione, le cose non potevano andare peggio di così. Aveva bisogno di liberarsi di quel peso.
«Oh, beh...» rispose Brian, il viso fra le mani. «Naturalmente» "
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Lavoro originale di Bexless, la mia è una traduzione. Personalmente, ho amato la serie di Unholyverse, quindi davvero, ve la consiglio anche in inglese; io, intanto, mi svago provando ad allenarmi traducendola. La storia ha diversi elementi legati alla religione, ai demoni e l'esorcismo, ma credo che meriti veramente molto comunque.
E poi, Gerard versione prete, ha un fascino tutto suo.
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Riassunto: 

«Lui pensa che io abbia delle stigmate*» disse Frank, perché tanto, dannazione, le cose non potevano peggiorare ancora di più. Aveva bisogno di liberarsi da quel peso.
«Oh, beh...» rispose Brian, il viso fra le mani. «Naturalmente»
 
*Le stigmate sono tipicamente le piaghe nelle mani, nei piedi e nel costato di Gesù Cristo, provocate dai traumi subiti durante la sua passione; per successiva estensione, indicano lesioni corporali che in particolari soggetti offrono una riproduzione, temporanea o permanente, completa o parziale, delle piaghe di Cristo. In ulteriore traslato, con la parola "stigmate" si indicano i segni fisici, o psichici, o sociali, lasciati in individui o collettività da eventi avversi di varia natura.
Source: Wikipedia




Allora. Molto bene...

Questa è la prima parte della serie Unholyverse, vero e proprio capolavoro di Bexless. L'autrice ha dato la possibilità a tutti di traduzione, quindi, tecnicamente, ho il permesso.
Ho personalmente amato questa storia, e avevo voglia di allenarmi con l'inglese, quindi... perché no? E' una serie parecchio lunga, ma spero di riuscire a starci dietro abbastanza a lungo c:
Uhm... beh, come accennato nella descrizione, ci sono tematiche di religione, esorcismo e demoni, quindi se per voi sono argomenti delicati, non leggete.. ma andiamo, merita talmente tanto che dovreste lo stesso quindi leggete.

Che altro dire? Accetto ben volentieri critiche sulla traduzione e consigli, è il mio primo esperimento serio. Ma spero di fare comunque un buon lavoro. Ci si vede!

_Stray Ashes_



1. Tattoos
 
If God can work through me, He can work through anyone
- St. Francis of Assisi
 
"Se Dio può agire attraverso di me, Egli può agire attraverso chiunque"
- San Francesco d'Assisi. 

«Sai qual’è il punto? » disse Frank, osservando Luke preparare l’ago. «Il punto, è che Dio mi odia»

«Dio ti ha dato un’intossicazione alimentare? »

Frank scrollò le spalle, sentendo il cuoio rovinato della sedia grattargli la pelle da sotto la maglietta. «Perché no? »

Luke avvicinò il proprio sgabello a Frank, e si spostò la sigaretta da un lato all’altro della bocca senza nemmeno toccarla: uno strano, molto pratico movimento che gli increspò il mento coperto di ispida barbetta grigia. «Magari invece ha cose più importanti a cui pensare che maledire le tue budella, ci hai mai pensato? »

«Ha cose più importanti a cui pensare che prendersi cura della mia fottuta vita, questo è certo»

L’intossicazione alimentare, come Frank aveva già spiegato a Luke, era stata solo l’inizio di tutto. Se non avesse avuto quell’intossicazione, non avrebbe dovuto prendersi del tempo fuori dal lavoro, e non avrebbe ricevuto quei due messaggi da Brian, dove esprimeva il suo disappunto sul fatto che Frank non avesse preso quel discorso delle assenze seriamente; e lui stesso non si sarebbe costretto a tornare al lavoro troppo presto, e avrebbe quindi evitato di scappare via per vomitare nel bel mezzo dell’operazione in cui faceva un piercing allo scroto di Darren Haywood, e gli avvocati di Darren Haywood non avrebbero spedito una simpatica lettera a Brian, in cui venivano bellamente schiaffeggiati da una fottuta querela e messi sotto processo, poiché lo scroto di Darren Haywood aveva, apparentemente, cominciato a perdere pus, facendo infezione.

