Anime & Manga > Psycho-Pass
Ricorda la storia  |      
Autore: Rumyantsev    16/03/2016    1 recensioni
Certe volte Yayoi non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero che lei si trovava là perché aveva conosciuto Rina. Era finita in riabilitazione con la speranza di tornare “normale”, e normale non era mai tornata, perché adesso era là. Era un’Esecutrice, e forse aveva incontrato Rina ed era finita in riabilitazione per un motivo, e, ancora, forse quel motivo poteva avere in qualche modo a che fare con Shion.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Shion Karanomori, Yayoi Kunizuka
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Abissi e Luminescenze
 
 
Yayoi aveva capito di essere attratta dalle donne più o meno dopo aver conosciuto Rina. Era rimasta così scottata, da tutta quella faccenda, che aveva deciso di non lasciare più che una persona la coinvolgesse così tanto. Peccato, però, che i sentimenti, come la dannata tonalità dello Psycho-Pass, esulassero ogni suo controllo. Aveva ignorato la parte razionale di sé che le diceva quanto fosse stupida a pensare una cosa del genere dopo essere stata rinchiusa in quel manicomio (che la gente soleva chiamare “centro di riabilitazione”).
La prima volta che aveva visto Shion l’aveva naturalmente trovata bellissima, così bella da sembrare finta (*). Ma, a parte l’ammirazione ovvia, non aveva suscitato nulla di particolare in lei. La speranza di ricongiungersi a Rina era troppo forte perché potesse rendersi conto di chi Shion fosse, magari grazie a qualche provvidenziale intervento divino. È che per lei, Shion, allora era ancora nessuno in particolare, qualcuno di cui poteva benissimo non curarsi. Come Ginoza, Masaoka o Sasayama. Kougami un po’ l’aveva colpita, ma in senso puramente contemplativo.
A Shion era successa la stessa cosa, glielo aveva confidato tempo dopo. Shion amava concedersi qualche romanticheria da film d’amore d’altri tempi, ogni tanto, ma per fortuna si era risparmiata il racconto di un colpo di fulmine intriso di cliché.
La seconda volta che aveva visto Shion stava indossando la divisa di Esecutrice. Nel senso che Shion era entrata nel suo alloggio – e poi nella sua camera, sedendosi sul letto con nonchalance – senza chiedere il permesso, quando Yayoi stava ancora allacciandosi la camicia. Sussultò lievemente, non arrossì perché per fortuna sapeva controllarsi. Shion le aveva rivolto un sorrisone di scuse e le aveva chiesto se le piacessero più i maschi o le femmine. Proprio così: «Ti piacciono più i maschi o le femmine?».
Nel silenzio che ne era conseguito, Yayoi si era chiesta se fosse una specie di scherzo, se stesse sognando, se l’altra fosse impazzita, e, soprattutto, se l’avesse presa per una ragazzina. Un po’, irrazionalmente, s’irritò. Non le rispose.
Shion accennò una risata musicale (anche il suo modo di ridere era bello, dannazione), e si alzò per andare via.
«Sceglierne uno solo [di genere, presumibilmente, anche se non era stato specificato] è un peccato, fai bene a non rispondere».
Yayoi pensò che quello fosse il tentativo di abbordaggio più fantasioso che avesse mai subito. Sempre se di abbordaggio si trattava.
Aveva presto imparato quanto particolare fosse il modo di scherzare di Shion. A partire dalle varie avances sessuali dirette a Kougami. Fortunatamente le denuncie per molestie sessuali non esistevano più da un pezzo, anche se dubitava che Kougami ne avrebbe sporta una. L’unico che sembrava realmente infastidito dal suo modo di fare era Ginoza, ma succedeva sporadicamente che si arrabbiasse sul serio.
