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Autore: Yumeji    13/03/2016    0 recensioni
- PERCHÉ' NON PARLI!!? - si irritò la Wraith, investendolo con la propria voce, un suono che era riuscito a spaccare un muro diroccato e che Simone avvertì attraversarlo, espandersi nel proprio corpo smuovendogli gli organi interni. Stupito si trovò a tenersi lo stomaco, piegato in due a causa di una fitta improvvisa, avvertendo il sapore rameico del sangue sulle labbra. Non avrebbe mai creduto che la voce di quello spettro potesse avere un simile effetto sul suo corpo. Forse era stato troppo ottimista nel credere che gli sarebbe bastato limitarsi a proteggersi le orecchie.
*Non tutti i personaggi sono di mia proprietà, ma ho chiesto il permesso ai loro creatori per usarli in questa storia*
Scusate la banalità, ma è una storia che parla di un gruppo di esorcisti/cacciatori di mostri (ispirato al film Van Helsing), abbiamo l'esperto, l'apprendista, il genio e quello che, ovviamente, non centra nulla ed è finito lì in mezzo per caso (sfortuna). Non tutti i sopra citati saranno presenti sin dall'inizio del racconto, e per lo più la storia sarà divisa in episodi che parleranno delle loro avventure.
Genere: Avventura, Commedia, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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*NB: Alcuni dei personaggi presenti non sono di mia invenzione, ma sono degli originali a cui ho chiesto il permesso ai rispettivi creatori per poterli inserire nella mia storia*



Marco si alzò a fatica da terra, trovandosi ad arrancare su gambe instabili che parevano potergli cedere in ogni momento, visto il violento tremore da cui erano scosse. Avvertiva sulle labbra il sapore rameico e disgustoso del sangue, mescolato ad una manciata di terriccio che, involontariamente, doveva aver ingoiato mentre cadeva. Quel gusto gli rivoltò lo stomaco portandolo a tossire convulsamente, dei forti conati di vomito gli risalirono su per la gola, piegandolo in due. Con entrambe le braccia si strinse lo stomaco mentre il mondo attorno a lui pareva essersi fatto confuso, sfocato.

Quando il suo stomaco finì di rimettere la bile che lo riempiva, Marco si rialzò a fatica, sollevando poi il viso verso il cielo che ora tendeva ad imbrunirsi. Aveva gli occhi bagnati da leggere lacrime, dettate dal dolore fisico, dalla stanchezza e, doveva ammetterlo, anche un po' dalla paura. Si sentiva esausto e senza quasi accorgersene proruppe con un lungo e profondo respiro, lo sguardo ancora perso verso il cielo, che comunque ai suoi occhi pareva ancora sfocato. Gli ci volle qualche seconda per capire che non era la stanchezza ad abbassargli la vista, ma la mancanza dei suoi occhiali, sbalzati chissà dove dopo la sua caduta.
Con delicatezza il ragazzo si portò una mano al viso, toccandosi con estrema premura la radice del naso. Non stava cercando la conferma di non indossare gli occhiali, già se ne era accorto, voleva solo assicurarsi di essere ancora provvisto di un setto nasale, essendo caduto a causa di un incontro sin troppo ravvicinato con il ramo di albero.
Ad un primo giudizio, per lo meno al tatto, non avendo a disposizione uno specchio per assicurarsene, il naso pareva rosso e ingrossato. Fortunatamente però non sembrava essersi rotto.
"Ora sembrerò un pugile alle prime armi" sbuffò tra se e se Marco ravvivandosi con la mano alcuni ciuffi dai corti capelli scuri che gli cadevano sulla fronte, e ricadendo pesantemente seduto a terra. Le gambe gli facevano troppo male per avanzare, gli si era formato dell'acido lattico alle ginocchia e aveva tutti i muscoli doloranti, era impensabile per lui proseguire. In più, avrebbe dovuto ricercare lì intorno i propri occhiali, senza aver indosso gli stessi, una sfida estremamente ardua e paradossale, in cui ogni persona miope del pianeta si era trovata almeno una volta nella vita. "Uhm... non dovrebbero essere caduti poi così lontani" pensò cominciando a perlustrare a pochi centimetri da se, non muovendo di un centimetro, aguzzando la vista per quanto gli fosse possibile. Era notevolmente stanco e non desiderava nulla di più che potersi fare una doccia calda e andarsene a letto.
La sua ricerca venne però interrotta da una canzone degli ACDC che aveva messo come suoneria del proprio cellulare, riposto nel taschino interno del suo giubbotto in jeans firmato e fortunatamente indenne, grazie a chissà quale miracolo.
- Sì, che vuoi..?- rispose svogliatamente all'apparecchio senza preoccuparsi di guardare chi fosse, non nascondendo nel tono l'irritazione e la leggera incazzatura per la situazione in cui si trovava.
- M-marco! Dove sei finito?! - una voce squillante, che a differenza della sua tradiva una certa preoccupazione mista a panico, provocò a Marco un sospiro stanco. - Dovresti già essere qui! Per te non è sicuro aggirarti lì fuori!!! - gli urlava Simone, il suo migliore e più fidato amico fin dall'infanzia, e il quale ora pareva sull'orlo di una crisi di nervi. Per cui Marco si allontanò il telefono dall'orecchio per non finire assordato.
- MARCO! - insistette, già intuendo che l'amico non lo stesse ascoltando,
- Si! Ho capito che sei preoccupato! - lo interruppe urlandogli a sua volta contro, avvertendo l'irritazione montare e volendo fermare qualsiasi piagnisteo dell'altro sul nascere.
- Dove sei? - probabilmente, intuendone la frustrazione, Simone parve calmarsi notevolmente, prendendo un tono controllato e calmo, forse persino serio, visti i suoi canoni.
- Credo di essere nel boschetto dietro casa tua... ho cercato di far smarrire le mie tracce quando mi sono accorto di essere seguito. Erano solo in due, e sono riuscito a seminarli ma... - e qui s'interruppe, facendo un altro sospiro, - ... Ma ora credo di essermi perso, sono ore che giro a vuoto, e ormai mi sono pure stancato -
- Ore?! - ripeté Simone, tornando nuovamente ad allarmarsi, per poi essere vinto da un attacco di tosse simulato,
- Stai ridendo... vero, Simo? - intuì Marco, un tremore alla mano chiusa a pugno della rabbia, al quanto seccato quando l'amico non riuscì più a dissimulare le risa, scoppiando direttamente a ridergli in faccia.
- Ehm... no - mentì Simone, schiarendosi rumorosamente la voce, - Ho solo un po' di mal di gola - e tossi sforzatamente per altre due volte per enfatizzare il concetto,
- Appena ti vedo le prendi - lo minacciò, sbattendo con rabbia la mano a terra, ritrovando così i propri occhiali. - Ah, merd..! - imprecò sollevando le lenti e trovandone la montatura piegata, li aveva colpiti inavvertitamente.
- Scusa, scusa Marco - si affretto a dire Simone per calmare l'amico, trovandolo sin troppo alterato, -... ma quel boschetto è poco più grande di un giardino, non è una foresta. Impossibile perdersi -
- Se io mi sono perso, vuol dire che ci si può perdere! - sottolineò Marco indossando gli occhiali che gli ricaddero storti sul viso, sussultando per un improvviso dolore al naso. Si era già dimenticato di aver appena preso un colpo dritto sul setto nasale.