«Voglio dire, mi ero lavato le mani, cazzo» continuò Frank, guardando Luke disinfettargli il dorso della mano con l’alcool. «Non gli stavo mica facendo un piercing alle palle con la lingua, capisci...?»

Luke annuì. Della cenere finì sul pavimento, e un po’ rimase intrappolata nei capelli lunghi e sporchi dell’uomo. «Ti sento, fratello»

«In ogni caso, oggi ho quasi perso la pazienza, a lavoro» Luke girò il fascio di luce della lampada verso la sedia, e Frank fu costretto e chiudere gli occhi. Sentì la mano di Luke coprire la sua per un secondo, in un bizzarro, intimo gesto che parve piuttosto strano e confortevole allo stesso tempo. «Brian si stava occupando ancora del mio caso, ma io amo fottutamente quel posto, ci metto il mio cuore e la mia anima in quel lavoro, e invece lui ancora crede abbia finto tutto per non lavorare, il bastardo, che lo sapeva quanto facesse schifo il mio sistema immunitario quando mia ha assunto. E quindi non so cosa diamine voglia che io faccia»

Luke canticchiò qualcosa a bocca chiusa, e Frank sentii la punta umida della macchinetta cominciare a tracciare il tatuaggio sulle sue nocche.
«Quindi dimmi,» disse Luke, mentre disegnava. «Se sei già nel mestiere, che cazzo ci fai qui a farti fare un tatuaggio da uno sconosciuto? I tuoi colleghi non si arrabbieranno venendo a sapere che sei andato a cercare fuori dalla vostra combriccola? »

Frank ci aveva pensato, a questo, quando si era ritrovato davanti al negozio di Luke, fissando la vetrina, con già la famigliare sensazione del dolore e dell’ago sulla propria pelle. Bob odiava quando i suoi clienti andavano da altri tatuatori, Frank lo sapeva, e questa decisione non avrebbe di certo aiutato la sua campagna “Bob Insegnami a Fare i Tatuaggi”, che a grandi linee consisteva soltanto in sé stesso che assillava Bob per convincerlo ad insegnargli, e in Bob che puntualmente rifiutava. Tutta la questione gli avrebbe solo fatto guadagnare una predica da parte di Bob su come non capisse il santo rapporto tra artista e cliente, Frank ne era certo, ma quel giorno era appena riuscito a tornarsene a casa, ancora seccato dalla lavata di capo da parte di Brian, e dall’ennesimo rifiuto di Bob, e lì aveva trovato la porta di casa propria sfondata, la sua chitarra e la sua tv sparite, e, peggio fra tutto, Ella era scomparsa e probabilmente finita morta sotto a qualche autobus.

Luke strine gli occhi. «Ella?»

«Il mio cane» chiarì Frank, «Insomma, sono andata a cercarla e mi è sembrato di vederla, così ho lasciato la macchina dietro l’angolo e mi sono infilato in questo fottuto vicoletto, sai, quel tipo di vicolo cieco che si vede in Tv, con i cassonetti e probabilmente un cadavere nascosto sotto i sacchi della spazzatura, no?» Frank si mosse sulla sedia.

«Non muoverti» lo ammonì Luke, la macchinetta che ancora si muoveva sulla sua mano.

«Scusa,» disse Frank. «Comunque, non c‘era nessun cane, non so che cazzo avessi visto, ma quando sono tornato indietro, mi stavano rimorchiando via la macchina, così ho dovuto camminare senza neanche conoscere il quartiere, e allora mi sono ritrovato qui fuori, ed ho pensato... non so. I tatuaggi mi fanno sentire meglio.»

Non era del tutto vero, in realtà. Frank si era trascinato a fatica lungo la strada con il suo inutile colletto bagnato tirato su fino al mento, la mente costantemente occupata dal disappunto di Brian e dal pensiero di Ella, probabilmente morta sotto a una gran varietà di veicoli diversi, e in più la lettera ricevuta dall’assistenza medica, in cui gli spiegavano perché non erano in grado di aiutarlo, di nuovo. Poi, continuava a pensare all’offerta di sua madre, che lo invitava a tornare a casa da lei finché non si fosse rimesso del tutto, e poi all’improvviso aveva visto le parole, definite e sfavillanti di ronzante neon, proprio come uno squallido segnale dal cielo: TATTOO.