Era stata Shion a dirle di Ginoza e Masaoka, che erano padre e figlio. Aveva preso l’abitudine di andarla a trovare al laboratorio, nei buchi di tempo tra un turno di lavoro e l’altro. Shion parlava un sacco, ed era brillante, a volte Yayoi si era persino trovata a trattenere un sorriso per una delle sue battute di spirito. Infarciva i suoi discorsi di aneddoti, intramezzando una frase e l’altra di boccate alla nicotina dalla sigaretta perennemente premuta tra le labbra morbide, coperte dal rossetto. Con un movimento fluido della mano stringeva la sigaretta tra indice e medio e scrollava la cenere nel cestino della carta, almeno finché l’Ispettore Shinya non le portò finalmente un posacenere dei suoi. I capelli si posavano con naturalezza sulle sue spalle, li scostava dal viso portandoli indietro con la mano, muoveva le dita attraverso i ciuffi per ravvivarli e poi lasciava che ricadessero come più aggradava loro, in lucide onde bionde e profumate. Il profumo dei suoi capelli lo aveva sentito quando le si era seduta accanto sul divano del laboratorio. Odoravano di shampoo mentre da più giù, nei pressi delle clavicole lasciate scoperte dalle ampie scollature che tanto amava, arrivava il profumo dolce che si spruzzava addosso dopo la doccia e che in futuro avrebbe usato anche Yayoi (*). All’epoca Yayoi non lo conosceva, ma avrebbe scoperto che quello naturale della sua pelle era molto più buono. Mentre aspettava il risultato di una ricerca – o che fosse pronto il tè – aveva il vizio di tamburellare con le dita dalle unghie smaltate sul tavolo. Lo faceva seguendo un ritmo sconnesso, senza accorgersene, magari parlava anche, nello stesso tempo, ma Yayoi riusciva a concentrarsi solo quelle lunghe dita pallidissime e sottilissime. Al tatto erano sempre un po’ fredde, quando le posava un documento o una tazza tra le mani, ma lisce e piacevoli. Anche le sue gambe davano la stessa impressione, in perfetto equilibrio sui tacchi alti. Le teneva accavallate, quando era seduta. Se cambiava posizione era ipnotico il movimento sicuro e morbido delle cosce e delle caviglie, che qualche volta intrecciava tanto per muoversi un po’. Sul viso non aveva neanche un’efelide, ma, nella parte posteriore della sua spalla destra, c’era un neo particolarmente tondo e piccolo, spesso coperto dal camice bianco. Aveva degli occhi color ambra inverosimilmente belli, come tutto il resto di lei. A discapito del suo aspetto da femme fatale, i suoi occhi avevano una nota di tenera gentilezza, contornati da ciglia nere imbrattate di mascara. Shion soleva socchiudere gli occhi quando voleva studiare le reazioni di qualcuno a qualcosa che lei aveva detto o fatto, allora le ciglia gettavano un’ombra più scura sulle pupille chiare. Un’ombra sospetta, furba, ma mai spaventosa. Lo faceva spesso quando parlava con Yayoi, poiché Yayoi perlopiù non le rispondeva.
Conoscere tutti quei particolari di lei la impensieriva non poco.
Certe volte Yayoi non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero che lei si trovava là perché aveva conosciuto Rina. Era finita in riabilitazione con la speranza di tornare “normale”, e normale non era mai tornata, perché adesso era là. Era un’Esecutrice, e forse aveva incontrato Rina ed era finita in riabilitazione per un motivo, e, ancora, forse quel motivo poteva avere in qualche modo a che fare con Shion. O forse languiva soltanto d’amore, come una stupida, di nuovo, e si lasciava prendere da sentimentalismi per i quali non c’era mai né luogo né tempo. Non in quel mondo.
Ma non si sentiva innamorata di Shion. Attratta sì, ma come da qualcosa che si trova interessante, che si vorrebbe provare. Detto così sembrava equivoco, e, in effetti, lo era.
Non sapeva ben indicare quando se n’era accorta, fatto sta che a un certo punto Shion era diventata un’esistenza distinta da quelle di tutti gli altri, non la poteva paragonare né a un’amica né alla persona che amava. I sentimenti per Rina si erano rimpiccioliti e sposatati in luogo remoto e dimenticato del suo cervello e del suo cuore. Era stata importante, ma adesso si rendeva conto di quanto le loro scelte di vita e le loro opinioni riguardo tante cose fossero differenti. Le aveva rivolto un sorriso gentile, al loro primo incontro, e in Yayoi era nato per la prima volta qualcosa di speciale nel petto, che avrebbe ricordato per sempre, volente o nolente. Rina era l’artista non autorizzata che l’aveva portata da Shion, tutto qua. A Shion quello non l’aveva mai detto.
Per i primi tempi, Shion si occupava di aggiornarla sui pettegolezzi del Dipartimento di Pubblica Sicurezza. Era una rivista scandalistica parlante, ma mai Yayoi aveva pensato a lei come a una persona superficiale. Quel suo hobby era uno sfogo, come lo era per lei suonare la chitarra dopo che aveva lavorato a un caso particolarmente macabro e frustrante. Anche Shion aveva la sua buona dose quotidiana di sangue e cadaveri, forse anche più di Yayoi che stava, per così dire, in prima linea. La maschera di donna disinibita e ciarliera era, per l’appunto, solo una maschera. Erano supposizioni, all’inizio, ma conoscendola aveva avuto la conferma. Shion era sì piena di confidenza in se stessa, ma anche una persona profonda, sensibile ed empatica verso tutto e tutti. Non sapeva cosa avesse macchiato irreparabilmente il suo Psycho-Pass, ma sospettava che quella sua attitudine a preoccuparsi sempre eccessivamente del prossimo, quella sua particolare sensibilità e capacità di analizzare le emozioni altrui c’entrava sicuramente qualcosa. “Se guarderai a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te.” (*), era una frase che aveva sentito una volta da Kougami.
