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Autore: eliseCS    03/03/2016    2 recensioni
Secondo le regole dell’Accademia dei Guardiani un angelo custode è tenuto a seguire il suo protetto senza mai interferire nella sue azioni, rivelandosi ad esso solo in caso di particolare necessità e rigorosamente in un’unica occasione che non dovrà mai ripetersi.
Ma cosa succede se un angelo decide di sfruttare la sua unica Manifestazione per una circostanza che non rientra esattamente nei parametri che definiscono la particolare necessità?
Cosa succede se il protetto in questione non si accontenta e cerca in tutti i modi di incontrare di nuovo il suo angelo?
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Seguito della one-shot "In silenzio, tre passi indietro come un’ombra – Non ne vale la pena"
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Perché Dylan ha deciso che cosa (o chi) ne vale la pena e Aurora non ne è poi così dispiaciuta.
Perché un angelo custode e il rispettivo protetto possono incontrarsi una volta soltanto, ma forse loro sono l’eccezione che conferma la regola.
Genere: Fantasy, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In silenzio, tre passi indietro come un'ombra'
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(© elyxyz)





 
Piccola nota prima di cominciare: questo è il seguito di una one-shot che avevo precedentemente scritto, della quale consiglio la lettura se si vuole rischiare di capirci qualcosa... La potete trovare qui






1. Sei un angelo
 
 
 
Aurora si lasciò andare ad un profondo sospiro appoggiandosi con la schiena contro la porta della sua camera, gli occhi chiusi e la mente persa nei ricordi di quello che era successo quel pomeriggio.
 
Un angelo custode può manifestarsi al proprio protetto solo in caso di particolare necessità, il che significava principalmente solo se il protetto si fosse trovato in pericolo di vita quando ancora non era arrivata la sua ora.
 
Di sicuro quella non era la situazione in cui si trovava Dylan quel pomeriggio, proprio no, ma lei non aveva potuto fare a meno di fare quello che aveva fatto.
Si era messa nei guai e lo sapeva.
Di sicuro un richiamo non glielo avrebbe tolto nessuno.
Al momento però la sua unica preoccupazione era buttarsi sul letto e dormire, con un po’ di fortuna non si sarebbe dovuta preoccupare di niente prima dell’indomani mattina.
 
 
Procedendo a tastoni lungo il muro la sua mano incontrò l’interruttore della luce che venne subito fatto scattare illuminando la stanza.
 
La ragazza trattenne un urlo portandosi una mano al cuore nel momento in cui si accorse che non era sola: un uomo era seduto sul suo letto e la stava aspettando.
 
“Dannazione Dave! Mi hai fatto prendere un colpo! Non potevi aspettare fuori e bussare come fanno tutti?” esclamò Aurora non appena si fu ripresa inveendo contro l’uomo che la guardava divertito.
Quello si tolse da davanti gli occhi scuri un ciuffo di capelli corvini che era sfuggito dalla coda in cui erano legati e si alzò in piedi.
Era abbastanza imponente, le spalle ampie e robuste, e la superava di almeno tutta la testa.
 
“E perdere così l’occasione di farti arrabbiare? Mai!” rispose andandole incontro e abbracciandola.
“È da tanto che non ci si vede, come mai da queste parti?” domandò Aurora dopo un po’ staccandosi dalla presa.
“L’ultimo protetto a cui ero stato assegnato non ha più bisogno di me e il Consiglio ha deciso di lasciarmi libero per un po’ prima di assegnarmene un altro” spiegò Dave.
“Ma non è per salutare che sono qui, Aurora. Se fosse stato solo per quello non sarei venuto a disturbare a quest’ora” aggiunse subito dopo assumendo un cipiglio serio.
“Non disturbi mai, lo sai…” commentò la ragazza in un ultimo tentativo di sviare il discorso, ma ormai anche il suo sorriso era scemato.
 
E meno male che lei sperava che l’avrebbero lasciata in pace almeno per quella sera.
 
“Cos’hai combinato Aurora?” domandò retoricamente Dave nel frattempo.
L’interessata abbassò lo sguardo, improvvisamente interessata ai suoi piedi, colpevole.
 
