Lo Spadaccino
La
ladra fissava lo scoppiettare vivace del fuoco da campo che aveva
acceso, tenendosi le gambe strette al petto. Era l'unica sveglia,
attenta a qualsiasi cosa si muovesse durante il suo turno di guardia,
mentre i suoi occhi si abituavano all'oscurità che la
circondava.
Anthel le aveva da poco dato il cambio ed era crollato l'istante
stesso in cui aveva chiuso gli occhioni verdi, appesantiti dalle tre
ore di veglia a cui era stato costretto. Aveva l'aria più
stanca del
solito e non per via del combattimento contro la chimera o per il
turno di veglia, ma pareva veramente strano, forse malaticcio.
Teranis
lanciò poi un'occhiata furtiva al Principe Elorin, che
dormiva con
la testa poggiata sul pancione di Darn, costretto da Sua
Maestà a
togliersi la possente armatura per riuscire a stare più
comodo,
mentre il povero generale era bloccato a dormire come una specie di
mummia.
“Che
idiota...” borbottò la ragazza, posando la sua
attenzione agli
enormi piedi dell'unico adulto presente. Grande e grosso com'era, si
chiedeva perché sottostasse agli ordini di un moccioso senza
fiatare, ma sicuramente con il vecchio regnante una cosa del genere
non sarebbe successa. Invece, accanto a lei, lo stregone dormiva in
posizione fetale, tremando come una foglia, nonostante il fuoco
ardesse a meno di un metro da lui. Tera lo squadro dalla testa ai
piedi e rifletté sulla richiesta che le aveva fatto, dettata
più
dall'isterismo del momento che dalla sua volontà. Salvare la
principessa al suo posto? Quell'idea le sembrava fin troppo stupida
per poter essere presa in considerazione, lei non aveva niente a che
fare con quella ragazza e sicuramente non aveva voglia di farsi
coinvolgere da loro. Eppure si chiese ancora perché non se
ne fosse
andata prima. Ne
aveva avute di occasioni! Quando li aveva liberati
per uccidere l'orco, quando aveva incontrato Elorin sul campo di
battaglia, quando aveva lasciato la stanza dell'Oracolo! Eppure era
ancora lì con loro, ormai a parecchi chilometri da casa sua.
“Mi
chiedo che ne è stato dell'esercito...”
mormorò, ricordandosi
della loro fuga nel bel mezzo di quel sanguinoso conflitto da cui
erano usciti indenni grazie a quel misterioso spadaccino. La ragazza
si guardò attorno e si chiese ancora perché fosse
lì a fare la
guardia, mentre probabilmente, a causa dell'inettitudine dell'unico
sovrano presente a Mistral e della sua boccaccia, centinaia di uomini
erano rimasti feriti e spaesati senza la guida del proprio Generale.
Teranis sbuffò e si sdraiò a contemplare le
stelle, appena visibili
attraverso una spessa coltre di nubi che minacciavano tempesta.
“Avremmo
dovuto proseguire un altro po'... Sarebbe stato il caso di trovare un
riparo, ma 'Sua Altezza' era troppo pigro per continuare a
camminare... Idiota” borbottò al vento, mentre
Anthel rotolava
lentamente verso di lei, con il suo viso ricoperto di lentiggini e
graffi. La ladra allungò la mano verso quel volto che spesso
avrebbe
voluto prendere a schiaffi e gli scostò una ciocca di
capelli blu
dalla fronte. Da una parte lo compativa, almeno lei aveva la
possibilità di andarsene, ma non Anthel, legato da qualche
scherzo
del destino ad un Principe piantagrane. La ragazza gettò la
testa
all'indietro per un ultimo controllo e ritornò a fissare il
cielo,
in attesa che il Generale si svegliasse per darle il cambio.
“T-Teranis?
Teranis?”
La
ragazza si stiracchiò con gusto, poi aprì un
occhio e si ritrovò
il viso di Anthel a pochi centimetri dal suo. Rimase un attimo
interdetta da quella vicinanza, poi colpì immediatamente lo
stregone
con la mano per allontanarlo.
“Che
diamine stai facendo?”
“P-Perché
mi h-hai colpito?”
Anthel
era seduto accanto a lei, lamentandosi del dolore alla guancia e
dell'impulsività della sua compagna di viaggio. Si
massaggiava il
viso con la mano, mentre gli occhi erano sul punto di riempirsi di
lacrime e imploravano la ladra di non colpirlo più.
“Non
ti azzardare più ad avvicinarti in quel modo! Piuttosto,
perché mi
hai svegliata?”
