Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: emmevic    09/03/2016    3 recensioni
Cit. Quel giorno era finita con del sesso rappacificatorio, ma Ymir dubitava che la discussione appena conclusasi avrebbe sortito il medesimo effetto. Anzi, ne era certa. Si prese la testa tra le mani, frustrata. Le avrebbe anche gridato contro, se solo fosse servito, ma sapeva che alzare la voce avrebbe solo peggiorato le cose.
Perché Christa si ostinava a ignorare l’elefante nella stanza?

Christa insegna in una scuola elementare e Ymir è un pilota di Jaeger: convivono allegramente già da qualche anno (Christa va per i ventitré anni). A tratti fluff, a tratti angst. L'ambientazione è tratta dal film Pacific Rim di Guillermo del Toro.
Ymir/Christa, Pacif Rim!AU
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Christa Lenz, Ymir
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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note. Questa fanfiction è una AU/crossover basata sul film Pacific Rim. Ymir, Christa e altri personaggi dell'Attacco dei Giganti vivono in un mondo alternativo perennemente assediato dalla minaccia Kaiju (i Kaiju sono mostri interdimensionali dalla mole titanica che attaccano le coste del Pacifico ogni tot settimane, seguendo un preciso algoritmo matematico. Sono paragonabili a grossi Godzilla, per intenderci).Gli Jaeger, invece, sono robot immensi comandati da due piloti, e vengono adoperati per eliminare i Kaiju (i due co-piloti per controllare un solo Jaeger si uniscono in drift, fondendo le menti e condividendo ricordi e sensazioni). Per avere maggiori chiarimenti, comunque, consiglio di vedere il film Pacific Rim dal quale ho tratto interamente  l'ambientazione oppure dare una sbirciata alla wikia apposita. *Ringrazio camelie di carta che mi ha fatto notare di non aver specificato di che genere di AU si trattasse.



Di cattedre, jaeger e tarocchi

a Schwarz.

I wanna heal


Dalla cucina veniva un profumo di spezie e aromi esotici e un meno invitante odore di carne bruciata, Christa ne fu investita non appena entrò nell’appartamento. Sorrise leggermente, sentendosi subito a casa.

«Ciao» disse ad alta voce, cercando di sovrastare le urla terrorizzate che venivano dal televisore del soggiorno: una donna in intimo correva per una strada buia, braccata da un mostro dalle enormi fauci.

Sorpassò lo schermo e con esso la fanciulla in deshabillé, lasciandosi alle spalle le sue grida; Ymir e il suo vizio di tenere il televisore perennemente acceso.

Sospirò e “mi fa compagnia” immaginò l’altra obiettare con le braccia incrociate, mentre ostentava indifferenza.

«Ciao» ripeté Christa, facendo il suo ingresso in cucina e poggiando le buste della spesa sul tavolo. Ymir era china sui fornelli, con il manico di un cucchiaio di legno stretto tra i denti e le mani che saltavano da un fornello all’altro, impegnate in una danza piuttosto goffa.

Per la stanza aleggiava un intenso odore di curry e cipolle, e Christa era abbastanza certa che il giorno seguente avrebbe dovuto buttare a lavare anche le tende, dopo aver arieggiato l’intero appartamento per una mezz’ora buona.
Non sembrava nemmeno di stare a San Francisco, ma in un qualche sobborgo indiano dai profumi speziati.

«Com’è andata al lavoro?» biascicò la donna con il cucchiaio ancora in bocca; cercò anche di sorridere, cosa che non le riuscì affatto. Christa nel frattempo riponeva gli spaghetti appena comprati nella credenza e un sorrisetto divertito le vestiva le labbra sottili.

«È andata bene, non ho dovuto riprendere nessuno...» aveva quindi cominciato a dire la più giovane, tenendo una delle mani dietro la schiena, quando estrasse trionfante la custodia sbiadita di un vecchio DVD e aggiunse con entusiasmo: «Ho anche noleggiato un film per stasera: un classico dell’horror!». Il titolo, nero e in maiuscoletto, riportava la scritta “Shining” assieme alla faccia poco raccomandabile di un uomo sulla quarantina.

«E brava la mia Christa!» proruppe Ymir: aveva appena sollevato il coperchio di una delle pentole quando, d’improvviso, partì una fiammata.

Christa si raggelò, ipotizzando l’ormai prossima distruzione della cucina. «Sicura di non volere una mano?» azzardò. L’altra scosse la testa. «Ho tutto sotto controllo».