“Lo sai che è proibito…” la riprese Dave.
“Lo so…”
“Lo sai che con particolare necessità non si intende di certo una crisi adolescenziale…”
“Lo so…”
“E sai ance che così ti sei giocata la tua unica occasione in cui avresti potuto interagire direttamente con lui…”
“Lo so…” la sua voce ormai era un soffio.
 
Aurora si lasciò cadere sul letto prendendosi la testa tra le mani e le venne quasi da ridere quando si rese conto che era esattamente la stessa posizione in cui si era messo Dylan quel pomeriggio sugli spalti del campo da calcio.
Però per lei non ci sarebbe stato nessun angelo custode apparso magicamente al suo fianco, non era previsto.
 
“Hanno mandato te per indorare la pillola, vero?” domandò alla fine riportando il suo sguardo su Dave che era in piedi di fronte a lei con le braccia incrociate.
“Hanno mandato me perché, beh, non sono più il tuo responsabile da un pezzo ormai, ma resto comunque quello che ti ha insegnato praticamente tutto quello che sai” rispose impassibile Dave.
 
Aurora sorrise mentre alcuni ricordi le riaffioravano nella mente.
 
 
 
Chi si chiedeva da dove venissero gli angeli… beh, avrebbe continuato a farlo.
Lei sapeva solo che un giorno si era svegliata nella sua stanza dell’Accademia con l’aspetto di una bambina di dieci anni e aveva cominciato il suo addestramento per diventare un angelo custode.
 
Ogni nuovo arrivato veniva assegnato ad un angelo custode esperto che lo avrebbe seguito fino alla fine del percorso, e lei era stata assegnata a Dave che, come aveva poi scoperto in un secondo momento, era uno dei migliori in circolazione.
Aurora aveva sempre considerato l’angelo come un padre, un fratello e un amico, e quelli che aveva passato con lui erano stati alcuni degli anni più belli della sua vita.
 
Si ricordava ancora il brivido di eccitazione che l’aveva percorsa la prima volta che le era stato consentito andare al lavoro con lui in modo che potesse iniziare ad imparare come bisognava seguire un protetto.
 
In silenzio, tre passi indietro come un’ombra era diventato il loro motto.
 
O ancora quando, sempre sotto la sua supervisione, le era stato affidato il suo primo protetto che avrebbe dovuto seguire attenendosi scrupolosamente a tutte le regole e i protocolli per superare l’esame finale.
 
E dopo quello c’era stato l’ultimo periodo durante il quale Dave le aveva spiegato come si usavano i vari poteri di un angelo custode dopo che finalmente anche lei li aveva acquisiti, come per esempio cambiare il proprio aspetto o interagire con alcuni elementi dell’ambiente in cui il protetto si muoveva – cosa che era stata espressamente proibita fino a quel momento –
La cosa più importante era stata imparare ad instaurare il Contatto, ovvero avvicinarsi fino a toccare il protetto senza però manifestarsi, rimanendo quindi invisibile: poteva sembrare una cosa da poco ma in realtà costava non poca concentrazione e fatica, almeno le prime volte.
 
Dopo quelle ultime dritte Aurora era diventata un angelo custode a tutti gli effetti, e anche piuttosto bravo se doveva dirla tutta, soprattutto considerato chi era stato il suo insegnante.
 
Negli anni successivi era stata assegnata a diversi protetti: bambini, adulti, anziani, non si era fatta mancare nulla.
E aveva sempre, sempre, rispettato scrupolosamente il regolamento, mai una volta aveva dato motivo di essere richiamata dal Consiglio.
 
Adesso invece, per una sua azione impulsiva del momento, si era messa nei guai come una novellina alle prime armi.
 
Eppure non aveva mai sentito di fare qualcosa di così giusto come era successo quel pomeriggio al campo da calcio.
 
 
 
“Mi avranno rimossa dall’incarico immagino” ipotizzò Aurora alla fine ripotando la sua mente al presente.
Non sapeva neanche lei perché ma al solo pensiero di non poter più seguire Dylan le era comparsa una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco.
 
Dave la guardò alzando un sopracciglio: “In realtà no”
“No?!”
“Aurora, ci hai solo parlato con quel ragazzo! Nonostante non fosse una situazione strettamente consentita dal regolamento in linea di massima non hai fatto niente di sbagliato” confermò l’angelo, l’espressione divertita che riaffiorava pian piano sul suo visto.
“Ma allora…”
“Mi hanno mandato solo per avvisarti che avendo sfruttato la tua unica Manifestazione adesso ti terranno d’occhio con più attenzione, tutto qui” concluse.
 
