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Autore: Lodd Fantasy Factory    01/03/2016    0 recensioni
Un giovane scrittore si risveglia dopo una lunga notte di scrittura. Non rammenta quasi niente della storia che scritto, e tanto meno dei folli sogni che hanno accompagnato il suo sonno. Ma c'è qualcosa che lo tormenta, un nome: J.W. Landing. Quale mistero si nasconde dietro questo mistero? Il giovane scrittore non ha la più pallida idea di quali risvolti prenderà la trama.
Genere: Introspettivo, Mistero, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caro lettore,

 

Ti voglio chiedere di assecondarmi, e di abbandonarti all'impossibile. Il seguente racconto potrebbe lasciarti interdetto, ed è proprio per questo motivo che ti chiedo di esprimere in qualsiasi modo la tua opinione a riguardo.

Ti auguro una buona lettura!

 

Giovanni Giuseppe Pintore

 

 

 

 

 

 

Spesso diamo per scontato chi siamo,

senza chiederci se viviamo mai nella menzogna.

Dedicato a tutti i creativi.




 

Il rintocco delle lancette dell'orologio era divenuto assordante. Nonostante ciò, era l'unica fonte di ritmo che scandiva ed assecondava il movimento della penna a sfera sul quaderno. L'inchiostro fluiva come un rigoglioso rivolo d'ebano, intrappolato da effimeri argini disegnati sulla carta.

Se ne stava con la testa reclinata sull'avambraccio, ad osservare di sbieco i quadretti del foglio, ormai saturi di parole che s'intrecciavano nel più assoluto mistero. Intanto, il suo orecchio sinistro si era da tempo assuefatto al gelido quadrante dell'orologio. Se solo avesse trovato il tempo di staccare gli occhi dalla propria storia, che si narrava da sola, quasi fosse un film riprodotto dai riflessi che la luce della lampada proiettava sull'inchiostro, si sarebbe reso conto di aver oltrepassato abbondantemente le quattro del mattino.

Era intrappolato nella sua stessa trama ipnotica, tanto da non avvertire più il freddo, la fame o la stanchezza. Era una deviata sensazione di onnipotenza, come se tutto potesse divenir possibile, semplicemente narrandolo. Poi, le lancette si fermarono d'un tratto, senza il minimo preavviso. Un colpo secco, che riecheggiò come la caduta di un sasso in un canyon. Come un'automa senza più alcuna alimentazione, lo scrittore si spense. Sprofondò in un sonno pesante.

Ma nella mente di un creativo si fa un po' fatica a trovar ristoro, persino nel quieto momento dell'ozio. Il cervello, sotto una costante stimolazione, diviene irrimediabilmente attratto dalle sterminate possibilità offertegli dal reale e dalla sfida dell'inverosimile, tanto da avviare un moto di storie, personaggi e mondi surreali che, nel subconscio, mutano pian piano in risoluta realtà. E così, i sogni divengono per l'estroso un serrato campo di allenamento, dove ogni idea può finalmente prendere vita. Anche i più piccoli dettagli divengono palpabili, col sapore della grandezza che riempie ogni minimo particolare.

Il punto critico di questo processo, invero, è l'arduo compito di ricordare ogni cosa al risveglio, onde evitare che le più o meno brillanti idee notturne vadano perdute. O, chissà, finiscano per nascondersi nei meandri dell'inconscio, tornando alla carica a distanza di anni, lucide più che mai. Stranamente invece, dopo quella notte, egli avrebbe rammentato a fatica solo un nome, incompleto per giunta: J. William Landing.

 

La sveglia del telefono gli penetrò i timpani. Avrebbe voluto destarsi, ma gli mancavano le energie. Fu solo quando il cervello, ancora intorpidito dal sonno, riconobbe quell'urlo come la suoneria, e non l'allarme mattutino, che il giovane si alzò di soprassalto.

La flebile luce della lampada lo accecò, ma riuscì a rispondere alla chiamata giusto in tempo:

«Pronto...» disse con la gola secca e la voce roca, dalla tonalità alquanto inquietante.

