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Autore: rosedodgson    11/03/2016    1 recensioni
“Stai tranquilla. Quando ti innamorerai lo capirai, perché il tuo unico desiderio sarà quello di essere un tutt’uno con la persona che il tuo cuore ha scelto per te. Non avere fretta, tutto accadrà naturalmente. A me, con tuo nonno, è successa la stessa cosa.”
Genere: Dark, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mia nonna me lo ripeteva sempre: “Stai tranquilla. Quando ti innamorerai lo capirai, perché il tuo unico desiderio sarà quello di essere un tutt’uno con la persona che il tuo cuore ha scelto per te. Non avere fretta, tutto accadrà naturalmente. A me, con tuo nonno, è successa la stessa cosa.” Il mio cuore non ebbe fretta di scegliere la mia anima gemella visto che passai la dolce e succosa età dell’adolescenza senza conoscere labbra o mani sconosciute accarezzare zone che normalmente tengo nascoste sotto i vestiti.

Paolo arrivò nella mia vita come un fulmine che mi squarciò di netto il cuore e che risvegliò in me pensieri che, in 26 anni di vita, non avevo mai creduto albergassero nella mia mente. Finimmo nella stessa compagnia dopo che io dovetti cambiare città per trovare un lavoro decente e per me, sì, per me fu amore a prima vista. Che sciocchezza, penserete, l’amore non nasce così, questa è un’infatuazione. Beh, chiamatela come volete, non credo che un “titolo” possa cambiare le sensazioni o i sentimenti, no? Io avevo un unico desiderio: stargli così vicino da poter sentire il suo respiro attraversarmi il cuore. Per quattro umidi mesi ci lanciammo occhiate di sottecchi, ridevamo alle stesse battute, scambiavamo poche parole come se avessimo paura di rompere un legame fatto di un vetro troppo sottile, troppo fragile per poter resistere al movimento delle labbra. 

Poi, vi fu l’incidente. Paolo stava tornando a casa dall’officina dove lavorava. Non venimmo mai a sapere cosa accadde quella sera. La macchina volò oltre il gard rail, finì nel fiume e rimase incastrata sul fondale. Vennero subito chiamati i soccorsi ma era marzo, l’acqua era ancora fredda e le speranze si affievolivano minuto dopo minuto. Quando finalmente riuscirono a tirare su quella carcassa di lamiere gocciolante notarono subito che il vetro del finestrino del guidatore era rotto. Niente di anormale, visto che la parte anteriore dell’auto aveva le sembianze di una lattina schiacciata, ma Paolo non c’era. Si pensò che il corpo fosse stato trascinato fuori dalla vettura dalla corrente. Non vi erano altre spiegazioni. Quando arrivammo sulla riva del fiume, la madre di Paolo piangeva e gridava il suo nome.

“Paoletto! Amore mio! Il mio Paoletto!”

Poi lo vedemmo. Comparsa dal nulla, sulla riva opposta, pallida, sporca e bagnata, la figura di Paolo si stagliava sullo sfondo scuro del bosco come una macchia di crema sbiadita sui jeans. Mentre i genitori soffocavano le grida di sollievo nelle lacrime, sorretti dagli amici del figlio, quest’ultimo agitò la mano, mollemente, come per rassicurarli che fosse vivo ma troppo esausto per poter fare oltre.

Uno dei soccorritori gridò con voce rotta:  “Stai lì ragazzo, ti veniamo a prendere!”. A quelle parole le mie gambe scattarono prima che l’idea mi balenasse chiara nella mente. Gridando il suo nome raggiunsi e percorsi il ponte che mi divideva dalla riva opposta, senza voltarmi verso le voci che mi dicevano di fermarmi, di non avere fretta. Fretta. Il mio cuore aveva atteso troppo, troppo tempo. Mentre mi facevo strada tra un capannello di curiosi, tra commenti e risate vuote, vidi che Paolo, estremamente lento e ciondolante, mi stava venendo incontro. Volevo toccarlo, abbracciarlo prima di tutti, prima di sua madre, per scaldarlo, per sentirlo vivo.

Senza soffermarmi troppo sul viso esangue mi scontrai con la sua consistenza fisica, senza fiato, con l’adrenalina che scorreva lungo tutto il mio corpo. Era reale. Reale. Lo abbracciai, inzuppandomi i vestiti, ripetendo sconnessamente il suo nome e i sentimenti che tenevo nascosti nel cuore da mesi. Non avevo paura di un rifiuto, in quel momento avrei accettato tutto, tanto ero felice che fosse vivo. Lui non si mosse finché io non sollevai la testa e lo guardai negli occhi. Lui mi rispose con uno sguardo vuoto, le pupille dilatate, la sclera giallognola. Sollevò una mano e me la posò, fredda, sulla guancia. Schiuse la bocca con una smorfia di dolore e mugugnò: “Ho.. ho-o ca… Ho capi-to..” e mi baciò delicatamente sulle labbra. A ripensarci oggi, credo che fu l’angelo della morte a baciarmi in quel momento, non Paolo. Fu così delicato che non lo avvertì neppure. Mentre tenevo gli occhi rivolti verso il cielo grigio lui mi sussurrò con voce più ferma:

“Vuoi essere… mia?”

“Sì”

Mi baciò nuovamente, con più passione. Non mi fece poi così male, fu più uno strattone seguito da un formicolio diffuso e molto, molto sangue che iniziò a defluire nella gola. Rimasi abbandonata, sorretta solo dalla sua mano sinistra stretta attorno a un mio fianco mentre con l’altra si aiutava a divorare la mia lingua che sanguinava copiosamente. Tutti iniziarono a gridare, ma a me non interessava. Ero tra le sue braccia, e lui ricambiava il mio amore. Era tutto perfetto. Scambiai un sorriso scarlatto  col cielo lattiginoso e prima che le sue fauci bramose mi squarciassero di netto il collo, ripensai a mia nonna.

Come aveva ragione.

Essere un tutt’uno con lui, per sempre.

Quello era il mio unico desiderio.

 

  
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