Teranis
si accorse poi di essersi addormentata, cosa che non faceva mai al
suo campo, poi si guardò attorno, senza trovare
né Elorin né il
Generale Darn. Afferrò Anthel per la sciarpa rossa
dell'armatura e
lo aggredì, chiedendogli perché non l'avesse
svegliata prima. Lo
stregone implorò la sua pietà e cercò
di liberarsi delle forti e
possenti mani della ragazza, che lentamente lo stavano portando
all'asfissia.
“L-Lasciami!
M-mi sono svegliato anche io adesso!” fece una volta libero,
carponi che cercava di mettere qualche metro di distanza da lei. Tera
si alzò di scatto e afferrò la sua cintura, da
cui pendevano le sue
letali lame, poi afferrò Anthel per il colletto e lo
sollevò.
“Andiamo
a cercare quei due!”
Lo
stregone mugolò qualche parola incomprensibile, starnutendo
di tanto
in tanto. Appena sveglio, aveva la testa leggera, strana, come se non
fosse totalmente padrone di se stesso. Cercò quindi di darsi
una
raddrizzata, poi si mise alle calcagna della ladra e cercò
di stare
al passo, con il naso che aveva iniziato a colare.
“Fai
veramente schifo...” borbottò Teranis, passandogli
un fazzoletto e
iniziando a correre verso est.
“M-Ma
da che parte andiamo?”
“Verso
quelle tracce!” fece indicando dei segni sull'erba, che
sembravano
essere impronte di pesanti zampe e corde trascinate. Lo stregone
scosse la testa e si rimproverò di non essersene accorto
prima,
perciò si mise in moto e seguì la tanto
pericolosa ladra.
Il
cielo notturno era nero come la pece, carico di nuvole dall'aspetto
poco rassicurante che si erano formate durante tutta la giornata.
La
compagnia aveva lasciato il monastero di buon ora, fermandosi solo un
paio di volte, tra cui per la pausa pranzo e ogniqualvolta Elorin
iniziava a lamentarsi come un bambino. Il viaggio era stato forse uno
dei più tranquilli che avevano compiuto, a Ovest di Albia,
in
direzione della prossima stele che presumibilmente si trovava in un
villaggio chiamato Kratos.
Anthel
arrancava dietro a Teranis, che pareva non aver voglia di seguire il
sentiero battuto nel corso di migliaia di anni, scagliando fendenti e
tagli sulla fitta boscaglia che le bloccava il cammino.
Dovrei
cercare di starle lontano,
pensò
Anthel, mentre sentiva la testa gonfia e ovattata. Il ragazzo non era
un medico, ma si diagnosticò da solo un bel raffreddore,
oppure un
colpo di stanchezza dovuto alla terribile settimana appena passata.
“Non
riesco a crederci! Come hai fatto a non svegliarti?!”
“N-Non
ti sei svegliata nemmeno tu, se per questo!”
mormorò l'apprendista
cercando di non farsi sentire dalla ragazza.
“Cosa
hai detto?!”
“N-Niente...
Sono solo un po' stanco...”
“In
effetti non hai una bella cera, saresti una preda facile per
qualsiasi cosa uscirà fuori da questa boscaglia!”
Lo
stregone avvertì la gola stringersi dal terrore che quelle
parole
gli avevano suscitato e rallentò appena, mettendo altri due
passi di
distanza dalla ladra. Si rimise a starnutire e tossicchiare, mentre
sopra di lui, attraverso le fronde degli alberi, il cielo minacciava
tempesta. Il naso aveva iniziato a colare come un rubinetto rotto,
gli occhi si erano gonfiati impercettibilmente e sentiva uno strano
formicolio alla base della gola. Non riesco a credere di
starmi
ammalando ora...
“Sta
per piovere... Forse dovremmo sbrigarci...” fece piano, ma la
ladra
lo sentì lo stesso.
“Se
succederà, lasceremo che quell'idiota se la cavi da solo per
qualche
ora, almeno finché non smetterà di piovere! Sei
d'accordo?”
La
voce di Tera uscì come un sibilo minaccioso, come le nuvole
che
incombevano sopra le loro teste, dopo un'estate incredibilmente
torrida e secca. La ladra non ricevette di nuovo nessuna risposta e
si girò verso l'apprendista, che se ne stava in piedi
pallido e
ciondolante. I due non avevano idea in che razza di guaio si era
ficcato il principino, ma né il tempo né la cera
dello stregone
sembravano essere dalla loro parte. Tra orchi, chimere e quant'altro,
la faccenda non si stava evolvendo nel migliore dei modi,
perciò la
ragazza si avvicinò a lui e mossa a compassione gli porse la
lama
che teneva nella mano destra.
