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Autore: Crilu_98    08/03/2016    2 recensioni
"La prima cosa che noto è che cammina in modo strano: tiene le braccia larghe attorno a sé e procede lentamente, titubante. Le sue mani incontrano lo spigolo di uno dei banconi e mi chiedo perplesso perché abbia dovuto toccarlo, prima di aggirarlo. Poi, quando mi soffermo sui suoi occhi, spalancati e fissi su di noi, comprendo.
-Ma è cieca!- urlo, balzando in piedi. La ragazzina si ferma e fa una smorfia sorpresa, voltando il capo proprio verso di me."
Alexandra Jane Sorrentino: origini italiane, orgogliosa, razionale, talmente sicura di sé e delle sue capacità da iscriversi ad un concorso televisivo di cucina. Unico problema: un incidente l'ha resa cieca. Ed è questo che attrae e insieme spaventa Jake Moore, inflessibile e scontroso giudice del concorso: perché Alexandra è diversa, speciale... Ma è probabilmente anche l'unica in grado di capire il suo modo di fare cucina e, con esso, tutto ciò che ha tentato di dimenticare dietro di sé...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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P.O.V. Jake
 
Apro gli occhi, infastidito dalla luce che filtra dalle persiane socchiuse, e subito avverto un pesante e doloroso cerchio alla testa. Devo aver bevuto troppo ieri sera... Di nuovo. Muovo il capo lentamente, cercando di far diminuire il dolore e al contempo di sciogliere i muscoli contratti, e solo adesso mi accorgo che accanto a me è distesa Elizaveta. O meglio, è abbarbicata al mio torace come una cozza allo scoglio. Me la scrollo di dosso bruscamente mentre mi alzo e la sveglio.
-Jake...- mugola, assonnata. Io la ignoro e, appoggiate le mani sul ripiano del bagno, fisso il mio riflesso allo specchio: l'immagine mi rimanda la stessa aria truce e incazzata.
-Jake!- la voce di Elizaveta, ora perfettamente lucida, è già squillante e fastidiosamente alta di primo mattino. Dio, quanto odio svegliarmi con quella donna nel mio letto! A volte mi chiedo perché finiamo a fare sesso così spesso, noi due. Siamo entrambi due maestri in cucina e giudici di quel dannato concorso televisivo, ma a parte questo non c'è nulla che ci unisca: apparteniamo a due mondi differenti, sebbene lei sembri dimenticarselo sempre. La sua figura appare allo specchio, appena dietro alla mia: i lunghi capelli rosso fuoco le ricadono scomposti sulla fronte e il trucco colato le macchia di nero gli occhi e le guance. E' totalmente diversa dall'immagine composta, perfetta e impeccabile che ama rifilare agli altri: nessun trucco, nessuna battuta, nessun sorriso smagliante. Elizaveta Hobbes è capace di cambiare sé stessa con maggior abilità di un trasformista. Si avvicina titubante e leggo nelle sue iridi verdi che muore dal desiderio di toccarmi, ma è abbastanza saggia da trattenersi: sa che detesto il contatto fisico, l'ha imparato durante le nostre numerose notti insieme.
-Si è fatto tardi!- borbotta contrariata, soffocando uno sbadiglio e iniziando a raccogliere i suoi vestiti, sparsi per la stanza. L'ho davvero spogliata in bagno? Non ricordo nulla di ieri sera, solo un locale buio e soffocante, le labbra piene ed invitanti di Elizaveta e il suo corpo contro il mio, nel letto. O forse era il divano?
Apro l'acqua con uno scatto improvviso, facendola sobbalzare, e mi sciacquo il viso. I rivoli ghiacciati che mi corrono sul collo e lungo la schiena mi svegliano del tutto ed attenuano il mal di testa quel poco che basta per girarmi e sbatterla finalmente fuori da casa mia.