- Okay, okay. Prova ad andare sempre dritto, vedrai che da qualche parte arrivi - gliela fece fin troppo semplice Simone, ancora palesemente divertito dalla situazione dell'amico,
- IO DEVO ARRIVARE A CASA TUA! - lo interruppe, cominciando ad imprecare subito dopo in maniera piuttosto colorita e volgare. - Non posso permettermi di andare a zonzo a caso quando ho qualcuno piuttosto incazzato e abbastanza psicopatico  alle calcagna!! - gli ricordò furente, ribollendo di rabbia e avvertendo una fitta di paura pungergli lo stomaco.
- A proposito di questo... - non pareva condividere la sua premura Simone, facendosi anzi più esitante nel parlare, -  Ho dimenticato di dirti un certo dettaglio, quando ho detto di poterti dare un posto in cui stare - confessò, e un senso gelo attraversò Marco. Avrebbe picchiato quell'idiota. Mai una volta che non combinasse qualche casino.
- Cosa Simone?- e nella sua domanda si nascondeva la sottile minaccia: "Se mi fai incazzare, te la vedrai così male che neppure tua madre potrà riconoscerti"; Simone era però abituato alle minacce a vuoto di Marco, e sapeva di non dover temere nulla da lui.
Per quanto gli abbaiasse contro, era Simo ad essere il più forte trai due.
- Ecco... all'indirizzo che ti ho dato. Ehm, quella non è esattamente "casa mia" - si schiarì nuovamente la voce, sta volta per il disagio,
- Sei ospite di una casa di ricovero, vero?.. Niente lavoro, nessun titolo di studio, ti sei riempito di debiti e ti hanno sfrattato, giusto? - c'era un leggero godimento nel tono di Marco, quasi fosse soddisfatto delle immaginarie sventure dell'altro. E pensare che era il suo migliore amico.
Ciò la diceva lunga su che tipo di persona fosse Marco Sartori,
- Ehm... non esattamente - e Simone gli era fin troppo legato per notare quanto bastardo fosse. D'altronde poteva capirlo, essendo stato colpito dalla sventura, preferiva pensare che anche altri fossero nella sua medesima situazione, piuttosto di sentirsi solo ad affrontare le proprie sciagure.
- Non esattamente? - ripete, facendosi più attento,
- Ecco, se te lo dico per telefono, non mi crederesti. Ed è per questo che te l'ho tenuto nascosto fino ad adesso - tentennava, e la voce aveva cominciato a cedergli, probabilmente si stava rannicchiando su se stesso come faceva sempre quando era nervoso.
- Simone, cosa hai combinato? - cominciava sul serio a preoccuparsi,
- M-ma nulla! - esclamò con voce squillante, - Sul serio, infondo non è una cosa che dovrebbe preoccuparti, solo che...- s’interruppe di colpo e, attraverso l'apparecchio, Marco udì qualcuno chiamare l'amico. Era con altre persone?
"Ah! Forse ha degli inquilini?.. Oppure addirittura una ragazza!?" cominciò a fantasticare su ciò che l'amico avrebbe potuto nascondergli. Se Simone si fosse davvero trovato a coabitare con una donna, sul serio Marco avrebbe avuto difficoltà a credergli. Lo conosceva da abbastanza tempo da sapere che per lui era impossibile tenersi una fidanzata.
- Simone? - cercò di attirarne nuovamente la sua attenzione, sentendone la voce in lontananza a discutere con qualcun altro, aveva un tono allarmato. C'erano forse problemi?
- Ah, scusa. Stavo sistemando una cosa, comunque nulla che ti riguarda, tranquillo - aveva la voce alterata, doveva trovarsi in difficoltà, -... scusami, ma ora devo andare. Tu segui il mio consiglio e vai sempre avanti, vedrai che arrivi da qualche parte di sicuro -
- Seeh..- rispose Marco scettico, trovando che infondo non gli era stato poi molto d'aiuto, ma allo stesso tempo notando sempre più la sua esigenza di chiudere presto la chiamata. - Ma se entro una settimana non arrivo procurati una pala -
- Una pala? -
- Per cercare il mio cadavere - era una battuta triste, che in realtà non voleva proprio essere una battuta. Se davvero fosse stato troppo allungo lì intorno e i suoi inseguitori lo avessero rintracciato, se la sarebbe passata veramente brutta.
- Non farmi venire i brividi...- lo rimproverò Simone, il quale pareva non averlo trovato per nulla divertente, - Vedi piuttosto di non parlare con gli sconosciuti - gli intimò, facendosi apprensivo.
- Sì, okay "mamma" - lo apostrofò sarcasticamente Marco, come se ciò avesse potuto fermare chi lo cercava, si disse - E guarda che abbiamo la stessa età, non trattarmi come un bambino. So cavarmela anche da solo - aggiunse piuttosto seccato e offeso.
-  Disse quello che è inseguito da chi vuole fargli la pelle e si è perso in un boschetto grande a malapena come un campo da calcio -
- Ti diverte mettere il dito nella piaga?! - sbottò,
- Se devo dire la verità, sì - era fin troppo contento. Marco poteva quasi vedere il suo sorriso divertito, - Ora scusami, devo proprio andare - e detto questo chiuse la telefonata.
- Grazie, eh - salutò il nulla rimettendo il cellulare nella tasca interna della giacca, uno sbuffo stanco mentre si rimetteva faticosamente in piedi, ora che si era riposato un po' si sentiva meglio, riusciva a mettere un piede davanti all'altro senza il rischio di inciampare sugli stessi. La telefonata era però durata più del dovuto e Marco aveva perso dei preziosi minuti di luce, ormai il sole era già quasi completamente tramontato all'orizzonte, lasciando il cielo di una sfumatura crepuscolare, del colore di un livido violaceo.
"Grande come un campo da calcio?" pensò alle parole che gli aveva detto Simone poco prima, cominciando a seguire il suo consiglio e procedendo sempre dritto. Da qualche parte sarebbe arrivato, no?
"Questa è la mia selva oscura, ed io sono un Dante Alighieri con Virgilio che non ha le palle di muovere il culo e venire a fargli da guida" seguendo una vena melodrammatica Marco si sentiva come un pellegrino incapace di raggiungere la propria meta. "Non ho nemmeno una Beatrice ad aspettarmi..." e rimuginò sui suoi precedenti amorosi, riscontrando che forse il poeta aveva avuto ben più fortuna di lui in quell'ambito, nonostante il sommo e la sua amata non avessero mai consumato carnalmente il loro legame. "Almeno Beatrice non ha mai cercato di uccidere Dante" constatò, continuando ad avanzare tra erbacce alte fin alle caviglie e radici di alberi, a scappare dal proprio ex-amante. Il quale, essendone stato tradito, ora era al quanto incazzato e maldisposto nei suoi confronti.
