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Autore: NonnaPapera    01/03/2016    1 recensioni
Penzolava leggermente sospinto dal vento di inizio primavera.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA NOSTRA MORTE

Penzolava leggermente sospinto dal vento di inizio primavera. Quell’immagine anche dopo molti anni è ancora vivida nella sua mente e gli fa compagnia tutti i giorni e tutte le ore della sua vita. Se non fosse stato tanto tragico, l’evento in sé avrebbe potuto definirsi quasi poetico. Già, poetica morte di un uomo che in vita aveva amato tanto la poesia. Davide sorrise, di quel suo sorriso mesto ed interiore che ogni tanto gli saliva alle labbra, quando ripercorreva la vita e le abitudini di Daniele.

Ricordare non era facile, il più delle volte gli straziava il cuore; anche se la mente vagava pigra ai momenti di gioco e di vita, prima o poi i pensieri –maledetti loro- ripiegavano sempre sul quel tremendo giorno. Quello che non aveva mai capito, anche a distanza di tutti quegli anni, era stato il perché. No, non perché si fosse tolto la vita ( quel gesto estremo era dolorosamente riconducibile al carattere di Daniele), ciò che lo tormentava di giorno e che lo teneva sveglio la sera, era un’altra domanda. Perché non glielo aveva detto? Prima di quel tiepido giorno di aprile Daniele non aveva mai nascosto nulla a lui, al suo “fratellone” Davide. Allora perché? Perché, dannazione, non era venuto da lui come al solito? Se lo avesse fatto, Davide- era certo- sarebbe riuscito a dissuaderlo dal folle proposito.

Invece no. Non solo Daniele si era tolto la vita senza preavviso, ma li aveva lasciati tutti senza neppure un misero lascito che ne spiegasse i motivi. Lui aveva deciso di fare le cose in grande, di rendere poetica e misteriosa fino in fondo la sua dipartita. Ed ecco che aveva scelto di morire così, impiccandosi a quello stupidissimo albero che durante la loro splendida infanzia li aveva sempre accolti, nascondendoli dalla vista di mamma e papà. Quel vecchio ed immenso castagno, sul quale all’età di dieci anni avevano costruito la loro meravigliosa casa sull’albero. Davide sentì gli occhi bruciargli familiarmente e quel senso di oppressione –un misto di dolore e rabbia- stringergli per l’ennesima volta il petto. Daniele si era suicidato, distruggendo in un colpo solo, il loro futuro ed anche il loro passato. Come poteva ora rincorrere la loro infanzia e ripercorrere i loro momenti di gioia, senza ricordare quel grande albero? Ma nel ricordare l’albero la mente non poteva non soffocare al pensiero che, su quell’albero, Daniele aveva deciso di lasciarlo per sempre.

Molte delle persone che li conoscevano, che li avevano visti crescere e diventare adulti, avevano sempre detto che nel loro rapporto fraterno c’era qualcosa di diverso, qualcosa di strano e di morboso. In effetti era vero, ma nessuno a parte loro due poteva comprendere quel legame così stretto, quel bisogno di sentirsi e di raccontarsi ogni cosa, di scambiarsi sguardi senza parlare. Loro erano due gemelli monozigoti. Erano gli stessi pensieri in due menti distinte, erano gli stessi sentimenti in due cuori… erano una sola anima divisa in due corpi. Davide scosse il capo con movimento lento e frustrato, quasi fosse stanco di pensarci , di arrovellarsi per quella tragedia. Avrebbe tanto voluto dimenticare, scordare magicamente il dolore e quell’opprimente senso di solitudine e di aridità interiore che prima della morte di Daniele non aveva mai provato. Purtroppo però era impossibile. Chi potrebbe mai scordare la propria morte?

Aveva scoperto lui quel corpo inerme che lentamente si muoveva danzando con il vento. Lui, il suo gemello, con la gola bluastra, il collo spezzato e gli occhi privi di vita che lo fissavano vacui. Si era rispecchiato nel suo stesso viso, i capelli castano chiari leggermente mossi sulle tempie, il naso aquilino e virile, la bocca –ricoperta di schiuma- modellata delicatamente… tutto di Daniele era Davide, così come tutto di Davide era Daniele. Ed ecco che Davide si era ritrovato a cercare freneticamente una scala per tirare giù il suo stesso corpo, ad afferrare un coltello per tagliare la corda che gli si avvolgeva intorno al collo… di fare la respirazione al suo stesso cadavere. No, quel giorno era morto solo Daniele, ma era come se suo fratello si fosse trascinato dietro anche lui nella tomba.

Voleva rivederlo, rivederlo solo per un momento, giusto il tempo necessario per urlargli contro il suo furore, perché lui quel maledetto giorno di primavera era felice ed il pensiero della morte non l’aveva mai sfiorato. Invece Daniele aveva deciso per entrambi, si era tolto la vita, ben consapevole che anche lui sarebbe morto. Ben consapevole che sarebbe stato il suo adorato “fratellone” a tirarlo giù dal ramo. Ben consapevole che prima o poi anche Davide lo avrebbe seguito.

Era questo il punto. Davide ci aveva provato. Ci aveva tentato per anni, con tutta la sua caparbietà, con tutto il suo impegno. Aveva proseguito -fingendo una ripresa interiore che non c ‘era mai stata- la sua vita. Lo studio, l’università, la laurea e la fidanzata. Il matrimonio, il lavoro e la casa. Erano già passati quindici anni dal giorno in cui –assieme a Daniele- aveva smesso di vivere, però testardamente aveva continuato senza mollare. Ora, arrivato alla soglia dei suoi trentasei anni di vita, si ritrovava lì. Silenzioso ed annichilito dal dolore e dalla rabbia, a fissare quel grande albero che non aveva più avuto il coraggio di guardare.

Restava solo un’ultima cosa da fare, un ultimo gesto nei confronti dei genitori e delle persone che lo amavano, che non si meritavano un altro dolore così profondo. Quel gesto di pietà che il suicida lascia a chi rimane nel mondo. Quel biglietto che Daniele si era dimenticato ( o forse rifiutato ) di scrivere. Il perché. Il motivo della decisione estrema. Ecco, Davide quel biglietto lo avrebbe scritto, perché lui non era come il suo egoista gemello, perché non voleva che nessuno soffrisse quanto aveva sofferto lui per quei quindici anni. Perché l’unica persona colpevole della sua morte era, e sarebbe sempre stato, solo ed unicamente Daniele.

Alzò lo sguardo verso il cielo. Peccato che quel giorno ( lo stesso giorno di quindici anni addietro) non ci fosse il sole, Daniele se ne era andato con il cielo terso e gli uccelli che cantavano… lui se ne sarebbe andato con la pioggia ed il grigiore ad accompagnare i suoi ultimi istanti. Pazienza!
Sospirò per l’ultima volta e poi chiudendo gli occhi fece quel piccolo passo che lo separava dalla morte.
La corda si tese, il ramo scricchiolò ma non si ruppe e Davide si spense ondeggiando sospinto dalla brezza fredda di quel pomeriggio di primavera. Il biglietto di addio ancora stretto tra le mani: “Ciò che allora chiamammo dolore per me è stato soltanto un discorso sospeso. Non piangete per me sono già morto quindici anni fa”



 La frase in grassetto è tratta dalla canzone la Ballata degli Impiccati di de andrè. Scritta nel 2011 mai revisionata.

 
   
 
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