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Autore: Stellacalimon    28/02/2016    0 recensioni
Storia molto liberamente ispirata al capolavoro cinematografico "Titanic" del 1997.
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Yuumika; fem!mika
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Il momento in cui, quel giorno lontano, Yuu si rese conto di star finalmente attraversando l'oceano e di essere riuscito ad imbarcarsi sulla nave più famosa e grande di tutti i tempi, fu lo stesso in cui scorse il paio d'occhi cerulei più bello di sempre.
Una ragazza, poco lontano da lui, guardava i flutti con una malinconia che gli fece dolere il cuore.
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"Sono Yuu"
Malgrado tutto, Yuu avvertì la ragazza sorridere lievemente.
"Mikaela" sussurrò al suo orecchio, come se quello fosse stato il segreto più geloso che avesse. Yuu non poté trattenere le sue labbra, che si distesero a formare un grande sorriso.
"Un po' troppo lungo" commentò, non preoccupandosi di sembrare villano e sentendosi davvero troppo contento per essere riuscito a dare un nome al volto che lo perseguitava dalla prima volta in cui si era accorto di quella ragazza.
"Ti chiamerò Mika, d'ora in poi" decise, e lei annuì, con gli occhi lontani e le mani nuovamente sulle sue spalle.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mika credeva davvero che quelli sarebbero stati i propri ultimi attimi, tuttavia, un momento prima che la coscienza l'abbandonasse, avvertì la presa lasciare la gola e la gravità richiamarla al suolo. 
Sbatté la nuca e trattenne a stento un gemito, troppo debole anche solo per aprire gli occhi, troppo debole anche solo per reagire alle mani dell'uomo, già sulle sue gambe, alle labbra sul collo, al corpo pesante di lui sopra al suo. 
Nuovamente troppo labile per opporsi. 
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Yuu stette immobile per alcuni attimi, attimi che sembrarono ere. Non sapeva quale fosse il motivo, ma non era riuscito nemmeno con tutta la propria volontà a scollare gli occhi dalla schiena di Mika che si allontanava, dalla mano del nobile sulla sua pelle, dalla stretta sul suo corpo. 
Non sapeva come spiegarlo, ma qualcosa non andava; i suoi sensi, avvezzi al pericolo, erano allerta e reattivi, e Yuu si fidava dei propri sensi. 
Per un tempo che parve infinito, rimase inerte, con la mano che aveva stretto il polso della ragazza ancora teso verso il punto in cui l'aveva osservata sparire -dietro la porta della prima classe- le gambe molli come gelatine, ed il vento negli occhi. 
Solo le voci familiari dei suoi amici riuscirono a riscuoterlo, quando i due lo raggiunsero. 
Kimizuki, ovviamente, chiese subito del perché fosse rimasto da solo, per poi tirar fuori qualche assurda ipotesi riguardante la bellezza di Mika e del fatto che lei si fosse probabilmente accorta solo quel giorno di quanto lui fosse stupido.
Yuu non lo degnò nemmeno di una rispostaccia; non aveva proprio tempo per quello, non quando tutto ciò che aveva scorto precedentemente sembrava così sbagliato. 
Si aggirò per qualche istante inquieto, per poi immobilizzarsi con le spalle ai due amici e le mani strette al parapetto, con lo sguardo fisso sull'oceano. 
Fu in quel momento -dopo alcune eloquenti occhiate tra Yoichi e Kimizuki- che il primo avanzò di alcuni passi e, con una voce lievemente preoccupata,  chiese se fosse accaduto qualcosa tra lui e Mikaela. 
Yuu imprecò.
"Sono stato un idiota"
Kimizuki buttò fuori una risata senza allegria.
"Mah. Dicci almeno qualcosa che non sappiamo" disse, blandamente, più nel tentativo di risollevare l'atmosfera che di provocarlo, questa volta.
Di nuovo, non ottenne risposta, né il benché minimo accenno da parte dell'amico sulla questione. Yuu era apparentemente perso in un mondo tutto suo. 
Lo vide socchiudere le palpebre, stringere la presa sul bianco e metallico parapetto, in piena riflessione. 
"Non mi quadra per nulla..." lo udì, infine, brontolare tra sè, scuotendo la testa, criptico e, probabilmente con gli occhi di Mikaela a mettergli a soqquadro il cervello. 
 
In effetti, le iridi di Mika erano proprio quello su cui Yuu si era focalizzato. Erano state così dolenti che per lui era impossibile relegarle in un angolo. Quel nobile, poi, era parso solo estremamente contento di tutta la loro disperazione. Aveva osservato Mikaela con gusto, come se fosse stata un pasto prelibato, e non una persona.
Si prese velocemente la testa tra le mani e strinse gli occhi, mentre l'emicrania minacciava di fargli esplodere i circuiti. 
D'accordo; adesso era definitivamente incasinato.
"Yuu, sembri in pensiero" 
Il bruno percepì la voce di Yoichi come un qualcosa di molto lontano e accantonò l'amico con un sorriso di scusa, stringendogli con affetto una spalla e passandogli oltre, sperando che capisse. 