“Sul
serio, sei uno straccio! Prendi questa e dammi quella spada: non
riesci a usarla quando sei nel pieno delle forze, figuriamoci
adesso!”
Anthel
tirò su col naso, ormai certo di essere vittima di un
fastidioso
raffreddore che aveva deciso di rendergli la vita ancora più
complicata e maledì mentalmente il principe, perso
chissà dove
nella foresta. Il povero stregone aveva le testa in fiamme, mentre il
resto del suo corpo tremava a causa forse della scampagnata a notte
tarda, forse per l'umidità che saliva. Il giovane
borbottò ancora
qualche insulto al suo biondo sovrano e nella testa
ringraziò
Teranis per essere lì con lui: Dio solo sa cosa gli sarebbe
successo
se la ladra lo avesse abbandonato, ma grazie al cielo lei era ancora
lì.
“Mi chiedo
ancora perché ti
ostini a portare quella spada larga... Ne dovresti usare una
corta...”
Dillo
al Principino dei Miei Stivali...
Teranis gli consegnò la scimitarra
e prese l'arma del giovane che aveva di fianco, senza che questo
potesse nemmeno opporsi o dire qualcosa. Quello che Teranis diceva,
andava fatto senza se e senza ma.
“Sei ridotto ad
uno straccio e mi
fai pena. Ti presterò questa solo perché stai
male e so che
riuscirai a tenerla su...”
“Ne sei sicura?
Non vorrei
romperla...” borbottò tra un paio di colpi di
tosse. Il giovane
cercava ovviamente di rimanere sveglio ma ancora non capiva se si
trattasse di influenza o qualcosa di simile, ma stava di fatto che
l'inseguire i fantomatici rapitori dell'erede di Mistral non era la
migliore delle cose da fare.
“Nel caso,
prima ti strozzerò,
poi me ne farò comprare una da quell'idiota! Di denaro ne ha
da
vendere!”
Anthel ridacchiò alla battuta
assolutamente veritiera e si sistemò come meglio poteva,
alzandosi
fino al naso la sciarpa rossa che adornava la sua armatura.
Dall'inizio del viaggio un po' l'aveva maledetta, perché
troppo
pesante e calda per essere indossata in piena estate, ma in quel
momento era più che perfetta: almeno si sarebbe potuto
coprire e
riparare dall'imminente acquazzone. Strinse l'elsa della scimitarre e
tentò qualche fendente a vuoto, constando una
velocità e leggerezza
che non aveva ancora provato con l'arma donatagli dal suo sovrano,
poi un tuono rimbombò per la foresta, facendoli sussultare.
La
pioggia non tardò ad arrivare e ben presto i due si
ritrovarono
sotto ad una doccia fredda. L'acqua iniziò a cadere con
forza, tutto
intorno a loro divenne sfocato attraverso le fitte gocce che non
permettevano loro di vedere a un palmo da naso.
“Dannazione!
-sbraitò la
Principessa dei Ladri -Ci mancava solo questo!”
Lo stregone riprese a tossire e a
starnutire, molto più forte di prima, come se quel temporale
avesse
dato un'impennata al suo corpicino ormai troppo sbatacchiato. Era
sì
pallido, non aveva mai avuto molto colorito, eppure aveva le guance
in fiamme e gli occhi gonfi e rossi.
“Cerchiamo un
posto dove
accamparci! Se peggiorassi, sarebbe un bel problema!”
“Ma dobbiamo
recuperare Elorin...”
“Quell'idiota
saprà cavarsela,
per un paio di ore. Poi con lui dovrebbe esserci Darn!”
“Non... Non
posso lasc...
Lasciarlo così! Sefia mi ucciderebbe... E forse anche il
resto del
Regno...”
Teranis rivolse gli occhi al cielo.
E rieccolo, a parlare ancora di quella ragazza! Anthel si era pianto
addosso per tutto il tempo da quando avevano sconfitto la chimera, o
perlomeno se ne era stato zitto a rimuginare su come l'avesse persa.
Teranis non sopportava più quella sua espressione da cane
bastonato,
in più continuava a pensare alla proposta che le aveva
fatto,
mettendola a disagio. Non sarebbe stata lei a salvare la Principessa,
forse non sarebbe stato lui a farlo e nemmeno Elorin, ma sicuramente
un modo lo avrebbero trovato.
“Sta di fatto
che sei malato, caro
signor Eroe! Evita di comportarti come tale, quando potrei buttarti
giù con un dito...”
Ci fu un altro boato che fece
rabbrividire la ragazza, nascosta sotto al sue bel cappuccio di
cuoio. Grugnì qualche altra imprecazione sotto voce e
riprese a
trascinare Anthel nella boscaglia, in cerca di un rifugio. Anche
un buco va bene!, le venne da pensare, stringendo i denti
mentre
il ragazzo che aveva iniziato a considerare un amico diventava sempre
più pallido, Non posso trascinarmelo dietro per
tutto il Regno in
queste condizioni!
