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Autore: alyeskaa    06/03/2016    3 recensioni
“Tu?” la ragazza ride. “Tu… vuoi farmi un ritratto?”
“Io, Catherine, sono un artista. “
“Catherine?” ma i suoi occhi non smettono di essere luminosi e sorridenti. A Jack non importa che quello non sia il suo nome, perché si abbina con la pelle chiara da fata e le sembianze di una dea costretta alla schiavitù.
* piccola OS pre-Titanic. *
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Jack Dawson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fuori infuria la tempesta, ma noi siamo inattaccabili.
 
Attraverso un filamento dorato dei capelli osserva il locale e spinge delicatamente la porta. E’ una fredda sera a Parigi, sono tutti su di giri.
Uno squallido posto pieno di bottiglie logorate, anime consumate, comportamenti futili. Stringe un po’ di più il taccuino sotto il braccio e sente i fogli giallognoli sfregare tra di loro. Si avvicina al bancone, forse con la reale voglia di bere. Un signore fa una battuta, è molto avanti con l’età, però frequenta ancora un posto del genere.
Lui lo fissa impassibile, sentendo l’odore del posto, legna bagnata e vino andato a male. E’ tutto soffocante, ma non crede di potersi permettere di più.
Qualcuno incomincia a corteggiare le ragazze che si muovono sinuose tra i tavoli malfermi, ma non ne avranno bisogno: si cederanno a loro comunque.
A lui sembrano tutte uguali, con le pelli irregolari e le gambe lunghe e nude, coperte solo di uno strato di pelle d’oca che dovrebbe essere vergogna. Il barista lo sta fissando con un sorriso tutto giallo, come aspettando che ordini qualcosa o salti addosso ad una delle figure.
“Quella ti piace?” gli domanda, quasi con un tono di naturalezza, uno strano accento del sud nella voce.
Lui si volta verso l’interessato. “Si fanno pagare?”
“Ma non troppo. “ è soddisfatto delle informazioni che è in grado di dare, mentre al biondo tutto questo fa venire il voltastomaco. “Lo vedi quel signore laggiù?”
E lui lo vede, ha un’aria trasandata, i capelli unti e le mani callose sopra quelle di una ragazza mora, a cui non è rimasto più nulla.
“Fa il contadino. E se lo può permettere. “
Annuisce, pensando che magari quell’uomo è sposato, ha una famiglia e nonostante questo, proprio come dettato dallo spirito umano, manda il tutto a puttane. Letteralmente.
“Dimmi quale ti piace e ti faccio fare uno sconto. “
Lo guarda interrogativo, ma non obietta, mentre gli occhi scuri vagano per il locale mal illuminato. Ci sono troppe voci che si sovrappongono, ma nessuna ha il giusto tono femminile.
Poi nota, seduta ad un tavolo rotondo, una ragazza dagli occhi completamente vuoti, stanca. Ha profonde occhiaie che le solcano il viso dalla pelle pallida, quasi trasparente e mani curate che stringono una vecchia bottiglia vuota. I capelli neri le ricadono distrattamente sul legno in disuso, le gambe fasciate da una stoffa tendente all’azzurro, così magre che le ossa sembrano volerle perforare la pelle.
“Anche lei?” la indica con un cenno del capo, la voce gli esce insicura.
“Sicuro!” esclama quello dietro il bancone e dopo un sonoro fischio, urla il suo nome, molto tendente al Catherine, nonostante lui non lo afferri del tutto.
Lei si avvicina traballante, squadrando un po’ la figura chiusa nella sua camicia bianca un po’ bagnata dalla pioggia e che ancora stringe un quadernetto ridicolo per il luogo.
“Questo è interessato. “ lo apostrofa con un’aria di inferiorità, e tutti i denti giallognoli fanno bella mostra sul suo viso, mentre gli occhi non si muovono dalla figura di Catherine.
“Allora mettimi da parte una bella bottiglia. “ poi si rivolge direttamente al biondo: “Quanto c’hai?”
Non parla perfettamente, le parole pronunciate con marcato accento francese sono strascicate e possiedono una grammatica che lascia desiderare.
“Non molto. “ lui scuote le spalle, mentre un sorriso leggere gli increspa le labbra.