"Eppure, quando ho mollato il mio precedente ragazzo per stare con lui, non si lamentava del mio essere un farfallone" cercò di sistemarsi gli occhiali storti sul naso tumefatto, causandosi l'ennesima fitta di dolore. Avvertiva l'esigenza di sputare per terra, così da esprimere cosa ne pensava di quel gran bastardo di un nanetto malefico. E pensare che si era fatto ingannare da quel suo bel visetto angelico,  lo aveva raggirato per bene con quei suoi modi timidi e gentili, per poi dimostrarsi una serpe dal dente avvelenato. "Gliela farò pagare prima o poi" si ripromise stringendo i pugni rabbioso, per poi ricordarsi con una fitta allo stomaco che, tutti quelli da cui avrebbero potuto essergli d'aiutato, Simone escluso, erano ora dalla parte di Ettore.
- E' solo perché ha una faccia carina!! - sbottò, picchiando con il pugno sul tronco ruvido di un frassino, graffiandosi così le nocche. Non trattenne un'imprecazione avvertendo il dolore risalirgli lungo il braccio. Erano poco più di un paio di graffietti, ma bruciavano come l'inferno. Si soffiò sul dorso del pugno, cercando un po' di sollievo e sentendosi un perfetto imbecille. Sapeva che urlare al vuoto non serviva a nulla, se non a farsi individuare dagli scagnozzi del "nano malefico", ed era altrettanto consapevole che non era stata soltanto la bellezza del suddetto, a fargli rivoltare contro tutti quelli che erano stati i suoi compagni.
Marco in fondo aveva sempre saputo di avere un carattere difficile, ma era comunque stato un brutto colpo per lui scoprire di non essere sopportato da nessuno dei suoi. E pensare che era stato lui a fondare la loro banda.
"Merda, sono un totale sfigato!" cominciò a convogliare la rabbia verso se stesso, consapevole di essersi cacciato da solo in quel guaio, che tutto il karma negativo accumulato gli stava tornando indietro con tanto di interessi.
Si ritrovo a sistemarsi nuovamente, e con estrema delicatezza, gli occhiali sulla radice del naso, aveva cominciato a vedere di nuovo opaco. Gli ci volle un po' per capire che la vista gli si era offuscata per via delle lacrime.
- Sono penoso...- si rimproverò ricominciando ad avanzare, tirando rumorosamente su con il naso, e causandosi così uno spasmo di dolore.
- Fazzoletto? - gli propose il ragazzo di fianco a lui, porgendogliene uno,
- Non serve, grazie - rispose in automatico Marco, concedendo a malapena uno sguardo allo sconosciuto che lo aveva appena avvicinato. Noto solo che era piuttosto alto e lo superava di almeno una spanna.
- Sicuro?..- insistette lui,
- Ho detto "non serve" - ripete Marco alterandosi, volgendosi completamente al proprio interlocutore. Prima con uno sguardo arcigno da "smettila di infastidirmi, idiota", per poi spalancare gli occhi, inorridito.
- Aspe-.. Tu, TU CHI DIAVOLO SEI?!!- fece letteralmente un salto indietro per lo spavento, del tutto colto impreparato da quell'arrivo inaspettato, le braccia ricoperte dai brividi per la paura.
Era forse un suo nemico? Eppure non gli pareva un volto conosciuto.
- Sono Vittorio, e tu sei piuttosto cieco per non avermi notato prima - si presentò sistemando il fazzoletto di stoffa che gli aveva offerto nella tasca posteriore dei pantaloni. Nonostante il fresco di quei giorni che lentamente dall'inverno passavano alla stagione primaverile, non portava nulla sopra quella che sembrava una semplice t-shirt di cotone. Il cui colore era per Marco un mistero, vista la scarsa luminosità della sera.
- M-mi ero solo distratto! - si giustificò Marco con voce un tantino isterica, e un leggero imbarazzo a colorargli le guance. Va bene essere presi alla sprovvista, ma non notare neppure che qualcuno gli era arrivato tanto vicino... forse Simone faceva bene a preoccuparsi per la sua incolumità.
- Va bene, ma stai tranquillo dolcezza...- alzò le mani alla sua reazione lo sconosciuto, quasi volesse assicurarlo che non era sua intenzione fargli del male. Doveva avere all'incirca vent'anni, giudicò Marco ad una seconda occhiata, "No, probabilmente ne ha 25" rettificò, per quanto gli sembrasse avere circa la sua stessa età, al medesimo tempo gli appariva più vecchio. E ciò era dovuta ad una sua radicata convinzione che solo i "vecchi" usavano fazzoletti di stoffa, come quello che gli aveva invitato ad accettare.
- Allora, cosa ci fai qui a gironzolare da solo? - gli chiese Vittorio mostrandogli un sorriso rassicurante ed estroverso. Non sembrava davvero avere cattive intenzioni o almeno non nei suoi confronti.
- Potrei chiederti la stessa cosa - gli fece notare Marco, mantenendo un muso duro ed inattaccabile, cercava di darsi un contegno, poiché era certo che l'altro l'avesse visto piangere.
- Io faccio una passeggiata. Sai, abito qui vicino - rispose, alzando le spalle con aria svogliata per poi massaggiarsi il collo con una mano, facendosi sfuggire ad una smorfia. - A star fermo troppo allungo mi s'indolenziscono i muscoli - spiegò ammiccando, sempre con quel sorriso amichevole che non celava una vena di strafottenza.
Sembrava solo una di quelle persone capaci di uscire da casa in canotta in pieno Gennaio, e anche a studiarlo Marco non trovava null'altro di strano in lui, però continuava a rifiutarsi di mostrarsi amichevole nei suoi confronti. Forse era stato il "dolcezza" con cui gli si era rivolto ad offenderlo, o forse era che Vittorio fosse un ragazzo alto, dal fisico asciutto e il viso dai tratti ben delineati. Tutte caratteristiche per cui poteva essere definito un bel ragazzo, e per cui Marco si sentiva sulle spine. L'ultima persona che aveva rispecchiato i suoi gusti aveva finito per pugnalarlo alle spalle. Anche se, a pensarci, Vittorio in realtà usciva un po' dai suoi canoni.
- E quindi..? -
- "Quindi" cosa? - si trovò a cadere dalle nuvole Marco, rimasto qualche momento incantato a studiarlo, Vittorio era diverso dai soliti ragazzi che in passato aveva apprezzato. Eppure doveva riconoscere il suo fascino, il quale gli impediva di staccargli gli occhi di dosso.
- Io ho risposto, quindi tocca a te dirmi cosa ci fai qui - e lo indicò avvicinandosi abbastanza da appoggiargli l'indice della mano proprio in mezzo alla fronte, enfatizzando in questo modo la loro differenza d'altezza e irritando ancor di più Marco. Lo stava forse guardando dal’alto in basso?! Inconsciamente strinse nuovamente i pugni, assottigliando lo sguardo in una non molto velata minaccia.
- Vedi di starmi lontano - gli intimò serio, provocando una leggera risata divertita al suo interlocutore,
- Ma che tipetto sospettoso abbiamo qui - si allontanò di qualche passo, ancora sorridendo divertito, - Mi sembravi in difficoltà e ti ho avvicinato solo per aiutarti - incrociò le braccia al petto con un'espressione falsamente rammaricata, fingendosi offeso dal suo comportamento.
- Mi è stato insegnato di non parlare con gli sconosciuti - replicò freddamente Marco, sbuffando appena mentre voltava le spalle a Vittorio e s'incamminava verso la direzione opposta, lasciando l'altro spiazzato.