-Jake, stasera ci sono le selezioni, ti ricordi vero?-
-Sì- rispondo sommessamente, lanciandole svogliato le chiavi della sua macchina -Me ne ricordo, di quelle dannate selezioni...-
Elizaveta si lascia scappare una risata nervosa:
-Non la fare tragica come al tuo solito, Jake, vedrai, sarà interessante!-
Cosa? Osservare come degli incompetenti martoriano del povero cibo spacciandolo per alta cucina? Questo dovrebbe essere interessante?
Ma non glielo dico e aspetto che il portone del mio appartamento si chiuda alle sue spalle, prima di buttarmi nuovamente sul letto: mancano ancora tre ore prima del mio ingresso in cucina.
 
Molti nel mio ambiente si chiedono perché, nonostante io abbia tutte le carte in regola per aprire un ristorante degno delle mie capacità, mi ostini a lavorare in un albergo, seppur lussuoso come The Mark. E, nel chiederselo, tirano un sospiro di sollievo. Mi chino sulla moto e accelero, dribblando le auto in coda nel traffico di Manhattan: sono in ritardo e il maitre si infurierà, ma non mi importa. Hanno un bisogno disperato della mia presenza in quella cucina, e per questo sono disposti a chiudere un occhio sul mio carattere. Sento la rabbia appostarsi alla bocca dello stomaco nel pensare ai dipendenti che mi stanno aspettando: sarà un'altra lunga giornata di urla, rimproveri, incazzature e piatti da buttare.
Come molti chef, riconosco il mio sfrenato ed ossessivo desiderio di perfezione; ma a questo si aggiunge un corpo di cuochi terrorizzati dalla mia presenza e per questi insicuri ed incapaci. Sospiro, togliendomi il casco e raccogliendo i capelli un una coda: li porto più lunghi di quanto la mia posizione mi imporrebbe ma sono anche l'unico sgarro che mi permetto in cucina.
Non vorrei essere qui: per me cucinare è un lavoro sfiancante, continuo e... Privato. Comporre piatti per un branco di ricchi megalomani mi urta i nervi. Ma se è il prezzo da pagare per continuare a fare l'unica cosa di cui mi importa nella vita lo pago senza fiatare.
Entro in cucina senza salutare nessuno e subito tutti scattano sull'attenti, impietriti: sollevo un sopracciglio, tentando inutilmente di ricordarmi i loro nomi.
"Cazzo Jake, lavorano con te da due anni!"
Sbuffo, frustrato per lo sforzo e per il mal di testa che ancora non mi ha abbandonato.
-Tu!- abbaio ad un ragazzo allampanato e pallido -Quanti sono i tavoli prenotati oggi?-
E così la lunga giornata comincia.
 
Arrivo agli studios quando le luci artificiali di New York hanno appena iniziato a rischiarare il cielo, nascondendo le stelle. Odio le luci di questa città, feriscono gli occhi.
"Perché sono qui?" mi chiedo per l'ennesima volta. Ma chi me l'ha fatto fare, ad accettare il ruolo di giudice in una gara culinaria in tv. Ah già, Elizaveta. E quell'altro coglione di Juan Martinez, che mi sta venendo incontro sorridendo. Non ho mai visto quest'uomo senza un sorriso: spande bontà e gentilezza ovunque si giri e sembra che non ne possa fare a meno.
Juan è vecchio ed ha un'esperienza che invidio ed ammiro; d'altro canto, però, è convinto che la sua età lo ponga in una condizione privilegiata, rendendolo una sorta di grillo parlante. Non si contano le volte in cui mi ha trascinato nel suo ristorante col pretesto di farmi provare un nuovo piatto, quando in realtà voleva solo abbattere il mio muro di reticenza. E perciò mi ero trovato mio malgrado invischiato in quella grande rete impicciona che era la sua numerosa famiglia. Juan è uno spagnolo corpulento, dai capelli brizzolati e dalla pelle abbronzata e la pacca che mi rifila sulle spalle mi fa quasi barcollare.
