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Autore: varisaura    13/03/2016    0 recensioni
"Ti sei sempre promesso poche cose nella vita, hai sempre ritenuto di non meritare niente. Ti sei concesso solo tre dilezioni: tua moglie, i tuoi figli e la tua passione per la cultura. E sebbene io non faccia parte di nessuna di queste tue passioni, continui a dedicarti a me ogni volta come se fosse l’ultima."
Dedicata a P.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ti sei sempre promesso poche cose nella vita, hai sempre ritenuto di non meritare niente. Ti sei concesso solo tre dilezioni: tua moglie, i tuoi figli e la tua passione per la cultura. E sebbene io non faccia parte di nessuna di queste tue passioni, continui a dedicarti a me ogni volta come se fosse l’ultima. Ogni volta più bello, ogni volta più triste, e ogni volta più passionale. Ogni bacio tradisce un po’ di esitazione, nascosta sempre dalla decisione del tuo possente essere. Nascosta dal fatto che hai capito anche tu che sono innamorata di te, mentre tu forse alla fine non lo sei mai stato.
In ogni tocco pieno di voglia celi il fatto che cominci ad avere paura di quello che succederebbe se qualcuno scoprisse ciò che va avanti tra noi. Eppure prima era proprio la paura di essere scoperto che ti eccitava. Era proprio quel misto di illegalità, di segreto, di mistero ad aver fatto scoppiare la scintilla tra noi. Partivo già dal presupposto che non sarei mai stata nulla di troppo importante per te, e forse nella mia giovane mente pensavo che potesse andarmi bene anche così. Pensavo che potesse andarmi bene solo il fatto che tu mi davi solo quello che volevo ricevere, niente di più e niente di meno.
Mi sentivo un’egoista a desiderare debolmente, dentro di me, che mi degnassi di uno sguardo in più in aula, che mi guardassi come avrei voluto essere guardata da un uomo, ovvero solo da te.
Ma dopotutto sapevo benissimo che non mi guardavi solo perché non volevi destare sospetti, risolini e battute idiote e sciape né nei tuoi ma neanche nei miei riguardi. O almeno, pensavo che fosse così.
Quando eravamo soli, i primi tempi, mi dicevi che non avevo bisogno di parlare, che potevi sentire anche quello che non ti avevo mai detto. Alla fine insomma, quando mai ci eravamo parlati seriamente? Mi imbarazzava sentire la tua voce in quel tipo di contesto, ma allo stesso tempo mi accarezzava lentamente il corpo, come un’enorme e prolungato brivido sensuale. Mi imbarazzava che tu avessi visto anche parti di me che non avevo mai avuto il coraggio di mostrare a qualcuno.
Ogni volta che ci ritrovavamo da me, mi piaceva stare distesa vicino a te, mi piaceva guardare ogni lineamento del tuo viso maturo, mi piaceva provare a indovinare lo strano colore dei tuoi occhi. Eppure, oltre quel momento di distensione, di rilassatezza, tu ti alzavi, ti rivestivi con la luce debole che filtrava dalle veneziane e mi salutavi cordialmente, mentre ero ancora seminuda nel letto. Non avevamo mai parlato dopo essere stati a letto insieme. Né mi avevi chiesto di prepararti un caffè né qualcos’altro. Un fugace ma intenso “Arrivederci” si materializzava nelle nostre voci e la porta si chiudeva, lasciando al di fuori una figura all’apparenza ordinaria come la tua.
E ti vedevo come una figura fugace, evanescente, nella mia vita, ma eri comunque un chiodo fisso per me. Era come se ogni mattina avevo piacere di svegliarmi solo perché ti avrei visto. Lì cominciai ad accorgermi che io ero davvero cotta per te, e che non mi sarebbe mai convenuto esserlo, altrimenti ci avrei solo rimesso.
Ogni giorno cominciava ad essere sempre qualcosa di triste, i miei occhi mesti che osservavano la tua figura flessuosa come se fosse qualcosa di irraggiungibile, anche se in un certo senso io ti avevo già raggiunto. Ti avevo raggiunto, io all’inizio volevo solo il tuo corpo, volevo solo essere desiderata nel senso fisico del termine.
Tu non mi avevi mai deluso, alla fine. Il tuo corpo me l’avevi dato, e mi desideravi, altrimenti non avremmo mai cominciato questo genere di storia. Il problema è che volevo essere desiderata in tutti i sensi. Volevo che tu mi parlassi, volevo che mi guardassi come si guarda la luna, volevo che ti interessassi almeno un po’ a me.
Non volevo attirare la tua attenzione scoppiando a piangere nel mio letto, sarebbe stato squallido oltre che fuori luogo. Avrei dovuto provare ad attirare la tua attenzione in modo subliminale.
Misi un calendario in camera, cosa che non era mai successa prima d’ora. Non utilizzavo molto i calendari, ma visto che l’anno era appena finito, mi sembrava proprio il caso di cominciare. Avevo una buona ragione per farlo, a dire il vero.