“E non potevi dirmelo subito!” saltò su la ragazza sforzandosi di sembrare arrabbiata ma fallendo miseramente visto che non era riuscita a trattenere un sorriso di gioia.
Un peso le scivolò via dal petto: era ancora l’angelo custode di Dylan!
 
“Davvero pensavi che ti avrebbero sospesa per una cosa del genere? Sei una delle migliori, non avrebbe avuto senso. Tu cerca solo di fare un po’ più di attenzione da adesso in poi, evita i Contatti e cose così, almeno all’inizio, ok?” consigliò Dave ridendo alla reazione della sua ex alunna.
“Agli ordini capo!” assentì Aurora soffocando uno sbadiglio: era stata una lunga giornata.
“Ti lascio riposare, ma ci rivediamo in questi giorni, d’accordo?”
“Contaci!”
 
 
 
~ ~ ~
 
 
 
Dylan salutò i suoi compagni di squadra che già si apprestavano a lasciare lo spogliatoio aprendo il getto della doccia e buttandocisi sotto.
Quello appena terminato era stato un allenamento massacrante ma soddisfacente allo stesso tempo.
Dopotutto quell’anno erano riusciti ad arrivare alla finale del torneo studentesco che coinvolgeva le scuole della città e dintorni, e giustamente il coach non voleva che l’idea di poter perdere gli passasse neanche per l’anticamera del cervello.
E chi poteva biasimarlo? L’intera squadra era determinata a vincere tanto quanto lui.
 
Una volta che si fu asciugato e rivestito ed ebbe controllato di avere tutte le sue cose lasciò lo spogliatoio per raggiungere a sua volta la macchina che lo aspettava nel parcheggio.
 
Durante il tragitto però non potè impedirsi di fermarsi qualche istante ad osservare il campo.
Da quello agli spalti il passo fu breve e all’istante la sua espressione prima rilassata e distesa si fece pensierosa.
 
Ormai erano passati tre mesi, tre mesi e ancora non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine del visto di quella ragazza, le sue parole che ancora si ripetevano nella sua mente quando meno se lo aspettava.
Dire che con quel suo discorso la ragazza avesse fatto un miracolo sarebbe stato riduttivo.
 
 
Flashback
Quando quella sera Dylan rientrò, palesemente in ritardo per la cena, suo padre non era ancora arrivato pertanto si ritrovò a consumare il suo pasto in compagnia di Flor.
Flor che rimase davvero stupita quando Dylan aveva dato inizio ad una vera e propria conversazione visto che solitamente le cene in quella casa erano più silenziose di una veglia funebre.
Quando finalmente rincasò anche il signor Blake fu sorpreso non poco dall’accoglienza decisamente più calorosa del solito che il figlio gli riservò, accompagnandolo con la cronaca completa dell’allenamento di quel pomeriggio per tenergli compagnia mentre cenava visto che lui e Flor avevano già finito.
Alla fine augurò buona notte a tutti e andò a chiudersi in camera, senza sbattere la porta, lasciando al piano di sotto due adulti piuttosto perplessi.
 
Accese il computer e si collegò subito al sito del college su cui aveva messo gli occhi già da tempo andando nella sezione dedicata all’indirizzo di architettura.
Un’oretta e mezza più tardi, dopo aver ribaltato la camera in cerca di documenti vari e vecchi disegni che aveva fatto negli anni che aveva dovuto scannerizzare per poi allegarli al modulo da inviare, aveva finito: la sua domanda con tanto di curriculum e lavori vari era stata spedita e a lui non restava che aspettare la risposta che, a detta del sito, sarebbe arrivata via posta almeno un mesetto prima della data prevista per il diploma.
 
Aveva preso in mano la sua vita proprio come gli aveva detto la ragazza, e si sentiva sorprendentemente orgoglioso di se stesso.
 
Pensò a quel punto di poter finalmente andare a dormire, ma c’era ancora qualcosa che mancava.
Aprendo uno dei cassetti della scrivania per rimettere via alcuni fogli che aveva dovuto tirare fuori capì cosa.
Il suo album da disegno, confinato all’interno della scrivania ormai da più di un anno per completa assenza di ispirazione, si mostrò ai suoi occhi quasi gridando “Usami!”, e lui non se lo fece ripetere due volte.
 
