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Autore: Naoko_chan    07/03/2016    1 recensioni
Questa fic partecipa alla challenge: "Prendete e scrivetene tutti: Angst! version", indetta da carachiel, con i prompt cinque e undici.
*
«Promettimi che tornerai.»
«Solo se avrò voglia.»
E Meredith sorride, perché è certa che lo farà. Lui torna
sempre a cercarla.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Aspettandoti

 
 
Come ogni volta Meredith si ravviva i capelli − sempre così − scomposti attorno al viso e alle spalle, per poi afferrare i libri e il quaderno fucsia lasciati in maniera disordinata sulla piccola scrivania che odora di passato.
Qualche foglio stropicciato viene ripescato dal grigio delle mattonelle incrostate di sogni adolescenziali e riposto in una piccola borsetta a tracolla, la quale non si dà pena di nascondere i suoi anni effettivi, nonostante i numerosi lavaggi effettuati. Come ogni volta Meredith si avvia verso l'uscita e come ogni − singola − volta si blocca al richiamo di Jack, o, meglio, al ricordo del richiamo di Jack. Del suo caro Jack.

«Ti sei scordata la giacca, ottusa.»
Allora Meredith meccanicamente sorride, un sorriso sprovvisto di calore, le piccole zampette di gallina ai lati delle palpebre socchiuse, scuote la testa e i suoi capelli − sempre così − scomposti le sbattono sulle guance nivee. Poi fa dietrofront e recupera la giubba che giace abbandonata sulla sedia da due ore a questa parte.


 
 
«Che senso ha sorridere sempre?»
«Il sorriso è bello e poi allunga la vita!»
«Ma lo sai su quali bocche abbonda?»
«E allora? E poi tu sei così...
carino quando lo fai…»
In quel preciso istante Jack, il suo caro Jack, arresta la camminata e l’occhiata dura che le rifila è sufficiente per metterla a tacere per tutto il resto del tragitto.
 


Dieci passi. Non uno di più non uno di meno. Dieci secondi che il tempo ruba alla vita rimasta. Dieci momenti in cui il piede respira più a fondo l'alito fangoso del suolo e si lega ad esso in un abbraccio senza emozioni di molecole e attriti. Solo dieci.
Dieci orme tatuate sulla pelle di una terra sempre più avvelenata dal futuro scottante, destinate, prima di svanire, a crogiolarsi nell'anonimato delle loro sorellastre lasciate da padri crudeli o dal cuore gentile e da madri fragili o dal temperamento d'acciaio. Lei, la mamma di quelle dieci figlie incerte e spezzate dall'andatura tremante della quale si è sempre vergognata, assaggia la pelle del labbro inferiore con le dita da pianista, quei dieci prolungamenti sottili di due mani ossute e che ancora bruciano, a dispetto del periodo trascorso, dai tocchi di lui, mentre la testa è aggredita da ricordi felici e pensieri angoscianti.



«Il dieci è il numero perfetto sotto un punto di vista pitagorico e una concezione prettamente analogica e matematica» 
«Lo so» 
«Non stavo parlando con te. Sto esprimendo ciò che penso ad alta voce, sono libero di farlo?» 
Lei ciò che pensa invece se lo tiene dentro, custodendolo gelosamente e non facendone menzione mai con nessuno, neanche col suo caro Jack. Ha paura che quei pensieri prepotenti possano fuggire via, lasciandole la mente vuota e il foglio in bianco.



 
Le ha trasmesso il vizio di contare qualsiasi cosa, dalle pagine di un tomo alle uova del supermercato. Ormai non ne può più fare a meno, così come non riesce più a privarsi di quei piccoli riti che condivide − va − tutti i giorni col suo caro Jack. Come quello di assistere al tramonto in un preciso punto del bosco, di rincorrere con lo sguardo il sole che scivola sul firmamento lasciandogli per regalo una scia di colori caldi deputati ad abbellirlo e a renderlo, anche se solo per una manciata di tempo ogni sera, uno dei fenomeni naturali in grado di risollevare un mondo oppresso dal peccato originale.
A Meredith non meraviglia più come un tempo, anzi, a dire il vero, sono le molte cose non riescono più a destarle incanto. Si sta svuotando, pensa, e sta provando in tutti i modi a tappare quel buco che le ha iniziato a rubare pezzi di anima anno dopo anno; sa che è fatica sprecata, solo lui riuscirebbe a sanarlo. Lui però è lontano e a lei non resta che stringere i denti e resistere il più tempo possibile in attesa del suo arrivo. 
La sua speranza è che non lo faccia troppo tardi.