- Ehi! - tentò di richiamarlo, - Non avrai intenzione di ignorarmi, vero? - e gli arrivò affianco dopo un paio di falcate, e Marco non seppe dire se era perché fosse davvero veloce o se perché lui era veramente lento. - Sul serio, non ti sarai mica offeso perché ti stavo un po' stuzzicando? - in risposta Marco si limitò a fare scena muta, deciso a procedere sempre dritto come se conoscesse la strada.
- Uhm... permalosetto, eh? - sospirò Vittorio sempre camminandogli a fianco, incrociando le braccia dietro la testa con aria sfrontata e leggermente annoiata.
"PERCHÉ' MI STA SEGUENDO?!?" era sull'orlo di una crisi di nervi Marco, trattenendosi dal rivolgergli la parola perché convinto che ignorandolo sarebbe sparito, "proprio come i ragni... se gli lasci il tempo, poi tornano nella loro tana".
- Cooomunque - continuò Vittorio, - dove avresti intenzione di andare? Se procediamo da questa parte, poi ci ritroveremmo in mezzo ai campi - lo informò indicando poi un punto imprecisato in mezzo agli alberi. Alle sue parole Marco sentì le guance pungergli dall'imbarazzo, e si fermò di colpo, cogliendo di sorpresa Vittorio che per poco non gli finì addosso.
- Tu sai come uscire da qui? - rinunciò a non parlargli poiché aveva capito che, continuando a procedere a caso, come stava facendo, non sarebbe mai arrivato da nessuna parte. Per lo sforzo che gli costava, si trovò a mordersi l'interno della guancia.
- Te l'ho detto: abito da queste parti - alzò le spalle Vittorio, - Perché, tu no? - gli domandò e nei suoi occhi verdi, dal taglio sottile, a Marco parve che vi si accendesse uno strano bagliore.
- No che non sono di queste parti! - proruppe lui, quasi sembrasse offeso che l'altro lo avesse anche solo potuto credere possibile, - Sono venuto qui SOLO per trovare un amico, dovrebbe abitare qui intorno - precisò, giustificando il suo vagare alla cieca in quel boschetto.
- Interessante - commentò Vittorio, all'improvviso sovrappensiero, - Bhé, se il tuo amico non è un cane randagio o uno scoiattolo, credo che difficilmente potrai trovarlo qui - tornò a sorridere divertito, allargando le braccia per indicare l'intero boschetto da cui erano circondati.
- Questo lo so bene..- replicò acidamente Marco, "anche se un po' Simone assomiglia ad un cane o ad uno scoiattolo ", - E' che... che mi sono perso - dovette ammettere, arrendendosi all'evidenza. Dirlo ad alta voce rendeva la cosa ancora più imbarazzante.
Vittorio aveva davvero una bella risata squillante, il tipo che ti fa desiderare di potergli rifilare un pugno in faccia e riempirlo di altri colpi fino a farlo svenire. Marco lo conosceva da sì e no cinque minuti, e lo aveva già preso in odio.
- E piantala! - gli ordinò stizzito, sentendosi il viso diventare di un porpora acceso,
- Scusa, scusa ...- fece lui, anche se non pareva per nulla dispiaciuto mentre si teneva lo stomaco per le troppe risate, e riuscendo a malapena a trattenerne altre. Gli ci volle un minuto intero per ricomporsi, - E' che questo boschetto sarà grande più o meno come un campo da calcio. Difficile perdersi qui, anche se non si è del posto - spiegò schiarendosi un paio di volte la voce, cercando di darsi un contegno.
- Tsk... questo me l'ha detto pure Simone - schioccò la lingua seccato e, avendogli dato nuovamente le spalle, non notò l'improvviso cambio di espressione del suo interlocutore, il quale aveva strabuzzato gli occhi nel sentire quel nome.
- Oh... Sarebbe Simone l'"amico" che sei venuto a trovare? - domandò e il sorriso che prese posto sul suo volto nascondeva qualcosa di minaccioso e animale, - Quindi tu sei il famoso "Marco", vero? -
Nel sentirsi chiamare per nome Marco sussultò involontariamente, voltandosi confuso e incuriosito a guardarlo, perché pronunciato dalla sua bocca aveva un suono così strano? Ma sopratutto, Vittorio conosceva Simone?
- Sapendo com'è fatto, sono sicuro che Simo ti abbia raccontato un sacco di balle esagerate sul mio conto - sbuffò scuotendo il capo sconsolato ed incrociando le braccia al petto.
- Per la maggior parte non fa che dire quanto tu sia grandioso, straordinario, il migliore, l'insuperabile... - preciso Vittorio, accentuando il colorito già rosso sulle guance dell'altro che intanto pensava: "Stupido Simone, hai dimenticato di enfatizzare la mia bellezza". - Non ché, ti definisce come il suo migliore amico. E per qualche motivo, di cui sono all'oscuro, è molto orgoglioso di te - continuò a spiegare ostentando una certa indifferenza sulla questione. Probabilmente Simone lo aveva esasperato a tal punto da renderlo insofferente all'argomento.
- Bhé... no, infondo non è stato poi così esagerato. Io sono davvero grandioso - fece sicuro, gonfiando il petto alimentando il suo enorme ego, per quel giorno già abbastanza martoriato dagli eventi.
- Infatti credo ci voglia proprio un "grandioso" senso dell'orientamento, per perdersi in boschetto di 200 metri quadrati appena - commentò sarcastico Vittorio, il suo non voleva essere certo un complimento,
- Mi stai facendo incazzare, stronzetto - lo fulminò a quel punto con lo sguardo, la pupilla, nonostante l'oscurità, ridotta ad una punta di spillo per la rabbia. Aveva davvero avuto un giornata pessima, ed essendo alterato diveniva violento più facilmente del solito. - O la smetti di sfottermi o ti frantumo quel tuo sorrisetto irritante - lo avvertì sollevando il pugno per enfatizzare il concetto, ma purtroppo per lui Vittorio non reagì come si sarebbe aspettato.
- Ma guarda, hai gli occhi verdi - esclamò il ragazzo chinandosi su di lui così da avere la medesima altezza, per nulla spaventato dalla minaccia, sul volto ancora quel sorriso arrogante. Di riflesso Marco arretrò di un paio di passi, sentendo invaso il proprio spazio personale, "Non è che abbia paura di lui!" pensò avvertendo un brivido percorrergli la spina dorsale, doveva però ammettere che quel ragazzo aveva iniziato un po' ad inquietarlo.
- Ti ho detto di starmi lontano! - si scaldò, specchiandosi per un momento nello sguardo dell'altro, ancora fisso su di lui, e notandone solo ora la stranezza delle sue iridi. Erano sottili ed allungate, come quelle dei felini. "Questo qui sì è fatto di qualche droga pesante" realizzò, e ciò spiegava il suo comportamento curioso, la sua presenza nel boschetto (in cui probabilmente si era appena fatto di una dose). Un timore sordo si affacciò sul viso di Marco, se si era davvero drogato, Vittorio poteva essere un pericolo per lui, visto che non poteva essere sicuro delle sue reazioni.
- Ti sei fatto male al naso? Sta diventando livido - non pareva sentirlo e, quando fece per allungare la mano verso di lui, Marco gli rifilò un pugno dritto in faccia.