Se le avessero chiesto cosa Shion provasse nei suoi confronti, non avrebbe saputo rispondere. Con il tempo avrebbe cominciato a vantarsi tra sé e sé della sua profonda conoscenza in materia “Shion”, ma sarebbe successo dopo che la loro relazione atipica (*) avesse inizio.
Proprio in virtù di quel suo essere una donna chiacchierona ma profonda, comprenderla era ostico, ancor più che comprendere la faccia da poker di Yayoi. Yayoi non filtrava le emozioni, semplicemente quella era la sua faccia e quello era il suo modo di reagire al mondo esterno. Era così da sempre. Invece Shion si nascondeva dietro un atteggiamento frivolo, senza falsità, solo perché aveva bisogno di essere poco seria per il benessere del suo Psycho-Pass (anche se, il suo interesse nei confronti di ciò che riguardava il sesso, Yayoi sospettava fosse autentico. Era un modo di rilassarsi anche quello).
Il giorno del suo compleanno – il primo che passava da Esecutrice - aveva trovato un mazzo di rose rosse e una chitarra nuova ad attenderla nel suo alloggio. Poggiati elegantemente sul copriletto, creavano una curiosa macchia di colore nel bianco immacolato che li circondava. La stanza di Yayoi in principio era asettica, ma, dopo aver visto quanto la presenza di quegli oggetti la rendesse viva, aveva deciso di piazzare colori ovunque. Ora le pareti a stento si scorgono sotto strati di poster, quadri, foto… come nelle camerette degli adolescenti.
Tra le rose c’era un biglietto che diceva soltanto: Tanti auguri, Yayoi-chan!!! seguito dallo schizzo di una faccina sorridente. Non serviva un genio per capire che non era opera di Kougami o Ginoza – unici due suoi conoscenti autorizzati a lasciare da soli l’edificio. Shion le avrebbe successivamente spiegato d’aver chiesto a Kougami di accompagnarla a comprarli, Yayoi si era sentita in dovere di ringraziare anche lui.
Quella sera Shion era scivolata nel suo alloggio con nonchalance, mentre lei teneva aperta la porta con le mani che tremavano dall’ansia. Si erano sedute sul letto, spalla contro spalla, e Yayoi aveva suonato per lei, per la prima volta dopo tanto che non teneva il suo strumento tra le mani. Shion aveva chiuso gli occhi abbandonandosi sul materasso, con le labbra dischiuse e la camicia da notte scombinata. Fu la loro prima notte insieme e a stento si toccarono.
I giorni trascorrevano lenti, pesanti. Yayoi aveva un talento naturale per restare fuori dai guai: in mesi e mesi di servizio non era stata ferita neanche una volta, neanche superficialmente. Non era qualcosa di cui andasse particolarmente fiera, ma faceva comodo. Specie quando si trovava di fronte le ferite di Sasayama, che raramente non tornava al Dipartimento distrutto e ricucito. Era prudente, Yayoi, sapeva istintivamente cosa fare e quando farlo senza rischi. Per questo motivo spesso Kougami si era trovato a lodarla, e persino Ginoza le riserbava un tacito rispetto. Non dava fastidio, non si cacciava nei guai. Masaoka glielo diceva ogni volta con ampi sorrisi e generose pacche sulle spalle. Eppure Shion continuava a raccomandarsi con lei di stare attenta. Le mandava messaggi per ricordarglielo quando Yayoi veniva convocata e lei non poteva salutarla di persona. Tanto affanno era superfluo, ma Yayoi si sarebbe sentita molto male se una volta Shion si fosse dimenticata di dirle di tornare.
Anche il giorno in cui Sasayama morì Yayoi tornò da Shion. Tornò più stanca, più pallida, più vecchia, con la notizia che lo Psycho-Pass di Kougami si era macchiato. Non saprebbe descrivere quali sentimenti si agitavano nel suo animo mentre camminava sempre più veloce verso lo studio dell’altra. Forse aveva paura, o solo voglia di piangere.
Shion aveva trattenuto rumorosamente il fiato, gli occhi d’ambra pieni di emozioni traboccanti che Yayoi non avrebbe mai voluto vedere, specie in lei. Non voleva sentire più nulla, non voleva capire più nulla. Shion si era trovata pressata contro il muro con labbra estranee sulle sue e sul collo, mani calde sui seni improvvisamente nudi e un ginocchio tra le proprie cosce, a premere sul sesso umido. Aveva ricambiato ogni bacio, ogni tocco, dato frettolosamente in piedi e approfonditamente sul divano. Nessuna delle due aveva aperto bocca se non per gemere e chiedere di più.
