Crossover
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Autore: Registe    14/03/2016    4 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 30 - Sotto la maschera





La principessa Leona




Gli incantesimi che controllano lo scorrere del tempo sono pochi ed imprevedibili. Sono pochi perché il tempo può solo andare avanti, indietro o arrestarsi. Sono imprevedibili perché nemmeno la magia demoniaca può predire cosa accadrà ad un oggetto o ad una creatura quando il fluire della sua vita viene modificato dal nostro arbitrio.
Molto poco in vita mia avevo letto sull’Incantesimo del Tempo Congelato: una magia dimenticata persino dalla Nostra memoria, perché nessun demone si è mai spinto oltre le barriere che la nostra carne mortale concede. Eppure il nostro Grande Satana ha compiuto stanotte un miracolo, distruggendo con il suo potere millenni di leggende e superstizione.
L’Incantesimo del Tempo Congelato esiste, e può dare la vita.
L’Incantesimo del Tempo Congelato è l’unica salvezza per la famiglia demoniaca.
“Storia della famiglia demoniaca, volume millesettantatre” a cura dell’Arcivescovo Stregone Zaboera, sotto il regno del Grande Satana Baan.




Cosa si sarebbe aspettato sotto quel mantello, Auron in realtà non avrebbe mai saputo dirlo con certezza. Qualcosa di feroce, quello senza alcun dubbio.
Occhi luminosi come braci, proprio come le piccole luci che si muovevano sotto il cappuccio bianco, cariche di odio per tutti i nemici del suo signore. Una bella bocca con triplice fila di denti e magari una lingua gigantesca, peli ovunque più di un licantropo nel pieno della sua furiosa trasformazione. O forse squame, proprio come aveva sempre sostenuto Matoriv.
Ma la figura davanti a loro, in piedi sul reattore, non aveva nulla a che spartire con le loro fantasie.
Mistobaan li stava fissando per la prima volta con i suoi veri occhi, e le mani che stringevano il fermaglio che aveva rinchiuso il suo segreto per tanto tempo avevano smesso di tremare e si erano serrate in pugni carichi di sfida. Mani bianchissime, pallide e perfette.
Mani di un demone.
“GRANDE IMPERATORE PALPATINE, IMPLORO IL VOSTRO PERDONO” gridò. Accanto a lui Auron vide Zachar portarsi le mani alla testa, quasi come se qualcosa l’avesse colpita. “MA PRIMA DI PROSTRARMI AI VOSTRI PIEDI DISTRUGGERO’ QUESTI RIBELLI INFEDELI!”
Le iridi che li fissavano non emanavano fiamme. Erano scure, di un’ombra strisciante tra il grigio ed il viola più buio; traboccavano di furia, odio ed una serie di emozioni che il mercenario non sarebbe mai stato in grado di vedere tutte insieme nel volto di una sola persona. Un odio millenario che da sempre animava soltanto i cuori dei demoni. I capelli viola, corti e luminosi, volteggiavano nell’aria dandogli un aspetto che avrebbe potuto definire persino sinistro se non fosse stato per la breve treccia che gli cadeva su una spalla.
Non c’era nulla di mostruoso in quel viso pallido. Soltanto la figura di un demone, ma per qualche strana ragione –il suo sesto senso da combattente veterano con troppi morti alle spalle- si sentì invadere da un doloroso senso di timore. Aveva affrontato decine di demoni in battaglia, non ultimo lo stesso Generale Hadler, ma la stretta che in un istante gli attraversò lo stomaco fu qualcosa di totalmente inaspettato.
Si avvicinò a Zachar, ma prima che potesse stringerla tra le braccia lei mandò un grido di dolore e si contorse a terra. L’attimo successivo anche Leona urlò, e quando Auron si voltò per guardarla vide Dai con le labbra serrate nel tentativo di soffocare l’ennesimo grido, come a resistere contro qualcosa di orribile che stava attraversando l’aria e che senza dubbio aveva qualcosa a che vedere con il vero aspetto di Mistobaan. Matoriv si rialzò a fatica, e quando il soldato gli corse incontro per dargli la mano si accorse che le dita ossute stavano tremando. “La magia che ha sprigionato …”
Boccheggiava.