Dopo aver fatto l’amore, ti stendesti placidamente sul letto, sotto le lenzuola.
- Posso? – ti chiesi, l’ansia che saliva mentre poggiavo la testa sul tuo petto. Nulla di questo era mai successo nei nostri incontri precedenti. Era così inusuale, così intimo, che mi eccitava allo stesso modo in cui mi eccitava il sesso con te.
- Abbiamo fatto di peggio che stenderci innocentemente l’uno accanto all’altra. – ridacchiò guardandomi. Forse anche lui aveva aspettato da tanto tempo il momento in cui ci saremmo un po’ condivisi l’uno con l’altra.
Non potei che ridere anche io, del resto. Con me avevi dato sfogo a ogni tua perversione, a ogni tua remota fantasia, sempre se l’avessi voluto anche io. Eri stato molto chiaro all’inizio, lo ricordo bene.
Con me tu non eri l’uomo che vedevo alla cattedra, non eri neanche il giornalista liberale, ironico e rivoluzionario del web, ma non eri neanche l’uomo che immaginavo tu fossi con i tuoi figli.
- Sei strana anche nell’appendere i calendari. – mi facesti notare, la tua voce dolce e senza una nota di critica. Come se fosse una cosa che avevi notato da tempo e che non vedevi l’ora di dirmi.
- Cosa? – chiesi, guardandoti negli occhi. Avrei voluto tanto baciarti di nuovo, avrei voluto accarezzare i tuoi capelli.
- Solitamente si appendono con il chiodo. Perché hai strappato la pagina e l’hai attaccata all’armadio? – domandasti.
- Così la vedo prima quando mi sveglio. E corro a mettere la crocetta su un altro giorno. – risposi. Per me aveva senso, sinceramente. Anzi, aveva molto senso. Così avresti potuto continuare la conversazione.
- Per cosa fai il conto alla rovescia? – mi chiedesti. Lo sapevo, sapevo che rispondendo in quel modo saresti potuto andare solo in quella via. Anche se sapevo che quelle erano solo domande di pura e semplice formalità, risposi comunque molto emozionata.
- Tra una settimana parto. – risposi. Il tuo sguardo interrogativo mi pregò di continuare. – Ho vinto una borsa di studio tre mesi fa. Per due mesi studierò in Giappone. – conclusi.
- La terra del Sol Levante… - sorridesti. – Spero tu ti diverta, te lo meriti. – dicesti, alzandoti dal letto. L’agognato momento stava tornando. Non potevo permetterti di andare senza averti trattato come avrei sempre voluto.
- Grazie. – risposi. – Per caso vuoi un po’ di caffè prima di andare via?
Sorridesti. Vedere il tuo volto distendersi in un’espressione così dolce mi faceva sciogliere il cuore.
- Come mai oggi sei così loquace? – rispondesti annuendo, proponendomi un’altra domanda. Mi faceva un po’ paura rispondere.
- Mi ha sempre messo un po’ in soggezione parlarti.
- Non ti mette in soggezione fare sesso con me, ma parlarmi sì? – un sorriso sul tuo volto, di nuovo. Mi sentii implodere, eri di una bellezza divina. Preparavo la macchinetta del caffè, nel frattempo.
- Non è solo per quello, però. Mi sono accorta che da quando partirò molte cose cambieranno. Tu tornerai alla tua vita normale, con tua moglie e i tuoi figli. Ti sarai abituato a non vedermi più, non ti farà più differenza se ci sono o no. – dissi, guardandoti con lo stesso sguardo di un animale perduto in qualche luogo immenso.
- Cambierò solo io, secondo te? Solo io non proverò differenza, per te? Tu cambi continente e completamente mentalità e secondo te cambierò solo io?
- Io sono innamorata di te. – dissi, seriamente, guardandoti. Mi aspettavo che il silenzio incombesse su entrambe le nostre figure, e che pervadesse ogni lembo della nostra pelle.
- Quando tornerai non sarai più così innamorata di me. Conoscerai persone molto migliori di me. - dicesti, l’ansia in me che continuava a dilaniarmi lo stomaco. Non come una minaccia, ma come una constatazione. Il puro e semplice tono senza rancore. Quanto mi stavo bruciando per te solo gli Dèi lo sapevano.
- E poi io ho trent’anni più di te. Ci perdi soltanto a stare con un vecchio come me, a un passo dalla morte. – continuasti.
- A me non interessa l’età. Io mi innamoro delle persone che mi piacciono, e tu mi piaci. Non posso decidere cosa fare e cosa non fare, di chi innamorarmi e di chi no.
Forse dal mio discorso traspariva l’ingenuità di una ragazzina di vent’anni, in contrasto con l’esperienza di un uomo di cinquanta.
L’odore di caffè cominciava a farsi sentire, una folata di vento forte scosse tutte le foglie cadute a terra del parchetto davanti casa, un forte miagolio di gatti si percepì sin dentro la cucina.
Il tuo sguardo, d’improvviso diventato duro e cupo, incrociò il mio. E come in un sogno la tua voce mi disse di iniziare a piangere.

  
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