«Ma che sei, un demone? Ben svegliato!» esordì Daniele dall'altro capo. Rise di gusto. «Bell'addormentato, vedi di darti una mossa. Qui fuori si gela!».

«Che?!» esclamò il ragazzo, spalancando gli occhi. Sul display del telefono erano segnate le 12:35. Non si era ancora svegliato del tutto, ma era già in terribile ritardo, come al solito. «E tu entra a cambiarti, no? Arrivo!» rispose, ora con la sua voce naturale.

 

In meno di venti minuti, senza che neanche lui fosse riuscito a capacitarsene, era riuscito ad essere in palestra. Un vero record. Daniele sedeva sulla panca, e con un largo sorriso stava terminando la sua ultima serie di riscaldamento.

«Che faccia che hai... demone. A che ore sei andato a dormire questa volta?» chiese dandogli il cambio.

«A dire il vero non ne sono certo. Di sicuro dopo che le lancette dell'orologio si sono fermate...» rispose il giovane, tirando su a fatica il blando peso. Gli sembrava di star sollevando un bisonte, anche se si trattava di pochi chili. Gli mancavano le forze. «Non posso farcela, oggi!».

«Lo dici tutte le volte... Poi, invece, riesci sempre a superarti» lo rimproverò. «Ti si è scaricata la batteria di quello nuovo? Lo hai da meno di un mese! È una truffa!» protestò. Poi, lo incalzò con altre domande: «Hai fatto tardi... ma per quale motivo? Sai che non ti fa bene?».

«Sono innocente, Signor Agente! Lo giuro!» rispose stiracchiandosi, mentre Daniele caricava i pesi sul bilanciere. «Non troppe domande tutte in una volta... ti ricordo che sono sveglio da meno di mezzora! Sono ancora in quella fase in cui un uomo può uccidere qualcuno per la frase sbagliata. Comunque... credo fossero quasi le cinque».

«Stavi scrivendo?» domandò l'amico, prima di partire col primo esercizio. Quando ebbe concluso, proseguì: «Ci avrei scommesso! Qualcosa di nuovo?».

«A dirla tutta, ho seri dubbi anche su di questo. Sarà il sonno, ma fatico a ricordare... poi, questa notte ho fatto dei sogni assurdi. Sono già sbiaditi...» spiegò il giovane.

«Intendevi dire questa mattina!» lo schernì l'altro. «Dai che tocca a te. Non battere la fiacca!».

«Sai... ricordo...» fece per dire col fiatone. Gli girava la testa, e sentiva le gambe molli. Prese un lungo sorso d'acqua dalla bottiglia prima di rifiatare. Proseguì dopo un paio di minuti: «Mi è rimasto impresso un nome... J. William Landing».

«E chi sarebbe?» gli chiese perplesso. «Un nuovo personaggio?».

«Potrebbe anche diventarlo. Dal nome, direi che potrebbe essere una sorta di scrittore irlandese. Che dici?».

I due avrebbero continuato il loro allenamento fra battute dal dubbio gusto, talvolta condite da un grottesco umorismo, e notevoli sforzi fisici. Il giovane fu piuttosto fiacco, ed al termine ebbe l'impressione di essere tanto sfinito da non riuscire neanche a tornare a casa sulle proprie gambe. La sua distrazione, inoltre, era dovuta ancora al riecheggiare nella mente di quel nome. Lo tormentava, come se conoscesse in qualche modo la verità legata ad esso.

Sarebbero passati dei giorni, e non vi fu alcuna possibilità per l'autore di rimettersi a scrivere, o di riuscire a rammentare un minimo dettaglio di quei folli sogni pregressi. Rilesse più e più volte le molte pagine che aveva buttato giù in quella straordinaria notte, ma faticava a seguire il filo logico ed il senso dell'enigmatica narrazione. Questa esponeva un intricato spezzato di vita di un anonimo uomo sulla trentina. Era alla ricerca di un vecchio libro, andato perduto nell'angusta tenuta di campagna di suo padre. Non aveva specificato niente dell'ambiente, o anche solo il motivo che lo spingeva a cercarlo con cotanta insistenza. Non riuscì a comprendere chi fosse questo tormentato personaggio senza nome.

