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Autore: balakov    27/03/2009    5 recensioni
A volte i continui momenti di attesa che ci riserva la vita possono trasformarsi in situazioni da incubo. Il nemico è sempre appostato alle nostre spalle, pronto a colpirci subdolamente e senza avviso alcuno. Riuscirà il nostro eroe ad averla vinta? Una metafora della quotidianità, per dare risalto parodistico ad alcuni eventi "sommersi" che tutti i giorni inconsciamente viviamo. Dedicato a Beab, grande autrice dotata di una grande sensibilità.
Genere: Comico, Suspence, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ATTESA

dedicato a Beab

Ormai ce l’ aveva fatta.
Aveva fregato tutti per rapidità.
E ora non rimaneva che attendere.
La luce rossa si era accesa, e quando si accende quella…beh, c’è poco da fare. Il più è già stato fatto. Intanto abbassava docilmente il capo e, fischiettando note da banda di sagra estiva, ammirava stupito la punta delle proprie scarpe. Belle, lucenti, ci si poteva specchiare, e – forse ironicamente – faceva l’occhiolino a se stesso, riflettendosi su di esse. Ma ecco spuntare fuori il primo nemico da dietro l’angolo: era arrivato probabilmente strisciando, o in punta di piedi, fatto sta che non era stato possibile sentirlo giungere. Era squamoso, flemmatico nel parlare e si presume anche nel pensare. I tratti somatici non evidenziavano spiccate attitudini intellettuali, più che altro disegnavano un autentico poltrone, uno che non ha mai fatto e non ha mai saputo fare niente nella vita. Ma…si sa, l’apparenza inganna. Certamente anche il Nostro si stava confondendo: il viscido era sicuramente uno di quelli che passa i suoi anni migliori su un divano, magari sdraiato e con i pantaloni tirati più giù che su, in attesa del riscatto, o meglio, in attesa di rendere esistenzialmente utile quell’apparentemente vacua attesa tramite un’improvvisa rizzata in piedi, un improvviso riemergere dal torpore in cui affondava. Ed ora tutto questo si sarebbe realizzato. Il serpente avrebbe morso improvvisamente la propria preda, in maniera letale. Tutto il veleno che aveva serbato sino ad ora, per tutto questo tempo, adesso, in meno di un batter di ciglia, sarebbe stato confluito – con immane violenza – tutto contro e dentro il Nostro.
Nell’attesa, il Nostro si finse indifferente.
Lo squamoso rettile, viscido all’inverosimile, con una bocca che faceva repulsa anche solo a non pensarla, azzardò un improbabile sorriso (subdolo, vi dico! Subdolo!…), nel quale i denti (pochi e malmessi) nascondevano con maestria la lingua biforcuta e incontrovertibilmente pregna di un revanchismo sul tempo senza precedenti. Almeno dentro quel condominio, dico.
Voi – lo so per certo – non avreste mai voluto stare lì a vedere l’orrendo misfatto, per nulla al mondo. Ma, scusatemi se ve lo chiedo, ma almeno per un attimo, per aiutarmi nell’infausta narrazione, provate ad immaginare la drammatica scena: il Nostro, a denti stretti, con le lacrime ad appannargli la vista, costretto con le spalle al muro dall’infelice destino, e lì vicino, a meno di due metri, la viscida ripugnante creatura pronta a salire finalmente sul palco, dopo un’attesa interminabile da spettatrice.
I più avranno già mollato la lettura da tempo, ma per i più impavidi, cercherò di continuare la narrazione nella maniera più indolore possibile e – credetemi – non sarà cosa semplice.
Allora… l’ombra della bestia lentamente ma con una certa costanza si stava insinuando sui pantaloni bianchi del Nostro, che, in una situazione del genere, stava sicuramente pensando ad un mucchio di cose (non da ultimo ai tempi felici di un’intera vita che gli scorreva morta nella testa sofferente) ma non di certo a quegli splendidi pantaloni bianchi di lino, freschi ora più che mai.
La bocca del mostro cominciò piano piano ad aprirsi, e la lingua fece capolinea fra le mille carie che decoravano in maniera più o meno fittizia quell’orrido antro.
Non vi era più scampo alcuno.
Ma è qui che viene fuori tutto il coraggio che costella e dà sostanza ad una vita intera fatta di soddisfazioni e di epiche vittorie contro il tempo. È qui che la struttura (scheletrica che sia) rivendica il suo ruolo imprescindibile dalla semplice materia buona per tutte le stagioni, tranne che per questa.
La belva non ci impiegò molto altro tempo alla certosina preparazione, ed inflisse il suo colpo mortale con una maestria senza precedenti, almeno dentro quel condominio, dico.
“Buongiorno ingegnere”.
Tutto un sorriso.
Il Nostro fece un cenno d’intesa, o meglio di saluto con la mano destra e tutto finì lì.
Che maestria, che numero funambolico: si era raggiunti il sublime, l’essenza di un’intera esistenza.
E poi, c’è chi ancora sostiene che l’esperienza non porta tutti i frutti sperati. Ma quando innanzi ad un tale capolavoro di sintesi ed ingegno non si rimane a bocca aperta, con lacrime che sottolineano l’ammirazione ed anche una certa invidia non trascurabile in toto, allora non si è umani, ma si è bestie peggiori del viscido.
Avreste dovuto vedere quel fulmine che squarciava l’immensità: la destrezza del polso, la ribaltabilità della mano, la velocità che non a caso poco prima aveva spinto la luce rossa dell’ascensore ad accendersi. Tutto in così poco tempo, in una tale pochezza. Cose che a parole non si possono spiegare…
La viscida belva se ne andò affranta, di nuovo nell’ombra, nell’estenuante attesa.

  
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