"Non c'è che dire. Sei proprio scemo"
Kimizuki gli si fece accanto e, con alcuni movimenti fermi lo prese per il bavero della camicia e lo voltò verso di sè. Lo guardò con due occhi stretti, quasi ostili, dietro i quali si celava tuttavia sincera preoccupazione. 
"Invece di giocare agli indovinelli, potresti parlarci di quello che non ti convince... ma tu sei tutto idiota e quindi non mi stupisco più di tanto" 
Yuu si morse il labbro superiore e sbuffò qualche lamentela ad alta voce, scansando l'altro giovane e voltandogli la schiena. 
"È solo che ho come l'impressione che la famiglia di Mika nasconda qualcosa..." 
Yoichi sorrise e gli donò qualche colpetto sulla schiena che avrebbe voluto essere tranquillizzante, ma che non ebbe altro risultato di far agitare Yuu anche di più.
"Beh, ad ogni modo, avrai l'opportunità di appurare la tua tesi questa sera a cena, no? Dunque, che aspettiamo? Abbiamo un appuntamento!"
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Quando la cameriera entrò nella stanza, Mika si trovava seduta di fronte allo specchio della toeletta per il trucco, con le mani strette sul vestito stropicciato, gli occhi che tentavano di non soffermarsi sui segni rossi che le circondavano il collo sottile, e la capigliatura più scarmigliata che mai. 
La giovane cameriera si fece più vicina, a passi incespicanti, con il viso pallido e le mani dietro la schiena; lo sguardo fisso sul pavimento coperto delle schegge di cristallo di uno dei tanti vasi che avevano fatto bella mostra di loro sul camino, ma che in quel momento non era altro che poltiglia sul pavimento, insieme all'acqua e le rose che aveva contenuto. 
Mika sibilò un imprecazione, osservandosi le mani ferite. 
Nemmeno la mente offuscata le aveva impedito di contrattaccare all'aggressione di Ferid, si disse, cercando di convincersi del fatto che non fosse poi così debole. 
Anche se troppo tardi per evitare il solito trattamento, si era difesa. 
Alla fine il vaso aveva colliso con la testa del nobile. 
Onestamente, Mika non avrebbe saputo dire con quale forza si fosse rialzata dal pavimento e fosse strisciata fino al camino. Come si fosse messa in piedi.
L'unica cosa che ricordava con precisione era di aver atteso che Ferid le voltasse le spalle, dopo essersi acceso la pipa, tutto soddisfatto, e di essersi avvicinata furtivamente. 
L'impatto era stato fortissimo. Il nobile era caduto a terra, svenuto, senza produrre neanche un gemito. 
 
Le mani di Mika sfiorarono lievemente la propria pelle del collo, e lei non trattenne un gemito. Chiuse gli occhi. Sospirò.
"Hai intenzione di rimanere sulla porta, oppure pensi di entrare, Chess?" chiese, altera, benché dentro di sè si sentisse un essere miserabile.
La gola doleva e la voce faceva fatica ad uscire, e non aveva proprio tempo per tutto quello.
La giovane donna incespicò, titubante. Probabilmente non sapeva come comportarsi, né dove mettere le mani. Mika sapeva di essere un disastro, in quel momento. 
Scosse la testa e le gettò -dallo specchio- alcune occhiate: si era arrestata a pochi passi di distanza come voleva l'etichetta. 
"Cosa sei venuta a fare, qui?" domandò roca, con un sospiro, prendendosi il viso tra le mani  e sembrando davvero esausta. 
"Il signor Bathory mi ha ordinato di aiutarla a vestirsi" 
Oh, dunque il mentecatto si era ripreso in fretta. 
Le mani si strinsero a pugno sulla stoffa del vestito. 
"Allora vattene" 
La cameriera parve colpita, e Mika si chiese perché non stesse già correndo fuori, entusiasta del mancato impegno lavorativo. Le stava risparmiando della fatica, giusto?
"Ma ho ricevuto incarico di-"
Mika scattò in piedi velocemente. Passò un braccio sulla superficie della consolle, spazzando via ogni cosa. Trucchi, ciprie, graziosi profumi confezionati nelle forme  più variegate di cristallo. Ogni cosa si infranse al suolo. 
"Ti ho detto di andartene!" gridò, senza voltarsi, osservando le spalle della cameriera sobbalzare in ansiti sconvolti. A Mika non interessava. Non più, da molto tempo. 
Strinse le mani sul luminoso legno bianco. 
Le gambe dolevano, gli occhi pizzicavano. 
Si sfilò gli orecchini di topazio con una veloce mossa. Gettò anche quelli a terra. 
Sfilò i guanti e li accantonò con furia. 
Scostò di malagrazia il piccolo sgabello intarsiato e caracollò instabile verso la donna in uniforme nera, che la squadrava preoccupata, che aveva teso le mani nella sua direzione, come se lei stesse per cadere. Precipitare, in un baratro senza fine. 