Sfogliò con nostalgia le pagine già occupate da altri disegni, per lo più natura morta e paesaggi e occasionalmente qualche ritratto, fino ad arrivare ad un foglio ancora intonso.
 
Afferrò la prima matita che riuscì ad individuare in mezzo al disastro della sua scrivania estraniandosi da tutto ciò che lo circondava nel momento in cui la punta di grafite si appoggiò sulla carta.
 
Quando riemerse il volto in bianco e nero della ragazza che aveva incontrato al campo quel pomeriggio gli sorrideva dalla pagina.
 
Aggiunse altro disordine andando alla ricerca dei pastelli, perché quegli occhi azzurri che erano riusciti a capirlo e a rassicurarlo si meritavano di avere il loro vero colore anche sulla carta.
 
Quando anche quello furono rifiniti potè finalmente andare a dormire.
 
 
Il giorno dopo il peso del suo album nello zaino insieme a quello degli altri libri ebbe il potere di renderlo più sicuro di sé a tal punto che, durante la pausa pranzo, ebbe addirittura il coraggio di tirarlo fuori sotto lo sguardo piacevolmente sorpreso dei suoi amici.
Anche loro sapevano bene che erano secoli che Dylan non disegnava e il loro stupore aumentò ulteriormente quando il ragazzo mostrò loro il suo ultimo lavoro, chiedendo se per caso qualcuno avesse mai visto in giro quella ragazza.
Negarono tutti.
Luke, adempiendo egregiamente al ruolo di buffone del gruppo che si era auto-affibiato, non trattenne le sue battute sul fatto che aveva appena rotto con Vanessa e già andava dietro ad un’altra.
Stranamente Dylan non ebbe nulla da ridire.
 
 
Il ritratto di quella sera non fu l’ultimo che ebbe come soggetto la misteriosa ragazza, tanto che Dylan dovette addirittura procurarsi un album nuovo: era più forte di lui ma spesso si ritrovava a disegnare dettagli di quel viso senza neanche rendersene conto.
Quei tratti erano ormai così impressi nella sua mente che avrebbe potuto riconoscere quella ragazza anche solo vedendola da lontano o di sfuggita.
Il punto però era proprio quello: per quanto la cercasse in ogni posto in cui andava non era mai riuscito a trovarla.
 
 
E poi c’era anche l’altra questione.
 
In quel periodo la sua vita stava andando decisamente meglio.
Rispondeva sempre di buon grado ai “Buongiorno” di Flor la mattina e aveva persino smesso di fare merenda sul divano lasciando briciole in giro.
Anche con suo padre cercava di avere un rapporto più civile rispetto a quello che avevano nell’ultimo periodo, e se prima le cene in casa Blake erano un mortorio, adesso Dylan non perdeva occasione per raccontare la sua giornata inserendo sempre più spesso riferimenti al disegno e alla progettazione, accompagnati da quello che dicevano gli insegnanti di lui, sperando che il genitore capisse quello che il figlio stava cercando di dirgli tra le righe.
 
Nonostante tutto però ogni tanto gli capitava ancora di avere qualcuno di quei momenti in cui, chiuso in camera seduto sul letto con la schiena appoggiata alla testiera, si chiedeva se veramente stava andando tutto bene, se stava facendo la cosa giusta.
Ed era stata proprio la prima volta, quando si era fermato a chiedersi se avesse fatto bene a fare la domanda di ammissione al college senza dire nulla a suo padre, che aveva percepito la differenza.
 
In un modo che neanche lui avrebbe potuto spiegare poteva affermare che c’era qualcosa di diverso dal solito.
 
Per qualche strano motivo quando aveva quei momenti gli era sempre sembrato di non essere mai solo, come se di fianco a lui ci fosse qualcuno in grado di consolarlo con la sua sola invisibile presenza.
 
Sapeva che era sciocco da parte sua pensare una cosa del genere, ma da quando aveva incontrato quella ragazza quella specie di presenza, di impressione, era svanita.
 