La storia appariva a lungo andare una sorta di thriller, con eventi paranormali a condire le vicende che coinvolgevano il protagonista. In realtà, non si trattava di niente di troppo spinto, considerato che riportava di eventi scientificamente plausibili, ma che per la mente umana potevano essere associati alla presenza di spiriti o di chissà quale bizzarro evento paranormale.

Il giovane, intrappolato in futili congetture, non aveva dunque la benché minima idea di come dare una svolta alla propria opera, e ben poco sembrava importargli di avere ancora altri due racconti in attesa di un nuovo capitolo, oltre ad un romanzo da completare. Nella sua testa c'era spazio solo per quella storia, narrata in poche pagine, e per quel nome: J. William Landing.

Ne era ossessionato, tanto che la notte ormai faticava a prendere sonno, e finiva per svegliarsi sempre più stanco di prima. Con gli amici, e con la sua ragazza, rimaneva spesso impelagato proprio su quel discorso. A ben poco parevano servire i loro consigli, incentrati perlopiù sul lasciar perdere e dedicarsi ad altro. Sostenevano stesse perdendo tempo. In fin dei conti, arrivò a credere anche lui che forse, nonostante tutto, avessero ragione.

Ma lo scrittore doveva sapere. Ne avvertiva uno smisurato bisogno. Era l'unico modo per tornare alla normalità.

Provò per un mese intero a dare una svolta a quella narrazione, senza il benché minimo successo. Pensò addirittura di strappare via le pagine, così da liberarsi una volta per tutte di quella che oramai era divenuta un'insana mania, un pesante fardello. Ma, subito dopo s'impossessava di lui il pensiero che avrebbe sicuramente rimpianto per sempre di essersi sbarazzato dello scritto. Poteva essere il suo capolavoro; o forse no. Ma chi poteva dirlo?

Poi, un uggioso pomeriggio, mentre era solo in casa, si sedette alla scrivania. Rimase immobile, illuminato dal flebile fascio di luce della lampada da tavolo, assorto nei propri pensieri, finché non vi fu che oscurità attorno a sé. Rifletté a lungo; non avrebbe saputo dire per quanto. Era come sprofondato in un ambiguo status di catalessi; lo sguardo perso sull'inerme foglio bianco.

Quanto stava vivendo non poteva dirsi a tutti gli effetti un vero e proprio blocco dello scrittore, ma più un travolgente senso d'inettitudine, di inesistenza e d'incapacità. L'alienante silenzio in cui si era calato, però, venne interrotto da un singolo rintocco della lancetta dell'orologio da polso.

Si destò come per magia.

Il piccolo oggetto se ne stava lì, gettato sul bordo della scrivania da oltre un mese, in attesa che il proprietario cambiasse la batteria. Tutto aveva avuto inizio con esso, e forse con lo stesso sarebbe terminato. Lo prese in mano e lo analizzò minuziosamente. Alla fine lo posò, abbattuto. Non gli veniva niente in mente.

In quello stesso istante il suo cervello iniziò a ragionare per associazione: orologio – watch – guardare – scoprire – cercare – internet – informazioni!

Accese di tutta fretta il portatile, e digitò sul motore di ricerca la voce: J. William Landing. Ciò che ne venne fuori, dopo che ebbe escluso svariate ed inutili pagine, lo lasciò incredulo. Era uno scrittore di discreta fama, conosciuto parecchio nel Nord Europa e, cosa ancora più sconcertante, era irlandese!

Si alzò di scatto dalla sedia, e si mise le mani fra i capelli. Quante possibilità potevano esserci? Cercò di essere razionale. Pensò che forse quel nome l'avesse sentito pronunciare da qualche parte, senza farci caso, e fosse stato pertanto immagazzinato nel suo cervello come un'informazione poco rilevante; ma, al mescolarsi delle idee, si fosse poi riproposto come elemento papabile per una delle sue storie. Poteva accadere, inconsciamente. Ciò che si chiedeva, però, era il perché.

