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Autore: _armida    29/02/2016    4 recensioni
Ispirata all'episodio 3x07 "Alis Volat Propriis"...con un finale alternativo
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"La tua prossima scelta ti dirà chi sei"


Leonardo si alzò dal proprio scrittoio per l’ennesima volta, avvicinandosi all’uomo incatenato alla colonna portante del soffitto. Gli si accovacciò di fronte, studiandolo: era da quando aveva quasi accoltellato la signora Cereta, diversi giorni prima, che il Conte Riario non riprendeva conoscenza. 
Il suo sonno, però, era tutt’altro che tranquillo: spesso si dimenava, mormorando o urlando frasi senza senso.
Anche in quel momento, mentre lo osservava, Leonardo poteva comunque scorgere le pupille di Riario spostarsi freneticamente da un lato all’altro. 
Un timido raggio di sole invernale entrò dalla finestra, passando a poca distanza dal viso del Conte, e fermandosi sull’ormai consumato pavimento in legno grezzo.
Il controluce, Leonardo cominciò a guardare attentamente il suo viso: il naso appuntito, le labbra carnose e leggermente screpolate, la barba e i capelli più lunghi del solito e le guance incavate. Osservandolo, l’artista ripensò alla prima volta che si erano incontrati, a Palazzo della Signoria, in occasione di quel banchetto: erano molto cambiati, entrambi. Il Conte gli era sembrato presuntuoso, decisamente troppo presuntuoso, e sicuro di sè, certo che con l’intimidazione e la violenza si potesse ottenere tutto; gli era sembrato una sfinge, con quell’espressione fredda e impossibile da scalfire, con quel sorriso sarcastico da presa per i fondelli. 
Perso nei propri pensieri, rivide anche sè stesso: un Leonardo Da Vinci più immaturo e avventato, che non sapeva di stare entrando in questioni più grandi di lui, che ancora credeva ciecamente nel progresso e in quella città, Firenze, che era certo non avrebbe mai abbandonato.
Ora, ripensandoci, non era più certo di niente: i Figi di Mitra lo avevano tradito, i suoi progetti gli si erano rivoltati contro e lui stesso, pur di ottenere vendetta, non aveva esitato a vendersi a Roma.
Osservò nuovamente l’espressione sofferente del Conte Riario, non potendo fare a meno di riportare alla mente l’ultima volta che l’aveva vista: si trovavano su quella dannata spiaggia, nel nuovo mondo, in attesa della nave che li avrebbe riportati in patria; Girolamo, con gli occhi resi lucidi dal dolore dei ricordi, gli aveva raccontato di come aveva ucciso la madre, di come aveva stretto le mani intorno al suo collo, senza un minimo di pietà. Era stata una delle pochissime occasione in cui il Conte gli aveva offerto uno scorcio del proprio stato d’animo: un animo tormentato dal proprio passato, dai fantasmi delle proprie azioni e dal rimorso. 
Troppo rimorso. 
Troppi sensi di colpa.
Lo sguardo dell’artista non potè fare a meno di focalizzarsi sui polsi dell’uomo che, seppur incatenati, non riuscivano a nascondere due profonde cicatrici. Leonardo ne aveva studiate a centinaia di ferite e sapeva ormai riconoscere il tipo di arma che le causava e perfino la mano che le infliggeva; quelle di Girolamo erano irregolari, inflitte con una lama corta, come uno stiletto o un pugnale, andavano dall’esterno verso l’interno e, cosa ancora più preoccupante, erano più profonde sul polso sinistro che sul destro. Quel piccolo particolare poteva stare solo a significare che erano ferite autoinflitte. 
Il senso di colpa. 
Quel macigno che si ha sul petto, talmente pesante che a volte fa mancare anche il respiro, che ti tormenta sia il giorno, ad occhi aperti, che la notte, nel sonno. Un peso talmente grande che sembra schiacciarti da un momento all’altro.