Avendo fatto box per un certo periodo, si sentiva sicuro della forza nelle proprie braccia. Senza volerlo, e con un atteggiamento da principiante, prima di colpirlo però aveva chiuso le palpebre, con l'unico desiderio di non incrociare più quelle iridi strane. Ma quando non avvertì alcun attrito contro le proprie nocche, fu costretto a riaprirle.
- Eh?..- esclamò incredulo,
- Oltre che permaloso sei anche piuttosto violento, vero Marco? -  il sorriso di Vittorio era rimasto intatto, portandosi anzi ancor più vicino a lui. Aveva stretto con una presa ferrea il polso di Marco, deviandone il colpo, e non accennava a volerlo lasciare.
- M... mollami- gli intimò balbettante dopo un istante di sconcerto, era la prima volta che gli capitava una cosa simile. Nelle risse aveva un record personale di colpi messi a segno, ed ora era appena stato mandato in fumo. Con forza strattonò il braccio per liberarsi, ma la morsa di Vittorio non diede segno di cedimento. - Mollami ti ho detto! - insistette prendendo un tono più aggressivo, solo per nascondere un velo di paura che gli aveva preso lo stomaco.
Senza rispondergli, ma mantenendo quell'espressione irritante, Vittorio gli storse il braccio, facendogli emettere un singulto di dolore mentre lo obbligava a voltarsi.
- O-ohi! Che cazzo stai facendo?! - ora gli era impossibile nascondere il panico che cominciava a riempirgli con il suo gelo il petto. Avvertendo poi una pressione sulla schiena e ricevendo un calcio dietro le ginocchia, Marco si trovò a perdere l'equilibrio, finendo ancora una volta con la faccia a terra.
- Attento a non rovinarti ulteriormente quel bel nasino - lo derise Vittorio soffiandogli leggermente quelle parole dietro all'orecchio, provocandogli di conseguenza un brivido dietro la testa. Marco tentò di reagire alzando di scatto la testa, non sapendo neppure lui se con la speranza di colpirlo con il retro della nuca o come semplice tentativo di svincolarsi. Opportunità che gli divenne totalmente preclusa quando Vittorio gli si sedette sopra, appoggiandosi contro la sua schiena con il ginocchio, ancorandolo definitivamente al terreno e tenendogli ancora bloccato un braccio.
- Bastardo! Che intenzioni hai?! - gli ringhiò contro Marco mostrando i denti, cercando di voltare la testa il più possibile per poterlo guardare storto, non che potesse fare poi molto altro infondo. La sua unica opzione era divenuta: urlargli addosso con quanta più voce avesse; magari qualcuno lo avrebbe sentito e sarebbe stato soccorso.
- Cos'è non ti piace stare sotto, Marco? Eppure a me sembra che questa posizione ti si addica - si chinò di nuovo su di lui Vittorio, portando il viso così vicino al collo dell'altro che questi poté avvertire il suo fiato contro la pelle,
- Cosa sei, una specie di pervertito? Lasciami!! - tentò di voltarsi ancora di più verso di lui, ma una fitta al collo gli suggerì che quella era la capacità massima che il suo corpo potesse sopportare.
- Pervertito..? Oh, così mi offendi - lo prese per i capelli Vittorio, costringendolo a inarcare la schiena all'indietro, procurandogli una serie di dolori lancinanti vista la posizione innaturale che l'obbligò a prendere. - Volevo solo dare il benvenuto al "carissimo" amico di quel bastardello di Simone... un altro intruso ad occupare la mia proprietà insomma -
- Aspetta! - lo bloccò nel bel mezzo del discorso Marco, trovandosi ad ansimare a causa della posizione scomoda che gli mozzava il fiato e a malapena riuscendo a vedere l'altro con la coda dell'occhio. Di nuovo, gli pareva che le sue iridi avessero qualcosa di strano. - I-io non so che problemi hai con Simone... ma io non ne so assolutamente niente! Perché dovresti prendertela con me? -
"Se ce l'hai con Simo vai a fare il culo a lui, non coinvolgermi" era in sostanza la richiesta dell'occhialuto, il quale si trovava confuso dalla situazione, e furioso nei confronti dell'amico. Lui aveva già abbastanza problemi per conto proprio, non gliene servivano altri!
- Perché sei il suo "più caro" e probabilmente unico amico, Marco - fece innocentemente, con quell'espressione falsa di un sorriso dal fascino languido, che celava un barlume di folle rabbia a ribollirgli nello sguardo. - E visto che non posso toccare quel bastardello, vedrò di farlo soffrire in altra maniera - fece colmando finalmente i pochi centimetri che separavano le sue labbra dalla pelle di Marco, appoggiandogli un bacio sul collo.
- O-ohi..! - protestò lui, incapace di capire, avvertendo il proprio corpo che iniziava a tremare mentre un dolore pungente gli attraversava le carni. Gli ci volle un po' per comprendere che l'altro lo aveva appena morso. – Ch-che… che cazzo stai facendo!? – chioccio spaventato, la voce rotta nell'avvertire i denti di Vittorio graffiargli la pelle, penetrargli nella carne bianca e morbida a lato del collo. Nell'avvertire qualcosa bagnarli la giugulare, scendendogli poi lentamente verso i vestiti, la coscienza di Marco fu sul punto di svanire dalla paura. Tento di nuovo di svincolarsi dalla presa di quel pazzo, si agitò, nel comprendere finalmente che la sua vita era in pericolo. Come risultato la presa di Vittorio sulla sua nuca si fece più forte. Gli tirò i capelli, mentre i suoi denti si chiudevano con più forza sulla sua gola, rendendogli difficile respirare, mozzandogli il fiato per un momento.
Soffocato lentamente dalla sua presa Marco perse ogni resistenza prima di poter capire che l'altro aveva preso a berne il sangue, la mente ormai offuscata dalla mancanza di ossigeno.
- Ma che carino ad addormentarti tra le mie braccia, dolcezza – gli sorrise con falsa gentilezza Vittorio, staccatosi da lui con le labbra incorniciate di rosso sangue, dal mento a gocciolargli l'inteso liquido vermiglio.
I canini gli si erano allungati al punto da divenir aguzzi come lame di un rasoio, simili ad un paio di zanne. Gli occhi da prima verdi che risplendevano di un inquietante luce dorata.
- Oh, e grazie della tua gentile offerta - aggiunse, pur sapendo che l'altro non lo avrebbe sentito, prima di riprendere a bere di lui attaccandosi nuovamente alla sua gola. Essendo il primo pasto decente che faceva da 200 anni e passa, voleva goderselo al meglio, e gli era difficile moderarsi, per quanto sapesse gli fosse necessario.
Infondo, era un vampiro elegante e paziente, se desiderava vendicarsi dello sgarbo che Simone gli aveva fatto doveva saper prendere con calma la propria vendetta. In più quel ragazzo, Marco, si era rivelato più appetitoso del previsto, o era solo la fame a farglielo credere? Dopo tutto quel tempo obbligato al digiuno però non si sarebbe limitato certo a consumarlo in una sola portata. L'ingordigia era un peccato mortale di cui aveva già fatto le spese e,soprattutto, a trovare un cadavere morto dissanguato nel boschetto, sarebbe stato sin troppo ovvio chi fosse il colpevole.
Quei bastardi dell'associazione lo avrebbe ucciso all'istante, e doveva tornare in forze prima di riuscir ad affrontare un qualsiasi combattimento.
