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Autore: regarde_le_ciel    02/03/2016    4 recensioni
Eccomi qui con una nuova storia!
Ho l'intenzione di proporvi un'esperimento: avete sicuramente visto Sherlock Holmes in tutti i modi possibili, ma se il famoso detective in questa fanfiction non fosse un uomo ma una donna, e se si chiamasse Annabeth Chase?
Percy Jackson è un medico militare reduce della guerra in Afghanistan, la sua fidanzata lo ha tradito, la sua unica compagnia è la sua fidata stampella, ricordo della guerra.
La storia è un cross-over tra Percy Jackson e Sherlock (la serie tv), adatta anche a coloro che non seguono la serie, le battute prese dal telefilm verranno riportate in grassetto.
Fatemi sapere che cosa ne pensate :)
-Alexandra
Genere: Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI

 

PROLOGO

 

L'INIZIO DI UNA NUOVA VITA

 

Una serie di bare bianche si trovavano vicino alla pista dell'aeroporto, erano tutte ricoperte con la bandiera degli U.S.A., tutt'intorno vi erano degli uomini con la stessa uniforme, proprio come quella di papà; un uomo che avevo visto tante volte in TV stava davanti ad un leggio anche esso bianco. Tante donne e altri bambini come me stavano lì davanti all'uomo, tutti vestiti di nero, non riuscivo a capire cosa ci facevo lì, i miei pensieri furono interrotti dall'inno cantato e suonato dalla banda. Mia mamma stava piangendo ma non ne capivo il perché, cosa stava succedendo?

-Signori, signore cari bambini e ragazzi. Siamo qui riuniti per onorare i nostri eroi, che hanno messo il benessere dello stato sopra la loro stessa vita, che hanno lottato con tutte le loro forze per proteggerci e salvare la vita a persone innocenti, uguali a noi. I nostri eroi, sono stati capaci di sacrificare le loro vite per salvarne altre e io, presidente degli Stati Uniti d'America, mando le mie più sincere condoglianze a tutti coloro che hanno perso una persona cara, sappiate, che anche noi soffriamo insieme a voi. Vi ringrazio per essere qui, oggi, per ricordarli e vi prego di non scordarvi mai di loro.

Il nostro governo vi offrirà sostegno sia morale che economico.

Vogliamo far ricordare per sempre i seguenti eroi:

-Poseidone Jackson

-Tristan McLean

-Esperanza Valdez

-Giove Grace

-Plutone Levasque

-Marte Chang

 

Mi alzai di scatto, silenziosamente per non svegliare Rachel, presi la mia stampella e cercai di andare nella terrazza vicino alla camera da letto, senza fare rumore, cosa che era quasi impossibile a causa dell'oggetto ortopedico. Appena giunto lì mi sedetti con molta attenzione su una poltroncina in vimini. L'aria fresca della notte riusciva quasi sempre a calmarmi e farmi riprendere, soprattutto dopo quel doloroso ricordo che mi affliggeva quasi ogni notte, provai ad alzarmi per andare vicino al parapetto ma, mi dimenticai della stampella e il dolore che sentii alla gamba sinistra mi fece urlare e cadere sulla sedia.

-Cos'hai Percy?- una figura dai capelli rossi si affacciò davanti alla porta trasparente che portava al terrazzo.

-Niente, Rachel, passa.- di solito riuscivo a convincerla e andava tranquilla a letto.

