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Autore: Kore Flavia    06/03/2016    3 recensioni
-Va tutto bene, stai bene, Mika sta bene.- Mormorò, guardandosi attorno sospettosa. Non voleva essere colta in flagrante dai suoi compagni. Ciò, però, non le impedì di notare un secondo singulto squassare il corpo dell’amico al nome del vampiro. [...]
. L’unica parte del corpo di cui aveva avuto coscienza stava poco a poco assopendosi nuovamente e, in quel brandello di consapevolezza, si sentì invadere da una terrificante voglia di lottare contro quello stato di apatia. [...]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shinoa Hīragi, Yūichirō Hyakuya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note d'autrice: Buffo no? La storia doveva venire completamente diversa, non solo doveva essere più corta, ma la parte introspettiva doveva avere meno rilevanza, ma immagino che vada bene anche così.
Ho scritto questa storia per Grace e devo dire che è una fortuna che abbia scelto questa coppia perché a me piacciono tanto loro.
Ovviamente la one shot è ambientata subito dopo all'incontro tra Yuu e Mika e, ovviamente, Yuu è all'ospedale.
(E' una Shinoa/Yuu se non si fosse capito, se per voi è Notp vi conviene girare a largo.)
Spero di non essere andata OOC, semmai fatemelo sapere, grazie.
(NO BETA cause I'm scema)
Bye bye 
Kore




Ghost


Quelle sopracciglia che si aggrottavano e si rilassavano.
Quelle labbra che si piegavano in sorrisi e, un istante dopo, in smorfie rabbiose o sofferenti.
Quella mascella che si stringeva convulsamente su una preda inesistente, che divorava rabbiosa l’aria, coperta solo dall’involucro di pelle, come un telo sopra una tigre. Un nascondiglio effimero davanti a tale furia.
Quegli occhi che, attraverso le palpebre, spostavano il proprio sguardo cieco per tutta la stanza. Studiando i particolari con folle cupidigia, osservando il nulla.
Quelle mani che correvano lungo il lenzuolo per paralizzarsi e stringere spasmodicamente il tessuto. Sembravano strapparlo, lacerarlo in brandelli e poi abbandonarlo illeso dalla sua presa.
 
Erano tutti movimenti osservati, e poi rivisti ancora e ancora, dalla ragazza che per giorni non si era mai smossa dalla poltroncina rossa e dalle rilegature dorate –che stonava tanto con l’ambiente in cui era stata inserita- rivolta verso il giaciglio bianco dell’amico.
Era rimasta così, immobile, registrando ogni sua minima azione, lasciando la stanza incustodita solo per alcuni minuti al giorno, nulla più. Per allontanarsi maggiormente avrebbe avuto bisogno di una forza di volontà di cui lei, in quel frangente, era sprovvista.
E un po’ se ne vergognava, seduta su quella poltroncina, a non averne la forza. A trovarsi costretta da catene invisibili a rimanere lì, assieme a lui, ad analizzarlo nel suo sonno. L’aveva così tanto accuratamente studiato che, se solo avesse saputo disegnare, avrebbe potuto farlo ad occhi chiusi. Era quasi un peccato che non lo sapesse fare. Certo, nella sua mente quella che si formava era un’opera d’arte, ma su un foglio avrebbe solo potuto esprimere la sua incapacità.
Aveva anche provato a svegliarlo da quel sonno agitato, l’aveva scosso e schiaffeggiato gentilmente. Tutti tentativi che si erano scoperti vani, forse ci sarebbe dovuta andare più pesante o forse avrebbe dovuto restare buona ad osservarlo. Non scelse la seconda, no, non sarebbe stato da lei. Un giorno venne colta da un medico mentre sventolava la sua arma a due centimetri dal naso del compagno. Inutile dire che, dopo quell’episodio, non l’era più stato concesso portarsi l’equipaggiamento nell’ospedale. A quel punto, finalmente, optò per la seconda opzione, una seconda scelta che continuava a non andarle giù.
Ogni secondo, ogni minuto, ogni ora sembrava troppo lunga e troppo noiosa. Le mani le tremavano e le labbra si piegavano in una smorfia annoiata. Non fare nulla non era da lei. Lei poteva fare sciocchezze, essere sarcastica, prenderlo in giro, mettere a rischio la sua vita, ma il non fare nulla non era contemplato.
Si grattò un pollice con l’unghia dell’altro, lasciando segni rossi sulla pelle pallida. Noia.
Sbuffò nell’inutile tentativo di spostarsi una ciocca di capelli ribelle. Monotonia.
Roteò gli occhi osservando la stanza in cui era da giorni. Sempre uguale.
L’unica cosa che la strappava dal tedio in quella camera era la figura del ragazzo che si muoveva insistentemente nel suo giaciglio. Le crisi non erano diminuite nel tempo e Shinoa sapeva che l’amico stava ricordando il proprio passato e quel ragazzo biondo, quel vampiro. Si scoprì gelosa di quel passato non condiviso, lei non lo conosceva a fondo mentre quel vampiro sì. Quell’essere aveva dei ricordi condivisi con Yuu, lei no.
Scosse la testa. Mika era suo amico, era l’amico di Yuu e lei doveva vergognarsi nel fare certi pensieri.
Si alzò, mosse alcuni passi verso il letto. La smorfia di dolore del compagno le fece stringere lo stomaco. Digrignò i denti e inghiottì la saliva. Allungò la propria mano andandola a poggiare su quella dell’amico. Quello ebbe un singulto.
-Va tutto bene, stai bene, Mika sta bene.- Mormorò, guardandosi attorno sospettosa. Non voleva essere colta in flagrante dai suoi compagni. Ciò, però, non le impedì di notare un secondo singulto squassare il corpo dell’amico al nome del vampiro. Abbassò lo sguardo sulla propria mano e, con uno scatto, la smosse da lì. Tornò a sedersi sulla poltrona e socchiuse gli occhi. Che ci faceva lì? Lei non faceva parte del suo mondo.
 