Auron ringraziò di non essere sensibile alla magia. Toccare la sua Masamune in quel momento gli sembrò un’idea pessima e preferì invece stringere entrambe le mani del mago per aiutarlo a rialzarsi. Non lo aveva mai visto privo del suo atteggiamento beffardo, nemmeno le volte in cui annaspava di fatica dopo il lancio di una Medroa.
“Mistobaan … Mistobaan … è …” sussurrò Matoriv, piantando i piedi e richiamando a sé tutte le proprie forze per non svenire. “… è un demone maggiore”.
Sapere che un esercito di cloni di Kaspar stava marciando nella sua direzione per riprendersi Zachar sarebbe stata una notizia preferibile. “Ma non si erano estinti tutti oltre al buon vecchio GSB?”
“Temo … temo proprio di no …”
L’aria era gelida.
Auron se ne accorse solo respirando più a fondo, mentre cercava di riprendere il controllo sul proprio cuore che batteva in modo forsennato. Una sensazione di freddo gli attraversò i polmoni, ferendo come centinaia di piccole lame nel petto; dalle proprie labbra uscì una condensa chiarissima ed il vapore attraversò lentamente la stanza, senza fretta, unendosi ai respiri di tutti i suoi compagni ancora terrorizzati dall’aura incantata che circondava il loro avversario. La condensa, quasi trascinata da un vento invisibile, scivolò lungo l’ingresso del reattore, superò la porta ormai distrutta e si poggiò nel palmo della sua mano destra. Quando le dita di Mistobaan si mossero il vapore rimase immobile per qualche istante, poi cadde ai suoi piedi con il rumore di una manciata di cristalli di ghiaccio. “Ma porca p …”
Non riuscì a terminare la frase. Auron reagì d’istinto, correndo contro Zachar e facendole scudo con le sue spalle quando una pioggia di aghi di ghiaccio si abbatté su tutti loro; non riuscì a trattenere un grido quando questi gli atterrarono nella schiena e fin dentro una gamba, sovrastato solo dall’urlo di terrore di Mu quando il Crystal Wall che aveva eretto come difesa venne abbattuto da quella tempesta selvaggia di magia ed esplose in sottili schegge di luce. Auron rotolò ancora con Zachar premuta contro di lui, e schivò una seconda raffica gettandosi dietro un compressore: di sforzò di non respirare, di rimanere immobile, ma l’aria dentro i suoi polmoni iniziò a raffreddarsi, a gridare di volergli uscire dal petto per rispondere al richiamo della magia. Si strinse le labbra fino a farle sanguinare, cercando invano di scuotere Zachar: la ragazza aveva gli occhi serrati, grondanti di lacrime, e la sua schiena si piegò in modo totalmente innaturale quando un crepitio sinistro venne dal pozzo di reazione e qualcosa simile ad una ragnatela congelata iniziò a dipanarsi dalle mani di Mistobaan.
Sentì la Masamune premere nel fodero contro la sua schiena, quasi come se una magia viva ne stesse attraversando la lama.
I fili gelidi si estesero lungo il pavimento, diretti verso di loro. Qualunque versione fosse del Toma Messaijin, non ci voleva un arcimago per capire che quella ragnatela nascondesse qualcosa di spiacevole. “IMPERATORE PALPATINE, MOSTRA A QUESTE CREATURE LA TUA DIVINA POTENZA!”
“E basta con questa lagna, Misto!”
Con un salto Aban si portò davanti a tutti, scansando Matoriv con una spallata e premendosi gli occhiali sul naso. “Ora che possiamo vedere la tua bella faccina potresti almeno farci il piacere di cambiare un po’ repertorio, che ne dici?”
Prima che i fili potessero giungere all’altezza dei suoi stivali, Aban estrasse la spada e la piantò nel pavimento; l’acciaio imperiale crepitò a contatto con la sua magia, ma nell’istante in cui la lama si impegnò per un paio di dita nell’acciaio un’ondata di energia scaturì dal corpo del guerriero e travolse tutti loro come un velo di calore. L’aria si tinse di rosso ed arancione, e l’incantesimo avvolse tutti loro come una cupola proprio nell’istante in cui la ragnatela stava per avvicinarsi. Auron vide Aban grugnire per lo sforzo, ma il suo compagno mantenne la presa sulla spada senza cedere di un passo, piegato in due per lo sforzo di respingere l’ondata magica. L’improvviso calore liberò i polmoni di Auron dal dolore, ed accanto a lui anche Zachar riprese a respirare con calma nonostante il corpo fosse ancora scosso da tremiti. “Ragazzi, vi consiglio di essere mooooolto rapidi nel riprendervi. Non ho idea di cosa abbia fatto Mistobaan, ma senza quel cappuccio i suoi incantesimi sono dannatamente più forti” ruggì Aban, stavolta cadendo a terra e facendo forza sulle ginocchia.