“ANTHEL! TERA!
AIUTATEMI, PER
L'AMOR DEL CIELO!”
Anthel alzò la testa di scatto,
ascoltando la voce di Elorin che spiccava tra lo scrosciare della
pioggia. Non disse nulla e si divincolò dalla ragazza, che
non poté
non trattenere un EHI parecchio scocciato.
“Sappiamo
dov'è! Non... Non posso
lasciarlo da solo...”
Lo stregone si mise ritto sui piedi
dopo aver tossito nuovamente l'anima e si mise a correre verso il
punto da cui aveva sentito il suo sovrano. Quella era la prima
traccia e sapeva che il giovane erede avrebbe attirato non solo lui,
ma anche i suoi rapitori, perciò decise di non dar peso alle
parole
della ladra, che ancora cercavano di dissuaderlo dalla ricerca. Forse
sotto sotto, Anthel sapeva che Teranis voleva far camminare Elorin
con le proprie gambe almeno una volta, ma lo stregone proprio non
riusciva a lasciar perdere.
“Sei una testa
di legno!” fece
allora Tera, senza che le sue parole raggiungessero il ragazzo.
*****
Anthel camminava sotto la
pioggia,
strizzando gli occhi per riuscire a distinguere la sagoma di Elorin
da quella dei suoi rapitori. Non aveva più sentito la sua
voce,
forse perché coperta dallo scrosciare di un lunghissimo
acquazzone
estivo che non ne voleva sapere di smettere, oppure perché
aveva la
testa talmente congestionata da non distinguere più i suoni.
Camminava piano, ciondolando la
scimitarra della ladra, senza essersi accorto di star vagando da
solo. Niente Teranis, niente Elorin e niente Darn. L'idea di
ritrovarsi da solo lo metteva a disagio, ma tutti i suoi pensieri
venivano troncati sul nascere dal sangue che gli pulsava forte nelle
tempie.
“Anthel?”
Una voce terrorizzata fece alzare il
capo al giovane stregone, che aveva continuato a muoversi guardandosi
i piedi, con la paura di inciampare in qualche radice o buco.
Di fronte a lui c'era una figura
minuta che si muoveva sgraziatamente, coprendosi la testa con le
braccia e finendo con i piedi in ogni pozzanghera a tiro. Elorin
imprecava e sbraitava contro Anthel affinché questo lo
raggiungesse.
Voleva essere preso in braccio e voleva vestiti puliti e asciutti,
tutte cose che il povero apprendista non possedeva; se fossero
esistiti incantesimi per soddisfare i bisogni del Principe, non ci
avrebbe pensato due volte a studiare fino a notte tarda. Tutto quello
che ricordava in quel momento era solamente come respirare, assieme a
qualche stupido incantesimo per far levitare le cose. In quel momento
avrebbe voluto ricordare tutto quello che aveva appreso nel corso dei
dieci anni che aveva vissuto al fianco di uno dei Grandi Eroi di
Mistral, eppure proprio non ci riusciva.
Il giovane dalla chioma blu mosse
qualche passo verso il principe, che finalmente si decise ad andargli
incontro, quando alle sue spalle udì i terribili versi dei
suoi
rapitori. L'erede corse in fretta verso lo stregone e dalla boscaglia
apparvero cinque piccoli troll, della stessa specie che il Gran Mago
usava come cavie da laboratorio. Eppure quelli che avevano davanti
erano ben più terribili di quelli che l'apprendista era
abituato a
vedere: di pelle ancora più violacea, il loro colorito
rasentava
quello di una mora matura, mentre dalla bocca spuntavano ben sei file
di denti, tre per l'arcata superiore e tre per quella inferiore; le
zampe erano tozze e dotate di lunghe dita rinsecchite, che Anthel
aveva sempre nascosto in sacchetti di tela a mo' di mocassini, mentre
il torso si presentava grassoccio e ricoperto di pelli di animali
scuoiati da poco.
Quella vista lo fece impallidire di
botto, come se il raffreddore non bastasse, e cercò di
mantenere il
controllo sul suo stomaco, impedendosi di rimettere la cena.
Sono disgustosi,
pensò mentre il più grosso si muoveva verso di
loro, con tutta
quella pelle flaccida che dondolava dalle braccia. Avrebbe voluto
fuggire ed evitare di toccarli, perché il semplice estrarre
denti
per lui era già abbastanza insopportabile: altro non avrebbe
potuto
sopportare.