«Stavo pensando... – riprese Ymir, girando il pollo – Non abbiamo ancora inaugurato la tua cattedra, sarebbe doveroso farlo. Potrei venire a salutare i marmocchi e fermarmi per la pausa pranz-»

«Non pensarci nemmeno: la mia cattedra non ha bisogno di... certi riti».

«Tanto lo sai che i bambini mi adorano, sono il loro eroe».

«Ymir, pilotare un robot di ottanta metri non fa di te un eroe, – Christa alzò gli occhi al cielo – fa di te una pazza incosciente con chiari istinti masochisti».

«Che stronzate, hanno pure le mie figurine. E anche tu mi adori, sarebbero tutti più felici se passassi a trovarti: tu e i tuoi alunni». La più giovane glissò.

«Nessuno sano di mente andrebbe a combattere contro un Kaiju» e nessuno sano di mente vorrebbe attuare certi propositi in una scuola elementare. Si prese un momento per dispiacersi della cattedra.

«Riuscirai mai ad accettare il mio lavoro, Christa?» Il tono di Ymir aveva un sapore amaro: era da anni che andava avanti quella storia. Anni!

«Quando non ci saranno più Kaiju» ribatté in un moto di stizza l’altra.

«Tante grazie, non avrei nemmeno più un lavoro a quel punto».

«E comunque non è questo il punto, Ymir» e Christa, sbattuto il DVD sul tavolo con un tonfo sordo, osservò contrita le spalle della compagna: calò un improvviso silenzio. Dalla televisione in salotto, ancora accesa, arrivò un lungo grido agghiacciato.

Ymir sbuffò, chiedendosi come fossero giunte a discutere per l’ennesima volta del progetto Jaeger.
Giusto, la cattedra.

Sorrise, sensuale, e si girò verso Christa, rendendosi conto solo in quel momento di averle dato le spalle da quando era arrivata.

«Sicura che non vuoi inaugurare la tua cattedra?» ammiccò e l’altra a quelle parole roteò gli occhi e si sciolse in una risata soffocata a fatica.

«Credo che quel pollo sia pronto, sai?» e le loro labbra si unirono in un casto bacio al sapore di curry e cipolle.

Quando un triangolino di pollo scivolò fuori dal piatto e macchiò la tovaglia a fiori – l’orrenda tovaglia a fiori, si chiese perché non l’avessero ancora buttata – Ymir non si scompose particolarmente, e raccattò con la forchetta e una buona dose di nonchalance il disertore.

«Buono?» domandò, sondando le reazioni dell’altra: gli occhi cerulei della bionda erano inchiodati al piatto e gli angoli della bocca rivolti all’insù.
Christa sorrise, deglutendo il boccone.

«Per un attimo ho temuto per la cucina, ma potrei abituarmi all’idea di vederti ai fornelli, sai? E, sì, è squisito».

Ymir registrò l’informazione con soddisfazione. Poteva reputarla una vittoria, considerando che quella era la prima volta in cui affrontava seriamente l’arte culinaria orientale e si cimentava in una vera ricetta made in Asia. Non che solitamente si applicasse in cucina, era abituata a seguire il proprio istinto ai fornelli; istinto peraltro piuttosto basico, dato che prima di Christa la maggior parte dei suoi pasti consisteva in piatti arrangiati alla bell’e meglio. Il più delle volte bruciati. A tal proposito Christa era stata una vera manna dal cielo, non solo si era rivelata una compagna dolce e leale (e un mucchio di altre cose che se solo Ymir si fosse messa a elencarle, avrebbe fatto notte), ma con quelle manine affusolate si era rivelata una cuoca eccezionale.

Ma cucinare per qualcuno poteva portare a dei risvolti infinitamente positivi, questo Ymir lo sapeva bene: ricordava sempre con un sorriso tronfio e soddisfatto di come, anni prima, dopo qualche mese di frequentazione, era riuscita a sedurre l’altra con il suo cavallo di battaglia: il pollo ripieno. In effetti era piuttosto brava con il pollo in generale.

«Domani non hai lezioni, giusto?»

Christa si agitò leggermente sulla sedia, per poi irrigidirsi. «Già, – sussurrò – essendo lutto cittadino, la scuola rimarrà chiusa».

«Ti avevo accennato alla commemorazione decennale per le vittime dell’attacco del 2013... Vorrei presenziassi anche tu alla cerimonia, io sarò lì in qualità di pilot-».

«Non m’importa. Non voglio andarci nemmeno se ci sei tu, Ymir. Soprattutto se ci sei tu».

Ymir si corrucciò. Non stava andando come voleva, nemmeno la carta del pollo al curry stava funzionando.