Ci era passato anche Leonardo ma, a differenza di Girolamo, aveva imparato a conviverci. Dentro sè stesso, sperò che anche il Conte, un giorno o l’altro, avrebbe imparato a farlo. Lo capiva, però. Capiva perchè aveva fatto quel gesto. E non lo biasimava affatto.
Da certe ferite, come quelle di Riario, era scientificamente impossibile sopravvivere, eppure la fortuna –o come avrebbe detto Girolamo, ‘Dio’- avevano deciso diversamente, dandogli una seconda opportunità. Nonostante tutto quello che aveva fatto, nonostante tutto il dolore e la sofferenza che aveva inflitto, Leonardo sperò con tutto il cuore che lui sfruttasse quell’occasione per ricominciare.
Mentre era perso in tutti quei pensieri, una lacrima solitaria solcò il viso del Conte, scendendo velocemente sullo zigomo spigoloso. Inconsciamente, in un gesto assolutamente non premeditato ma dettato puramente dal sincero affetto che provava per quell’anima dannata, gli passò delicatamente un pollice sul viso, asciugandola via.
Fu strano per Leonardo sentire la sua pelle fredda contro la propria mano, calda. Indugiò in quel contatto fino a quando non vide le palpebre di Girolamo alzarsi lentamente; ritrasse la mano di scatto, come un bambino colto con le mani nella marmellata.

Girolamo aprì lentamente gli occhi, cercando di mettere a fuoco l’ambiente che lo circondava. Si sentiva la testa pesante, la gola secca e un generale –e parecchio fastidioso- intorpidimento.
Stava facendo un incubo, l’ennesimo di una lunga serie, quando un improvviso calore lo aveva strappato all’oblio, riportandolo a galla e dandogli finalmente la forza necessaria ad uscire da quel tunnel di paura ed angoscia nel quale era piombato.
Se provava a chiudere nuovamente gli occhi, poteva ancora sentire quella strana sensazione, come un contatto. Avrebbe potuto affermare che si fosse trattato di una carezza, ma non ne era certo. 