Sospirò Vittorio trattenendosi ad andare troppo oltre, lasciando la presa dai capelli di Marco, adagiandolo a terra dopo aver posato un bacio sui segni che gli aveva lasciato sul collo, così da richiuderli. Finalmente alzatosi lui, stava per andarsene, accompagnato da una leggera foschia che già da un po' aveva preso a seguirlo, sparendo tra gli alberi così com'era arrivato. Ma all'ultimo si fermò, voltandosi verso il ragazzo svenuto che aveva cominciato a mugolare intontito, anche se non sembrava sul punto di risvegliarsi. Visto il suo pessimo senso dell'orientamento, anche quando si fosse svegliato, probabilmente per lui sarebbe stato difficile arrivare dal suo amichetto Simone. "Se dovesse inciampare su una radice e crepare spaccandosi la testa, poi mi darebbero comunque la colpa, dicendo che gli ho causato un mancamento o qualcosa di simile…" rifletté il vampiro, pensando a quanto la fissazione di Simone per il suo amico lo portasse a prendere atteggiamenti al quanto esagerati.
Sbuffò di nuovo Vittorio, per nulla intenzionato a farlo, aberrando anzi un gesto del genere. Non lo voleva ASSOLUTAMENTE fare, era una cosa indecorosa per lui e per il proprio rango, ma si caricò Marco sulle spalle, trasportandolo quasi fosse un sacco di patate, per portarlo in un punto dove gli fosse impossibile non trovare la strada.
"Chissà se il suo amichetto gli ha rivelato quale genere di lavoro svolge?.."

Simone si sollevò la sciarpa, in modo che gli coprisse parte del viso e si avvolgesse meglio al suo collo, così da impedire ad un sottile ed irritante spiffero d’aria gelida di raggiungergli la pelle, ma pareva avesse quasi vita propria. Senza alcuna intenzione di collaborare con lui la sciarpa gli ricadde subito in un groviglio confuso di tessuto, provocandogli un moto di irritazione, cominciava a chiedersi sul serio il motivo per cui l’avesse indossata. Era inutile! In un impeto di rabbia fu sul punto di strapparsela di dosso, seccato dalla situazione, dalle ore di appostamento e dal freddo. Era accovacciato dietro a quella parete - i resti fatiscenti di un muro in pietra di una qualche cascina ormai crollata -, da quando il sole aveva da poco abbandonato l’orizzonte, e il cielo aveva preso le colorazioni del crepuscolo.
Ora solo uno spiraglio pallido di luna brillava in cima alla sua testa. I suoi occhi avevano avuto tutto il tempo di abituarsi all’oscurità, e per cercare quelle poche costellazioni che conosceva. Per sua fortuna, per lo meno, era una nottata limpida. Non avrebbe sopportato di fare tutte quelle ore d’attesa sotto ad una pioggia battente. Lo aveva già fatto una volta e, per il resto della settimana, era stato attanagliato dalla peggiore influenza della sua vita. Probabilmente era stato da quel momento che aveva cominciato ad odiare sul serio il freddo. La pioggia doveva averlo bagnato sin nelle ossa, portando a formarsi uno strato di ghiaccio su di esse e rendendolo così insofferente alle basse temperature.
- Avrei dovuto andare ad aiutare Marco… - mormorò tra se e se, trasformando il suo fiato in una nuvoletta grigia di condensa, soffiandosi sulle mani giunte davanti al viso per riscaldarsi le dita. Stava ripensando alla conversazione che aveva avuto con l’amico qualche ora prima, quando era sul punto di partire. “Come avrà fatto a perdersi, poi?” ancora si chiedeva, rammaricandosi di essersene dovuto andare senza potergli dare una mano. Ma aveva ricevuto una convocazione dal suo maestro e, per quanto Marco fosse il suo migliore amico, Simone non poteva rifiutarsi di presentarsi di fronte a lui. Infondo non si trattava solo del suo maestro/ex tutore, ma anche del suo datore di lavoro e padrone di casa.  Per quanto la cosa potesse seccargli, non poteva sottrarsi, soprattutto se riguardava uno incarico.
Un movimento alla sua destra, percepito con la coda dell’occhio, riportò l’attenzione di Simone a ciò che stava facendo o, meglio, al motivo per cui fosse presente in quel luogo.
“Voglio tornare a casa…” piagnucolò tra se e se mentre lentamente si sollevava in piedi, avvertendo quasi immediatamente un fastidioso formicolio attraversargli le gambe. Gli si erano intorpidite a causa della lunga immobilità. La sua mano lasciò la sciarpa, a cui era ancora aggrappata, alla fine non l’avrebbe tolta - era pur sempre un regalo -, e andò veloce a sistemarsi i larghi occhiali che gli erano caduti sulla punta del naso. Con quel gesto avvertì i polpastrelli intorpiditi dal freddo e si pentì di non aver preso dei guanti, era davvero una nottata gelida.
“Spero che Marco sia riuscito ad entrare” si augurò percependo un secondo spostamento d’aria, e accertandosi così’di non essersi solo immaginato il primo. Doveva sbrigarsi a concludere quel lavoro che gli era stato affidato, e per cui aveva dovuto perdersi in mezzo ad un campo spoglio, le cui zolle erano appena state rivoltate in previsione della futura semina.
Si costrinse a sorridere, sistemandosi il giaccone che lo copriva come se si fosse alzato in piedi solo per ripulirsi dalla polvere, imponendosi di controllare lo sguardo, così che non corresse istintivamente ai movimenti che aveva avvertito. Tendeva però le orecchie, in modo d’assicurarsi di non essere colto di sorpresa dalla propria ospite, la quale invece ora non faceva nulla per nascondersi. Trattenne un sospiro, avvertendo l’agitazione montare e le mani tremare. Doveva stare calmo, non poteva permettersi di sbagliare. Se falliva avrebbe perso il permesso di far vivere temporaneamente Marco con loro, e non poteva permetterselo. Marco lo avrebbe ucciso.
Un triste canto lo raggiunse mentre faceva simili pensieri, simile al pianto inconsolabile di un’anima a cui fosse impedito di riposare per l’eternità.
Era il suo segnale. Con falso stupore Simone si guardò attorno, cercando da dove provenisse una voce femminile tanto misera e penosa.
- Oh, buonasera - trovò una sagoma indistinta e la salutò come se non l’avesse notata prima, pur consapevole che ormai da un pezzo era rimasta nell’oscurità ad osservarlo, - . . . Come mai tanto triste? - domandò sorridendole cordialmente.
Lei non gli si era ancora mostrata, limitandosi a rimanere una semplice ombra, ben lontana dal punto dove si trovava Simone. Non osava ancora avvicinarsi troppo, probabilmente studiandolo cercando di capire se fosse una minaccia o meno.
Una sottile nebbia aveva preso ad alzarsi dal terreno.
- E’ forse venuta qui a piangere le sue sventure? - insistette Simone, sforzandosi di apparire il più inoffensivo possibile. Una parte che gli riusciva piuttosto bene.