Al contrario di quanto aveva fatto mostrando ai suoi amici il disegno della ragazza di quello non aveva parlato con nessuno.
Secondo loro andava già dietro ad una ragazza troppo perfetta per essere vera, non aveva bisogno che lo credessero pazzo perché il suo amico immaginario aveva deciso di prendersi una vacanza.
Fine flashback
 
 
Dylan si riscosse dai suoi pensieri facendo scorrere un’ultima volta il suo sguardo sul campo da calcio e sugli spalti: no, nessuna misteriosa ragazza dai capelli corvini e gli occhi azzurri in vista.
 
 
 
***
 
 
 
Quei mesi per Aurora erano stati un inferno.
E meno male che lei era un angelo, si ripeteva ironicamente.
 
Fin da subito aveva cominciato a seguire il consiglio che le aveva lasciato Dave riguardo le interazioni e i Contatti con il suo protetto.
A vedere come poi si era evoluta la situazione non avrebbe potuto fare altrimenti.
 
Quando quella famosa sera era tornata alla sua camera aveva lasciato Dylan convinta che stesse andando a dormire.
Era quindi rimasta molto più che sbalordita quando durante la pausa pranzo del giorno dopo aveva visto il ragazzo tirare fuori dallo zaino il suo blocco da disegno–era rimasta lì quel giorno per assicurarsi che andasse tutto bene- per poi esibire ai suoi amici il suo ritratto.
 
Era davvero stupendo.
Perfetto nei tratti e nelle ombre.
Ed era un disastro visto che i protetti non dovrebbero andarsene in giro a fare ritratti del proprio angelo custode.
In quel momento aveva dovuto davvero trattenersi dallo sbattere la testa sul tavolo al quale Dylan, lei e gli altri ragazzi avevano preso posto.
 
Si era detta che di sicuro quella era solo una fase di passaggio che avrebbe presto superato, ma si era sbagliata.
Più andava avanti e più Dylan sembrava determinato a trovarla.
Ed era stato questo impuntarsi su di lei da parte del ragazzo che aveva costretto Aurora a mantenere il distacco che lei aveva inizialmente previsto solo per un primo periodo.
E le piangeva il cuore non potersi sedere più sul letto di fianco a lui mettendogli un braccio intorno alle spalle: sapeva quali erano i pensieri che frullavano nella testa del ragazzo quando aveva quei momenti, e anche se mantenere un Contatto di quell’intensità richiedeva particolare attenzione non si era mai tirata indietro di fronte alla possibilità di far sentire Dylan un po’ meno solo con quel semplice gesto.
 
E ora non poteva più farlo.
 
Se le cose fossero andate avanti così Dylan avrebbe rischiato addirittura di farsi cambiare custode.
Più avrebbe continuato a comportarsi così e più lei gli sarebbe dovuta stare lontano, altro che parlare di nuovo con lei…
 
 
 
Ma ultimamente le cose sembravano non andare mai come Aurora si aspettava, quindi perché quella volta sarebbe dovuto essere diverso?
 
 
 
~ ~ ~
 
 
 
Quel giorno Dylan era andato a studiare da Ethan e la madre dell’amico aveva insistito talmente tanto che alla fine si era anche fermato a cena.
Gli era bastato avvisare Flor, con suo padre non ci sarebbero stati problemi, non era la prima volta che si fermava da qualche suo amico.
 
Quello che non si aspettava una volta rientrato era il sopracitato genitore che lo aspettava seduto rigidamente sul divano del salotto e un’espressione a metà tra il serio e l’arrabbiato sul viso.
 
“Mi spieghi cosa sarebbe questa?” domandò freddamente Mason Blake indicando con un cenno della mano il tavolino davanti al divano su cui era appoggiata una busta, aperta, e a fianco alcuni fogli fittamente scritti.
“È… è la risposta alla mia domanda di ammissione al college!” esclamò sorpreso Dylan dopo aver studiato la busta e il primo foglio dove effettivamente la commissione che esaminava le domande si congratulava con lui.
La sua felicità scemò abbastanza in fretta non appena suo padre riprese a parlare.
 