“Quanto tempo puoi darci?” gridò un druido.
“Una decina di …”
“IL VOSTRO TEMPO E’ SCADUTO, UMANI!”
L’istante successivo Aban si ritrovò dall’altra parte della stanza, con quattro degli artigli di Mistobaan in pieno petto. Il sangue corse lungo tutta la parete mentre la cupola protettiva che aveva appena eretto collassò sotto il peso della tela di ghiaccio e la sua spada venne avvolta dal gelo. Il loro nemico non ritrasse le dita, ma lasciò che affondassero nel torace del guerriero e rimase ad osservarlo con degli occhi scuri, inespressivi, così vuoti rispetto alle parole che uscivano a fiumi dalle sue labbra. Una delle sue dita si torse leggermente, ma bastò per far esplodere un fiotto di sangue dal petto e dalla bocca di Aban. Leona si mise in piedi con un unico scatto, ma quando lanciò delle piume guaritive nella sua direzione quelle finirono distrutte prima ancora di avvicinarsi agli artigli malefici: si incenerirono all’istante, diventando una manciata di polvere argentata. Le dita di Mistobaan si mossero di nuovo, stavolta tutte insieme, trascinando con loro il corpo del guerriero e mandandolo a fracassarsi contro un’altra parete mentre i fili gelidi del Toma Messaijin si dispersero sul pavimento come un nido di serpenti, ergendosi contro chiunque cercasse di avvicinarsi al loro amico. Il demone ringhiò qualcosa tra i denti ed i suoi artigli furono avvolti da un fuoco azzurro e verde che li avvolse partendo dal palmo, poi in qualche istante corse in avanti, divorando le falangi metalliche diretto al cuore di Aban. Auron si alzò senza riflettere, scattando verso gli artigli di Mistobaan fosse stato anche solo per rallentare il flusso dell’incantesimo, ma qualcuno arrivò prima di lui.
Dai esplose come il soffio di un drago contro il petto del loro avversario. La ragnatela si sollevò dal pavimento per correre tutta contro le sue gambe, ma il ragazzo sembrava avvolto da una luce chiara, quasi verde, che faceva sembrare la cupola creata da Aban un incantesimo di classe inferiore. I fili che riuscirono ad avvolgersi contro la sua caviglia furono carbonizzati in un istante nel momento in cui toccarono la pelle, mentre quelli che si sporsero più avanti furono tagliati dalla sua piccola spada. Mistobaan gridò di rimando, forse accorgendosi troppo tardi della portata del giovane guerriero. Si mosse verso sinistra, evitando un fendente, ma in quel momento Dai contrattaccò: una sfera infuocata partì dal palmo della sua mano libera, e Mistobaan fu costretto a ritirare immediatamente gli artigli dal petto di Aban per frapporli tra l’incantesimo ed il proprio corpo. Il guerriero si accasciò contro la parete e Leona corse a soccorrerlo, ma gli occhi di Auron e di tutti loro erano fermi su Dai, sulla sua spada e sulla figura di Mistobaan.
Gli artigli del demone pararono il fendente.
La lama si tinse rosso, liberando scintille. Il ragazzo approfittò del gesto dell’avversario per assecondarlo e recuperare terreno, atterrando sul pavimento per disimpegnarsi rapidamente a terra; evitò l’ennesimo artiglio scagliato nella sua direzione e si mise in piedi, frapponendosi tra gli incantesimi nemici e la figura ancora priva di coscienza del suo maestro. L’elsa della spada si tinse di un bagliore azzurro ed il giovane caricò. “ABAN STRASH!”
Attraversò il corridoio come un fulmine, carico della stessa tecnica usata poco tempo prima; Mistobaan si mise sulla difensiva, e sul suo viso privo di espressione non traspariva alcun segno di stupore, meraviglia o rabbia per le potenzialità del giovane Dai che ormai aveva surclassato tutta la Resistenza –e anche Aban, che però non lo avrebbe mai ammesso.