E lei era lì, nella vetrina, su un pezzo di carta ingiallita appesa in un angolo, sommersa da tutti i simboli celtici e tutte le diavolette sexy della vetrina, con quel viso bianco e le morbide piume così diverse da qualunque cosa Frank avesse mai visto; e lui aveva pesato, “io ti conosco”, e aveva sentito uno strattone nella pancia, come un amo da pesca incastrato appena sotto l’ombelico, tirare verso la superficie. Quindi, si era ritrovato ad attraversare la porta del negozio prima ancora di capire cosa stesse facendo.

Ma non gli andava di dire tutto questo a Luke. Aveva già raccontato metà della propria vita a quel tizio, anche se non tutta la verità. Era stata una cosa molto strana – Frank era un chiacchierone, su questo non c’erano dubbi, ma in genere non andava in giro a raccontare le sue settimane di merda a sconosciuti mai visti prima.

Ma si era sempre sentito sicuro, nei saloni per tatuaggi. L’odore, il tagliente ed umido profumo dell’inchiostro, e il modo in cui le immagini sul muro e sul soffitto rendessero il tutto più piccolo di quanto fosse, come un piccolo buco, accogliente e confortevole per qualche ragione. E questo vecchio tizio, grigio e malandato come se fosse appena uscito da una lotta, era sbucato lentamente dal fondo del negozio con addosso una canottiera di pelle, sufficiente a mostrare tutti i tatuaggi frutto del suo lavoro, sulle braccia e sul petto. Quell’uomo aveva inoltre uno strano modo di guardarti, come se potesse vedere segreti su te stesso che neppure tu conoscevi.

«Voglio la ragazza con le ali,» gli aveva detto Frank, spostando il peso da un piede all’altro, rendendosi poi conto delle orme bagnate lasciate su tutto il pavimento del negozio. E, come se uscirsene con quella frase non fosse già stato abbastanza strano, si era ritrovato ad aggiungere, «Sono Frank. Non ho un appuntamento».

All’inizio c’era stato silenzio, in cui Frank ebbe tempo di riprendere coscienza di sé e balbettare qualcosa sul fatto di aver sbagliato strada e che gli servivano informazioni, ma poi il tizio aveva allungato la mano e detto: «Luke.  Vieni pure, fratello, vedrò che posso fare».

Tornando al presente, Frank sentiva di nuovo la mano di Luke sulla propria, questa volta passando dal gomito fino al polso. Le dita erano ruvide e il palmo caldo, e c’era uno strano odore nell’aria, come di polvere sotto una roccia bagnata, e Frank voleva aprire gli occhi, così da poter vedere il disegno fatto da Luke e assicurarsi fosse giusto, ma poi Luke disse: «Calmo, calmo, verrà meglio se resti fermo» e questa fu l’ultima cosa che udì Frank per un bel un po’.

Quando si svegliò – sì, svegliò, chi cazzo si addormenta mentre ti fanno un tatuaggio? Frank si sentiva bene, ma era stato pur sempre un ago ad avergli bucato la pelle – Luke stava sfregando uno straccio sulla mano pulsante di Frank.

«Merda,» mugugnò Frank, combattendo con la propria lingua ancora semi-addomerntata. «Davvero, scusami. Non mi era mai successo prima»
Luke rise, con una specie di cigolio roco che non sembrava uscire molto spesso dalla sua gola. «Non preoccuparti. Vuoi vedere com’è venuta?»
«Diamine, sì» Frank si tirò su, sollevando la mano. «Oh, amico, ma è bellissima»

Erano proprio le stesse ali che gli erano piaciute, quelle piume ribelli, un’ala per ogni lato della figura e due tese oltre la sua testa. Altre due ancora ritorte verso il basso, come fossero gambe – la figura era una specie di donna, pensò Frank, una donna sdraiata su un letto come prima – anzi no, dopo il sesso, tutto in mostra a parte il fatto che non ci fosse un corpo, soltanto le ali, le ali ed il viso, il quale era triste in qualche modo, nonostante non avesse neppure veri e propri lineamenti. Era triste e bellissimo.

Era proprio bella come l’aveva vista nella vetrina. Anzi, era persino meglio, adesso che apparteneva a Frank.

 

  
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