“Si può sapere cosa ti è saltato in mente Dylan?” chiese infatti il genitore sempre con lo stesso tono. “Avevo già cominciato a prendere accordi per la facoltà di giurisprudenza… che figura ci faccio? E poi, andiamo! Architettura? Da quando sei interessato a quello?”
Il ragazzo cercò di trattenersi dallo spalancare la bocca, sbalordito e sconvolto allo stesso tempo.
“Da quando? Da… da sempre!” rispose, la voce più alta di un’ottava nel tentativo di non urlare. “E tutte le volte che in questi mesi a tavola di parlavo dei disegni, dei progetti, di quello che i professori di arte e disegno tecnico mi dicono… tu non stavi neanche ascoltando?” lo accusò Dylan.
“Certo che ti stavo ascoltando Dylan, ma pensavo che fosse un tuo hobby, di certo non qualcosa da intraprendere come carriera lavorativa!” si difese il signor Blake passandosi una mano tra i capelli.
“Avevamo detto giurisprudenza, Dylan. Eravamo d’accordo…”
“No! Tu hai detto, tu era d’accordo, ha fatto tutto da solo senza mai chiedermi nulla!” lo interruppe il figlio che ormai aveva rinunciato a controllare il tono della voce. “Io forse ho sbagliato a non dirti della domanda, ma tu avresti potuto chiedere! Non ho intenzione di fare quello che tu hai deciso per me!” urlò.
“Senti un po’ signorino, dopo tutto quello che ho fatto per te non ti permettere di parlarmi in questo modo…!” urlò a sua volta il signor Blake, ma Dylan non lo stava già più ascoltando.
 
Abbandonò lo zaino di scuola che aveva tenuto sulle spalle fino a quel momento, fece dietro front recuperando le chiavi di casa che aveva lasciato nello svuota tasche sul mobile dell’ingresso e uscì sbattendosi la porta alle spalle.
 
Camminò per un paio di isolati finchè non si imbattè in un pub: non era quello dove andava di solito con i suoi amici ma andava ugualmente bene.
 
Diede metà del contenuto del suo portafoglio al ragazzo che stava dietro al bancone facendogli intendere che con il conto era a posto e adesso era libero di bere qualsiasi cosa volesse senza poi doversi preoccupare di pagare.
Ecco il lato positivo di avere un padre avvocato con uno stipendio a più zeri: paghetta settimanale decisamente cospicua.
 
Due ore più tardi un Dylan piuttosto barcollante decise che era ora di tornare a casa: si era appena ricordato che il giorno seguente c’era scuola.
 
Di certo non era la sbronza peggiore che si fosse mai preso, altrimenti probabilmente non sarebbe neanche riuscito a reggersi in piedi, ma la quantità di alcolici che aveva ingerito era comunque stata sufficiente per non farlo vergognare mentre si lamentava della sua vita con il barista.
L’aria fredda della notte all’esterno del locale non era stata abbastanza da far passare l’intorpidimento che sembrava aver avvolto la sua mente e mentre camminava il suo unico pensiero era quello di sprofondare sotto le coperte del suo letto che lo stava aspettando.
 
La strada dell’andata gli era sembrata più breve.
 
 
 
In tutto quello Aurora gli era stata incollata per tutto il tempo.
Aveva sperato fino all’ultimo che il ragazzo cambiasse idea capendo che ubriacarsi non era la soluzione, ma non potendo interagire con lui per ovvie ragioni alla fine era rimasta due ore in piedi di fianco allo sgabello sul quale si era seduto, sospirando ogni volta che Dylan avvicinava un bicchiere alle sue labbra per poi riappoggiarlo vuoto sul bancone pochi secondi dopo.
Un paio di volte aveva persino provato ad allontanare il bicchiere senza dare troppo nell’occhio, ma la mano svelta del ragazzo l’aveva sempre raggiunto senza troppi complimenti.
 
Il viaggio di ritorno a casa le sembrò infinito.
 
 
Di tanto in tanto Dylan aveva bisogno di appoggiarsi a qualcosa –muro di un edificio o palo della luce che fosse- per far fronte ai giramenti di tesa che gli venivano di tanto in tanto.
 
Ormai erano quasi arrivati, ma Aurora non fece in tempo a cantare vittoria che successe.
 
 
Una macchina arrivò sparata dalla fine della via nel momento in cui Dylan si apprestava ad attraversare la strada.
 
A quel punto Aurora non ebbe tempo di pensare: afferrò bruscamente Dylan per la maglia tirandolo indietro con uno strattone togliendolo dalla strada tre secondi prima che la macchina –possibile che il guidatore fosse ubriaco pure lui?- passasse dove prima c’era il ragazzo.
A causa della spinta Dylan, che era già instabile di suo, perse definitivamente l’equilibrio finendo per cadere addosso ad Aurora che si ritrovò intrappolata tra lui e il pavimento del marciapiede.
 