Una volta tranquillizzatosi, prese a cercare ulteriori informazioni sull'autore, sinceramente incuriosito. Scoprì che fosse divenuto famoso in seguito alla divulgazione gratuita di alcuni racconti online, ed alla pubblicazione di un romanzo. Si rumoreggiava che un secondo sarebbe stato rilasciato di lì a breve, mentre un nuovo racconto sarebbe stato presto disponibile negli store più celebri, dal titolo“A writer's tale”.

Affascinato dalla biografia dell'irlandese, e dalla straordinaria causalità del fato, si mise a leggere una sua intervista per il “The Times”. Scoprì come avesse raggiunto il successo circa due anni prima, nel 2014, quando aveva pubblicato il suo primo libro; da allora milioni di lettori lo avevano seguito da tutto il mondo, dichiarandosi assuefatti dalle sue strabilianti opere.

Il giovane sorrise per tutta la durata dell'articolo, trovandosi pienamente d'accordo con le risposte dell'intervistato. Era raro che concordasse in tal modo con altri autori, soprattutto famosi. Ebbe come la strana impressione di star scoprendo se stesso, in un certo senso. Un dettaglio che trovò assai curioso, e stravagante al contempo, era il fatto che si facesse riferimento ai suoi racconti con il numero di uscita, e mai con i titoli degli stessi.

Oramai totalmente rapito da un tale brillante personaggio, decise di mettersi alla ricerca delle sue opere. Le copertine erano uno spasso, disegnate egregiamente da un illustratore, sempre irlandese, che si firmava con lo pseudonimo C. Black. Non indagò per comprendere se questo fosse il suo effettivo nome. Ma corrugò la fronte ed inarcò un sopracciglio quando si prese la briga di tradurre i titoli dei suoi scritti, pubblicati per scelta autorale in gaelico: erano in tutto e per tutto gli stessi dei suoi racconti!

Si alzò ancora una volta di scatto, e scosse il capo, perplesso. Era impossibile, insensato. Privo di alcuna logica. A meno che...

L'ombra di quel pensiero lo tentò per un istante.

Si inumidì le labbra, accusando il bruciore provocato dai denti che, per il nervoso, avevano esercitato eccessiva pressione su di esse.

Inserì i propri dati sul sito dell'autore, e scaricò tutte le sue opere alla modica cifra di 29,99 £. Non gli importava il prezzo, se la lettura lo avrebbe dissuaso da quel folle dubbio che aveva preso a logorargli il fegato.

Scorse avidamente le pagine sul monitor con gli occhi sbarrati. I suoi manoscritti a portata, per confrontare le parole. Combaciava ogni trama, ed i termini erano per gran parte gli stessi, traduzione permettendo. Certo, i testi dell'irlandese potevano vantare una più accurata impaginazione ed un'impeccabile editing; il suo stile poteva dirsi piuttosto coinvolgente, oltre che emozionante.

Gli pareva di rileggersi, ma allo stesso tempo di sorprendersi per qualcosa che lui stesso aveva scritto, ma che ora trovava riproposto in una forma decisamente più articolata, raffinata. Superiore sotto ogni aspetto. Credette di star leggendo le sue stesse opere, ma riviste dall'uomo che sarebbe divenuto fra una decina di anni.

S'impadronì di lui una forte sensazione di sconforto. Si sentì sconfitto. Calciò la sedia accanto alla scrivania e picchio i pugni sulla tastiera. Udì un critico crack dall'interno, che gli fece gelare il sangue nelle vene.

Doveva darsi una calmata.

Dopo aver dondolato nevrotico sulla sedia per un po', però, si convinse ad andare in fondo a quella faccenda. Controllò tutte le date di uscita delle opere dell'irlandese, compresa quella del romanzo (anche in questo caso riadattato). La differenza tempistica che separava le sue pubblicazioni da quelle del contendente famoso erano minime. L'opera magna era stata pubblicata online solo due mesi più tardi, mentre i racconti dopo appena una settimana.

Era stato ufficialmente plagiato. Ed ora il ladro stava godendo dei suoi meriti, della sua fama e, per giunta, in tutta serenità. Chissà cosa avrebbero pensato i suoi lettori, se avessero scoperto che quelle fossero le opere di uno sconosciuto scrittore, vittima ignara ed inconsapevole.