Il calore che si era propagato nella sua mano sembrava essere sparito così com’era arrivato. Dal nulla. Ora le lingue di tepore lasciavano posto al vuoto. L’unica parte del corpo di cui aveva avuto coscienza stava poco a poco assopendosi nuovamente e, in quel brandello di consapevolezza, si sentì invadere da una terrificante voglia di lottare contro quello stato di apatia. Poté sentire qualcosa lontano da sé contrarsi e digrignarsi.
 
Shinoa poté vedere i la mascella dell’amico irrigidirsi e mostrare i denti.
 
Yuu volle gridare a quel calore di tornare da lui, di farli compagnia nel buio della sua mente, ma non trovava la propria bocca, la cercava e si scoprì a non avercela, in quel buio la consapevolezza del proprio corpo sembrava mancare.
Poiché il dono della parola sembrava essergli stato revocato decise che, almeno, avrebbe dato un volto a quel calore. Sfogliò la propria mente come fosse un album di fotografie. Scorse le scene antecedenti all’arrivo dei vampiri, osservò con grande pena i suoi amici prima di… (all’esterno Shinoa poté notare il pomo d’Adamo dell’amico fare su e giù per la gola), rise davanti agli occhi azzurri di Mika. Non era lui. Qualcosa, nell’angolo più remoto del proprio cervello, gli diceva che “non era lui il tepore”. Da lì i ricordi scorsero rapidamente e, come in quei vecchi film che aveva visto all’orfanotrofio, arrivò ad un fermo immagine.
Una bambina dai capelli insolitamente viola. No, Yuu sapeva che non era una bambina, aveva la sua età e lui la conosceva bene. Quello sguardo tronfio e annoiato e quel sorriso irritante sulle labbra lo schernivano ogni giorno. Rimase attonito davanti a quel bigliettino che la ragazza gli stava mostrando e si stropicciò gli occhi. Ora la ragazza indossava una divisa e intorno a lei aveva alcuni giovani. Conosceva anche loro.
Qualcosa, però, lo costringeva a focalizzarsi sulla ragazza. Era lei, socchiuse gli occhi per osservare tutti meglio, ma la sua analisi dava sempre lo stesso risultato. Il suo cervello macchinò alla ricerca del nome, aveva bisogno del nome e nient’altro. Gli altri si allontanarono schiamazzando tra una discussione e l’altra, mentre lei rimase lì qualche secondo in più e, prima di girarsi a sua volta, piegò leggermente la testa di lato e gli fece cenno di seguirli.
-Shinoa.- La parola esplose come un fuoco d’artificio nella sua mente, così come nella stanza. Ma fuori non ci fu nessuno per udirla, la detentrice del nome si era dileguata per quei minuti.  
 
 
   
 
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