 
«Sono riuscito a trovare lavoro» 
«Ma è fantastico! Perché non ti vedo molto contento di questo?»
Jack ignora il suo quesito, proseguendo con la spiegazione: «Parto domattina»
«Cosa?! E dove?!»
Si sente morire, Meredith, ma cerca di mascherare il suo dolore con del semplice stupore. Non vuole far abbattere Jack, il suo caro Jack, ora che finalmente non è più disoccupato. Non vuole che resti in questo posto a farsi il fegato marcio per un’occasione che quel luogo non è in grado di dargli solo per lei.
Anche se forse se ne sarebbe andato lo stesso, lamentele da parte sua o meno.
Perché per lui la carriera è più importante dell'amore. Perché, mentre Meredith gli ha donato il proprio cuore, Jack non l'ha fatto, troppo egoista per privarsi di qualcosa di così caro a lui. Ma a lei va bene così, alla fine.
«Promettimi che tornerai»
«Solo se avrò voglia»
E Meredith sorride, perché è certa che lo farà. Lui torna
sempre a cercarla.
 


Si appoggia alla corteccia di un albero e lascia che quest’ultima le imbratti il tessuto di muschio, sorda ai rimproveri che le rivolgerebbe la sua famiglia se la vedesse rovinarsi la giacca in quel modo. Si gratta il naso con un’insistenza quasi maniacale, mentre i raggi biondi le elargiscono un ultimo saluto, prima di tallonare il loro padrone già sparito pochi minuti prima. Non c’è neanche la luna quella sera, ha litigato sia con le stelle che con le nuvole prepotenti, sicuramente gelose della sua bellezza.
A Jack quel grande satellite naturale non ha mai procurato alcun effetto, al contrario rimane affascinato dell’acqua limpida che fa vedere quello che c’è in profondità. Lei invece la invidia, e non si capacita di come quell’acqua non si faccia scrupoli a mostrarsi per com’è veramente, senza la riservatezza e la mancanza di coraggio che contraddistinguono le sue giornate. 



Sono passati sei mesi dal giorno della sua partenza. Come ogni volta Meredith va in quel determinato negozio di alimentari e compra ben due panini, uno dei quali senza niente, dopodiché si siede sulle scale della piccola chiesetta del loro paese, catturando gli sguardi della gente e riparandosi dall'occhio del cielo che spacca le pietre con il suo calore. 
Più precisamente sono trascorsi sei mesi e cinque giorni esatti da quel saluto all'aeroporto in cui entrambi si sono impressi ricordi vividi l'una dell'altro in modo da poter sopravvivere in quel lasso di tempo da soli prima di ricongiungersi.
Di Meredith a Jack è rimasta la fastidiosa e al contempo piacevole percezione di quei piccoli fili nordici che gli sfiorano la fronte e il profumo di ciliegie che gli inonda i sensi. È rimasta la primavera. Quella con i fiori rossi come le sue labbra e il cielo terso incastrato nei suoi occhi da eterna bambina sognatrice.
E un quaderno dal bordo fucsia. 
Di Jack a Meredith sono rimasti l'aria sfrontata e quello spazietto in mezzo agli incisivi − in mezzo a quei denti
non perfetti − che gli conferisce l'aria più fanciullesca, nonostante la barba ispida di un trentenne. E il neo appena accennato sull'anulare destro.
Tu tu tu tu tu tu-
«Pronto?»
«Ciao...»
«Ciao»
«Come stai?»
«Uno schifo, come al solito»
Il tono è così ironico da provocarle una piccola risatina.
«Mi manchi...» sussurra appena, stringendo il telefono con entrambe le mani.
«Lo so»
«E io ti manco?»
«No, affatto.»
«Lo immaginavo.»
«Comunque il mio lavoro in questo periodo mi concede quattro settimane di ferie»
Gliel'ha detto apposta. Meredith sa cosa vuole sentirsi chiedere di rimando.
«Verrai a trovarmi quindi?»
«Non ho nient'altro da fare...»
Il tono è annoiato, al limite dell'apatico, constata. Inoltre, una persona che non conoscesse bene Jack, il suo caro Jack, potrebbe anche essere così attenta da riuscire a cogliere un'ulteriore sfumatura in quel tono monocorde, quella di seccatura, masticata fra quei denti non perfetti.
Ma Meredith sa che non è così: ha ormai imparato a leggere tra le righe e si è accorta del calore celato nella frase.