Il ragazzo sbattè più volte le palpebre per cercare di capire cosa fosse successo e sgranò gli occhi non appena si rese conto sopra chi era atterrato.
 
Era lei!
 
 
Questo perché nella fretta di evitare che il suo protetto venisse spalmato sull’asfalto Aurora aveva gentilmente mandato a quel paese il regolamento e non si era minimamente curata di sforzarsi di rimanere invisibile nonostante il Contatto.
Motivo per cui l’espressione stupefatta di Dylan, che ancora non si era mosso, era assolutamente legittima.
 
“Sei tu!” esclamò il ragazzo a pochi centimetri dal suo viso tanto che Aurora potè sentire la puzza di alcol.
“Ehm, sì, sono io” rispose. Ormai il danno era fatto. “E ti sarei davvero grata se ti togliessi di dosso”
 
Dylan parve realizzare solo in quel momento la posizione in cui si trovava e si affrettò a spostarsi non senza arrossire.
Di colpo si sentiva quasi più lucido, probabilmente colpa della botta di adrenalina conseguente al quasi impatto con la macchina.
Se l’era vista arrivare addosso e non era riuscito a muovere un muscolo, paralizzato dall’alcol che aveva bevuto e dalla paura.
All’ultimo però qualcuno l’aveva tirato indietro, e quel qualcuno altri non era che la ragazza che aveva continuato a sperare di incontrare negli ultimi tre mesi.
 
“Mi hai salvato” disse nello stesso momento in cui lei sentenziava: “Devo andare e tu faresti meglio a tornare a casa”
Dopo qualche attimo di silenzio durante il quale i due si guardarono imbarazzati la ragazza fece per girare sui tacchi per andarsene.
 
La sua idea era quella di girare l’angolo e tornare invisibile in modo da poter seguire Dylan mentre tornava a casa, ma il ragazzo le afferrò rapidamente un braccio impedendole di muovere un solo passo.
“Non so nemmeno il tuo nome…” parlò lentamente guardandola pieno di aspettativa.
La diretta interessata si morse le labbra: e adesso?
“Aurora” disse semplicemente non prima di aver sospirato pesantemente.
“Allora grazie, Aurora” aggiunse rapidamente Dylan dopo aver ottenuto la sua risposta, senza allentare la sua presa sul braccio di lei.
“Non so come questo sia possibile ma salti sempre fuori quando ho bisogno… non è che mi stai pedinando?” disse poi, maledicendosi mentalmente subito dopo.
Lo aveva appena salvato da morte certa e lui insinuava che fosse una stalker?
In quel momento decise che non si sarebbe più ubriacato in vita sua.
 
Alla sua uscita Aurora ridacchiò sommessamente: non aveva tutti i torti il ragazzo…
“Stavo semplicemente passando di qua” rispose genericamente sperando che Dylan non si mettesse a fare altre domande.
Per una volta la fortuna sembrò essere dalla sua parte visto che il ragazzo non indagò oltre.
 
“Allora… io andrei” lo salutò alla fine liberandosi dalla presa di Dylan e cominciando ad incamminarsi.
“Aspetta!” sentì gridare alle sue spalle.
Fece in tempo a girarsi e a protendersi verso il suo protetto in modo da sorreggerlo per evitare che finisse per terra a causa dell’ennesimo capogiro che l’aveva colto appena aveva provato a camminare per andarle dietro.
 
“Potresti… potresti accompagnarmi fino a casa?” la pregò Dylan parlando talmente piano che Aurora pensò di esserselo immaginato.
Purtroppo per lei gli occhi supplicanti e lucidi del ragazzo le confermarono che invece aveva sentito benissimo.
“Per favore, praticamente basta attraversare la strada e siamo arrivati… non credo di riuscire a fare l’ultimo pezzo da solo… gira tutto…” continuò Dylan mettendo insieme le parole con non poca difficoltà, l’adrenalina aveva esaurito il suo effetto e l’alcol tornava a farsi sentire, interpretando il silenzio della ragazza come un rifiuto.
In realtà non ce ne sarebbe stato bisogno.
Ormai la situazione non poteva andare peggio di così, accompagnarlo fino alla villa non avrebbe fatto differenza.
 