-Va bene, ma evita di fare tutto questo rumore, starei cercando di dormire.-

-Certo, amore.-

Rimasi lì seduto fino all'alba. Presi la mia fidata amica stampella e mi avvicinai lentamente al parapetto. Osservai tutte quelle sfumature che partivano dal bianco per andare fino ad un arancione vivace, con qualche chiazza violacea e bleuette. Per molti l'alba simboleggia la rinascita, la vittoria della luce sul buio, per me no. Fin da quando ero piccolo avevo sognato di essere come papà, come un eroe, capace di salvare la vita a molte persone innocenti e, se fosse stato il caso, anche di sacrificare la mia vita per il bene dello stato, proprio come lui. Così mi iscrissi alla scuola militare e successivamente mi arruolai nel esercito, diventando così un medico militare. Passai anni a curare ferite di guerra più o meno gravi, amputazioni e altri interventi del genere erano molto frequenti, lì in Afganistan. Circa una settimana fa, eravamo a corto di uomini, molti di loro erano morti a causa delle mine antiuomo, così dovetti andare a combattere: stavo perlustrando il territorio, quando lo vidi. Un uomo, era distante da me circa una ventina di metri, aveva una divisa diversa dalla mia, era il momento giusto di colpirlo, dato che lui non mi aveva ancora visto: presi la mira e nel mentre, lui si girò; ci guardammo negli occhi, non potevo farlo, non potevo uccidere un uomo. Sfortunatamente lui non la pensò così, prese la sua pistola, la mira e sparò. Riuscii a buttarmi ma non nonostante ciò sentivo un dolore incredibile alla gamba sinistra, spostai lo sguardo e vidi l'arto ricoperto interamente di sangue. Quando tutto ciò successe era l'alba.

Il proiettile era rimasto bloccato nella gamba e dopo vari tentativi riuscirono a toglierlo, ma, nonostante l'intervento fosse riuscito, l'arto mi faceva ancora molto male: alcuni dottori mi proposero di amputare la gamba, perché non sarei mai guarito.

L'alba aveva lasciato spazio all'azzurro grigiastro del giorno. Dovevo andare a prepararmi per andare dal dottore che avrebbe dato un'occhiata alla mia gamba per controllare che tutto fosse apposto. Mi vestii, salutai Rachel e presi un taxi. Arrivai subito davanti allo studio, visto che stranamente non c'era tutto quel traffico caratteristico di New York, entrai e presi posto; fui accolto dal dottore che mi fece qualche controllo e dopo di che mi consigliò come al solito di prendere un taxi dato che era meglio non sforzare la mia sensibile gamba e di evitare i spazi affollati: così feci. Il traffico si era parecchio intensificato: due code lunghissime occupavano l'avenue principale di New York, gente che tirava un colpo di clacson, altra che imprecava, altra che parlava al cellulare e altra stressata che si era arresa e aveva appoggiato la testa al volante. Arrivai a casa a verso le dieci e mi fermai a comprare un quotidiano vicino al chiosco di casa mia: in prima pagina si parlava delle ormai vicine elezioni presidenziali e dei candidati, nell'altra della nazionale di rugby e dello scandalo delle scommesse, continuai a sfogliare il giornale disinteressato fino a quando un titolo non attirò la mia attenzione; l'articolo in poche parole diceva che nell'ultimo mese nella metropoli di New York vi erano stati cinque casi di suicidio ma, che in un modo o nell'altro erano collegati tra di loro.

Chiusi il giornale e ed entrai in uno dei palazzi ove era situata casa mia, erano circa le dieci e dieci, di solito quando tornavo da una visita medica arrivavo verso le dodici. Salii nell'ascensore e provai ad aprire la porta. Era chiusa a chiave: la mia fidanzata non chiudeva mai la porta di casa a meno che nessuno di noi vi fosse presente, era parecchio strano come comportamento. Bussai una, due, tre volte ma non mi rispose nessuno; cosa diavolo stava succedendo?

-Rachel? Sei a casa?- ero preoccupato, se fosse entrato qualcuno di pericoloso? Non osavo immaginare quello che poteva succedere.

Stavo per buttare giù la porta quando Rachel aprì la porta:-Ma che hai? Sei impazzito? Che ci fai a quest'ora qui, mica eri dal dottore?- parlava velocemente, il colorito della pelle era diventato della stessa tonalità dei capelli, rosso fuoco, gli occhi verdi prato mi rivolgevano uno sguardo severo, io ero lì che mi stavo preoccupando, immaginandomi scenari che andavano di male in peggio e lei mi rimproverava. Il mio flusso di pensieri fu interrotto da un rumore che sembrava essere causato da una caduta, feci per entrare in casa ma la mia ragazza mi fermò:- Che credi di fare?-

-Entrare nella mia casa?- dissi con un tono sarcastico

-Oh, ma questa non è più casa tua!- un uomo si avvicinò dietro di lei, le mise un braccio intorno alle spalle, il ragazzo era coperto solo da un paio di boxer -e questa non è più la tua ragazza da almeno due anni, io se fossi al tuo posto me ne andrei, sai, magari rimani anche senza l'altra gamba.- inspirai profondamente e contai fino a dieci per mantenere la calma, entrai in casa presi i miei pochi averi e me ne andai via, non aveva senso iniziare a lottare una battaglia già persa. Nonostante avessi reagito in modo calmo la rabbia cresceva dentro di me in modo smisurato. Uscii dall'appartamento sbattendo la porta in una mano tenevo il borsone mentre nell'altra mano la mia fidata stampella.