“Quello che hai basta per un’ora. “ accorda lei, fissando il denaro che finirà nelle tasche del barista, solo perché deve scrollarsi di dosso tutti i dispiaceri e tutte le mani maligne.
“Occupate una stanza di sopra. “ li dilegua il barista rivolgendo l’attenzione ad un cliente grasso e anziano che sta occupando il bancone con la sua voce imponente tanto quanto la sua presenza.
Catherine gli lancia uno sguardo di sfida con gli occhi scurissimi, tendenti alle ombre e lui sa che dovrà farle strada, nonostante il locale gli sia ignoto.
“Come ti chiami?” è quasi curiosa, mentre con i polpastrelli fa strusciare il tessuto scadente di quello che dovrebbe essere il suo abito. Non ne ha bisogno.
“Jack.” Risponde lui, la voce un po’ più sicura, e si volta per imprimere ogni dettaglio del suo viso nella memoria. Il neo che le appare, piccolo e delicato, sulla curva della mascella, uno zigomo leggermente più alto dell’altro, una minuscola cicatrice sotto l’occhio sinistro, una ciocca tendente all’ebano vicino l’orecchio, il sopracciglio scuro e spettinato.
E’ di una bellezza genuina e disarmante. Il biondo apre un po’ una porta di vecchio legno, fissando le venature dorate, sperando che la ragazza lo preceda nella stanza. E’ semplice, piccola oserebbe definirla, e troneggia un letto tra i muri in rovina.
“Prego. “ le dice e lei con un sorriso quasi beffardo si poggia sul letto, spogliandosi definitivamente di ogni velo. Jack spera che l’unica cosa che butti giù siano i muri che dividono le anime disperse che si trovano nella stanza. Chiude piano la porta, attento a non farlo intendere come un segno di trappola.
“Allora, “ è in procinto di cominciare un discorso, mentre tira fuori una mina e il suo fidato coltello, affilandone abbastanza la punta per permetterle di danzare sul foglio. “se sollevassi un po’ il braccio destro sarebbe perfetto. “
“Come scusa?” lei quasi scatta in piedi, qualcosa nella sua voce diventa gracchiante, mentre Jack sta cercando tra i vari fogli un po’ logori.
“Sai, la posa. Per il ritratto.” La fissa negli occhi, sorridendo sincero.
“Il… il ritratto?” ma Catherine ancora non capisce, curvando un po’ il capo di lato, con i capelli che sembrano tornare al loro posto originale.
“Mi hai dato un’ora. “ il biondo è così sincero, forse quasi solare, mentre un tuono arriva imponente in quel momento. Si avvicina al letto disfatto, mentre la mina si poggia al foglio.
“Tu?” la ragazza ride. “Tu… vuoi farmi un ritratto?”
“Io, Catherine, sono un artista. “ mima quello che dovrebbe essere un inchino, con tanto di cappello che non ha e non può sollevare dal capo.
“Catherine?” ma i suoi occhi non smettono di essere luminosi e sorridenti. A Jack non importa che quello non sia il suo nome, perché si abbina con la pelle chiara da fata e le sembianze di una dea costretta alla schiavitù.
Si avvicina ancor di più, stringendo una sua mano delicata tra le proprie calde. La fissa direttamente negli occhi.
“Hai le mani più belle del mondo. “
La corvina continua a guardarlo interrogativa, aspettando il suo passo falso che lo condannerà ad essere come tutti gli uomini che frequentano il locale. Ma lui, in risposta, comincia a rappresentare le sue falangi strette, le unghie corte e curate, i palmi delicati.
La ragazza non interrompe il suo lavoro, è così concentrato, ma continua a fissare la figura intera. E’ un ragazzo, giovanissimo, ed è così bello che farebbe sorridere chiunque. Si vede che ha umili origini, ma qualcosa le dice che ha una grande anima.
Il foglio da giallo si tinge, e nonostante il tratto grigiastro della semplice mina, le sembra un’esplosione di colori e di vita. Si riconosce negli schizzi leggeri, con gli occhi grandi e i seni piccoli, e osserva figure leggere occupare gli angoli più svariati del foglio.
