Prologo.
Avevo undici anni quando ho iniziato a farmi male.
"Ero introversa, con pochi amici, un bersaglio facile" è sempre stata la mia giustificazione. "Non sono adatta, forse sono io quella sbagliata" era l'unica risposta che riuscivo a dare a tante parole dette da ragazzini insignificanti, presuntuosi.
Un giorno, in classe, ho conficcato la matita nella pelle per impedirmi di piangere e ha funzionato: il dolore fisico mi ha distratta. Ho incominciato a tagliarmi. Più tardi iniziai a pensare di non poterne fare più a meno, di non riuscire a sopravvivere durante le ore di scuola senza un qualcosa che provocasse dolore a portata di mano. Portavo un beauty-case: lamette, rasoi, pezzi di vetro, spille; al suo interno tutto il necessario per tagliarsi, al bisogno.
Conobbi una ragazzina, Irene. Era nuova, un po' strana dicevano. In poco tempo riuscii a fare amicizia con tutti, anche con chi la prendeva in giro. Era straordinaria. Niente a che vedere con me: un disastro che cammina, mi definivo.
Pian piano divenni la sua migliore amica. Stavamo insieme dalla mattina alla sera, tutti i giorni. Arrivammo al punto, quando non potevamo stare insieme tutta la giornata, di stare attaccate al cellulare tutta la notte e addormentarci così, con la chiamata ancora attiva. Poi però qualcosa è andato storto.
Se ci penso mi vien da piangere, ma i momenti con lei son stati stupendi. Era l'unica che riusciva a capirmi e quando si accorse dei miei tagli, li definii "piccole autostrade", al che iniziai a ridere all'inizio. Diceva "ti tengono compagnia, le piccole autostrade", e rideva. Come se ci fosse qualcosa da ridere al riguardo. Ma non mi dava fastidio, anzi lo faceva per farmi ridere. La sua risata era contagiosa.
Quando la conobbi le piccole autostrade diminuirono, fino a quando non sparirono del tutto. Ma dopo quel giorno si triplicarono, l'angoscia era tale che l'unico pensiero era volermi spegnere. Non sapevo cosa mi succedeva, o forse si. Era troppo, troppo e basta. Dovevo liberarmene, di quell'angoscia. Il dolore fisico attenuava quello psichico, attenuava quel malessere insostenibile, dava sollievo. Iniziò a diventare più forte di me, quasi una malattia, una fissazione. Il mio unico pensiero era quello.
All'età di tredici anni, quando iniziai a frequentare le superiori, dopo qualche mese dall'inizio della scuola, iniziai a fumare oltre a coltivare la mia fissazione. Iniziai a fare amicizia grazie a mia cugina Iris. Lei, i tagli li definiva "l'antidoto alla solitudine".Dopo vari anni, dopo aver continuato a coltivare due mie fissazioni, conobbi te. Tu, l'unica cosa bella che mi sia capitata dopo Irene. Tu, l'unica persona in grado di aiutarmi, ora stai andando via. Stai andando via e io ti capisco. Capisco te come ho sempre capito chi è andato via da me, e ancora oggi, dopo tanti anni, l'unica risposta che ho trovato alle tante domande è: "sono io quella sbagliata".