«Dannazione! Perché proprio a me?!» esclamò il giovane.

Poi, fece incomprensibilmente un balzo di gioia, ed esultò, prima di ritornare triste. Era combattuto fra orgoglio, felicità, amarezza e rabbia. Da una parte era entusiasta del fatto che le sue fatiche letterarie fossero tanto apprezzate; numerosi utenti, infatti, osannavano i suoi scritti. Dall'altra, però, detestava d'essere stato raggirato in modo tanto spudorato, e del non poter godere dei meriti che gli spettavano di diritto.

Il suo sogno, benché stretto fra le mani di uno sconosciuto, era stato realizzato. Era avvenuto ciò che aveva sempre desiderato: al di là del guadagno, era riuscito a conquistare la folla, a trasmettere ciò che voleva. Ora poteva ufficialmente dirsi uno scrittore, anche se non riconosciuto. Un brivido gli corse lungo la schiena, ed un sincero sorriso prese forma sulle sue labbra. Era una sensazione estasiante. In un certo senso, era felice.

Decise in quel momento che non avrebbe lasciato fuggire quel sentimento, e che avrebbe finalmente ottenuto ciò che gli spettava, costasse quel che costasse.

Per prima cosa, chiamò al telefono la sua ragazza e Daniele, che erano anche i suoi fedeli bozzisti, e cercò di spiegare loro l'accaduto. I due, prima divertiti dalla vicenda, si arresero poi davanti alla cruda realtà. Lo scrittore irlandese non aveva solo truffato il loro amico, ma aveva rubato anche il loro prezioso impegno.

Il giovane si mise al portatile. Scrutò la pagina bianca a lungo, scrivendo e cancellando centinaia di volte la lettera d'accusa che intendeva indirizzare al ladro. In alcuni casi appariva un disperato, in altri forse troppo aggressivo, o ancora un via di mezzo, peraltro alquanto patetica.

Poi, optò per un'alternativa. Recuperò un vecchio account, e gli spedì una e-mail con dentro scritto semplicemente: “Io conosco il tuo segreto. Voglio solo capire perché, nonostante le tue capacità, hai scelto di truffare. Menti al tuo stesso pubblico, a chi crede in te”.

Come un matto attese davanti allo schermo per diverse ore. Saltò addirittura la cena. Non giunse risposta. Ma, poco prima di allontanarsi dal portatile, udì il segnale acustico di una nuova e-mal. Si fiondò a vedere, agitato.

Era solo Spam.

Quella notte avrebbe dormito poco e niente. Rimase a fissare le luci delle macchine che illuminavano a tratti il soffitto della sua stanza, mentre rimuginava su quanto aveva appena scoperto.

Il giorno seguente espose il problema al resto dei suoi amici. Tutti si dicevano sorpresi, e gli avevano suggerito senza mezzi termini di sporgere denuncia alla polizia postale, e di trascinare il ladro davanti ad un tribunale.

Avrebbe dovuto dargli parecchi soldi, per risarcire il pesante danno arrecatogli. Certo, ammesso fosse riuscito a dimostrare la paternità delle proprie opere. L'editore che aveva pubblicato l'irlandese avrebbe fatto di tutto per togliersi d'impiccio da quella terribile situazione.

Il giovane rifletté su quanto avviare una causa del genere gli sarebbe costato; inoltre, avrebbero potuto volerci anni per arrivare ad un verdetto ufficiale, senza contare i possibili ricorsi. Una battaglia legale che forse sarebbe entrata nella storia. Benché quei pensieri avrebbero dovuto caricarlo, si sentiva sempre più con l'acqua alla gola. Spacciato.

Tornato a casa, abbattuto più che mai, notò l'ennesima notifica sull'icona delle mail: era un account sconosciuto, e veniva identificato come poco sicuro. Decise di aprirlo comunque, forte d'aver installato di recente un buon antivirus.

Il messaggio era informale, ed altrettanto breve. Era una palese risposta alla sua accusa, sebbene inviata da un profilo diverso, probabilmente per evitare di rimanere incastrato. Sarebbe stato ancora più difficile dimostrare che si trattasse proprio dell'irlandese. Recitava:

«Ciò significa che forse non conosci affatto il mio segreto. Tutti ne abbiamo, anche più di uno; altrimenti non saremmo umani».