«Christa, non puoi far finta che non sia successo niente per te in quella data. – Ymir poggiò entrambi i palmi sul tavolo, irritata – Devi andarci. E se non vuoi farlo per te, fallo per me. Sappiamo che potrà solo farti bene».

«Ne abbiamo già parlato».

«Historia» e Ymir vide gli occhi azzurri di Christa spalancarsi di sorpresa, subito sostituita da risentimento e indignazione.
 
«Non chiamarmi così» sibilò con uno sguardo vitreo l’altra.

Non stava decisamente andando come aveva programmato. Nella sua testa Ymir aveva già pianificato tutto da giorni: avrebbe cucinato a Christa pollo al curry, il suo piatto preferito, quello che prendeva sempre al Thai in centro, e poi avrebbe affrontato la questione “cerimonia” mentre lei gustava soddisfatta il piatto e a quel punto l’altra avrebbe dovuto accettare di venire alla cerimonia. Non rifiutarsi così e tagliarla fuori.

A Christa avrebbe fatto solo bene affrontare definitivamente il passato e, invece, si ostinava a fuggire.
Ymir cercò di placare la propria irritazione: darle addosso non avrebbe risolto assolutamente nulla.

«Sindrome premestruale?» provò a buttare sul ridere: il silenzio risentito dell’altra fu una chiara risposta.
«Lo prendo per un sì».
Ancora in silenzio, la più giovane si alzò dalla sedia; parte del pollo nel piatto.

«Christa, scusa, non avrei dovuto» sussurrò Ymir e osservò la schiena della bionda fermarsi un attimo, prima di uscire dalla cucina; improvvisamente il ricordo della litigata di due anni prima la travolse.

Era da quella volta che non sentiva la voce dell’altra incrinarsi tanto di rabbia, da quando avevano litigato per il suo essere pilota. «Non puoi,» le aveva gridato Christa «non puoi farmi questo. Avevi detto che avresti passato la tua vita con me! E se ti succede qualcosa? Se muori?» ed era scoppiata a piangere.

Quel giorno era finita con del sesso rappacificatorio, ma Ymir dubitava che la discussione appena conclusasi avrebbe sortito il medesimo effetto. Anzi, ne era certa.

Si prese la testa tra le mani, frustrata. Le avrebbe anche gridato contro, se solo fosse servito, ma sapeva che alzare la voce avrebbe solo peggiorato le cose.
Perché Christa si ostinava a ignorare l’elefante nella stanza?


I wanna feel what I thought was real


C’era qualcosa di magico nel modo in cui l’aria entrava dai finestrini di quel treno di periferia, insinuandosi sotto le gonne e scompigliando i capelli. Dei signori parlavano a voce bassa in fondo al vagone, sbracati come gatti al sole sui sedili dal tessuto nero; poco lontano, con le labbra impiastricciate e gli occhi svelti, un bambino succhiava rumorosamente un lecca-lecca alla fragola. Fuori scorrevano gli alberi e le case, assieme alla vita delle persone, dentro, invece, era un limbo, un universo a sé stante: un mondo senza Kaiju. Il soffitto rifletteva la luce rotonda di uno specchietto aperto, di quelli da trucco: una donna che forse si incipriava il naso dopo una mattinata di fatiche. Christa intanto si guardava attorno, silenziosa.
Adorava la quiete rumorosa del vagone, l’avanzare ritmico del treno e il sole che filtrava luminoso dalle tendine gialle. Quasi si perdeva in una vecchia routine, dimentica della discussione del giorno precedente.

Quella mattina era uscita senza dire nulla a Ymir, lasciandola mentre si infilava in una rigida divisa militare, quella che era solita utilizzare per gli eventi ufficiali. Di certo non pilotava uno Jaeger così. Christa scacciò il pensiero repentinamente e, inspirato il profumo dolce dell’estate, abbassò la visiera rossa del berretto da baseball, senza fretta, poi si diresse verso le porte automatiche. Le ante arrugginite si aprirono con un rumore metallico e il sole le pizzicò le guance.

Come sarebbe stato tornare dopo dieci anni di assenza?
Ma era già arrivata, ancora prima di aver formulato pienamente la domanda.
Quanto tempo, si ritrovò a pensare, guardandosi attorno con occhi lucidi.

Si ritrovò a camminare automaticamente e quasi senza accorgersene era già giunta davanti alla propria casa, quella vecchia, di quando era bambina, dove aveva vissuto la prima adolescenza: la casa di Historia. Il passato in quel momento la travolse con la potenza di una tempesta e la pace di poco prima svanì di colpo.