-Il grande Jake Moore si è finalmente degnato di onorarci della sua presenza!- ghigna, con il suo accento che rende fluida e languida ogni parola. Poi il suo sguardo si posa sulle mie vistose occhiaie e il sorriso si spegne un poco:
-Hai bevuto ancora, ieri sera, ragazzo?-
-Se anche fosse?-
Juan scuote la testa, conscio di non poter aggirare il mio fermo proposito di non parlare. Sembra preoccupato per me, quando aggiunge:
-Elizaveta questa mattina mi ha telefonato più vivace del solito... Sei per caso tu la causa?-
-Potrebbe darsi...- rispondo, passandomi nervosamente una mano sui capelli.
Il volto di Juan si fa molto più serio:
-Questa storia non porterà niente di buono a nessuno dei due: vi aspettate cose troppo diverse dalla vita. Lei sembra non volermi ascoltare, ma ho pensato che almeno tu...-
-Non l'ho mai ingannata Juan: sa benissimo che se andassi a letto con lei o con un'altra per me non farebbe differenza. Elizaveta può continuare a sperare ciò che vuole, finché non inizia a rompere i coglioni a me!-
Juan sbuffa, ma non replica. Siamo arrivati nell'ampia cucina di "Chefs", il programma che malauguratamente mi ritrovo a presiedere come giudice: ho tre stelle Michelin e questo posto era stato designato per me fin dalla prima stagione. Ora siamo alla quarta e ne ho fin sopra i capelli di aspiranti cuochi, pasticcieri dilettanti e novelli geni della cucina che mi sottopongono i loro piatti in un clima di tensione e timore. E' lo stesso che respiro nella mia cucina, l'aria che mi stressa e mi impedisce di concentrarmi su qualcosa che non sia ciò che sto cucinando.
-Vediamo questi impiastri!- borbotto, buttandomi sulla poltrona posta dietro il tavolo dei giudici. Queste selezioni servono ad effettuare una prima scrematura, a capire chi far entrare nel programma e chi no, e per questo sono ancora più noiose: non ho neanche il gusto di vederli imprecare per l'agitazione di essere davanti ad una telecamera.
Elizaveta e Juan si scoccano un'occhiata divertita: sarò anche un grandissimo stronzo, ma sanno che le mie plateali sfuriate vengono rivolte solo a chi se lo merita. Perché il problema non è che non ci sono brave teste, in quel mucchio di imbranati: ci sono, è solo che non sono abbastanza abili, o veloci, o intelligenti, o razionali. Tutte cose che in un ristorante di alto livello sono indispensabili. Sono convinto che i vincitori di "Chefs" non siano i migliori, ma i meno peggio: ecco, sì, ho sempre premiato i meno peggio. Per questo tutti tremano quando un loro piatto è sottoposto a me; sono leggermente sulle spine se si tratta di Elizaveta, conoscendo i suoi gusti bizzarri e l'inventiva moderna; essere giudicati da Juan è invece un balsamo per il loro orgoglio ferito.
Le selezioni sono appena iniziate e quest'edizione mi piace sempre meno: devo riconoscere che quasi tutti hanno un'abilità tecnica invidiabile e che i veri dilettanti sono pochi, ma manca comunque qualcuno capace di risvegliare la mia curiosità. Cosa veramente difficile, del resto, ed effimera: quand'anche mi sembrasse di vedere un guizzo di estro tra lo sfrigolio dell'olio e il profumo delle spezie, questo scompare veloce come era apparso.
Dobbiamo scegliere ventiquattro concorrenti, e si sono presentati in sessanta: impreco tra i denti, chiedendomi come si possa stabilire la bravura di sessanta aspiranti chef in poco più di tre ore. La prova è semplice e allo stesso tempo decisiva: cucinare una frittata. Non un'omelette, per la quale ci vuole perizia ed esperienza, basta una semplice frittata: a patto però che questa riveli abbastanza sulle competenze del cuoco.