Osava addirittura farsi beffa di lui, schernendolo in tal modo. L'autore s'impose pazienza e freddezza. Rilesse allo sfinimento quelle parole, poi gettò d'impulso la risposta, e la spedì senza darsi il tempo di analizzarla al meglio:

«Come tutti siamo dei ladri, o lo siamo stati, ma alcuni perseverano senza vergogna? Credo tu abbia ragione, sotto questo punto di vista. Mi chiedo: avrai il coraggio di affrontarmi apertamente, o di essere perlomeno sincero con colui che conosce ciò che nascondi, ladro di libri? Potrei anche decidere di tenerlo per me».

La risposta giunse qualche giorno più tardi.

«Suppongo di starlo già facendo. Tenendolo per te, potresti consentire alla tua storia di proseguire. Il tuo destino dipende solo dalla scelta che farai. Fatti furbo. Abbiamo solo un'occasione, poi c'è il nulla».

Il giovane storse il naso. Credette di aver intuito il consiglio velato fra le righe. Temporeggiò. Una richiesta di amicizia poi soggiunse dallo stesso contatto.

Accettò.

Subito dopo ricevette un messaggio diretto: «Qual è la tua risposta?».

Il ragazzo si stropicciò la faccia. Avrebbe voluto inveirgli contro, ora che poteva parlare direttamente. Ma si convinse di stare calmo.

«Non ho capito la domanda» rispose beffardo.

«Potresti essere un'ombra... oppure sparire del tutto. Cosa decidi di essere?».

«Brutto stronzo! Che fai ora, mi minacci? Credi di essere come la mafia, per caso? Credi che mi beva le tue stronzate, e me ne stia zitto? Sei un ladro! Mi hai rubato ogni progetto, e riavrò tutto quanto, con le buone o con le cattive! Devo solo avvisare il mio avv-» stava ancora digitando, quando vide apparire un nuovo messaggio sulla timeline:

«Che fai, scrivi una nuova storia? Gentile a passarmela in anteprima» lo schernì ancora il non più troppo misterioso contatto.

Il giovane andò su tutte le furie. Si alzò e picchio i pugni contro la libreria, facendo cadere qualche tomo, inveendo contro chiunque si trovasse dall'altro lato dello schermo. Poi, tornò a sedersi e cancellò il messaggio precedentemente digitato, sostituendolo con un semplice: «Spiritoso... in realtà mi dilettavo nel cercare di scriverti in modo creativo quanto fossi stronzo. Ma temo non esistano molti sinonimi decorosi!».

«Fammi indovinare: parolacce? Forse... avvocati? Te la farò pagare?» rispose rapido. «Non accadrà niente di tutto ciò, purtroppo. O, perlomeno, me lo auguro per te».

«Allora dimmi perché rubi le mie storie» replicò il giovane.

«Sono belle, senza dubbio. Hanno degli errori di forma, di tanto in tanto, ma sembrano interessanti. Però, se ti dicessi la verità, poi sarei costretto ad ucciderti... per dirla alla Sergio Leone».

Dopo la battuta, il contatto non avrebbe più risposto per un paio di settimane.

Il ragazzo, devastato dalla situazione, aveva finito col litigare con tutti coloro che gli stavano vicino. Si era chiuso in sé stesso, e passava il suo tempo a fissare la chat, soffocato dall'amarezza e dallo sconforto. Aspettava la risposta al suo ultimo messaggio:

«Originale, quasi quanto l'odio viscerale che nutro nei tuoi confronti. Bella trovata James. Preferirei morire piuttosto che farti da Ghost Writer!».

L'unica nota positiva di quel periodo malsano, fu la rinnovata foga creativa che si era impossessata del giovane scrittore, tanto da spingerlo a sfogarsi sul vecchio quaderno ingiallito e dall'odore sgradevole. Aveva buttato un potenziale seguito del racconto incompiuto, prendendo spunto proprio dalla storia che aveva vissuto sulla sua pelle. Gli mancava solo la parte centrale, per collegare il tutto.

