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Autore: Tury    04/03/2016    0 recensioni
Candide lacrime cadono dal cielo, in questo giorno grigio, privo di sole. In questa strada, priva di uomini. Solo un’anima è rimasta, seduta sul freddo asfalto, in questo freddo inverno.
Un’anima dagli occhi cerulei, velati di una muta malinconia, come il cielo che ci sovrasta.
La pioggia scende, incessante. Incurante di quel giovane corpo. Il vento sferza le sue vesti leggere, penetrando sotto di esse, creando brividi su quella pelle diafana.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~Angolo Autrice~
Vi invito a leggerla sulle note di Fragile-Ashram.
https://www.youtube.com/watch?v=BGfgDEadPJs

 

Candide lacrime cadono dal cielo, in questo giorno grigio, privo di sole. In questa strada, priva di uomini. Solo un’anima è rimasta, seduta sul freddo asfalto, in questo freddo inverno.
Un’anima dagli occhi cerulei, velati di una muta malinconia, come il cielo che ci sovrasta.
La pioggia scende, incessante. Incurante di quel giovane corpo. Il vento sferza le sue vesti leggere, penetrando sotto di esse, creando brividi su quella pelle diafana.
Eppure, nulla sembra turbare quel cielo velato che sono i suoi occhi, quello sguardo assente e pur sfuggente, in cui sembra rivivere ancora l’ultima fiamma di quella sigaretta che stringe tra le dita, ormai inutile. Quella sigaretta così vicina alle sue labbra sottili, leggermente schiuse, come a voler consacrare quell’ultimo anelito che si è dissolto nell’aria, portato via da questo gelido vento. Fumo nebuloso, così lieve da unirsi a queste nubi che ricoprono il cielo, quasi ne fosse egli stesso il procreatore.
Torno a rimirar quegli occhi, a perdermi in quello sguardo. In quel dolore muto, che mai ebbe bisogno di parole o di difensori alcuni. In quelle ferite mai manifeste, celate sotto la carne, come indicibili segreti. E in quelle crepe dell’anima che ritrovo il mio essere. Nei segni invisibili di quel volto, ritrovo il mio dolore.
Mi avvicino a quel giovane corpo di donna, il rumore dei miei passi attutito dalla pioggia, così che non possano annunciare la mia presenza. Mi fermo, di fronte quella piccola anima, in attesa.
Ed infine ecco, il volto levarsi in alto e il suo sguardo incontrare il mio. Occhi limpidi, vestiti di nuda sincerità. Eppur schivi, distanti, freddi. Feriti. Mi inginocchio dinanzi a lei, il suo sguardo che segue ogni mia azione. Sguardo vitreo, di felino dall’oscuro manto. Di felino reietto, accusato e segregato. Di persona dimenticata, abbandonata e disprezzata. Eppur umana.
Il freddo si fa spazio nelle mie membra, scuotendo il mio corpo. Eppure, è di altra natura il gelo che attanaglia la mia anima. E tremo, mentre mi specchio nel suo sguardo. E nulla, in quella fragile anima, rinnega la mia presenza. Nulla rinnega il mio essere.
Vorrei aver voce per chiederle di narrarmi la sua storia. Di narrarmi la sua vita. Ma le parole muoiono nella mia arida gola, aggrovigliandosi, tessendo solidi nodi. Come voraci ragnatele, fameliche di indicibili verità. E l’impossibilità dell’essere si fa spazio nel mio presente, scavando e corrodendo ogni fibra del mio spirito. Perché nessun suono possa levarsi dalle mie labbra, profanando il religioso silenzio di due anime che si ritrovano.
E dinanzi a quello sguardo bagnato di rugiada che il mio essere si denuda. Ed io divengo essenza vulnerabile ed esposta. Eppur protetta. Protetta da quello sguardo, indulgente eppur schivo, limpido eppur tormentato.
E vorrei solo poter chiedere scusa, per un dolore che non ho saputo ascoltare, per una ferita che non ho saputo curare. Per un’anima che non ho saputo abbracciare.
Il cielo cessa di piangere, ma dai miei occhi scivolano ormai lacrime silenti.
E le nubi si disperdono, permettendo alla calda luce di abbracciare quel fragile corpo martoriato. Di accarezzare le ferite impresse nella carne. Dolorosi ricordi, pungenti come aghi.
E il sorriso torna a brillare su quel pallido volto, di quella fragile anima.
E il mio corpo cessa di tremare, mentre le lacrime arrestano la loro discesa.
Perché ormai la mia anima non conosce più il gelo della solitudine.
 

 
  
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