Auron non perse la presa su Zachar ma si lanciò di lato, conoscendo la ferocia degli incantesimi del piccolo Dai quando era fuori controllo, quando la ferocia della battaglia richiamava tutte le sue abilità. Nessuno era mai riuscito a comprendere l’origine della sua energia spontanea, libera, che non aveva molto a che spartire con la magia arcana di Matoriv o gli anni di addestramento di Aban: Dai era così, e farsi delle domande su quel dono inaspettato non era nello stile della Resistenza, men che mai in quello di Auron.
Dai spinse la potenza dell’Aban Strash in un lampo di luce. Mistobaan fu assalito dalla pressione prorompente dell’arma incantata, e tutta la sua figura fu avvolta dai raggi azzurri ed oro della magia avversaria: alzò gli artigli della mano sinistra per parare il colpo, ma indietreggiò di un paio di passi quanto bastò per permettere al ragazzo di insistere contro il fianco aperto con un pugno infuocato rivolto all’addome. Lo colpì con un grido di battaglia mentre tutti gli altri furono spinti indietro, lontano dal punto dello scontro.
Lo ha colpito … fu il pensiero cosciente di Auron prima di essere sbalzato contro l’ennesima parete della Morte Nera insieme a Zachar e ad un paio di druidi piuttosto malconci. L’unica cosa visibile in quella confusione era il pugno incandescente di Dai che sfolgorava nella battaglia, ben piantato nel fianco del loro avversario.
“Tutto qui?”
Il tono stranamente calmo di Mistobaan aveva qualcosa di stranamente fuori posto. Era ancora in piedi, leggermente sollevato da terra per parare meglio il fendente del ragazzo, ma nonostante il suo pugno piantato nel fianco era perfettamente immobile. “Credevate davvero …”
Leona e Matoriv lanciarono un grifo all’unisono, ma Dai se ne accorse troppo tardi.
La mano libera di Mistobaan era avvolta nell’ombra, come se l’aria intorno ad essa si stesse nutrendo avidamente della luce. “CREDEVATE DAVVERO DI POTER ESSERE IN GRADO DI SFIDARE LA FORMA PERFETTA DELL’IMPERATORE PALPATINE?”
Il giovane cancellò subito il potere dell’Aban Strash, ma gli artigli della mano sinistra lo spinsero a terra, impedendogli di volare via: Mistobaan fu sopra di lui con una velocità impensabile per una persona appena colpita da un pugno nel basso addome, e prima che Dai potesse allontanarsi abbatté la mano destra, carica di oscurità, contro la sua testa. Dai urlò come non lo aveva mai sentito fare, perdendo la presa sulla propria spada. Auron e Zachar si mossero in avanti per aiutarlo, ma Leona fu più veloce.
Si avventò sulla mano di Mistobaan, piantandovi le proprie unghie per fargli perdere la presa su Dai; il demone non sembrò nemmeno ferito dal tentativo disperato della principessa, ma quando aumentò l’incantesimo per far gridare ancora di più il ragazzo fu attaccato da un fascio elettrico scaturito dal palmo di Zachar. “Auron, proteggi tutti i druidi! Ce ne andiamo!”
“Ma non abbiamo distrutto il generatore!”
“Con Aban e Dai in questo stato? Mistobaan distruggerà NOI!”
Cercò di trovare un’altra soluzione, ma la maga gli passò davanti e creò uno schermo abbastanza velocemente da disperdere l’incantesimo che il loro nemico le aveva appena ritorto contro. “Detesto dare questo comando ma … RITIRATA!”
Riuscì solo a vedere di sfuggita un fiotto di sangue dalla testa di Dai, così come Matoriv che emerse da oltre la ragnatela gelida e allontanò il ragazzo e Leona prima che gli artigli di Mistobaan si abbattessero nel punto del pavimento dove i due giovani si trovavano fino a qualche istante prima. Zachar rimase per qualche istante da sola davanti all’avversario, dando tempo a Mu di sollevare Aban e trasportarlo accanto all’energia verde ed oro che segnalava l’apertura del passaggio verso il Perno dell’Ade e la salvezza. Il loro nemico si avventò su di lei con un altro, ennesimo grido di battaglia capendo della loro fuga, ma prima che potesse anche solo sfiorarla Auron le afferrò il polso e la trascinò con sé ignorando il demone, ignorando la magia, ignorando tutto.