Certo, occorreva anche fornire un finale plausibile, ma quello sperava di poterlo scrivere di persona. Era una storia di rivincita. Faceva perno proprio sul sentimento intrinseco nell'animo di ogni creativo. Si staccò dal foglio solo quando avvertì una notifica. Era proprio quella che stava ardentemente attendendo.

«Diventare un Ghost Writer? Quello lo sei già. Ma, come ti ho già detto, rivelare la verità porrebbe fine alla tua storia. I lettori non saprebbero più niente sul tuo conto, proprio ora che si sono appassionati alle tue vicende. Vuoi davvero giocar loro un simile tiro mancino?».

«Il tiro mancino te lo darei volentieri dritto sul naso. Farnetichi. Non mi sottometterò, e non sarò mai un fantasma! Ti porterò in tribunale» rispose. Batté i tasti con una violenza inaudita, come se ogni lettera fosse un pugno diretto al suo interlocutore.

«Non puoi fare neanche questo. O perlomeno, non puoi avviare una vera e propria causa... perché è impossibile. Sii ragionevole. Fidati di me, questa volta. So che può risultare difficile. Continua a scrivere, e godrai della felicità dei tuoi lettori, dei loro commenti entusiasti. Ti farò avere ogni loro e-mail. In fondo, non è questo il motivo per cui scrivi? È l'emozione che riesci a suscitare nei loro cuori, non il denaro che ricavi dai loro portafogli» tentò d'indorare la pillola, spudoratamente. Senza alcun dubbio era abile nell'utilizzare le parole, e nell'arte del raggiro. Ciò che aveva provato a rifilargli era una soluzione accattivante. Altri, a questo punto, si sarebbero accontentati di vivere in una silenziosa fama. Certo, allo stesso tempo sarebbe stato come innalzarsi verso il cielo dentro una bolla di sapone, legati a qualcosa che all'improvviso poteva svanire nel nulla.

«Non posso scrivere, e non ne ho alcuna intenzione, se non posso permettermi quella vita».

«A quella ho sempre badato io, sciocco. Non devi preoccuparti...» perseverò.

«Piantala di prenderti gioco di me! Con tutti gli autori, perché proprio me? Non potevi scegliere qualcun altro?» lamentò.

«Certe cose non si scelgono. Nascono da sole. Rimangono intatte, indissolubili. Una parte ha bisogno dell'altra, come il giorno della notte» commentò. A seguito di quell'ultima battuta, il giovane si stava apprestando ad inviare una lunga serie d'insulti, quando visualizzò la seconda parte del messaggio: «Vuoi proprio saperlo? Te lo chiedo per l'ultima volta... perché indietro non si può tornare».

«Sì!» rispose senza riflettere, rapido.

«Sei un buon narratore, per iniziare. Le tue idee, però, alle volte possono essere un po' troppo astratte e confuse. Ma hai qualcosa che io non posseggo: il tempo; infinito, sterminato. Siamo molto simili, come avrai intuito, ma diciamo che io provo ad essere la parte più razionale. Non tutto può andar bene così com'è; deve essere modellato, raffinato. Per chiarirti meglio le idee, leggi questo. Sono certo avrai l'impressione di conoscere già il contenuto». L'irlandese allegò al messaggio un file di testo. Poi, aggiunse: «Niente domande. Leggilo».

Il giovane deglutì.

Cliccò sul file.

La pagina impiegò qualche secondo più del dovuto per aprirsi, ma non si sorprese quando vide apparire la schermata di Word Office, che gli richiedeva l'acquisto della licenza. Pareva tanto che l'irlandese non volesse che il file potesse essere copiato o rubato.

Che faccia tosta!” pensò. Aveva una gran voglia di dargli un pugno.

Acconsentì alla completa visualizzazione del file, quindi prese a leggere. Il titolo recitava “A writer's tale: storia di uno scrittore”. Arricciò il naso, prima di tirare su in un vezzo di sfida. Ancora non comprendeva dove il ladro volesse andare a parare.