Per il momento Elizaveta conduce il gioco: è lei che prende appunti e parla con i candidati, io ho a malapena assaggiato i venti piatti che mi sono stati presentati e Juan si è limitato a sorridere bonariamente. Osservo con fare distratto la ragazza di fronte a me: ha la carnagione scura e tratti mediorientali. Ha presentato una frittata speziata con zafferano, semi di coriandolo e zenzero. La ragazza mi sta fissando insistentemente, quasi a volermi chiedere un parere, e solo adesso mi rendo conto di ciò che Elizaveta mi ha appena chiesto.
-Jake, ci sei? Ti ho chiesto cosa ne pensi.-
Mi riscuoto all'improvviso e mi raddrizzo sulla poltrona:
-L'ultimo ingrediente è totalmente fuori luogo, rovina l'insieme delicato delle altre spezie. Lo zenzero è forte, prepotente e piccante: ferisce il palato e nasconde gli altri sapori!-
La vedo corrucciare la fronte ed annuire, concentrata: non sembra arrabbiata o sconfortata. Sta piuttosto scrivendo un promemoria mentale per migliorarsi... La apprezzo in silenzio per questo.
Vedo che Elizaveta sta per esprimere un giudizio negativo e la precedo:
-Però, senza lo zenzero, sarebbe stato un buon piatto. Sei dentro. Puoi andare.-
Le due donne mi fissano confuse e sbalordite, mentre Juan si limita ad alzare un sopracciglio: si fida del mio giudizio, e sa che se ho scelto la ragazza significa che ho visto del potenziale.
Sulla porta la giovane si ferma e parla con qualcuno al di fuori: un'altra ragazza, più bassa e minuta, si affaccia sulla porta. La prima cosa che noto è che cammina in modo strano: tiene le braccia larghe attorno a sé e procede lentamente, titubante. Le sue mani incontrano lo spigolo di uno dei banconi e mi chiedo perplesso perché abbia dovuto toccarlo, prima di aggirarlo. Poi, quando mi soffermo sui suoi occhi, spalancati e fissi su di noi, comprendo.
-Ma è cieca!- urlo, balzando in piedi. La ragazzina si ferma e fa una smorfia sorpresa, voltando il capo proprio verso di me. Elizaveta sbotta infastidita:
-Sì, Jake, lo sappiamo. E l'avresti saputo anche tu, se mi avessi ascoltato, prima, quando te ne ho parlato! Signorina... Sorrentino, giusto? Ha bisogno di aiuto per arrivare qui davanti?-
-Ma questo è assurdo!- replico, senza curarmi di abbassare il tono di voce. -Non può partecipare al concorso!-
-Perché? C'è forse un articolo del regolamento che lo vieta?-
La sua voce mi sorprende: è sicura ed orgogliosa, ma non si è alzata di un solo tono nel rispondermi. Si avvicina al bancone di prova senza apparenti difficoltà, ma sempre molto lentamente: si rende perfettamente conto di cosa la circonda.
-No, ma...- borbotto, indeciso.
-Allora, se non le dispiace, signor Moore, mi lasci cucinare il mio piatto, così che potrete giudicare se posso o meno entrare a far parte della squadra di Chefs.-
Ricado a sedere, stupito ed offeso: quella ragazzina non ha tenuto in nessun conto la mia posizione e le mie parole. Elizaveta si china verso di me:
-Sii più rispettoso, Jake: questa ragazza ha compiuto un grande sforzo per arrivare fino a qui!-
-Poteva anche risparmiarselo, non gliel'ho mica chiesto io!- replico a denti stretti.
Sorrentino afferra con destrezza utensili ed ingredienti e io non posso fare a meno di riconoscere la sua bravura: pur non essendo mai entrata in quella cucina, le sue esitazioni sono minime e non lascia cadere nulla, come invece avevo immaginato. Riconosco pomodorini, pepe, basilico ed erba cipollina, ma non capisco cosa sta combinando finché non vedo sotto il mio naso un piccolo tronchetto di frittata arrotolata e farcita.
-Sushi di frittata con caciocavallo e pomodorini.- La sua voce pacata non tradisce alcuna emozione.