 

Un anno dopo

 

-Percy, hai scritto nel blog? Certo che non hai scritto. Lo sai tu come lo so anch'io che tu ce la puoi fare, è vero, sei un soldato e ti ci vorrà del tempo per abituarti alla tua vita di civile, ma te l'ho detto, che se tu scrivessi sul tuo blog inizierai piano, piano ad ambientarti e vedrai che anche la tua gamba ne trarrà beneficio.-

-Va bene Dottore Solace.-

Intanto

 

-Signor Grace, com'è possibile che la polizia non sia ancora riuscita a risolvere “il caso”? Vogliamo conoscere la realtà, è già passato un anno e se nota ci sono stati altri dieci suicidi.-

-le forze di Polizia si stanno impegnando e stanno facendo del loro meglio: quello che sappiamo ve l'abbiamo detto-

-sono le stesse cose che ci avete detto l'anno scorso!-

 

 

Ero seduto su una delle panchine del Central park, stavo aspettando la mia migliore amica, Piper.

Era una ragazza alta del fisico slanciato, capelli castani intrecciati con delle piume e con due grandi occhi color caleidoscopio. Si avvicinò e si sedette vicino a me salutandomi battendomi una pacca sulla spalla, un sorriso che partiva da un orecchio e arrivava fino all'altro le impreziosiva il volto, quel giorno era stato molto speciale per lei: era molto portata per la scrittura, fin da quando eravamo piccoli narrava gli avvenimenti, i giochi e gli scherzi che facevamo tra di noi, i “figli dei caduti”, non c'era sicuramente da sorprendersi se era riuscita a trovare lavoro al New York Times, proprio quella mattina pubblicò il suo primo articolo.

-Jason è un gran pallone gonfiato, pensa sempre di avere la situazione sotto controllo quando non è così, ma in realtà non riesce a recepire il fatto che deve lasciare il suo dannato orgoglio da parte, qui si tratta di persone innocenti!-

-Non ho ancora capito perché stanno indagando, voglio dire, si tratta di suicidio. E poi hai ragione Jason dovrebbe calmarsi un po'- dissi ridendo, io, Piper e Jason (o ispettore Grace) avevamo perso i genitori, erano caduti in guerra, eravamo cresciuti praticamente insieme, ovvio, continuavamo a litigare ma ci volevamo bene.

-Dovevi sentirlo alla conferenza: la polizia sta risolvendo, abbiate fiducia in me, so fare il mio lavoro!- disse imitando il ragazzo biondo.

-Lasciando perdere questi futili argomenti, come va la gamba? E che ti ha detto l'analista?-

Alzai gli occhi al cielo e le risposi -la mia gamba va benissimo e il dottore ha detto le solite cose.-

-Sai Percy che cosa ti ci vorrebbe? Conoscere qualcuno, socializzare, magari, che ne so, trovare un coinquilino o una coinquilina, sei sempre lì solo chiuso in quella specie di buco.- dove voleva andare a parare?

-Suvvia Piper, chi pensi che mi voglia, sono solo un medico militare reduce dalla guerra in Afghanistan, e per di più zoppo!-

-Sai, sta mattina qualcun altro mi ha detto la stessa cosa.- disse in modo persuasivo.

-Un altro zoppo? Che bello ci uniamo in un club!- dissi in modo sarcastico. Non capivo assolutamente perché mi stesse praticamente spingendo ad andarmene a vivere con qualcuno che non conosco.

-Dai muoviti Percy!-

Prendemmo un taxi e ci avviammo verso uno studio di ricerca, fantastico, mi toccava pure vivere con un dottore?