“Gli occhi sembrano normali”, commentò tra sè e sè Leonardo, avvicinandosi per poter vedere meglio le iridi color nocciola del Conte. 
Forse si avvicinò troppo. 
Non aveva mai provato imbarazzo per qualsiasi questione riguardante il complesso sistema umano. Era sempre stato curioso, per natura, e, nel proprio campo, non aveva mai permesso ad emozioni come l’imbarazzo o il nervosismo di prendere il sopravvento; eppure in quel momento...
Si allontanò di alcuni centimetri, improvvisamente inquieto. 
“Come ti senti?”, gli chiese, cercando di dissimulare le strane sensazioni che in quel momento lo agitavano.
Girolamo riuscì finalmente a mettere a fuoco l’ambiente che lo circondava, capendo di trovarsi ancora nello studio dell’artista, che ora si trovava proprio davanti a lui e lo osservava dritto negli occhi, quasi a voler scrutare la sua anima. “Vivo”, rispose con voce flebile. “Contro ogni aspettativa”, aggiunse dopo una breve pausa. C’era come una nota d’amarezza in quelle ultime parole. 
Ricordava, ricordava tutto: sapeva di essere quello che il popolo chiamava ‘Mostro d’Italia’, sapeva di aver ucciso degli innocenti, troppi innocenti, e si ricordava di aver puntato il proprio stiletto alla gola della Signora Cereta...Se Leonardo non fosse prontamente intervenuto, probabilmente avrebbe fatto anche lei la fine degli altri.
No, non meritava di sopravvivere. Non di nuovo. 
“Mi hai avvelenato”, disse. Invero, fu più una constatazione che un rimprovero.
“Il trattamento del labirinto è stato...”, Leonardo si fermò un attimo, in cerca del giusto aggettivo da usare, “...intenso, ma io ho spinto più forte”. Era stato rischioso, molto rischioso, e fino a poco prima, fino a quando Girolamo non aveva finalmente aperto gli occhi, non era stato certo del risultato. “Dovevo provare a curarti nello stesso modo”, disse, mentre cercava di aprire i lucchetti delle manette ai polsi del Conte. Inevitabilmente, gli sfiorò la pelle, avvertendo nuovamente quella strana sensazione, quel contrasto fra il caldo delle proprie mani e il freddo della sua epidermide. Si affrettò a finire il lavoro.
Lasciò cadere la pesante catena di ferro a terra, alzandosi poi in piedi. Tese una mano a Girolamo, per aiutarlo a fare lo stesso.
Il Conte, che fissava l’oggetto che aveva tenuto a freno il suo doppio, il mostro silente che viveva dentro di sè, alzò finalmente lo sguardo sulla mano dell’artista, tentennando un po’ sul da farsi. Alla fine si decise ad accettare l’aiuto che gli veniva offerto.
Aiutato dall’artista, riuscì finalmente a rimettersi in piedi.
Erano là, con le stesse espressioni pensierose, ad osservarsi e studiarsi a vicenda. Quando erano mutati così tanto i loro sentimenti reciproci? Probabilmente il processo era già in atto da parecchio, ma, con l’arrivo nel Nuovo Mondo e tutto quello che ne aveva conseguito, esso aveva subito un’accelerazione.
“Il peggio è passato”, disse Leonardo, per riempire quel silenzio, diventato troppo pesante per entrambi.
“No, se dovrò convivere con ciò che ho fatto”. Se Girolamo chiudeva gli occhi, poteva vederli, vedere tutte le persone a cui aveva fatto del male, una ad una. Sarebbe stata dunque quella, la sua condanna a vita? Vivere ogni giorno con il proprio rimorso.
“Sei sicuro che sia saggio?”, chiese all’artista, distogliendo il proprio sguardo dal suo; non ce la faceva a parlare del proprio doppio, del proprio mostro interiore, con gli occhi di Da Vinci incollati ai suoi. Era perfettamente consapevole che non ci avrebbe letto odio o disgusto, come si sarebbe meritato, ma qualcos’altro, qualcosa a cui non sapeva dare un nome...affetto, forse?
“Abbi fiducia in te, prova a ricominciare”, disse Leonardo.
‘Ricominciare’
Quella parola aveva completamente destabilizzato Girolamo, che lo osservò per alcuni istanti, boccheggiando in cerca di una qualche parola per rispondere. Ma non aveva parole per rispondere e si limitò ad osservare un punto indefinito della parete di fronte. Sentì i passi di Leonardo allontanarsi e, senza di lui accanto, per un attimo si sentì perduto.
‘Ricominciare’
Non potè fare a meno di abbassare lo sguardo sulle due cicatrici ai polsi. Pensieroso, passò la mano destra su una di esse. Il fato gli aveva dato una seconda possibilità per ricominciare e lui l’aveva sprecata. Che la terza sarebbe stata quella buona?
“La tua prossima scelta ti dirà chi sei”. Quella frase a Leonardo l’aveva detta suo padre, ad Otranto. Quel padre che per anni aveva odiato, quel padre che credeva che per anni lo avesse odiato. Invece si era sbagliato su di lui: era stato semplicemente un uomo a cui avevano spezzato il cuore, restio a parlare dei propri sentimenti con qualcuno, che credeva che prendersela con ciò che più di tutto gli ricordava quella donna lo avrebbe fatto stare meglio eppure...eppure non aveva esitato a salvarlo, quando era stato il momento. Gli aveva giurato fedeltà, fino alla fine.
“Sono progetti nuovi?”
La voce di Girolamo, alle sue spalle, lo distolse dai dolorosi ricordi che aveva su Otranto e l’invasione ottomana. Non lo disse, eppure gli era grato per quel cambio di discorso. 
Gli si avvicinò, mettendosi a studiare le carte che vi erano sullo scrittoio.
“Tieni”. A Leonardo venne spontaneo porgergli uno dei fogli che teneva in mano. Ripensando ai loro precedenti –e soprattutto a quella volta che il Conte si era introdotto nella sua bottega per rubare l’altra chiave della Volta Celeste-, era un grande passo avanti.
“A dire il vero...”, Da Vinci si allontanò, mettendosi a correre verso le scale del piano inferiore. “Ecco, dovrei mostrarti...ah, guarda qui...”, disse, ormai perso nei propri progetti.
Girolamo, da molto tempo a quella parte, riuscì a distendere le labbra in un accenno di sorriso; potevano cambiare tante cose: i nemici potevano diventare amici, Da Vinci vendere le proprie idee a Roma, lui stesso diventare un’anima dannata...Ma l’entusiasmo che Leonardo metteva nei suoi progetti, dimenticandosi improvvisamente di tutto il resto, quello sarebbe rimasto per sempre immutato.
Prima di seguirlo, al piano di sotto, il Conte non potè fare a meno di chiedersi perchè Da Vinci facesse tutto quello per lui. Davvero, non riusciva a capire perchè gli avesse salvato la vita, di nuovo. Magari un giorno glielo avrebbe chiesto, chissà. 

