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Autore: YamaMaxwell    26/03/2009    3 recensioni
Extra dedicati a WE ARE
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cho Hakkai, Genjo Sanzo Hoshi, Sha Gojio, Son Goku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era bellissima

.. Dopo mesi ho deciso di continuare col pen’ultimo extra di questa storia che mi è rimasta, inesorabilmente nel cuore. Extra dedicato a Gojyo che ripercorre un po’ la vita di tutti i suoi amici degli ultimi quattro anni dopo l’ultimo extra. Ho tentato di scrivere in prima persona, è la prima volta che mi cimento quindi mi scuso se vi risulterà pesante. E’ un capitolo molto corto però abbastanza importante, senza questo inframezzo l’ultimo capitolo sarebbe stato veramente difficile da seguire. Più che altro perché… ma lo capirete ^__^

Ringrazio le persone che hanno aggiunto questi extra tra i preferiti, che li hanno commentati e che semplicemente hanno un buon ricordo di WE ARE.

Un grazie particolare va sicuramente a HOPE che mi ha aiutato nella stesura di questo extra, prestandomi aiuto in una difficoltà come ‘scrivere in prima persona’ di cui lei è stra-esperta!

Che altro aggiungere… presto arriverà l’ultimo vero extra… vi avverto già che non tutti saranno felici e che lieto fine non esiste sempre per tutti.. ma penso sia normale…

Vi auguro una buona lettura… e ancora grazie, davvero

 

Yama

 

 

 

 

 

 

 

 

COLTRE PERENNE

 

 

 

Era bellissima. La cosa più bella che avessi mai toccato. I miei polpastrelli adoravano giocare con le curve leggere e ascoltare i piccoli fremiti che gli provocavo col mio tocco gentile. Lei era calda, bollente alle volte. Il suo respiro era aggraziato e il suo sorriso… ah, quel sorriso che sapeva di fragole e lampone, una ventata d’aria fresca in piena estate, un maglione caldo sulla neve. I suoi occhi, color del cioccolato, così vivi e pieni di gioia. I suoi capelli, boccoli d’acero che ricadevano gentili sulle spalle e incorniciavano quel viso puro. Vederla nuda, sentirla sulla mia pelle era una sensazione indescrivibile.

Il sapere che era mia era indescrivibile.

Ci frequentavamo da circa due mesi. Era stato Goku a presentarmela, stranamente la scimmia aveva fatto qualcosa di buono. Lei era la pasticcera di una cioccolateria piuttosto rinomata di un villaggio a metà giornata di distanza. La scimmia riusciva a percorrere quello spazio in metà tempo al solo pensiero di gustare quelle prelibatezze, in più se si portava dietro pure Bokunii la loro diventava sempre una sfida all’ultimo boccone.

Seiry odiava tutto quello, un po’ perché la sera arrivavano sempre imbrattati di cioccolata ovunque e un po’ per la gelosia suppongo, ma su questo argomento non ho mai osato approfondire oltre.

Il loro bambino ha raggiunto ormai l’età di dieci anni. Loro, stranamente, sono una coppia solidissima, anche se ogni tanto vedo la scimmia scappare per tutto il paese rincorso da lei con un matterello in mano. E’ pur sempre la sorella di un bonzo corrotto!

Lei l’avevo conosciuta così, un pomeriggio inoltrato di primavera.

Le foglioline verdi si tiravano per poter raggiungere l’ultimo raggio di sole della giornata. Doveva fare una consegna nel nostro villaggio e Goku aveva fatto la strada del ritorno con lei. Ovviamente Seiry non la prese bene e iniziò a inseguirlo e urlargli contro le cose più assurde. Appena i nostri sguardi si incontrarono fu subito attrazione. Lei era splendida. Un raggio di sole tra le prime luci dei lampioni. Il suo sorriso genuino sembrava accarezzarle il viso e schiaffeggiare il mio. Non tentai nemmeno il mio comune approccio, fui stranamente e straordinariamente gentile, mi venne spontaneo. La accompagnai nella locanda di Tomo e lì la lasciai, senza aggiungere altro. Il giorno dopo, come per magia, la ritrovai sul ciglio della mia porta, con aria decisamente colpevole. L’aveva spedita Goku da me, con una scusa ridicola, solamente per farci incontrare.