Scansò le sue braccia, e si aggrappò alla colonna lignea e ben modellata del letto a baldacchino. 
Poggiò la fronte sulla sua superficie liscia e sospirò.
"Non ho bisogno di te. Chiama Lacus"
La giovane donna parve interdetta. Forse si stava interrogando su cosa avesse potuto fare uno stuart per essere d'aiuto ad una dama che doveva prepararsi per una cena di gala. 
"Il signor Bath-"
"Puoi anche dire a Ferid di andare al diavolo" bofonchiò la ragazza, tentando di suonare il meno aggressiva possibile (unicamente per la povera donna, che, davvero, non c'entrava nulla e stava svolgendo solo le proprie mansioni), ma voltandosi a guardarla con un'espressione ferma e due occhi che non ammettevano repliche. 
Strinse il legno e si sedette sul letto, esausta. 
"Chiama Lacus. Se non si farà vivo entro un tempo decente, uscirò di qui e lo andrò a cercare io stessa, anche così conciata" disse, trattenendo il tremito del suo corpo, ma non della sua voce. 
Accidenti, non le lacrime. 
Si coprì il volto con una mano e sospirò, con l'animo oppresso dalla disperazione. 
Le lacrime non avrebbe potuto sopportarle. 
La cameriera esitò, ma, alla fine, aprì la porta e si affrettò fuori di essa. 
 
Mika rimase nella medesima posizione per un tempo che le parve indefinito. 
Aveva appena affondato il viso nel guanciale (e macchiato la federa con trucco e pianto) quando la porta si riaprì e dei passi rapidi si avvicinarono. 
"Oh, Dio, signorina... Ho fatto prima che ho potuto" 
Due mani la presero per le spalle, e Mika avvertì delle braccia forti sollevarla. Quando dischiuse gli occhi, il viso schietto di Lacus ed i suoi capelli color melanzana tagliati in maniera imprecisa le omaggiarono la vista. 
L'espressione franca del ragazzo si tramutò in una smorfia crucciata e, in un attimo, Mika si avvertì tirare in posizione seduta, mentre lo sguardo di Lacus la esaminava. 
"Cosa posso fare per farla star meglio?"
"Un bagno... Devo solo fare un bagno..." 
Mika strinse i denti e si tirò in piedi, imprecando coloritamente contro sua madre, Ferid, tutto e tutti, eccetto Yuu-chan. Si mosse lentamente, sotto gli occhi dello stuart, che parevano non volerla lasciar andare.
Mika si diresse verso il camino e sprofondò in una delle poltrone, mentre cercava di ignorare lo sguardo del giovanotto, ormai focalizzato su di lei, sul suo collo malconcio.
"Non hai intenzione di andare, vero?" sussurrò, prendendosi la fronte con una mano. Sapeva bene quanto la sua vista in quello stato avesse sconvolto il ragazzo. Sapeva bene come la paura avesse già cominciato a strisciare nel suo animo, poiché lei aveva provato le medesime sensazioni, all'indomani dell'ingresso nel palazzo di sua madre.
Il dubbio, poi il terrore, infine la rassegnazione. 
Mika serrò gli occhi. 
Personalmente, avrebbe preferito morire, che diventare una di loro. 
Le sue dita strinsero la pelle della poltrona ed i suoi occhi si fissarono sulle fiamme. Le sue labbra si strinsero assieme, in una piatta linea bianca
"Signorina... Per piacere... Mi dica cosa sta succedendo"
Mika non poté trattenere una risata amara. Una risata che rimbalzò sui muri ovattati della suite e che riempì l'ambiente. 
Cosa avrebbe dovuto fare? Confessare come fosse già condannata da tempo? Beh, sarebbe stato orribile ma veritiero.
Mika si coprì la bocca con una mano tremante, mentre alcuni respiri spezzati le salivano alla gola senza che potesse impedirlo. 
Ascese con gli occhi lungo il camino in marmo brunito, su, fino allo specchio, per poi gettare una sbirciata alla porzione di stanza che in esso era riflessa: un alto soffitto, pareti rivestite della più pregiata carta da parati, oro ed argento ovunque, candelabri ramati e candele accese. Lenzuola vermiglie, come la propria linfa vitale. 
Un cielo troppo lontano da raggiungere al di fuori della finestra e stelle troppo distanti da acciuffare, a discapito di ciò che aveva sempre creduto da bambina. 
Lacrime che deformarono tutto, seppure per un esiguo momento. 
"Cosa... Cosa sta succedendo? Non riesci a comprenderlo solo guardandomi?" sussurrò tristemente, rialzandosi dalla poltrona, allontanandosi dalle fiamme e restando ad ascoltare il frusciare della veste sul pavimento. 
Si avvicinò a Lacus e gli sorrise, arricciando le labbra esangui. 
"Signorina..."
"Ci troviamo in un mondo infame, Lacus... E di questo mi dispiaccio.... Sei un bravo ragazzo, in fondo" lo osservò con dolcezza e permise ad una lacrima -solo ad una- di scivolare lungo la sua gota di latte. 
 
  
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