Con la mano libera afferrò quella di un druido e lo spiacevole incantesimo di teletrasporto iniziò ad agire, riempiendo il campo di battaglia della sua luce e facendo svanire in pochi secondi il sangue, il metallo, i segni della battaglia e l’enigmatico volto che per la prima volta aveva abbassato il cappuccio per ingaggiare un combattimento mortale con loro.
E, come tipico di Mistobaan, l’ultima cosa che svanì fu la voce martellante che invocava la vendetta in nome del Grande Imperatore Palpatine.
Quando Auron riaprì gli occhi vide subito il bellissimo cielo della Terra II, ed ammise tra sé e sé che non era mai stato così felice di fuggire da uno scontro.



Gandalf si rilassò, sporgendosi da uno dei merli del terzo cerchio di mura. Minas Tirith nel primo pomeriggio era sempre una splendida vista, perché il sole cadeva a picco sull’Anduin lasciando che il fiume riflettesse la sua luce lungo le mura bianche avvolgendo la città di un meraviglioso alone luminoso. Alone luminoso che andava giustamente apprezzato insieme ad una manciata di Vecchio Tobia, la migliore erba pipa del Decumano Sud.
La città era tornata lentamente alla normalità, ed a parte un ingorgo di carri lungo una via che costeggiava il mercato –dovuto chiaramente a qualche nano ubriaco in mezzo alla strada, poteva sentire il tanfo di birra fin dalla sua posizione- la vita degli abitanti procedeva nel consueto disordine che Gandalf semplicemente adorava. Fino ad un’ora prima quasi tutta la capitale della Terra II si era riversata in strada per assistere al ritorno della squadra della principessa Leona dopo il commando sulla Morte Nera; il vecchio stregone non poteva che dirsi soddisfatto della sua gente, di quel fiume di tutte le razze che aveva accolto con gioia i loro nuovi alleati quasi a ricordare a tutti, a chi era partito ed a chi era rimasto, l’importanza di rimanere sempre uniti.
La missione sulla Morte Nera non era stata un vero successo: a quanto sembrava Mistobaan era stato in grado di resistere da solo alle forze combinate di Dai, Aban, Matoriv, Zachar ed Auron, e forse aveva un qualche strano potere che lo stregone non era certo di aver ben capito. Ma in fondo non era una terribile tragedia, l’Imperatore non era certo uno sprovveduto in quanto a difese ed i loro nuovi amici erano stati davvero fortunati ad uscirne vivi. Non per niente l’Alleanza Ribelle aveva trascorso decine di anni a forzare i segreti della Morte Nera senza alla fine aver raggranellato alcun vero successo.
“Gandalf, quando non ti vedo alle riunioni mi preoccupo!”
“Uff, sarei arrivato comunque. Mi stavo solo godendo il panorama!”
Aragorn gli si avvicinò, poi si mise seduto su uno dei merli lasciando cadere le gambe nel vuoto. “Ma sì, hai ragione tu. Passa l’erba pipa! Tanto c’è Elrond che sta facendo l’ennesimo preambolo …”
Sì, decisamente un valido motivo per rimanere ancora qualche minuto lassù, in quell’angolo illuminato dal sole della città che avevano penato prima per liberare e poi per difendere. Nella loro vita avevano visto centinaia di mondi ed avevano cercato di raddrizzare quanti più torti possibile, ma alla fine era lì, nel tornare a casa, nel sentire la propria gente gioire e festeggiare che Gandalf trovava ciò di cui aveva bisogno, quel qualcosa che nemmeno la saggezza dei Valar e le luci di Valinor potevano offrire.
“Sai, un po’ mi dispiace per il Grande Satana”.
Aragorn espirò a fondo, mescolando le parole al fumo della pipa. Negli anni aveva imparato a dare alle nuvole di fumo le forme più svariate, e quella che prese forma dalle sue labbra sembrava davvero una minuscola copia del Baan Palace. Si erano salvati da quell’inferno per pura fortuna: anche nel bel mezzo della battaglia era riuscito a sentire la chiamata via ologramma di Aragorn ed avevano organizzato una fuga in fretta e furia. L’idea di Leia di dividere i druidi in minuscole unità era stata vincente ed era bastata una manciata di secondi per teletrasportare tutti lontano da lì: avevano sentito tutti parlare dei Nuclei Neri e non era stato necessario aggiungere altro per spronare tutto il commando ad andarsene ed a mandare qualcuno a prelevare rapidamente il ramingo, Lupo e tutto il loro gruppo.
