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Autore: varisaura    13/03/2016    0 recensioni
"Tre volte fu davanti alla soglia di casa sua, due volte bussò alla sua porta e una volta non lo fece."
Dedicato a P.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La prima volta che avrebbe bussato alla sua porta si trovava sotto il suo appartamento, riguardava i nomi scritti sul citofono, e al quinto piano trovò il suo. Aveva già un piano in mente, nel caso in cui non l’avesse trovato in casa. Era da un bel po’, in realtà, che fissava il suo nome e quello di sua moglie sulle targhette del citofono.
Si decise a salire, a salire le scale fino al quinto piano. Sentiva che l’ascensore avrebbe significato una qualche pugnalata al cuore, forse si sarebbe trovata impreparata davanti alla sua porta, col risultato che avrebbe fissato la sua porta per altri venticinque minuti. Con il tempo di percorrere una decina di rampe di scale avrebbe avuto più tempo per schiarirsi le idee.
E finalmente, la decisione di due dita battute contro una porta di legno, il rumore un po’ ovattato e attutito.
E finalmente, la porta si aprì lasciando intravedere le fattezze di un ragazzo giovane, dalla barba scura e folta e dagli occhi chiari, proprio come il padre. L’esitazione nei suoi occhi si nascose dietro il coraggio di iniziare a parlare.
- Io sono un’amica di Alice, mi ha mandato lei a parlarti. Mi ha detto che dovevo venire per dirti alcune cose. – disse lei, velocemente e frettolosamente, facendo per entrare nella casa di quel giovane. Lui la lasciò entrare, facendola addirittura sedere al tavolo della sala da pranzo, anche se cominciò a farsi qualche domanda. Lei non gli lasciò un secondo per parlare. Più volte fu sul punto di dire qualcosa, ma lei riprendeva come se le cose che le venivano in mente non fossero mai troppe. Fu la sua capacità retorica, la sua abilità nel parlare, che lo affascinò ad un discorso che più che un dialogo, pareva fosse un soliloquio.
- Io so, lo so benissimo, che tutti noi umani nasciamo soli e moriamo soli, e che a volte, nella durata della nostra vita abbiamo bisogno di qualcuno che ci accompagni per un tratto, abbiamo bisogno di qualcuno da amare, che ci ami a sua volta. Io capisco benissimo come ti senti, fidati. Non c’è davvero bisogno che tu me lo dica, lo so meglio di chiunque altro. Non so se hai presente come Aristofane concepiva gli uomini, che una volta erano come delle palle con quattro braccia, quattro gambe, e che poi vennero tagliati a metà da Zeus geloso della loro felicità. Da allora sono quindi in cerca della loro metà, ma io non credo che Alice sia la tua. E né tantomeno credo che tu sia quella di Alice.
Mentre parlava, quella ragazza guardava di soppiatto ogni angolo di quella sala, un’enorme libreria che raccoglieva molti libri del padre di quel ragazzo, e le foto del suo matrimonio. Del matrimonio di un giovane alto e magro, dai capelli neri e corti, leggermente tirati indietro, dal sorriso splendido che lo contraddistingueva, dalla barba corta ma folta, proprio come quella del figlio, e di una donna dai tratti disarmonici, che nel particolare erano belli e delicati, ma che nel complesso non riuscivano a darle un’espressione definita. Quella donna dai capelli ricci e scuri legati in un elegante chignon dietro il capo, con una semplice tiara argentea e dal vestito bianco e accollato.
In quella foto erano felici, si disse la giovane.
- Sai, - cominciò a parlare il ragazzo. – Hai fatto un discorso molto bello. Cioè, mi sono incantato. – rise. Il suo sorriso era proprio come quello del padre. Più lei guardava quel ragazzo, più ci rivedeva l’uomo di cui si era innamorata.
- Per più di mezz’ora hai parlato solo tu, - continuò a ridacchiare. – E davvero, mi è piaciuto ascoltarti. Ma posso farti una domanda? – chiese poi, guardandola bene negli occhi. Lei assentì.
- Ma chi è Alice?
La ragazza scoppiò a ridere, una leggera risata di semi-disperazione. – Come sarebbe a dire chi è Alice, ma tu non sei Alessandro?
Il ragazzo scosse la testa, ora evidentemente aveva capito tutto.
- Allora perdonami, ti ho fatto perdere tempo e non era neanche diretto a te il discorso. Me ne vado subito. – disse lei, prendendo le sue cose e facendo per andare verso la porta.
- Mi dispiace, dovrai rifare quel bel discorso un’altra volta. Chissà se ti torna proprio così… - rise il ragazzo, lei lo scrutava in ogni minimo particolare. – Comunque tranquilla, non mi hai fatto perdere tempo. – e poi le aprì la porta. Lei se ne andò subito, si salutarono frettolosamente e velocemente scese le scale.