E da allora fu magia.

Non ricordo quante volte ho percorso quel tragitto, so solamente che ogni volta mi sembrava più breve. Volavo da lei, i miei piedi non toccavano nemmeno il suolo, lo potevo giurare. Sarà stata l’età o l’enorme maturità che ne era conseguita, ma non passavo più da un letto all’altro ormai da tempo, quasi stessi aspettando qualcosa. E in quel momento avrei giurato di averla trovata quella cosa, unica ed essenziale, per il quale vivi. L’amore.

Dell’amore ben poco sapevo in fondo. Non che me ne fosse mai importato. Ma forse gli esempi che avevo accanto a me ogni giorno mi avevano spronato a darmi una decisiva regolata.

Hakkai e Tomo erano un forno per bambini. Avevano avuto il loro piccolo mostriciattolo subito dopo la novella notizia di Reiji. Era una bambina dagli occhi smeraldo e capelli violetti. Uno splendore con una boccuccia adorabile e delle vistosissime orecchie appuntite. L’avevano chiamata Shori, nome con un qualche significato di cui non ho mai ben afferrato il concetto. Cresceva come un peperino, sempre scorbutica e dispettosa. Adorava tirarmi morsi e se osavo dare confidenza al padre provava ad uccidermi… mai sottovalutare un demone così piccolo. Hakkai era per lei un santo sceso in terra, non si staccava da lui nemmeno se la tiravano via, sempre con quel suo ditino in bocca e la faccetta indignata. Dopo un anno nacque il secondo figlio, Shin, un amore di bambino con occhioni verdi e sottili capelli castani. Non c’è nemmeno bisogno di dire che era palesemente identico ad Hakkai, sempre col sorriso stampato in faccia e con la voglia di farcela da solo. Basti dire che ha iniziato a camminare prima di compiere un anno. Una famigliola felice insomma, dove dei bambini potevano crescere in tutta tranquillità. Tomo aveva eredito la locanda di sua ‘zia’, deceduta qualche anno prima, e lei e Hakkai si davano un gran da fare ogni giorno per mantenerla attiva come un tempo. I piccoli erano praticamente cresciuti lì dentro.

Altro esempio di positività e devozione assoluta verso la famiglia era data da Shuni e Eiri, che si erano sposati appena il loro bambino, Taki, aveva compiuto un anno. Eiri aveva allargato la sua bijoutteria tanto da non riuscire più a svolgere il lavoro da sola, la gente arrivava a fiotti da ogni villaggio nei paraggi, per la felicità di Seiry, che sembrava aver trovato un lavoro che le andava a genio. Shuni aveva aperto una carrozzeria, in questi ultimi anni girano sempre più macchine e moto, e stava andando alla grande. Senza contare che era l’unico al mondo a cui Reiji avrebbe mai affidato la sua preziosissima moto…. e Taki, quel piccolo batuffolo dagli occhi vermigli, era una sagoma assoluta. A tre anni non aveva ancora ben imparato a stare correttamente in piedi, non perché avesse qualche strano ritardo ma semplicemente perché era imbranato. Un piccolo e adorabile mezzo demone imbranato. Appena vedeva qualcuno, si alzava maestosamente, faceva due o tre passi goffi e capitombolava per terra. Splendido. E la cosa più divertente è che si alzava subito, senza una lacrima, ma con un sorriso ebete stampato sul viso. I genitori stravedevano per lui, lo coccolavano e seguivano a dismisura. Un po’ tutti in realtà, perché il sorriso candido lo aveva preso dal padre quindi risultava irrimediabilmente simpatico. Ma la cosa più buffa di quella strana combriccola è che, a pochi mesi dalla nascita di Taki, un nuovo piccolo membro si era inserito in famiglia. Si trattava del cuccioletto di Shun-chan, avuto da una cagnetta di razza diversa. Nome? Ovviamente avevano optato senza indugio per Taki-chan.. che famiglia ridicola!