Aurora annuì in silenzio e si fece passare un braccio del ragazzo attorno alle spalle in modo da poterlo sorreggere meglio.
Si trovò costretta a prendere lei dalla tasca dei pantaloni di Dylan il mazzo delle chiavi di casa, e se pensava di aver finito una volta che la porta fu aperta si sbagliava di grosso.
 
“Figurati se mio padre si fosse degnato di aspettarmi sveglio per vedere se stavo bene…” borbottò Dylan deluso a mezza voce, dopo aver chiuso la porta con un calcio e guidando senza quasi rendersene conto Aurora, che ancora lo stava sorreggendo, verso le scale che portavano al piano di sopra.
Dal canto suo l’angelo custode si era ormai rassegnata al fatto che probabilmente non sarebbe riuscita ad andarsene finchè Dylan non si fosse addormentato.
 
Arrivati in camera Dylan accettò di buon grado l’aiuto di Aurora per mettersi il pigiama, la mente ancora troppo annebbiata per chiedersi come facesse la ragazza a sapere dove lo teneva.
“Sei un angelo” sussurrò ad un certo punto mentre la ragazza lo stava aiutando a passare dalla sedia della scrivania dove si era seduto per cambiare i pantaloni al letto.
A quella parola Aurora si irrigidì momentaneamente.
Era solo una coincidenza, doveva esserlo.
“Shh, sei ubriaco Dylan” cominciò venendo colpita da un’illuminazione. Magari non sarebbe servito ma provare non costava nulla.
“E tutto questo è solo un sogno” concluse.
 
“Solo un sogno” ribadì un’ultima volta quando ormai erano arrivati al letto.
Di certo non avrebbe potuto prevedere quello.
All’ultimo Dylan, che ormai stava visibilmente dormendo in piedi, si girò ad abbracciarla.
“Se è un sogno allora non voglio svegliarmi” le disse, gli occhi chiusi, le labbra a pochi millimetri dal suo orecchio.
Sembrò poi che le forze lo avessero abbandonato di colpo tanto che cadde sul materasso a peso morto.
 
Peccato che Aurora fosse ancora incastrata nel suo abbraccio, e si ritrovò quindi stretta tra Dylan e un’altra superficie per la seconda volta nel giro di pochi minuti.
Non sapeva però se era più spaventata da quelle che sarebbero state le conseguenze per tutto quello che era successo o dal fatto che in quella posizione si sentiva dannatamente bene.
Quale fosse delle due non ebbe il coraggio di provare a liberarsi dalla stretta delle braccia di Dylan, rischiando per altro di svegliarlo.
Si limitò quindi a rendersi di nuovo invisibile mentre con la mano libera che non era schiacciata tra il suo corpo e quello del ragazzo scostò alcuni ciuffi di capelli dalla fronte di Dylan scendendo poi ad accarezzargli la guancia.
 
Quasi in risposta a quel gesto Dylan sospirò profondamente nel sonno mentre un sorriso appena accennato spuntava sulle sue labbra.
Aurora sorrise a sua volta: no, non aveva alcuna intenzione di spostarsi da dov’era.
Non c’era motivo per cui non avrebbe potuto aspettare fino all’indomani mattina.
 













Bene, ringrazio chiunque abbia voluto dare una possibilità a questa storia e sia arrivato a leggere fino a qui.
Avviso subito che ci saranno 5-6 capitoli, quindi questa cosa non andrà troppo per le lunghe.
Non chiedetemi da dove ho preso l'ispirazione perchè non lo so nemmeno io.
Come aveva detto all'inizio questa mini-long è il seguito della one-shot che avevo già pubblicato qualche tempo fa.
Vi tocca leggervela se volete capire di cosa si sta parlando in questo capitolo perchè la storia riprende esattamente da dove aveva finito la one-shot solo che io non avevo voglia di mettermi a modificare le caratteristiche della storia e ho preferito crearne direttamente una nuova
Se tutto va come previsto dovrei aggiornare una volta alla settimana, il giovedì.

Ci terrei davvero molto a sapere cosa ne pensate visto che è praticamente la prima volta che mi azzardo a scrivere qualcosa di originale (o almeno spero che lo sia).
grazie ancora
E.

 
   
 
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