 
Il vento gelido frusta con insistenza le sue membra e i suoi capelli − sempre così − scomposti, ricordandole il fatto che l’inverno è alle porte e lei, la primavera, dovrebbe starsene in letargo ad attendere la fine di quell’ingombrante stagione. Però resta lo stesso: il suo caro Jack le ha insegnato a non farsi dare imposizioni da niente e da nessuno.
«Solo tu devi essere la padrona di te stessa. Non rinunciare mai alla tua libertà»
Meredith annuisce in un cenno di assenso, prima di tornare a fondersi con la fauna di quel luogo dormiente.
 


«Ci prendiamo lo zucchero filato?»
«Vorrai scherzare, spero»
Meredith ridacchia, la mano lontana da quella del suo accompagnatore, i capelli − sempre così − scomposti strozzati in una coda di cavallo.
Non sembrano per niente una coppia loro due, ma neanche lontanamente. Inoltre, in quelle rare quanto intense occasioni in cui si ritrovano stretti assieme, i loro corpi non combaciano perfettamente, c'è sempre un pezzo sistemato male. Ciononostante sia Meredith che Jack non si curano di questo: li annoia l’eccellenza.
Lei però almeno un anello di fidanzamento lo vorrebbe, dal momento che lui le ha già negato l'abito bianco e l'emozione di una gravidanza. Glielo continua a chiedere, sperando che un giorno ceda e gliene regali uno, così come si augura di fargli conoscere i suoi e di incontrare i genitori di lui.
«Stasera ti fermi da me, giusto?»
«Non mi va di spendere i soldi in un albergo»
Meredith sa che Jack non le comprerà mai dei fiori, non le aprirà mai la portiera in maniera galante, non le offrirà mai un pasto al ristorante, non le dirà mai "Ti amo" e non la bacerà mai per strada in mezzo alla gente.
Ma sa anche che quando la notte si ritroverà a piangere per un incubo lui le carezzerà i suoi capelli − sempre così − scomposti, la stringerà a lui, facendole ascoltare il ritmo del suo cuore e le sfiorerà la bocca con la sua in una tacita dichiarazione.
E lo farà lontano dagli occhi di tutti. Perché quei momenti sono solo loro, unicamente di Jack e di Meredith.
E lei si sentirà protetta fra le sue braccia, lasciandosi cullare dal suo tepore e si addormenterà tranquilla, nonostante la triste consapevolezza che lui non ci sarebbe stato ad aspettare un suo risveglio la mattina seguente.
Dopotutto a lei basta questo, saperlo vicino. Non le importa dei doni che non riceverà al compleanno e neanche degli anniversari che non festeggeranno − a proposito, da quanto tempo stanno insieme? Sicuramente Jack se ne ricorda −, ma la sua sola presenza, immancabile quanto fondamentale come l'ossigeno. Anche se poi è costretta a stare in apnea undici mesi su dodici. Lo fa con piacere, attendendo il bramato momento in cui potrà finalmente riemergere dall’acqua.


 
Si sbottona lentamente la giacca, lasciando che quello zefiro freddo come la morte le penetri fin dentro le ossa. Sa che è da sconsiderati, da folli. Rischiare di prendersi una polmonite solo per il gusto di lasciarsi trascinare una brezza che la sta portando lentamente all’estasi. 
Anche lui non è mai stato d’accordo con questo suo vizio. Piuttosto Meredith l’ha sempre visto sepolto tra strati e strati di lana anche d’estate. Una cosa talmente buffa dal provocarle sempre piccoli moti d’ilarità, i quali, però, venivano fatalmente soppressi ogni qual volta che faceva capolino un piccolo broncio dall’altra parte.