-Interessante.- commenta Juan -Come ti è venuta l'idea?-
-Sono di origini italiane e mi è bastato rinnovare una ricetta semplice e tradizionale con un modo di impiattare diverso.-
Nonostante sia contrario alla sua presenza qui, non appena assaggio quel... Come l'ha chiamato? Ah sì, sushi di frittata - Dio, la ragazzina deve prendere lezioni sui nomi da dare ai piatti! - mi rendo conto che la sua descrizione calza alla perfezione: è semplice, tradizionale e insieme invitante come solo le ricette innovative sanno essere. La osservo, concentrandomi sui suoi occhi scuri, che ricordano il colore del caffè amaro: mi chiedano come possano non vedere, con quella luce animata e viva all'interno. E' brava. Dannatamente brava. Lo ripeto a me stesso da quando ho provato il primo boccone. Eppure c'è una parte di me che non la vuole qui: è diversa, è difficile, porterà solo complicazioni.
Elizaveta e Juan le fanno dei complimenti entusiasti, ma lei non se ne cura:
-Allora, signor Moore?- chiede, sfacciata. Si sta rivolgendo a me, e a me solo. E' sicura delle sue capacità, anzi, è presuntuosa... Ma la cosa, invece di mandarmi in bestia, mi fa sorridere. E' così che dovrebbe essere un vero chef.
-Dovrebbe confidare un po' meno in sé stessa, signorina Sorrentino: la semplicità a volte si rivela una carta vincente e a volte, invece, denota semplicemente mancanza di abilità ed estro.-
La ragazza non perde il suo sorriso, ma si tormenta nervosamente una ciocca dei corti capelli biondi: sono di una tonalità scura, che non ho mai visto. Mi ricordano il miele.
-E qual è il mio caso?-
Esito un attimo, voltandomi verso i miei compagni: loro mi fissano di rimando, curiosi e perplessi per la mia insolita vitalità.
-Il primo.- mormoro senza guardarla.
-Il primo...- ripeto, mentre la guardo uscire, dopo aver ricevuto da Elizaveta la conferma che parteciperà a Chefs.
"Perché l'ho fatta entrare?"
Non so rispondermi con esattezza, ma so per certo una cosa: questa edizione non sarà come le altre.
 
P.O.V. Alexandra
Appena fuori dalla porta della cucina, mi appoggio al muro, tentando di riprendermi ed orientarmi.
E' stata una prova molto più dura di quanto non abbia dato a vedere a Jake Moore. E' proprio come alcuni me l'avevano descritto: stronzo, impietoso ed esperto. E, se devo fidarmi del tutto di ciò che le altre aspiranti concorrenti bisbigliavano, dev'essere bello da impazzire. Sospiro profondamente, cercando di regolarizzare il respiro. Ho bisogno di Abigail, la mia labrador, che mi aspetta in fondo al corridoio.
"Forza, Alex, ce la puoi fare!"
Inizio a mettere un piede davanti all'altro, titubante, appoggiandomi al muro: ho sempre detestato il bastone da non vedenti, ma la mia determinazione nel farne  a meno a volte mi crea non piccoli disagi.
-Ehi, serve una mano?-
E' la voce della ragazza che mi ha indicato l'entrata della cucina: calda e sommessa, quasi timorosa. Sembrerebbe una persona molto timida. Annuisco, e sento la sua mano delicata prendermi per un braccio e accompagnarmi all'uscita.
-Io sono Robin, Robin Ben Jelloun.-
-Alexandra Jane Sorrentino, molto piacere. Origini africane?-
-Marocchine. E le tue, se il cognome non mi trae in inganno, sono italiane.-
-Indovinato.- rispondo, con un sorriso appena accennato. So che anche Robin è entrata a far parte del cast, e che quindi ci troveremo a contenderci il primo posto, ma mi sta simpatica e da troppo tempo ho contatti solo con i membri della mia famiglia: a lungo andare diventa una situazione soffocante.