Si mise in guardia e appena Elorin
lo raggiunse, si mise di fronte a lui per proteggerlo, in attesa che
quelle immonde creature li raggiungessero. I piccoli esseri, armati
di lance da cui pendevano ancora resti di animali, si avventarono sui
due ragazzi. Lo stregone mormorò qualche incantesimo che non
riuscì
a completare a causa di uno starnuto, perciò
iniziò ad agitare la
lama per aria, con l'unico risultato di allontanare un po' i suoi
avversari. Elorin gli stringeva il braccio libero e lo tirava
indietro, come se chiedesse di lasciar stare quelle creature e
iniziare a correre.
“Avanti,
scappiamo!”
“C-Ci
inseguiranno! E dov'è il
Generale?” chiese lo stregone con voce roca, rotta dai primi
sintomi di un mal di gola. Il principe lo squadrò dalla
testa ai
piedi e gli chiese cosa avesse, ma prima che lui potesse rispondere,
il troll più grande si gettò su di loro con un
grido inumano e
terribile. Anthel spinse Elorin di lato e si ritrovò a
terra,
sovrastato dalla creatura che tanto ripugnava.
Iniziò ad urlare e a chiedere
aiuto, invocando il nome di Teranis e Darn, ancora lontani e persi
chissà dove.
“Piuttosto,
dov'è Tera?!”
chiese il Principe nel panico, tremando come una foglia e incapace di
intervenire.
L'apprendista non aveva il tempo per
rispondere all'amico, stava ancora rotolando tra fango e pozzanghere
per togliersi di dosso la bestia, mentre i compagni di questa si
avvicinavano lenti e minacciosi. Elorin lanciò un urlo
stridulo
quando Anthel riuscì a scalciare via il troll, che
rovinò verso i
suoi amici come un sacco di patate.
L'erede di Mistral afferrò la mano
dello stregone e cercò di tirarlo su, appesantito com'era
dalla
cotta di maglia e dai vestiti fradici. Il giovane dai capelli blu
scalciava e lanciava fendenti scoordinati, mentre nella testa non
riusciva a ricordare mezzo incantesimo che potesse aiutarlo ad uscire
da quel pasticcio. Gli altri quattro mostri poi si lanciarono
all'attacco ed entrambi chiusero gli occhi, terrorizzati da quei
volti disgustosi.
“State
bene?” chiese una voce
maschile, che li costrinse ad aprire gli occhi.
La bestia che aveva assalito Anthel
era stesa a terra, priva di vita e la bocca spalancata con i suoi
numerosi denti, mentre tutti gli altri avevano fatto la stessa fine a
pochi passi dai due ragazzi. Di fronte a loro, si stagliava la figura
nera del guerriero che aveva rubato il tesoro della famiglia Reale.
“Stai lontano
da quei due!”
La voce di Teranis risuonò per la
foresta, seguita poi da un tuono che rimbombò nelle orecchie
congestionate dello stregone. La ragazza era spuntata da dietro un
cespuglio e fissava in cagnesco il misterioso ragazzo, che subito
raddrizzò la schiena e mosse qualche passo indietro,
mostrando alla
ladra due ragazzini salvi e una carcassa già dall'odore
insopportabile.
“Allontanati di
più!” fece
puntando la scimitarra contro di lui. Il suo tono era glaciale,
più
freddo della stessa pioggia che probabilmente arrivava dalle montagne
e gli occhi erano puntati sull'uomo incappucciato, guizzando di tanto
in tanto verso i suoi due compagni di viaggio.
L'uomo conficcò la sua doppia lama
rossa nel terreno e indietreggiò ancora, con le mani alzate,
mentre
Tera raggiungeva gli altri due, ancora a terra.
Elorin si era lanciato su di lei e
le aveva gettato le braccia al collo, facendola inciampare e cadere.
Quella vicinanza l'aveva tramortita, non riusciva a credere che
quell'idiota avesse osato saltarle addosso, per di più
sporco di
fango; avrebbe già dovuto rinunciare a dormire con dei
vestiti
asciutti, ma ritrovarsi completamente sporca le aveva fatto salire il
sangue a cervello. Gli diede perciò una ginocchiata allo
stomaco e
si alzò con un balzo, disgustata e da una parte imbarazzata.
Per un
attimo fu come se si fossero scordati del misterioso spadaccino,
ancora in piedi vicino alle carcasse.