La vicenda era ambientata in una città senza nome, ma ben presto il protagonista, un uomo sulla trentina, si sarebbe recato nella brulla campagna, per ricercare un vecchio libro dato per smarrito nell'angusta tenuta di campagna del defunto pare.

Per quanto lo avesse cercato minuziosamente, pareva non esservi nessuna traccia di esso. Alcuni eventi paranormali avevano accompagnato le sue indagini, benché egli facesse appello alla propria razionalità per spiegarsi l'impossibile.

Poi, però, esausto, si era lasciato andare alla stanchezza su un polveroso divano. Nella notte aveva ricordato come quel libro fosse stato creato, circa dieci anni prima. Era lui stesso l'autore. Aveva accantonato quell'idea dopo uno strano sogno, ma soprattutto a seguito di di alcuni nefasti eventi, che gli avevano sconvolto la vita. Lo aveva ripreso qualche anno dopo, ed infine lo aveva abbandonato una volta completo. Aveva scelto un finale insensato. Ora ricordava esattamente dove lo aveva nascosto.

Il ragazzo fece una smorfia, gli pareva di aver già letto quella storia, ma al momento non riusciva proprio a rammentare dove. Lesse inconsciamente la nuova parte del manoscritto a voce alta:

 

L'uomo si tirò su. Era grondante di sudore. Si mosse con le movenze di un ragno fra gli scatoloni e la vecchia mobilia, sino a fermarsi davanti al camino. Ricordava di uno scomparto segreto nascosto sul fianco. Lo azionò. Tirò fuori da una nicchia un plico di fogli impolverato, tenuto insieme da una rozza copertina rigida.

Schiuse il tomo in un punto a caso, facendosi vicino al fascio di luce di una vecchia lampada da tavolo. Lesse a lungo. Riprese da: “Il rintocco delle lancette dell'orologio era divenuto assordante […]”.

Era oramai giunto al fatidico passo finale, quando avvertì un forte bruciore agli occhi. Continuò però la lettura. La storia era piuttosto autobiografica, e delucidava i trascorsi fra lui ed un noto scrittore irlandese, reo di avergli soffiato da sotto al naso la carriera di scrittore. Da allora, aveva scelto di arrendersi, e di dedicarsi ad una nuova vita. Ma, dentro di sé, avrebbe covato in eterno il desiderio di conoscere quella fatidica risposta, l'unica che lo aveva esortato a rimanere all'oscuro della verità.

Aveva stampato e nascosto quel manoscritto in uno scomparto segreto del camino. Sarebbe rimasto lì per sempre. Il finale, da lui reputato insensato, era appunto una follia. Lo rilesse ora a distanza di anni.

Il giovane, se solo avesse potuto, avrebbe discostato i propri occhi dal dattiloscritto, ma solo per rendersi conto di come le icone del suo desktop fossero pressoché tutte sparite. Non rimaneva che quel file scaricato dalla chat, che stranamente sentiva d'appartenergli più d'ogni altro, di tutto il materiale che in molti anni di lavoro aveva accumulato. Lo scrittore-ladro lo aveva raggirato ancora una volta, inserendo un potente virus nel suo sistema.

La verità, quella cruda, e dalla quale l'irlandese aveva provato vanamente a tenerlo all'oscuro, era che il giovane non fosse altro che l'ennesimo personaggio dei suoi racconti. Quello che avrebbe interrotto il ciclo della repentina favola. Poiché una fantasia conscia d'esser tale, è irrimediabilmente destinata ad eclissarsi.

Così, come l'astratto sogno dal quale il giovane si era destato, era giunto il momento anche per il lettore di far propria la realtà, e di comprendere finalmente il senso della trama.

La creatività è quell'uomo laborioso latente nell'animo di ogni artista. Ma, se questi dovesse mai esser cosciente di ciò che egli è realmente, la sua magia verrebbe meno. Morirebbe.

 

Il giovane ebbe una frazione di secondo per capacitarsi dell'effettivo senso di quell'astratto e forse un po' insensato finale. Scrutò il vuoto desktop. Il monitor si spense. La luce attorno a sé venne meno. Il battito del suo cuore si fermò all'improvviso e...

 

 

 

Fine.

   
 
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