Prendemmo l'ascensore che ci portò in un corridoio anonimo, simile a quello degli ospedali, ci trovammo davanti una porta bianco sporca.

Una ragazza bionda con i capelli riccioli stava china su un telescopio intenta a osservare chissà quali batteri. Alzò leggermente lo sguardo per poi ritornare al suo lavoro: la pelle era abbronzata, gli occhi grigi come nubi temporalesche.

-Che servizio inefficiente avete voi americani, circa dieci minuti fa ho ordinato un caffè, e non è ancora arrivato.- disse sbuffando, aveva un accento strano, forse britannico?

-Ciao.- disse la mia migliore amica. Ma la ragazza non le rispose, già l'odiavo pareva una persona fredda, altezzosa e saccente, non capivo il motivo per cui me la volesse presentare.

-Afghanistan o Iraq?- continuava a fissare l'oggetto da lavoro concentrata.

-Scusa?-

-Dov'è successo, in Afghanistan o Iraq?- rivolsi uno sguardo sorpreso a Piper.

-Afghanistan, ma lei come fa a saperlo?-

-Io vado a prenderti il caffè, come lo vuoi?-

-Espresso, corto e senza zucchero.- disse studiando la provetta che si trovava davanti a lei. Il silenzio seguente fu imbarazzante: lei non parlò e io non parlai., fu interrotto dalla mia amica che era tornata con la bevanda calda.

-Tieni.- disse porgendogli il caffè.

-Non lo voglio più , bevilo tu, ormai ne hai già bevuto un po', non voglio fare scambio di germi e DNA con te.- e si rimise al lavoro senza considerarmi.

Stette zitta per una decina di minuti analizzando vari materiali da lavoro, quando, improvvisamente parlò:

-A lei piace il veleno?- non capivo con chi stesse parlano, ne tanto meno il senso della domanda.

-Come scusa?- magari non avevo capito bene.

-Io sono il veleno quando penso, a volte non parlo per giorni interi. Due potenziali coinquilini dovrebbero poter conoscere i difetti reciproci.- Che cosa aveva combinato Piper?

-Gli hai parlato di me?- chiesi alla ragazza mora.

-Niente affatto.- mi rivolse un sorriso compiaciuto e sincero allo stesso tempo.

-Allora chi ha parlato di coinquilini?-

-Io, sta mattina ho detto a Piper che sarà difficile trovare un coinquilino e dopo pranzo si presenta con un vecchio amico chiaramente rientrato da una missione in Afghanistan, non è stato difficile.-

-Come sapeva dell'Afghanistan?-dovevo sapere come aveva fatto.

-Ho adocchiato un piccolo appartamento al centro di New York, insieme potremmo permettercelo, ci vediamo lì domani sera alle 7. Scusate ma adesso devo proprio scappare.- disse prendendo il trench.

-Tutto qui?-

-Tutto qui cosa?- era una ragazza bella, molto bella, pareva quasi californiana se non fosse stata per la particolare sfumatura degli occhi, peccato per il carattere.

-Vuoi condividere un appartamento con me?-

-Problemi?-

-Noi due non ci conosciamo affatto, non conosco neanche questo posto e nemmeno il suo nome.-

-Io so che lei è un medico militare, che è stato ferito in Afghanistan, so che ha un fratello che si preoccupa per lei ma non gli chiederà aiuto perché probabilmente è un alcolista e che di recente ha lasciato la moglie. E so che la sua analista pensa che il suo zoppicare sia psicosomatico, diagnosi corretta, è sufficiente per frequentarci non crede?-

Uscì dalla stanza e poi si riaffacciò e disse con fare teatrale: -il mio nome è Chase, Annabeth Chase e il mio indirizzo è il 221b di Baker Street.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Hey, carissimi!

Penserete che sono pazza, voglio dire, sto già lavorando su un'altra long però non sono riuscita a resistere alla tentazione: quando l'ispirazione arriva non si può far altro che scrivere.

Ringrazio tutti coloro che sono arrivati alla fine del mio esperimento (che spero sia andato a buon fine), non so quanto sarà lunga la storia, se a voi piace come idea potrei aggiungere più capitoli.

Fatemi sapere la vostra opinione :)

-Alexandra.

 

   
 
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