“Ucciso da uno sporco trucco di uno dei suoi. Non so, non augurerei a nessuno di fare una fine simile. Nemmeno a papà Impe, ma tanto lo sappiamo tutti che nessuno dei Signori Oscuri riuscirà mai a metterlo nel sacco. E mi dispiace anche per i suoi generali e per tutti i demoni lì dentro … non era questo ciò che avevo in mente”.
“Non tutti i generali sono morti”.
“Ecco, e non dirmi che non è un bel problema”.
Sapevano entrambi, e non solo loro, che il Generale Baran era ancora vivo. Avevano organizzato l’attacco al Baan Palace proprio perché Camus, il giovane sacerdote che aveva spiato per loro i movimenti della famiglia demoniaca, li aveva avvisati in tempo dell’assenza del signore dei draghi. Non occorrevano spie per scoprirne la destinazione, perché gli ologiornali e le oloradio brulicavano di immagini del pianeta Kamino e delle rovine di Tipoca City: Gandalf vi era stato un paio di volte durante diversi commandi, e non avrebbe mai immaginato che potesse esistere qualcuno in grado di polverizzare le difese kaminoane che avevano respinto centinaia di Ribelli. Eppure Tipoca City e le fabbriche dei cloni erano state colpite al cuore da una furia mai vista nemmeno durante le guerre contro Sauron, e non poteva negare di aver lanciato più di una volta delle occhiate sospette alle nuvole, agli uccelli, a qualunque cosa potesse avvicinarsi alla sua bellissima Minas Tirith con le sembianze del Cavaliere del Drago. Perché se quel poco che sapeva sulla famiglia demoniaca raccontato dalla principessa Leona era vero … quanto tempo sarebbe servito a quell’uomo ed ai suoi sottoposti per giungere sulla Terra II e massacrarne tutti gli abitanti solo per vendicare la morte del loro sovrano? E senza dubbio non sarebbe rimasto lì ad ascoltare le loro spiegazioni, proprio come non era rimasto immobile quando le difese dei kaminoani si erano alzate.
Aragorn corrugò un sopracciglio, quasi a leggergli nel pensiero. “Ho dato ordine di sollevare tutti gli scudi al plasma di Isengard e O’Neill ha piazzato dei sensori aerei da Minas Tirith fino a Edoras; non so quanto possano servire …”
“Ci servirà tutto. Non possiamo prevedere quando il Generale Baran attaccherà, ma non possiamo farci cogliere impreparati. Se crederà davvero che siamo stati noi a …”
“Se verrà non ci tireremo indietro. Se dipendesse da me vorrei parlargli e spiegargli tutto ciò che è successo sul Baan Palace, ma non credo che mi ascolterà. In ogni caso lo affronteremo, come abbiamo sempre fatto. Leia e gli altri sono d’accordo e credo che svilupperemo questo punto proprio alla riunione. Adesso suppongo che stiano parlando del processo …”
“Ah, quasi me ne ero dimenticato …”
Sinceramente per Gandalf quel processo era una perdita di tempo. L’uomo che avevano portato con loro, quel Membro dell’Organizzazione dall’espressione imbronciata che aveva visto solo di sfuggita durante il teletrasporto organizzato dai druidi, non gli sembrava una persona chissà quanto speciale. Sì, da quello che aveva capito dai discorsi di Leona e Leia aveva collaborato alla creazione dei Nuclei Neri, ma lo stregone aveva conosciuto scienziati imperiali ben peggiori e di certo con meno scrupoli morali di quell’uomo dagli occhi incavati che senza dubbio aveva lavorato per il Grande Satana sotto minaccia della vita. Fosse dipeso da lui lo avrebbe lasciato libero –o gli avrebbe proposto di unirsi all’Alleanza, da quello che sapeva era anche un abile medico ed erano un po’ a corto di guaritori- ma quando Mu, Auron e Zachar erano tornati dalla missione la situazione aveva assunto una brutta piega. Una pessima piega. Una piega che si sarebbe potuta trasformare in un paio di zigomi distrutti se Camus non si fosse interposto tra il collo dello scienziato e le mani di Auron.