“Sono meravigliosi.” sorride, e finalmente Jack alza gli occhi dal suo lavoro per incrociarli con quelli ancora più scuri dell’altra. Ogni parola è un sussurro, ma è spezzato dai colpi di pioggia provenienti da fuori, che battono contro una piccola finestra sul soffitto, dai vetri rovinati.
“Perché lo sei tu.” alla fine la mano di Jack smette di lavorare e quella di Catherine di posare per la mostra d’arte che non ci sarà mai, se non nelle loro anime.
Lui si alza in piedi, contemplando ciò che ha prodotto.
“L’ora non è finita.” cerca di trattenerlo lei, perché i suoi occhi, tutta la sua figura gentile, sono una calamita.
Sorride, il biondo, attraverso le ciocche un po’ troppo lunghe che dai lati del viso gli ricadono sugli occhi.
“Mi lascerai il disegno?” è una domanda così genuina, bisognosa, mentre lei si avvicina al ragazzo alto una spanna e mezzo più di lei.
“Non posso, mademoiselle”
Catherine ridacchia. “Lo sapevo che non eri di qui, ma…”
“Ho un accento che fa schifo, vero?”
Lei annuisce, fissandolo direttamente nell’anima, entrambi sinceri. C’è qualcosa di strano in quella stanza, come se fosse concentrata tutta l’energia vitale.
Un tuono la fa sussultare e finisce nelle braccia di Jack. E’ bello, essere così vicini nonostante siano in realtà troppo lontani, nonostante tutte le parole mancate, e la sola ora passata insieme. Inspira profondamente il suo odore attraverso la camicia bianca, sa di bosco e di una calda giornata. Le trasmette sicurezza, mentre immagina il disgusto di lui mentre immerge il viso nei suoi capelli trascurati, che sanno di alcol e così tante persone.
“Ho paura.” ammette lei, ed è vero. Ha paura un po’ di tutto, della vita che è così difficile, del giorno e della notte che sembrano uguali, di tutte le persone che non sono Jack.
“Lo so.” risponde lui, ed è vero, perché l’aveva immaginato dal primo sguardo rivolto a quel tessuto color cielo, dalla forza attrattiva che lo spingeva a quelle mani così delicate.
“Non fa freddo qui.” e si riferisce alle sue braccia forti che la stringono, allacciandosi dietro la sua schiena nuda e dalla pelle setosa.
“Lo vedi?”
Alza lo sguardo, forse interrogativa, mentre i suoi occhi si scontrano ancora una volta con quelli del suo cavaliere.
“Fuori infuria la tempesta, ma noi siamo inattaccabili.” le spiega. E ha questa capacità di farsi amare, con un solo sguardo, alla prima parola.
Catherine vorrebbe piangere quando lo vede sciogliere tutto questo e raccogliere le sue cose, perché sa che deve andare, ma lo ha saputo dal primo momento in cui lo ha visto, con l’avambraccio poggiato delicatamente al bancone logoro.
Jack vorrebbe fermare il tempo mentre imprime ogni dettaglio della pelle della ragazza nella sua memoria e le sussurra che dovrebbe fare qualcosa perché si merita la vita: cantare in un’osteria, viaggiare a poco prezzo, imparare a leggere.
“Jack?”
“Si?” si volta, speranzoso, e un fulmine sta colpendo qualche pozzanghera, troppo lontano dai loro sguardi.
“Dove potrò trovarti, nella vita?”
“Ma io ci sarò sempre. Ci sarò sempre quando ti sentirai inattaccabile, mon amour.
Scivola via, dietro la porta, fuori dal locale. La pioggia carezza la sua chioma bionda mentre ripensa a Catherine, a tutti i dettagli che ha imparato. E la immagina, con la vita sotto controllo, a fuggire inattaccabile nel temporale, forse cercandolo.
Dopo di lui, un’altra figura abbandona il locale squallido. E’ leggera come gli abiti che la coprono, contro la pioggia gelata. E’ innocente e non ha bisogno di rendersi sensuale.
Troverà Jack anche tra le onde della più impetuosa tempesta, si dice, ma non sa di averlo perso per sempre. E’ stato così facile innamorarsi di lui, perché è la prima vera persona che ha conosciuto. Ma non sa di averlo perso per sempre. 
   
 
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