Chiuse il portone di casa e riguardò i nomi al citofono. Non sarà la mia ultima volta qui. 
La seconda volta che bussò alla sua porta fu un mercoledì, un mercoledì di febbraio. I peschi e i mandorli erano molto prematuri, già stavano sbocciando nonostante le temperature. Comunque sapeva che il mercoledì mattina era solo in casa.
Salì di nuovo le scale, ma questa volta attese un po’ prima di bussare. Aspettava di ricomporsi dal freddo e dal fiatone che aveva acquistato per le rampe.
Di nuovo, la decisione di due nocche contro la porta di legno.
E di nuovo, la porta si aprì rivelando i tratti di quell’uomo dalla barba argentea. Ora che lo riguardava, era proprio come il figlio.
- Ciao. – lui la salutò, lasciandola in attesa sulla soglia. L’ansia che le stava divorando lo stomaco.
- Ciao. – rispose lei, cercando di non lasciar trasparire alcun segno di indecisione. Ha proprio l’atteggiamento di un single…
- Che ci fai qui?
- Passavo da queste parti, ho pensato di farti visita. – sorrise, guardando dal finestrone del pianerottolo.
- Alle nove del mercoledì mattina. – disse lui, appoggiandosi alla porta. Era ancora in maglietta da casa e pantaloni di una tuta. I capelli erano sistemati, ma il suo aspetto rivelava che era in piedi da poco.
- Alle nove del mercoledì mattina. – confermò, guardando la sua figura da capo a piedi.
- Entra, vuoi un caffè? – le propose, stropicciandosi un occhio. Lui non si era mai lasciato vedere così da nessuno tranne che dalla sua famiglia. Quanto sei bello, pensava lei osservando ogni minuscolo particolare del suo corpo.
- Perché no. – disse, togliendosi il giaccone e portandolo a mano per appenderlo sulla sedia in cucina.
In cucina c’era un computer da cui proveniva della musica, musica a lei molto conosciuta.
- Ah, la Quinta danza ungherese. Esecuzione diretta da Tomomi Nishimoto, vero? – disse lei, appendendo il giubbotto. Lui sorrise annuendo. La giovane si morse il labbro inferiore, e lo guardò quasi sognante.
- Sappi che hai interrotto il mio momento di solitudine preferito della settimana. – disse lui, fingendosi serio. Lei si sedette di fronte a lui, e lo guardò mentre riempiva la sua tazza di caffè.
- È meglio stare soli insieme, a volte. – lei sorrise, ringraziandolo per il caffè. Lui le offrì tre zollette di zucchero, sapeva che il caffè le piaceva dolce, diversamente da come poteva sembrare. La guardò miscelare le zollette con il caffè e le diede un bacio.
- Di mattina sono uno di poche parole.
- Non si era capito. – lei rise. Il sole freddo di febbraio illuminava la sua cucina e i suoi occhi, facendoli apparire quasi gialli.
- Seriamente, come mai questa mattina sei qui? – chiese poi, prendendo un biscotto.
- Il mercoledì mattina non ho mai lezione. – disse lei, guardandolo negli occhi.
La musica finì, nel video si vedeva la direttrice d’orchestra che ringraziava con un cenno del capo tutti i musicisti.
- C’è qualcosa che vuoi sentire? – chiese la sua voce seria.
Nightswimming, dei R.E.M. – disse lei, senza esitare e con un sorriso sulle labbra.
- Certo, un gruppo rock. – scosse la testa sorridendo anch’egli.
- Questa ti piace sicuramente. – sussurrò, e la canzone iniziò. Una canzone a lei molto cara, con cui era praticamente cresciuta. Non a caso, mimava perfettamente a ritmo le parole che sapeva come una poesia.
Ondeggiava leggermente, mentre l’uomo di fronte a lei la guardava con un’espressione di tenerezza, di affetto.  Era ancora in piedi, e l’uomo la raggiunse. La abbracciò e le diede un bacio. Lei accarezzò la sua schiena liscia attraverso il tessuto leggero della maglietta, facendo per sfilargliela.
E tra baci e note di canzoni diverse, finirono per fare l’amore.
La terza volta che si trovò davanti alla sua porta salì con l’ascensore. Forse questa volta era sicura di ciò che faceva. Vi attese lì davanti per dieci minuti. Forse non pensando a niente, forse pensando alle foto del suo matrimonio, alle foto dei figli.
L’atteggiamento da single… ripensò la giovane, per poi prendere una decisione insolita. Tornò davanti all’ascensore e premette il pulsante.
Tre volte fu davanti alla soglia di casa sua, due volte bussò alla sua porta e una volta non lo fece.

  
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