Gandalf aveva sentito diversi racconti sui Membri dell’Organizzazione per bocca di Mara –in effetti si erano presi un bello spavento quando, qualche anno prima, lei e Daala erano state rapite da questi fantomatici uomini in nero- ma quello scienziato al momento non gli sembrava una terribile minaccia. Era riuscito persino a parlarne con Mara ed a convincerla a non infierire su quell’uomo che chiaramente era scosso e spaventato, ma quando anche Zachar aveva aggiunto le sue proteste erano giunti ad un compromesso sotto forma di un regolare processo che aveva messo d’accordo tutti a parte, ovviamente, lo scienziato in questione. “Mah, a me sembra un tipo a posto. Un po’ scorbutico, ma per quel che mi riguarda potremmo lasciarlo libero anche adesso”.
“Concordo con te, amico mio” rispose Aragorn scendendo dai merli. Con uno sguardo lievemente rattristato svuotò quello che rimaneva del Vecchio Tobia in un sacchetto e ripose la pipa tra le pieghe dell’abito prima di stiracchiarsi. “Ma forse può essere utile per capire bene le posizioni della Resistenza. Siamo alleati, ma credo che ancora dobbiamo fare qualche passo in avanti per essere davvero uniti. Anche se penso anche io che sia una perdita di tempo, se dovessimo indire un processo per ogni imperiale che abbiamo catturato non vivremmo più. A proposito …”
Si incamminarono insieme, dando le spalle alla vista della loro splendida città bianca.
Il cortile era perfetto come ai tempi di Denethor, i viali bianchi rimasti intatti nonostante i roghi, gli assalti degli orchi, i bombardamenti dell’Imperatore; persino l’erba non presentava alcuna macchia e, nonostante il merito andasse tutto ai zelanti giardinieri chiamati apposta da Gran Burrone dalla regina, Gandalf era convinto che vi fosse qualcosa in quel luogo che andasse oltre la semplice bravura di uomini ed elfi, qualcosa senza nome che respirava tra quelle mura sin dalla fondazione di quella città ed era resistito a tutto.
“… quel soldato imperiale che abbiamo salvato dalle celle del Baan Palace è sparito. Immagino sia tornato a casa con i suoi mezzi, ma ho evitato di parlare a Leia di questa cosa”.
“Senza dubbio, abbiamo questioni più importanti. Mi auguro che quell’uomo sia tornato dalla sua famiglia e si riprenda da questa orribile esperienza”.
Senza volerlo i suoi occhi andarono all’Albero Bianco. La pianta secolare brillava di luce propria anche sotto la forza del sole, ma non era la sua corteccia candida a colpire lo stregone: i suoi occhi andavano ai rami, alle centinaia di braccia di quel gigante che le leggende volevano si trovasse in quel luogo prima ancora della fondazione della città. Braccia che anche allora erano cucite sui vessilli della città ricordando ad ogni uomo di Minas Tirith le sue origini. Gandalf ancora aveva vivida davanti ai suoi occhi l’immagine che il Palanthir, l’Occhio di Sauron, gli aveva mostrato ai tempi della guerra dell’Anello: tra i pensieri del loro nemico, tra i suoi sogni e desideri di morte, aveva visto l’Albero Bianco avvolto dalle fiamme. Si era immerso nella sua corteccia carbonizzata fino a sentire nelle narici l’odore del legno distrutto.
Era stato solo un sogno, un tuffo nella mente del loro avversario, ma gli era bastato per capire davvero cosa desiderava proteggere.
E ciò che desiderava non accadesse mai.
Lui ed Aragorn non avrebbero mai permesso a quell’albero di bruciare. Non avrebbero permesso a nessuno di toccare quel mondo che avevano faticato tanto a costruire e riunire. Avrebbero affrontato qualunque nemico in nome di quel sogno comune, indipendente se sulla loro strada si fossero trovati un pugno di orchetti o cento Cavalieri del Drago. La vittoria sul Grande Satana era stata il segno che insieme potevano fare ogni cosa, ma anche il simbolo che ancora vi era molto da fare prima poter deporre le armi.
Il re aprì la porta. “E comunque dovremmo festeggiare. È caduto il governo di un tiranno”.
“Qualche idea?”
“Uhm, sì …” disse l’altro. “Pensavo a qualcosa di grosso”.
 
  
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