Spesso lo avevano preso in giro, per quel suo volto dall’espressione infantile e un poco scema, ma quella falsa ingenuità gli tornava sin troppo utile in tali frangenti. - Se è così, la posso capire. Per me è lo stesso, che ne dice di parlare un po’? Magari può essere utile ad entrambi - continuò sfoderando la propria parlantina mentre portava entrambe le mani dietro la schiena, un gesto che doveva dimostrare la sua disponibilità nei suoi confronti.
- Non voglio parlarne - la voce di lei lo raggiunse simile ad un sospiro, e un brivido ricoprì istintivamente la pelle di Simone.
Era riuscito a farsi rispondere, ora gli si sarebbe mostrata.
- Ah, certo. La posso capire. . . - si mostrò leggermente in imbarazzo per il suo netto rifiuto, mettendosi a sistemare la sciarpa che aveva al collo con un mano, palesando un falso disagio. - Ma non le da fastidio, se sono io a farlo, vero? - propose e, dopo una manciata di secondi in cui non ricevette risposta, decise che la sua fosse una muta concessione, e prese quindi a raccontare.
- Qualche tempo fa avevo una fidanzata, sa? Era tanto bella che tutti in paese me la invidiavano. Ed io ero orgoglioso di lei, non solo per la sua bellezza, ovviamente. Possedeva un carattere forte e risoluto, nulla poteva fermarla se si metteva in testa qualcosa. Io al contrario ho sempre avuto un’indole mite e passiva, quindi era lei il mio sostegno - ne avvertiva i movimenti attorno a se, aveva preso a girargli attorno, attraversata all’apparenza da una strana smania. Simone però non si interruppe dal raccontare, mantenendo sempre lo stesso sorriso di cortesia. - In molti si chiedevano come avesse potuto un tale splendore innamorarsi di un pezzente come me. Eppure, qualche strano scherzo del destino, aveva voluto che fosse così - parlava donando una cadenza alle parole che rendeva difficile non ascoltarle, legandole quasi fossero una melodia, una catena da cui non ci si poteva liberare sino a quando non si era giunti alla fine.
Il suo aspetto e suoi modi potevano tradire una timidezza innata, ma Simone contrariamente alle apparenze, sapeva rivelarsi un ottimo oratore e, sopratutto, un esperto bugiardo. Difficilmente qualcuno si rifiutava di ascoltare i suoi racconti, fossero fiabe per bambini o, come in quel caso, tragedie.
-. . .- infine lei si fermò, occultata al suo sguardo perché nascosta dalla parete che lo fiancheggiava, Simone l’avvertiva vicino, il suo racconto pareva interessarla al punto da concedergli di concluderlo. Probabilmente lo trovava una storia sin troppo familiare per non saperne la fine.
- . . . Cosa le successe? - difatti gli domandò, la voce che tradiva confusione e irritazione per l’improvvisa interruzione.
- Oh, pensavo non vi interessasse e ve ne foste andata, signorina - si giustificò Simone, voltandosi verso il muro mezzo crollato che li divideva e occultava l’uno dall’altra.
- Cosa le successe? - ripete gelida, mentre la nebbia si alzava e si addensava sino ad arrivare alle ginocchia di Simo.
- Arrivò un giorno in cui dovetti partire. . . - sospirò con rammarico, quasi fosse realmente lui il protagonista di quel racconto, e non stesse solo ripetendo una storia che aveva udito, e sentì che anche lei fece lo stesso. - Ero un commerciante, e avevo ricevuto un opportunità irripetibile. Un incarico che allungo andare ci avrebbe fatto arricchire. E nell’immediato abbastanza denaro da organizzare un matrimonio - esitò, attendendo una reazione da lei, la quale però parve rimenare immobile, rapita ad ascoltarlo. Quindi riprese:
- Accettai, più che per il guadagno, per la prospettiva di poter finalmente sposarla e lei, come al suo solito, mi sostenne. Me ne andai con la promessa che, al mio ritorno, ci saremo sposati… ma purtroppo, a viaggio concluso, non la trovai ad attendermi - sospirò fingendo rammarico e tristezza, - A sentire gli altri del paese sarebbe fuggita con un forestiero suo amante -
- NON E’ VERO!- lo interruppe gridando, la voce deformata dalla furia, e a quale punto gli si mostrò per quel che era.
Un improvvisa esplosione fece crollare i resti del muro che sino a quel momento li aveva separati, d'istinto Simone scattò all'indietro per evirare di finir travolto dai detriti. A quanto sembrava era riuscito a far infuriare la sua interlocutrice, non era proprio sicuro se ciò fosse proprio un bene, per lo meno l'aveva portata a mostrarsi non più come semplice ombra, ma con la sua vera forma.
- Io... io non l'ho tradito!! Non l'ho mai fatto!! - sbraitava avanzando con le braccia protese in avanti, superando i resti fatiscenti della parete che, con un semplice grido, aveva abbattuto. - IO LI ODIO! LI ODIO TUTTI!! - urlava e le sue grida ferivano i timpani, troppo acute, stridenti simili a unghie che graffiassero una lavagna.
Simone nel frattempo non reagiva, limitandosi ad osservarla a pochi metri da lei, all'apparenza per nulla infastidito dai suoni che produceva. Guardava quell'ammasso di risentimento che un tempo era forse stato un essere umano, probabilmente, se era come sospettava, la stessa la bella donna protagonista del suo racconto. Ora la vedeva camminare traballante su gambe prive di forma, ridotte a semplici ossa su cui non rimaneva attaccato neppur un lembo di pelle, ingiallite a causa del lungo tempo in cui erano rimaste a contatto con il terreno. Vedeva il suo corpo, ormai quasi totalmente decomposto, le costole che spuntavano da un buco della carne marcia, il ventre aperto da una lunga linea orizzontale, completamente privato degli organi interni, forse divorati dai cani randagi che pullulavano la zona. Quella ferita però, quel taglio, era troppo preciso per essere stato causato da un animale.
La poveretta doveva essere stata sventrata con una lunga lama, forse un pugnale o un coltello da macellaio; dedusse Simone, il quale, per quanto l'avesse definita "poveretta", non provava alcuna pietà per lei. Forse perché gli riusciva difficile aver compassione per qualcuno che, sapeva bene, di lì a poco avrebbe tentato di ucciderlo. O forse era perché aveva conosciuto troppe storie tristi, simili al fato subito da quella donna, per sentirsene toccato ogni volta.
- TU!..- lo indicò la Wraith avendo sempre entrambe le braccia protese, con le dita della mano destra consumate fino all'osso e la sinistra mancante di due falangi. - Chi è stato... chi è stato a raccontarti una simile storia!? - gli domandò continuando a colmare la distanza che li separavano, la voce che da acuta si era fatta gutturale, segno forse della presenza di una rimasuglio di coscienza in una simile carcassa dal cervello liquefatto.
Simone non gli rispose, lasciando che lei continuasse ad avvicinarsi, lo sguardo fisso su quello che doveva essere stato un bel viso, ma che ora era devastato dalla morte, privato completamente del naso e con un orbita vuota. L'unico occhio rimanente che lo fissava con un grigiore cieco, vuoto, e i pochi lembi di pelle ancora attaccati al suo teschio, di un colore verde-bluastro, che penzolavano dall'osso con il rischio di cadere ad ogni passo.