-Che bello... Sei mai stata in Italia? Dicono sia un paese meraviglioso, ma non ho mai avuto modo di visitarlo. Sono stata molte volte in Marocco, ed è lì che ho imparato a cucinare. Tu come hai fatto?-
Mi sbagliavo: una volta che ha preso confidenza, Robin diventa un fiume in piena.
-E' stato dopo l'incidente che mi ha privato della vista.- racconto tranquillamente. Sento la presa sul mio braccio farsi rigida.
-Io... Oddio, scusa... Mi.. Dispiace, non volevo...-
-Tranquilla, non mi da' fastidio. Avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse da ciò che non potevo più fare e la cucina, dopo diversi incidenti iniziali, si è rivelata la mia ancora di salvezza. Ho imparato a destreggiarmi in ogni ambiente, anche sconosciuto, purché potessi avere a che fare con ingredienti e sapori. Per questo, quando mi sono sentita abbastanza sicura, sono venuta qui.-
Avverto l'abbaiare festoso di Abigail e le sue moine affettuose contro la mia gamba.
-Lei è Abigail, il mio cane guida. Abigail, ti presento Robin!-
La ragazza ride, divertita, e mi aiuta a raggiungere il manico di sicurezza agganciato al dorso di Abigail. Nonostante adesso io sia quasi del tutto autonoma, Robin mi accompagna fino all'uscita dell'edificio, dove mi aspetta mia madre per riportarmi a casa: uno degli aspetti più ingombranti e pesanti della cecità è il continuo dover dipendere dagli altri in ogni minimo spostamento, anche scendere le scale.
-Ti ammiro molto, sai- dice la ragazza ad un certo punto. Io mi fermo di botto, stupita:
-Come scusa?-
-Sì, beh, non ti conosco, e non so la tua storia, ma credo che tu abbia dimostrato un grande coraggio nel venire qui oggi, e se esiste almeno un poco di giustizia il tuo coraggio verrà premiato, in un modo o nell'altro.-
-Ti ringrazio...- balbetto, confusa da quella dichiarazione schietta e sincera. La giovane marocchina mi piace di più ogni momento che passa, perciò mi azzardo a chiederle una cosa che normalmente tengo per me:
-Aspetta, Robin: posso... Posso vedere come sei fatta?-
Mi mordo la lingua, in attesa: so che a molte persone da' fastidio che io le tocchi per poterle vedere. Ma Robin non sembra una di quelle:
-Certo, fa pure!-
Allungo le mani ed incontro il suo viso: ha un profilo lineare, la fronte piccola, le sopracciglia arcuate e ben definite e delle labbra sottili ma carnose. I suoi capelli sono ricci e lisci al tocco.
-Hai dei capelli bellissimi!- esclamo estasiata. Robin ride con me:
-Se può servire a completare il tuo ritratto, ho la carnagione scura, gli occhi castani, i capelli neri e sono alta, anzi, bassa, un metro e cinquantacinque centimetri!-
Potrei continuare a chiacchierare per ore, ma sento mia madre avvicinarsi, chiamandomi.
-Allora... Ci vediamo lunedì.- dico, a mo' di saluto.
-A lunedì... Sperando che Moore non sia fino in fondo il bastardo che dicono!-
 
 
Angolo Autrice:
Ecco cosa esce fuori durante le ore di noia a scuola dalla mia fantasia galoppante! E' un esperimento su molteplici fronti: trattare di una disabilità così grande come la cecità, descrivere uno show culinario, mettersi nei panni di due personaggi così diversi... Perché il racconto sarà strutturato come questo capitolo, ovvero vissuto un po' dalla parte di Jake e un po' da quella di Alexandra.
Non so se come storia può andare, ditemi voi! Ringrazio già da ora gli eventuali recensori e anche chi semplicemente passa a dare un'occhiata. Gli aggiornamenti saranno piuttosto irregolari, visto che sono sommersa dallo studio e dagli impegni, ma cercherò comunque di non farvi aspettare troppo!
 
Crilu 
   
 
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