«Pronto?»
«Meredith, ascoltami»
Sussulta appena dalla sorpresa: stavolta è stato lui a chiamarla di sua iniziativa. Non fa in tempo a soffermarsi su quella novità che a catturare la sua attenzione è la voce del suo caro Jack, la quale risulta più stanca del solito. Esausta, come se per tutti quei mesi non avesse fatto altro che correre per svariati chilometri, per poi fermarsi poco prima di farle uno squillo. 
E più rauca: Meredith ha quasi l'impressione che qualcuno, accanto a lui, gli stia graffiando con malcelata insistenza le corde vocali.
«Ti senti bene?» chiede ingenuamente. E stupidamente. E sperando ardentemente che sia davvero così.
Sanno entrambi la risposta, per cui l’altro non si cura nemmeno di degnarla di una spiegazione e va avanti: «Meredith… Io non tornerò più.»
Conciso e lapidale.
Meredith avverte distintamente qualcosa rompersi dentro di lei, sicuramente non il cuore, dato che quest’ultimo ha preso a pompare con maggiore velocità del solito, e si mette a risucchiare nei polmoni quanta più aria possibile, siccome sente che in quel momento solo la suddetta potrà sostenerla per non crollare a terra. «P-perché…?» ha la forza di pigolare, prima che le sue corde vocali si rifiutino di collaborare per il resto della telefonata.
È lì che Jack si infiamma immediatamente, iniziando a sbraitarle che è una grandissima stupida, la quale dovrebbe farsi una vita anziché continuare a stargli dietro come un cagnolino. E urla, urla, urla, con quel suo tono acido e rabbioso, però meno alto del consueto, che si spezza in maniera improvvisa a causa di una tosse violenta che piega entrambi in due.
A Meredith cade il telefono di mano e deve fare appello a tutte le sue forze per trovare l’energia di accovacciarsi e di recuperarlo con delle dita che non smettono di tremare forte neanche per un istante.


 
I suoi capelli − sempre così − scomposti le sbattono senza ritegno sul volto semi oscurato e il suo corpo è scosso da numerosi spasmi irregolari che costringono le sue ginocchia a cedere e a farsi aggredire da piccoli sassi pungenti affogati nel pantano. Respira affannosamente, le braccia lungo i fianchi bruciati dal freddo invadente.
«Copriti, sconsiderata»
«Lo farò quando ti vedrò arrivare» soffia appena, un sussurro che si perde tra gli alberi sferzati dal vento sempre più potente, sempre più feroce. Allunga, in maniera lenta, una mano sanguinante al buio in attesa di quella di Jack, del suo caro Jack. 
Sa che a lui piace molto farle i dispetti, di conseguenza ha solo scherzato con quella risposta. È evidente che voglia farle una sorpresa, solo uno stolto non lo capirebbe; quando lo rincontrerà, si concentrerà soltanto sul suo solito sorrisetto appena accennato a scoprirgli i denti non perfetti e cercherà di non far caso al tanto agognato anello di fidanzamento che stringerà nella scatoletta fucsia come il suo quaderno. 
Rimane stupita da un tic all’occhio destro e da una risata isterica che vomita senza quasi rendersene conto.
Forse piangerà a dirotto o magari si tratterrà poiché Jack odia le lacrime facili. Però lo abbraccerà forte e non si staccherà più da lui, poi gli bacerà quella barba spinosa che ama tanto e si farà sollevare da terra.
Bisogna solo pazientare, prima o poi quel momento arriverà. Dopotutto sono soltanto ventisette anni − ventisette anni e cinque giorni esatti − che lo attende. Ed è disposta a continuare, dovesse essere obbligata a farlo per altre mille lune, un’intera vita o l’eternità.
«Mi troverai qui, quando ritornerai» biascica, stordita dal gelo e da un insolito sonno. Si sdraia sotto un pino, la pianta preferita del suo caro Jack, per poi chiudere gli occhi e sospirare.

E aspettare.
  
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