Il pulviscolo fluttuava, smosso, e il sole del mezzogiorno entrava senza permesso dalla porta ancora aperta; pareva che, sotto le ragnatele e gli anni di polvere, tutto e nulla fosse cambiato dall’ultima volta. Non c’era niente di riconoscibile in quella caotica selva di travi spezzate, ma era tutto dolorosamente familiare. Notò con un moto di nostalgia che sul tavolo, intatto, c’erano ancora i suoi libri di scuola.

Christa sospirò: era arrivato il momento di fare i conti il passato. Lasciò aperta la porta e si rimboccò le maniche, c’erano così tante cose che avrebbe voluto toccare e vedere che quasi la colse l’ansia. Tranquilla, Christa. Va tutto bene.


I wanna let go of the pain I've felt so long


«Alla fine mi hai ascoltato e in qualche modo il passato hai deciso di affrontarlo». La voce di Ymir, dolce, le raggiunse alle spalle mentre era china a frugare in un cassettone.
Christa si immobilizzò, non sapendo cosa fare.

«Sapevo che saresti venuta qui, sai? Chiamiamolo intuito femminile» le sussurrò l’altra all’orecchio, stampandole un bacio sulla tempia coperta da fini capelli biondi: si era appena chinata accanto a lei.

«Non dovresti essere alla cerimonia?» chiese Christa, girandosi leggermente e osservandola negli occhi.
Ymir le sorrise.

«Il prossimo attacco è previsto fra ventisette giorni: un giorno ogni tanto posso anche prendermelo e quella è solo una cerimonia, nemmeno una sessione di allenamento».

«Reiner ti ucciderà» borbottò Christa, tornando a frugare nel cassettone in cerca di chissà cosa.

«Reiner non mi ucciderà» ridacchiò Ymir, immaginandosi il co-pilota corrucciato, mentre alla cerimonia faceva andare gli occhi da un lato all’altro del palco e della platea improvvisata, cercandola. Probabilmente per farmi perdonare dovrò offrirgli una birra, riflettè e alzò gli occhi al cielo.

«Sbagliavi» proruppe improvvisamente Christa.

«Sbagliavo?»

«Sì, Ymir. Quando dicevi che mi avrebbe fatto bene confrontarmi con il passato, sbagliavi».

«Starai meglio, poi» la consolò.

«Ma adesso fa male, più di prima».

La mora le prese il volto tra le mani: «È per questo che sono venuta qui» e la baciò. «Che ne dici di prendere un po’ d’aria e uscire da qui, Christa? Questo posto ha tutta l’aria di essere sul punto di crollarci addosso».



Da fuori la casa sembrava più malmessa di quanto fosse in realtà, Christa se ne accorse solo in quel momento, quando con accanto Ymir prese a osservare con occhi spenti il tetto imbarcato, parzialmente crollato. L’umidità non era stata gentile con la struttura.

«Qui è morta Historia, dieci anni fa. La me di dieci anni fa è rimasta dentro questa casa, è morta camminando qualche via in là, è morta assieme a mia madre».

Ymir trattenne il fiato di fronte a quell’improvvisa confessione. Christa odiava parlare del proprio passato, ma più di tutto odiava parlare di sua madre; da quel poco che le aveva accennato, sapeva che il loro rapporto era semplicemente malsano. Abusivo, probabilmente.

Ma questo non aveva impedito a Christa di soffrire per la sua morte. Quando le aveva raccontato di come aveva aiutato sua madre, tramortita dagli effetti delle droghe, a trascinarsi per le strade di San Francisco durante il primo attacco kaiju, Ymir aveva spalancato la bocca e non aveva saputo ribattere. Il fatto che il kaiju, poi, le avesse raggiunte e avesse schiacciato sua madre davanti ai suoi occhi di tredicenne, era a dir poco agghiacciante.

Christa era una miracolata: pochi potevano vedere un kaiju così da vicino ed essere vivi per raccontarlo. Non che fosse quel genere di persona da perdersi in chiacchiere e vantarsene in giro.
Ignorare il tutto era stata la soluzione che Christa aveva scelto per anni, ma qualche volta era impossibile scappare ai ricordi.
Era stato in uno di quei giorni che aveva raccontato di Historia all’altra, del fatto che avesse cambiato nome, provando a tagliare i ponti con tutto quello che era venuto prima. Cominciando innanzitutto dal nome.

«Ymir?»

La donna si riscosse.  «Sì?»

«Secondo te posso venderla, la casa?»

«Non saprei. Credo che ormai non ti appartenga più. Ma potremmo darle fuoco». Il fuoco è il miglior purificatore di sempre, no?

