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Autore: Fly to the sky    15/03/2016    2 recensioni
Peeta Mellark nella sua vita ha avuto sempre poche certezze, e una di queste è che gli ufficiali di Stato stanno dalla parte giusta, mentre i fuorilegge sono i disonesti operatori del male.
Per lo meno è stata una sua certezza per molto tempo.
Ora...beh, ora non ne è più sicuro.
[Pirate!AU ♥ Everlark | Hayffie | Odesta ]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PRIMA DI TUTTO: Cosa sto facendo?  
Benvenuti miei cari lettori e lettrici, nel mio disperato tentativo di provare a scrivere una long fic con l' AU piratesco! 
Vi avviso che non so quasi nulla di long, e dunque se le trovate un po' zoppicanti è perché sto ancora imparando. Inoltre, proprio perché la mia capacità è pari a 0, posto questo capitolo in "anticipo" rispetto a quando pensavo di postarlo perché voglio capire se l'idea piace (sennò lascio perdere e smetto di scrivere long per tutta la vita :3) e quindi il secondo capitolo arriverà molto, ma moooolto tardi. 

P.S. = Sul capitano ero dubbiosa tra KitKat, Haymitch e FInnick, ma alla fine ho scelto Haymitch per le capacità strategiche e cose del genere, mentre Finnick è in seconda. 

E adesso rimane solo una cosa da fare...........Siete pronti ragazzi? (Sì, signor capitano!)
 

I


Peeta Mellark nella sua vita ha avuto sempre poche certezze, e una di queste è  che gli ufficiali di Stato stanno dalla parte giusta, mentre i fuorilegge sono i disonesti operatori del male.
Fino ad ora la sua vita non gli ha assolutamente offerto possibilità di cambiare idea, ma questo  sembra apparentemente pronto a cambiare, vista la situazione nella quale si trova al momento.
L’assalto alla città è stato violento, ed è arrivato inaspettato mentre stava impastando il pane come ogni sabato mattina: il cicaleccio della gente per i vicoli era più forte di quanto mai fosse stato, ma a questo non aveva badato, intento com’era nel suo lavoro. A distoglierlo dal pane furono le urla isteriche di uomini e donne e il rumore sordo di piedi che correvano in ogni direzione, e poi l’orrore violento dei colpi di cannone che avevano colpito la pietra dei muri.
Corre adesso Peeta, corre come gli altri, facendosi strada tra la calca di gente a gomitate e leggere spinte, le mani ancora sporche di farina e il fiato mozzo di chi non è abituato a fuggire.
L’arcipelago ha vissuto pochi anni di tranquillità prima dell’inizio dei rapimenti, bambini pagati come tributi e rubati nell’oscurità della notte, a volte dalle stesse coperte dei caldi letti nelle loro case.
Peeta lo sa bene.
E’ stato preso una volta, mentre tornava a casa dal mercato con un cestino pieno di vivande, e la lama alla gola era stata abbastanza convincente da spingerlo a seguirli. Portavano cappucci bianchi che coprivano tutto il volto, tanto che Peeta si era chiesto come riuscissero a vedere dove stavano andando, e armi dall’elsa elaborata a forma di rosa. Gli avevano legato le mani con una corda robusta, e lo avevano buttato via quasi come uno straccio assieme ad altri adolescenti con gli occhi che grondavano paura. Erano rimasti lì sulla spiaggia ad aspettare qualcosa, un segnale o un passaggio, mentre Peeta si chiedeva se i suoi fratelli già lo stessero cercando. 
L’aveva notata solo dopo che si era addormentata, prigioniera anche lei e ormai cresciuta e bellissima. L’aveva incontrata solo altre due volte in precedenza: aveva sette anni quando la vide sul molo, e si fermò per ascoltarla cantare, e ne aveva unidici quando l'aveva scorta moribonda e pallida sotto la pioggia di uno dei vicoli e le aveva lanciato un tozzo di pane. Non era mai stato sicuro di esser stato visto da lei, non fino a quel momento almeno.
Fu furtiva come un gatto e silenziosa come la notte stessa, tanto che Peeta non si accorse che aveva già reciso  le dure corde che gli stringevano i polsi, non finché lei gli aveva sfiorato una spalla lievemente e gli aveva fatto cenno di tacere, avvicinando le labbra al suo orecchio in un sussurro impercettibile.
“Un favore per un favore”.
E poi era fuggita, i piedi soffici sulla sabbia che non facevano alcun rumore e un ultimo sfarfallio di luce sui suoi occhi grigi prima che Peeta si affrettasse a scappare verso la città.
  