“Questo...” Leonardo si guardò intorno, chiedendosi dove si trovasse Girolamo, era certo che fosse proprio dietro di lui...Aveva corso troppo, di nuovo. Le persone faticavano a stargli dietro, quando una nuova idea prendeva il sopravvento, Zoroastro glielo ripeteva sempre. Fu tentato di tornare al piano di sopra, prenderlo per un braccio e trascinarlo giù, ma decise di trattenersi.
Si tranquillizzò, quando sentì i passi del Conte sulla scala.
Lo studiò attentamente, mentre scendeva quei pochi gradini. Senza rendersene conto, lasciò cadere i fogli che teneva in mano a terra.
Il Conte in quel momento gli appariva come una fiera ferita. Ferita, ma pur sempre regale. 
Ne osservò le spalle larghe e dritte, il busto composto e il mento alto, nonostante tutto.
Girolamo guardò a sua volta l’artista, perplesso, chiedendosi il perchè di quell’espressione.
Quando Leonardo si rese conto che anche lui lo stava osservando, sbattè più volte le palpebre, distogliendo successivamente lo sguardo e abbassandosi per recuperare i propri progetti, sparsi a terra.
“Questo dispositivo lancia bombarde senza bisogno...”, disse mentre si rimetteva in piedi. Si bloccò, cercando Girolamo con lo sguardo: un attimo prima era sulla scala e ora... Voltò la testa, osservando il Conte che, da oltre la sua spalla, studiava a sua volta i progetti.  
Si girò completamente, trovandosi con il viso decisamente troppo vicino al suo.
Leonardo quasi non si rese neanche conto di stare cominciando ad avvicinarsi ancora di più; il suo sguardo passò dalle iridi color nocciola alla sua bocca, leggermente dischiusa. Indugiò per una frazione di secondo, poi posò le proprie labbra sulle sue.
Girolamo, per lo stupore, spalancò gli occhi, tentato di spingere via lo sfacciato artista eppure...eppure quel contatto improvviso tra di loro era tutt’altro che spiacevole. Si stupì si sè stesso, quando rispose al bacio, sfiorando la lingua di Leonardo con la propria.
L’artista interpretò quel gesto come un consenso per proseguire e decise di approfondire il bacio. Nel frattempo le proprie mani vagarono per il corpo del Conte, fermandosi ad accarezzargli le spalle larghe e muscolose, sentendo sotto alle proprie dita i muscoli in tensione dell’uomo.
Quando sentì Girolamo sospirare pesantemente, contro alle proprie labbra, decise di farsi ancora più audace: gli alzò la camicia, sentendo il bisogno del contatto con la sua pelle.
Il Conte nel frattempo portò le proprie mani nei capelli dell’artista, scompigliandoglieli.
Quando le loro labbra si allontanarono, avevano entrambi i respiri irregolari e il cuore che batteva all’impazzata.
“Artista...”, disse con voce roca Girolamo. I suoi occhi erano lucidi e le labbra gonfie per i baci.
“Conte...”, fu la pronta risposta di Leonardo.
Si concessero qualche secondo per studiarsi attentamente a vicenda, gli sguardi incatenati l’uno all’altro, poi le loro labbra tornarono a cercarsi.


Nda
È la prima Leario che scrivo; mi raccomando, fatemi sentire i vostri pareri 😉
 
   
 
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