«Non ti facevo piromane, oltre che masochista» la punzecchiò Christa, senza entusiasmo.

«O, se vuoi, la prossima volta che sono nello Jaeger, io e Reiner facciamo una capatina in città e la spiaccichiamo casualmente».

«Non è necessario» rise leggermente.


Erase all the pain till it's gone


Christa si abbracciò le ginocchia, accasciandosi con un sospiro sul divano. Così rannicchiata si sentiva stranamente al sicuro e, quando sentì le dita di Ymir, seduta accanto a lei, accarezzarle i capelli e scendere sino alle guance, si rilassò ulteriormente, allungando le gambe.

Un brivido di piacere partì dalla schiena, irradiandosi lungo il collo, al tocco improvviso dell’altra sul suo bassoventre: le unghie di Ymir la solleticarono, facendole contrarre la pancia piatta.

Sollevò la testa per incontrare le labbra dell’altra in un bacio che aveva poco di casto, mentre le spostava delle ciocche more dal viso.
Bellissima, pensò.
Ymir interruppe improvvisamente il bacio e Christa, interdetta, sentì il suo respiro sulla pelle.

«Ti ho comprato una cosa» le disse, per poi catturare subito dopo le labbra umide dell’altra.

Senza nemmeno rendersene conto, la bionda si ritrovò incastrata tra il corpo caldo di Ymir e il divano; una mano della più grande già a cingerle la schiena da sotto la maglietta.

«Adesso sono curiosa» sussurrò contro il suo orecchio, mentre l’altra prendeva a baciarle l’incavo del collo. Quando la morse leggermente, le sfuggì un gemito.
Christa le carezzò una guancia, per poi sgusciare da sotto di lei.

«Prima il regalo» ridacchiò.

Ymir sbuffò, rimpiangendo d’aver aperto bocca, e una volta tornata a sedere recuperò dalla tasca dei jeans un pacchetto.

«Tarocchi, – bisbigliò all’orecchio di Christa che, sorridendo, le stava di fronte – ho intenzione di leggerti il futuro».

L’altra corrucciò le sopracciglia tra il divertito e il curioso come a dire “eh?”, poi le prese con delicatezza le carte dalla mano. «In realtà non mi piace scherzare sul futuro» disse, cominciando a sfogliarle e soffermandosi sulle immagini.
Alcune erano davvero inquietanti.

«Direi che non è il regalo più azzeccato che ti abbia fatto» convenne Ymir con espressione rammaricata. «Potresti portarlo in classe e minacciare i mocciosi che, se non fanno i bravi, predirai loro il futuro; un futuro chiaramente catastrofico fatto di castighi, gelati mancati e bulli» continuò, con un luccichio divertito negli occhi.

Christa rise di gusto, mettendo da parte le carte e sistemandosi tra le braccia dell’altra. «Davvero vorresti trenta madri infuriate che battono contro la nostra porta?» domandò. «Promettimi che non te ne andrai mai, Ymir» bisbigliò poi, ripensando alla giornata appena trascorsa.
Tornare là era stato spossante, ma le aveva fatto bene. Adesso stava meglio.

Non si aspettava una vera risposta, forse un bacio, ecco.

«Lo sai che ti amo in qualsiasi modo tu voglia farti chiamare, vero?»

Christa sorrise. «Ma stai zitta, testona» ribatté intimamente appagata.

«La proposta per la cattedra è ancora valida, eh, anche se per adesso il letto è una perfetta alternativa». E Ymir la prese in braccio a sorpresa, con un sorriso languido, senza trovare nessuna resistenza da parte dell’altra.

La porta della camera da letto si chiuse dietro di loro, mentre una risata cristallina si spegneva nell’aria.


Questa fanfiction ha una storia travagliata: è stato quasi parto, ahah. Nasce in un primo momento dai prompt di un contest indetto da Mokochan nell’estate del 2015 (dal quale sono stata costretta a ritirarmi per mancanza di ispirazione), viene poi rimaneggiata a distanza di qualche mese (per lo più si è trattato di piallare certi orrori/errori) e trova infine la sua conclusione in occasione di questa data, cara a _Schwarz, alla quale dedico questa one shot. (È tutta-tutta per te, riscritta e terminata only for you! ♥) Ammetto che è stata una vera soddisfazione dare finalmente una parola fine a questo file che non voleva saperne e di concludersi e a tal proposito ringrazio di cuore _Branwen_ per la consulenza sull’IC di Ymir e Historia. La canzone è Somewhere I Belong dei Linkin Park.
   
 
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