E infine c’erano loro, la famiglia meno convenzionale della storia del Toghenkiò. Ancora oggi mi chiedo come possa crescere un figlio in un ambiente così mal sano. E non perché girino al suo interno cose strane, Reiji aveva proibito ogni sorta di fumo nella casa, ma perché i genitori sono tutto fuorché ‘genitori’.

Reiji aveva aperto un atelier, dando lavoro a quasi l’intera cittadinanza. I suoi vestiti venivano richiesti in tutto lo stato, i giornalisti facevano quasi a botte per avere un’intervista con lei. Lei, sempre indaffarata e richiestissima, si prendeva goffamente cura della piccola casa e cercava di dedicare continue attenzione alla figlioletta. Quest’ultima, un minuscolo fagottino con occhi cremisi e stesso color di capelli, non era una normale bambina. Sorrideva, giocava, ma era parecchio matura per la sua quasi nulla età. Aveva imparato a camminare nella casa degli zii, sotto gli occhi stupefatti di Goku e gli applausi soddisfatti di Bokunii, e mal gradiva la presenza degli altri bambini, tollerava giusto Taki. Il padre lo vedeva di rado, in effetti Sanzo stava parecchio fuori casa. Questa era la condizione impostagli dai Sambuzzushin che gli avevano ‘gentilmente’ concesso di farsi una famiglia e di non vivere dentro un tempio. In cambio doveva girare per il Toghenkiò a predicare la via del Buddha. Non ho mai saputo e mai vorrò sapere ciò che fa Sanzo in questi suoi viaggi, secondo me brucia ogni tempio che incontra. Comunque Korry, nome scelto da Reiji per non troppi velati motivi, cresce bene, anche se quel suo taglio d’occhi sottile la rende troppo simile al bonzo!

Dopo tutti questi miei esempi positivi come non ricordare Uryuu, che parte per mesi continuando a girare il mondo, sulla sua moto nuova di zecca. Ogni volta che torna è una festa per tutti i bambini, in effetti le sue storie sono appassionanti. Mi chiedo quanto ci sia di vero però…

E infine i miei ricordi si posano nuovamente velati su di lei. Lei. La sola donna che abbia stretto fra le braccia per più di due notti. L’unica che mi abbia mai sorriso dolcemente e che mi abbia mai presentato come ‘il mio uomo’.

Lei, e il suo viso candido fanno ormai parte dei miei ricordi.
La conoscevo da qualche tempo prima di decidere di mettermici insieme. E già sapevo a cosa andavo incontro, ma non pensavo fino a che punto avrei retto.

Lei, che con quella sua voce melodiosa mi parlava di famiglia, una cosa che mi scaldava il cuore al solo pensiero. L’idea di averne una tutta per me, un pensiero mai lontanamente sfiorato ne sperato. Ma famiglia voleva anche dire bambini. Oh, quanto ricordo il suo sguardo che si illuminava quando si pronunciava la parola ‘bambini’. Le sue gote avvampavano e il suo sguardo cadeva lontano, probabilmente in un futuro insieme. La maternità era la sua ragione di vita, l’avevo capito fin troppo chiaramente. E io, cosa potevo offrirle? Io, che ero già nato sterile, cosa avrei potuto donare alla mia donna? Alla donna che amavo.

Nulla.

Lasciarla, spezzarle il cuore, è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto. Ma si farà sicuramente una vita, una vera vita, accanto a un uomo che possa darle ciò che desidera, non vicino a un vile mezzo demone.

Ora è il mio cuore che è spezzato e stranamente l’unica persona che sta tentando di curarlo è la donna del mio migliore amico. Coincidenza banale.

Socchiudendo gli occhi, la notte, nelle tenebre, ancora sento il suo profumo. Alle volte mi immagino anche il suo tocco delicato. Come sarebbe stato bello sentire la sua voce pronunciare il mio nome, per sempre. E sarebbe stato altrettanto bello sentire la vocina di una creaturina minuscola che mi chiamava ‘papà’.

Tutto ciò non rimane che un sogno. Un sogno in questa fredda notte d’inverno, dove ogni pensiero viene sommerso da una coltre di ghiaccio…… perenne.

  
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