 
Giunto al porto, ci sono circa venti navi, di cui sette appartengono ai pirati. Gli attacchi dei cannoni sono cessati da un po’,ma i sicari in bianco si aggirano per le strade per rapire cittadini di rilievo e uccidere chi trovano nella loro via, e quindi sulla spiaggia e sul molo le famiglie si affrettano a a far salire i propri figli nelle chiare navi del re.
Dai velieri pirata scendono uomini in continuazione, feroci contro i soldati di marina e lesti nell’afferrare gente portandola sulla nave.
Quando sente qualcuno strattonargli la camicia, si gira e gli sferra un pugno dritto sul naso. Il pirata in questione si riscuote subito, portandosi una mano sul volto e un’altra ai capelli rossici, per poi lanciargli uno sguardo malandrino e tirare fuori dalla fodera legata alle spalle un tridente dall'aria tremendamente mortale.  Peeta sa bene che la sua vita non potrà durare a lungo, perché con sé non ha armi, ma morirà combattendo per non diventare schiavo in una nave di fuorilegge gozzovigliatori, per non spendere il resto della propria vita a servire questo tipo di marmaglia.
Si butta sul pirata belloccio con tutto il suo peso, afferrandolo per i fianchi e tentando di buttarlo a terra; quello volta il tridente dalla parte non affilata e con l'intento di farlo inciampare, riuscendo effettivamente a fargli perdere l’equilibrio. Peeta afferra una manciata di sassi e sabbia e li scaraventa in faccia al pirata, che chiude gli occhi e indietreggia per un attimo; allora ne approfitta per dargli un pugno ben assestato sul plesso, ed è quasi convinto di averlo messo fuori gioco, quando il piatto del tridente gli arriva sulla testa.
 
“…quanti ne avete persi?”
“….trenta….i soldati hanno attacato…”
“Ma se la sgozzo…?”
“Johanna!”
Le onde cullano la nave come le braccia di una madre, e Peeta vorrebbe tanto restare a dormire ancora un po’, ma assieme a quelle voci è anche la realtà che gli ridà coscienza, e alla fine apre gli occhi impastati di salsedine.
La prima piacevole impressione è quella di avere i polsi liberi da qualsiasi catena, e la seconda è un forte dolore alla testa, amplificato dal rumore del mare che, una volta sveglio, è diventato fastidioso.
Solleva un po’ il busto per osservare l’intera stanza, e,  dopo essersi passato una mano sugli occhi ancora stanchi, riesce a scorgere altri esseri umani: una donna della nobiltà della Cittadella, che Peeta riconosce dalle perle nei vestiti,  che parla concitata e impaurita ad una bambina bionda che le sistema qualche foglia su una mano probabilmente ferita, e un’altra donna dai folti capelli castani che osserva il soffitto con aria pensosa.
Forse, mentre era incosciente, qualcuno è riuscito a salvarlo dalle grinfie del pirata dai capelli rossi, e forse adesso si trova in viaggio verso un luogo sicuro, verso la patria del re, che finalmente ha deciso di interessarsi all’arcipelago. Forse i pirati sono stati sconfitti e uccisi, e adesso sono i loro cadaveri ad ammassare le pura di Port Panem, e non quelli della gente che hanno provato ad attaccare. Forse potrà riabbracciare i propri fratelli, potrà ricominciare tutto in una terra di pace e…
“Stenditi, ti farà male la testa”
La bambina bionda si avvicina e, gentilmente, ma con fermezza, fa pressione per riportarlo ad una posizione supina. Armeggia con qualcosa nella borsa, piena di fialette e strane piante, prima di analizzare con attenzione il bernoccolo sulla testa di Peeta.
“Dove mi trovo?” le chiede confuso, stringendo i denti al dolore delle dita di lei sulla carne gonfia della testa.
“Sulla ‘Ghiandaia Imitatrice’, e starai bene in pochi giorni. Finnick deve proprio imparare a controllare la sua forza…”
“Finnick?” Peeta si acciglia all’espressione divertita di lei. “Cosa  è successo ai pirati? La 'Ghiandaia Imitatrice' è una nave di marina?”
La bambina sorride gentilmente alle sue domande, spalmandogli uno strano impasto sul gonfiore e continuando a trattenerlo giù con una mano. “Non siamo nave di marina, certo che no”
Peeta non riesce a fare in tempo per controbattere, che la porta si spalanca, ed entrambe le donne negli altri letti si rizzano a sedere, attente. La nobile, che indossa una di quelle parrucche che solo i più ricchi possono permettersi in questi tempi, con boccoli perlacei e fiori, ormai malconcia e spiegazzata, si alza, ignorando le proteste della giovane infermiera e si rivolge a quello che dovrebbe essere il capitano.
“Pretendo di sapere dove mi trovo! Siamo diretti dal re?”
Il capitano, occhi di un pesante e doloroso grigio, scoppia a ridere alla domanda di lei,  che finisce per gonfiare di rabbia ancora di più.
La donna mora invece lancia un urlo e corre goffamente verso un uomo che è appena entrato, balzandogli tra le braccia. E’ il pirata dai capelli rossi, e Peeta spinge via la bambina per potersi alzare a dirgersi verso di lui, ma i suoi occhi si incatenano con quelli grigi della donna appena entrata.
Ha i capelli corvini legati in più trecce che le incorniciano il volto affilato, e le labbra si schiudono sorprese alla sua vista.
Nella bolla isolante nella quale sembra caduto, le parole del capitano gli arrivano sorde e attutite, come i passi di lei sulla sabbia di tanti anni fa.
“No che non siamo diretti dal re. Siamo pirati, dolcezza” 




 
  
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