Anthel era ancora seduto a terra,
stanco e confuso, mentre Elorin al suo fianco boccheggiava e inveiva
contro la loro amica. Il guerriero incappucciato si avvicinò
senza
farsi notare da Teranis e porse la mano allo stregone, che
accettò
senza riserve. Il suo istinto di sopravvivenza lo aveva abbandonato
completamente, ormai distingueva a malapena chi gli stava intorno,
perciò si rizzò in piedi e ringraziò
il guerriero con un cenno
della testa. Anthel ebbe l'impressione di vedere un mesto sorriso
sotto a quel cappuccio, da cui spuntavano alcuni ciuffi di capelli
neri come il suo mantello. Lo stregone vide la bocca contrarsi ancora
per dire qualcosa, mentre la pelle attorno alla cicatrice si muoveva
come fosse cuoio.
Il misterioso spadaccino trattenne
le parole ed ebbe un sussulto quando si sentì addosso lo
sguardo
indagatore del giovane apprendista, che ormai era arrivato allo
stremo delle forze.
Anthel aveva abbassato la testa e si
era lasciato cadere sul petto del guerriero; fu allora che Teranis si
accorse di quella vicinanza. La ladra intimò a Elorin di
mettersi in
piedi e tirò via lo stregone come fosse un sacco di patate,
gettandolo in braccio al Principe.
“Tu! Chi
diavolo sei? Perché sei
sempre tra i piedi?!” sbraitò la ladra, afferrando
la sua seconda
scimitarra dalla mano inerme di Anthel. Si era messa in guardia,
mordendosi le labbra per trattenere la rabbia. Quel tipo non le
piaceva, fin dal primo momento in cui aveva incrociato il suo
sguardo: quel misterioso giovane era semplicemente apparso una notte
e aveva fatto irruzione in un luogo sacro, dove solo certe persone
avevano il diritto di entrare. Che fosse l'uomo annunciato
dall'oracolo non ne era certa, non era stato lui a risolvere la
situazione ma aveva semplicemente dato una mano, per poi fuggire
senza dire una parola con un oggetto di grande importanza.
“Sei sospetto!
Chi sei?!” chiese
ancora, mentre spingeva Elorin lontano da loro. Avrebbe combattuto e
si sarebbe presa ciò che le era dovuto, ossia il tesoro. E
non solo,
gli avrebbe dimostrato di essere la più forte e che non
aveva
bisogno del suo aiuto per fare da balia ai due ragazzi. Era
determinata a mostrarsi per quella che era, ossia una delle guerriere
più letali del Regno.
“T-Tera?
Dov'è Darn?”
“Si trova in
una grotta a est, vi
sta aspettando! E io sto aspettando una tua risposta!”
Lo spadaccino si avvicinò alla sua
arma e la sollevò da terra con estrema facilità,
come se quel
pesante oggetto pesasse come una piuma. La reazione della ladra fu
quella di mettersi in guardia e avanzare di qualche passo, ma il
giovane fece un inchino e si voltò, pronto a fuggire di
nuovo.
“EHI!”
“Non
è necessario che sappiate il
mio nome... Qui intorno mi conoscono come Lamarossa... Piuttosto, vi
conviene portare il vostro amico al riparo prima che si ammali per
davvero!”
Dette quelle poche parole, Lamarossa
corse via e sparì nel bosco, come fosse stato un fantasma di
passaggio. Teranis era rimasta immobile come una statua, non
aspettandosi nulla di quello che il guerriero aveva appena fatto,
lasciandola così nel bel mezzo di quello che lei credeva
fosse un
duello.
Intanto Elorin se ne stava in piedi
a pochi passi dietro la ragazza, con Anthel che diventava sempre
più
pesante e difficile da reggere. Lo stregone pareva essersi
addormentato, aveva un'espressione tranquilla e pacata, nonostante
l'evidente raffreddore. Tera si voltò per aiutare Elorin a
trascinarsi dietro il presunto Eroe e si diressero a est.
*****
Le vie di Kratos erano
immerse nel
silenzio più totale. La pioggia batteva furente sul terreno
fino a
quella mattina arido. Tutte le finestre erano barricate, nemmeno una
luce si vedeva all'interno delle case.
Il guerriero camminava a passo
spedito sotto il forte temporale, ondeggiando piano la pesante lama
rossa, dirigendosi verso una piccola costruzione fatiscente. Il
giovane contrasse le labbra in una smorfia infastidita, mentre il
vento si insinuava sotto al suo mantello, facendolo rabbrividire. La
temperatura a Mistral era sempre stata alta e per tutto il tempo era
stato faticoso per lui andare in giro con quel mantello, che molto
spesso avrebbe voluto abbandonare in strada, eppure quel giorno un
freddo improvviso si era fatto strada dalle montagne, migliorando un
po' la sua condizione.