- PERCHÉ' NON PARLI!!? - si irritò la Wraith, investendolo con la propria voce, un suono che era riuscito a spaccare un muro diroccato e che Simone avvertì attraversarlo, espandersi nel proprio corpo smuovendogli gli organi interni. Stupito si trovò a tenersi lo stomaco, piegato in due a causa di una fitta improvvisa, avvertendo il  sapore rameico del sangue sulle labbra. Non avrebbe mai creduto che la voce di quello spettro potesse avere un simile effetto sul suo corpo. Forse era stato troppo ottimista nel credere che gli sarebbe bastato limitarsi a proteggersi i timpani, infilando degli auricolari speciali che attutivano quei suoni che avrebbero potuto danneggiargli l'apparato uditivo.
- Che crudeltà... - si disse tra se e se Simone, deglutendo il grumo di sangue che gli aveva riempito la gola, era stato sul punto di sputarlo a terra, per liberarsi del suo fastidioso sapore sulla lingua, ma non c'era nulla di più pericoloso che spargere sangue in giro, soprattutto quando era il proprio. - Sono solo un apprendista - sbuffò scuotendosi con una mano i capelli castano chiaro all'attaccatura della nuca, l'espressione contrariata e nervosa. - Eppure mi affidano lavori sempre più ostici... - inclinò la testa di lato guardando altrove mentre infilava entrambe le mani nelle tasche della giacca, il volto sempre contrito in una smorfia tutt'altro che felice.
- Non vedo l'ora che il maestro ritorni dalla sua vacanza. Per quando non mi manchi affatto, la sua assenza è una seccatura - Simone aveva il pessimo difetto di parlare da solo, di perdersi  nei propri pensieri senza badare a chi o cosa gli stesse intorno.
- NON IGNORARMI!!! - gridò la Wraith avventandosi su di lui con furore crescente, aveva solo simulato la propria lentezza, camminando malferma, quasi dovesse inciampare da un momento all'altro. In realtà era una capacità tipica degli spettri quella di muoversi come il vento, fluttuando con esso. Gli si scagliava contro sbattendo più volte la mandibola la dai denti storti, provocando un rumore secco ed inquietante.
- Sei davvero uno spettro intelligente tu - si limitò a commentare Simone, tornando a portare l'attenzione su di lei, sulle mani scheletriche che gli protendeva contro, ora a pochi centimetri dal suo viso. - E' la prima volta che mi trovo di fronte ad uno spettro con abbastanza coscienza di se da poter dire qualcosa oltre a "whaaa" o "groouw", o simili -  continuò, e i suoi non erano complimenti nei confronti della Wraith, semplicemente esponeva il fatto, accettandolo come tale senza alcun interesse per la questione.
- Che... che cosa?! - si trovò invece a balbettare lo spettro, incapace di afferrare il ragazzo, poco più di un moccioso, che aveva di fronte. - TU...!- gridò furiosa, allungando quelle stecche d'ossa che gli rimanevano per braccia. Gli sporadici brandelli di pelle che la ricoprivano parevano attraversati da innumerevoli scosse elettriche, per qualche motivo visibili ad occhio nudo, che la percorrevano disegnando strani arabeschi e figure su tutta la sua carcassa. Non riusciva ad avanzare. Non riusciva a saltare alla gola di quel marmocchietto che aveva avuto l'ardire di infangare il suo nome, il suo passato. - IO NON L'HO MAI TRADITO! IO NON SONO FUGGITA!! - urlava, sfruttando quella voce che, già da prima, aveva notato avere effetto sull'altro.
Consapevole che, ad una simile distanza, i suoi organi interni e probabilmente pure l'esterno del suo corpo, sarebbe finito disintegrato da quell'urlo, Simone si sposto di lato, evitando di riceverlo direttamente. Fu colpito però in parte, e un'altra fitta dal proprio stomaco, gli diede conferma di essere già stato danneggiato.
"Uhg, avrò bruciori di stomaco per almeno un mese.." pensò mentre gettava la piccola pietra che aveva tenuto per tutto il tempo in tasca, e ormai frantumata, a terra. La runa che vi era incisa l'aveva protetto bene, impedendo alla Wraith di toccarlo, ma non appena era stato lui a muoversi, la magia si era spezzata, facendo svanire l'incantesimo. La pietra era tornare ad essere semplice ed inutile pezzo di roccia.
- NON SONO FUGGITA! NON SONO FUGGITA!! - continuava ad urlare ancora lo spettro, cominciando ad arretrare, a volteggiare su se stessa e attorno il muro distrutto. "Ha smesso di prestarmi attenzione?", credette Simone, pensando che forse la Wraith aveva perso l'ultimo frammento di coscienza rimastole o perché divenuta totalmente cieca dalla rabbia. Ma si sbagliava.
Il terreno sopra cui lo spettro fluttuava cominciò a smuoversi, la terra si spacco e qualcosa cominciò a spuntare, simile ad un macabro fiore oscuro trasudante marciume e morte.
Un cadavere si stava sollevando dal terreno, poi un altro, e un altro ancora. Corpi ignoti, abbandonati, gettati in quel terreno sconsacrato e poi finiti per essere divorati dalla terra, per sempre dimenticati. In quella notte si rialzavano dal loro sonno per volere della Wraith, in una brutta copia della "Notte dei morti viventi".
Sul momento Simone si trovò ad osservare la scena allibito, mentre una parte di lui, simile a quei cadaveri ridestati scava per fuoriuscire, ma che a forza si costrinse a ricacciare indietro. Non era il momento per farsi prendere dall'eccitazione del momento, doveva mantenersi lucido e ragionare. Per quanto, invece di spaventarlo, quella situazione si facesse per lui sempre più interessante. Tanto che si dovette coprire la bocca con la mano, per nascondere il sorriso natogli sulle labbra.
- Fammi indovinare... sono quelli che hai ucciso in questi anni vero? - parlò mordendosi l'interno della guancia, per costringersi a non ridere, mentre contava all'incirca una ventina di zombie che obbedivano alla Wraith. Lei però non gli rispose, continuando a chiamarli a se radunandoli per fargli abbattere un unico obbiettivo. "E' abbastanza intelligente da capire che non sono una persona comune, e visto che non è riuscita ad attaccarmi direttamente, adesso manda altri a farlo, sperando di mettermi alle strette" ragionò nel tentativo di intuire i piani dello spettro.
- E sono sicuro che neppure uno di loro è il bastardo che ti ha ucciso, vero? - un classico delle Wraith ammazzare chiunque invadesse il loro territorio, in cerca di una vendetta che difficilmente ottengo, puntando obbiettivi alla cieca non potendo lasciare il luogo in cui era seppellito il loro cadavere.
"Ora che la runa si è distrutta, anche lei potrebbe attaccarmi senza difficoltà, ma è meglio che non lo sappia" ragionò, incapace di trattenere ulteriormente il sorriso che gli attraverso il viso con un'espressione sanguigna. Guardava ancora la Wraith e finalmente intuiva, superando l'orrore della morte che la devastata, quale splendore fosse stata vita.
"Sì, quest'incarico è proprio una seccatura..." pensava, pur consapevole che ora si stava sforzando di dirlo, e solo per non dover ammettere di aver cominciato a divertirsi.







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Grazie per la lettura (^.^)b
Perdonate la banalità >.<''', è la mia prima opera originale (che pubblico), e ha ben poco di originale in realtà xD xD
  
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