“Forse avrei
dovuto darlo a quel
ragazzino...” borbottò, tirandosi il cappuccio
fino al naso, per
proteggersi da una fortissima folata di vento e pioggia. Si chiese
allora se quei tre avessero trovato un rifugio, o almeno un piccolo
riparo per la notte per aiutare quel giovanotto dai capelli azzurri.
Lo aveva guardato con curiosità, a stento era riuscito a
trattenere
una risata di fronte a quella faccia lentigginosa tutta rossa e la
chioma blu.
“Chissà
cos'aveva da guardare...”
fece mettendo la mano sul pomello di una vecchia catapecchia, chiusa
da una porta di legno marcio. Appena entrato, si ritrovò
investito
da una nuvola di fumo maleodorante, proveniente dagli avventori della
taverna intenti a fumare e mangiare. Il silenzio che prima regnava
sovrano venne interrotto dal frastuono di stoviglie e bicchieri che
tintinnavano, assieme al rude e barbarico ciarlare degli avventori
del locale. Musica, grida e rutti la facevano da padrone e il giovane
fu certo che se anche si fosse allontanato di qualche metro, avrebbe
comunque udito indistintamente tutte quelle voci.
Lamarossa storse il naso e
indietreggiò di qualche passo, sentendo la pioggia
ticchettare sulle
sue spalle. L'idea di entrare lo fece rabbrividire, ma lì
dentro
c'era qualcuno con cui doveva parlare assolutamente. Il giovane si
fece coraggio e cercò di sistemare la pesante arma, stando
attento a
non urtare nessuno. La taverna era infatti piena di persone ubriache,
intente a scolarsi bicchieri su bicchieri a tarda notte, magari
trattenendo al minimo quello che doveva essere il loro senso di
civiltà.
Lo spadaccino si infilò perciò tra
i tavoli macchiati a piccoli passi, scuotendo la testa all'ennesimo
ricordo delle sue scazzottate da bar. Da allora ne era passato di
tempo, lui stesso era diventato più maturo e meno impulsivo.
Ormai
non trovava nessun tipo di divertimento nel prendere a pugni le
persone, anche solo per qualche motivo futile. Gli sovvennero quei
giorni in cui ancora non sapeva cosa dovesse fare della sua vita,
quando aveva perso le speranze di ritrovarlo e aveva deciso di
lasciarsi andare, dando sfogo alla sua frustrazione con i pugni e i
calci.
Ma ora che aveva chiaro il suo
obiettivo, non aveva più tempo da perdere.
Quando raggiunse il bancone, ordinò
sommessamente un bicchiere d'acqua e si guardò attorno,
vedendo al
suo fianco un uomo anch'egli incappucciato. Questo muoveva le dita
raggrinzite sul bancone, verso una ciotola di frutta secca da
accompagnare all'imponente pinta di birra. Lamarossa lo
studiò per
alcuni minuti, mentre questo si portava il bicchiere alle labbra con
particolare flemma, come volesse stuzzicare il giovane che sedeva
alla sua sinistra.
“Per quanto hai
intenzione di
bere?” domandò lo spadaccino, prendendo a sua
volta la sua acqua.
“Finché
non saresti arrivato... E
visto che ci hai messo parecchio, direi che posso continuare a
farlo!”
“Tsk,
ubriacone... Quanti ne hai
bevuti?”
“Suvvia,
figliolo! Lascia che il
tuo vecchio si conceda ancora qualche goccio, non sai per quanto
ancora potrò vivere! E poi non sono affari tuoi!”
Lamarossa scosse la testa e rise da
sotto i baffi, sapendo che il vecchio aveva ancora un bel po' di anni
davanti: semplicemente gli piaceva prendersi gioco di lui,
stuzzicando il suo buon cuore. Quell'uomo lo aveva cresciuto fin da
quando aveva dieci anni, fin da quando era una testa calda che non
faceva altro che ficcarsi nei guai e piantare grane con tutti. Gli
era grato, molto più di quanto volesse dare a vedere: dopo
quel
barlume di speranza che gli aveva concesso, non gli dispiaceva di
certo concedergli a sua volta un po' della sua pazienza.
“Allora, come
è andata? Cosa ti
ha trattenuto?”
“Un gruppetto
di ragazzini e un
adulto... Quest'ultimo e un ragazzo biondo erano all'accampamento dei
troll... Quelli brutti con le bocche piene di denti, per
intenderci.”
“E
quindi?” chiese il vecchio,
bevendo un altro abbondante sorso di birra. Lo spadaccino rimase in
silenzio per alcuni secondi, osservando di sottecchi l'uomo che aveva
di fianco, come se le parole che era sul punto di pronunciare
dovessero essere ponderate più del solito. Si mise quindi a
giocherellare con una noce, facendola rimbalzare da una mano
all'altra come fosse una pallina, ancora intento a soppesare le
proprie parole.
“Erano le
stesse persone al
Monastero di Albia...” disse in un sussurro, che si confuse
nella
fragorosa atmosfera della taverna. Sotto al mantello del vecchio, il
giovane riuscì a distinguere un sopracciglio bianco che si
inarcava,
dando al volto raggrinzito appena visibile un'espressione
incuriosita.
“Intendi il
ragazzino vestito da
Oracolo? Quello che si è rivelato essere il Principe di
Mistral?”
Lamarossa annuì con fare solenne,
chiudendo gli occhi e ripensando a quella notte. Dal canto suo, non
sapeva che ci fosse qualcuno in quella stanza, non credeva nemmeno
che ci fosse una bestia mandata direttamente dal Signore Oscuro e non
riusciva nemmeno a credere che lì ci fosse il secondo erede
al
trono. Di tutto quello che era successo, nulla rientrava nei suoi
piani, in quanto doveva rubare il Globo Celeste della Famiglia Reale
senza farsi vedere da nessuno.
Aver incontrato il Principe
significava inoltre mettersi in pericolo e rischiare di diventare un
ricercato, compromettendo il suo obiettivo ultimo.
“Sì,
con lui c'erano anche quella
ragazza e il giovane con i capelli blu... Non ho idea di cosa
cerchino, ma credo vogliano raggiungere anche loro Kratos...”
“Vuoi
fuggire?”
“Non avrei
problemi a combattere
contro di loro, solo non credo che dovrei incontrarli di nuovo! -fece
con la voce leggermente alterata- Il Principe potrebbe aizzare le
guardie contro di me e sarebbe un bel problema...”
“E
perché mai dovrebbe?”
“Non lo
so...” fu la risposta
dello spadaccino, che sentì le parole morirgli sulle labbra,
mentre
in testa vedeva quegli occhi verdi che lo scrutavano a fondo. Quel
ragazzino lo aveva guardato in modo strano, come nessuno aveva mai
fatto e si chiese cosa avesse visto di tanto interessante.
Probabilmente nulla, pensò mentre beveva
l'ultimo sorso
d'acqua. Si alzò con uno scatto e abbandonò un
paio di monete di
bronzo sul bancone.
“Serviranno
più soldi per pagare
tutte le mie birre!” fece l'uomo a Lamarossa, che si era
allontanato velocemente verso l'uscita della taverna. Il naso aveva
iniziato a fargli male, l'odore di quel posto era diventato
insopportabile e stare lì lo metteva a disagio, soprattutto
ora che
non poteva più girare liberamente.
“Quei soldi
sono per pagare
l'unica birra che hai bevuto in mia presenza! Il resto te lo paghi da
solo, vecchio!” disse con tono secco e irritato. Voleva
andarsene e
lasciare lì quel vecchio ubriacone, da cui ancora non aveva
ottenuto
nulla. Si era stancato, voleva che le cose andassero per una volta
come voleva lui e non come voleva il destino, che spesso si era preso
gioco di lui, come per esempio facendogli incontrare quello strano
uomo.
“Aspetta! -una
mano si poggiò
sulla sua spalla, trattenendolo- Ti ho promesso che ti avrei aiutato,
perciò abbi pazienza!”
Il vecchio era dietro di lui, brillo
e dall'alito pesante, ma le sue parole uscirono con decisione e
chiarezza, inaspettate da qualcuno che aveva passato la notte a bere.
Il giovane lo fissò con insistenza e attese il resto del
discorso,
sperando che gli rivelasse qualcosa di utile.
“Prendi l'altra
sfera e ti
prometto che ti aiuterò a trovarlo! Fidati di me,
Zephyr!”
Angolo di Zenya ^^
E rieccoci con il nuovo capitolo!
Pubblico con discreta puntualità e sono veramente felice per
questo!
Di nuovo, ecco che torna il misterioso spadaccino, a cui finalmente
diamo un nome *zan zan zaaaaan* No, ok! La smetto!
Ora
sappiamo di più su quest'uomo e sulle sue intenzioni, ma mi
piace
tenervi sulle spine (?) e i nostri hanno finalmente avuto la prima
vera conversazione con questo giovane ^^ Il capitolo risulta un po'
più corto di quello che sono solita scrivere, ma ho un polso
abbastanza malandato e sono raffreddata come il mio povero Anthel
(giuro che le due cose non c'entrano niente xD).
Come al solito spero che vi sia
piaciuto e fatemi sapere! Per eventuali errori, sono disposta ad
accettare tutte le critiche possibili e i lanci di pomodori (?)
Alla prossima e un bacione!
Zenya