Era stata la prima volta di Yayoi. Era stata incoerente, rabbiosa, triste, ma si sentiva finalmente completa. Egoisticamente credette di essere felice, prima che l’immagine del corpo di Sasayama, orribilmente modellato in una macabra statua contorta, si facesse strada nuovamente tra suoi pensieri.
Quando aprì gli occhi, il giorno dopo, Shion le stava accarezzando i capelli con la mano libera dall’impedimento della sigaretta accesa. Aveva gli occhi lividi, cerchiati di rosso. Yayoi invece non aveva versato una lacrima, ma i vaghi ricordi del suo sonno erano costellati d’incubi.
Non c’era stato nessun impaccio tra loro, nessuna delle due si era preoccupata di essere nuda. Ad un certo punto della notte dovevano essersi spostate in camera sua, sebbene Yayoi non ricordasse come e quando. Insieme si erano mosse verso la doccia e poi Shion era uscita lasciandole un bacio tiepido sulle labbra chiuse.
Kougami era stato internato presso centro di riabilitazione fino a che il suo Psycho-Pass non si fosse stabilizzato, poi avrebbe dovuto decidere se rimanere lì, attendendo di guarire – spesso tale scelta equivaleva ad un tristissimo ergastolo –, o diventare un Esecutore. Ovviamente non era certo che il sistema l’avrebbe ritenuto idoneo, ma Yayoi sospettava di sì. Più che un sospetto, era una convinzione.
C’era voluto un po’ prima che Ginoza si decidesse ad andare a parlargli. Shion aveva più volte insistito per convincerlo. Era disperatamente ansiosa di correre a consolarlo e fargli sapere di avere il suo sostegno, ma non le era consentito uscire e andarci se non era accompagnata da un Ispettore.
Yayoi comprendeva la natura dell’affetto di Shion nei confronti di quell’uomo, per questo non provava alcun fastidio nel vedere quanto forte fosse il suo desiderio di parlargli. Non aveva mai sperimentato un’amicizia tanto profonda, ma, da esterna, empatizzava con lei e si sentiva immensamente triste nel vedere che il suo desiderio non veniva esaudito.
D’altra parte, Shion le aveva confidato anche quali fossero le ragioni dietro la reticenza di Ginoza, e Yayoi compativa anche lui.
La visita a Kougami aveva finito per coincidere con uno dei turni di Shion, e nessuno, per nessun motivo, avrebbe mai accordato il permesso di uscire in orario di lavoro ad una criminale latente. Yayoi aveva accompagnato Ginoza al suo posto, assieme ad un Masaoka più quieto del solito.
Ginoza si era poi rifiutato di scendere dall’auto.
Avevano trovato ad accoglierli lo stesso uomo che avevano lasciato qualche settimana prima, lo stesso che avevano imparato a conoscere e stimare ma… il suo sguardo era uno dei più cupi che Yayoi avesse mai visto. Improvvisamente in Kougami sembravano convivere due diverse nature, e una di esse faceva spavento a vedersi. Yayoi pensò che anche i suoi occhi dovessero essere stati oscurati dalle stesse nuvole nere di quelli di Kougami, quando era finita lì. Istintivamente rimpianse di non aver conosciuto Shion quando gli occhi di entrambe erano ancora limpidi.
Forse, però, l’unica cosa distingueva il Kougami dei suoi ricordi da quello che Yayoi aveva allora davanti non era un mutamento dell’animo, quanto un condizionamento da quel luogo di disperazione in cui il sistema relegava chi riteneva già marcio dentro. L’ombra oscura in Kougami non era altro che l’immagine della morte marchiata a fuoco sulle retine.
Se così fosse stato, pensò Yayoi, allora anche i suoi occhi e quelli di Shion sarebbero tornati a brillare una volta vista in faccia la libertà vera. Per la prima volta dopo tanto sperò che ci fosse un modo di guarire e tornare a vivere fuori dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza. Ancora non aveva idea che si potesse sperare anche un mondo senza Sibyl.
Quando Kougami si decise a tornare in servizio, Shion l’accolse con un abbraccio. Forse era la prima volta che lo faceva, perché l’altro era sembrato profondamente confuso, sebbene avesse ricambiato energicamente la stretta di lei. A Shion non era importato, aveva continuato a sorridere e più volte i suoi occhi si erano velati di lacrime brillanti, che non aveva lasciato fuggire sulle gote intrappolandole tra le dita. Yayoi aveva compreso per la prima volta che l’animo di Shion era limpido come il suo Psycho-Pass non sarebbe mai stato. La sua preoccupazione sincera e disinteressata per un altro individuo, assieme al dolore per la perdita di un collega si leggeva sul suo viso in maniera univoca.
L’esperienza di Kougami le aveva insegnato che chiunque, anche la persona più onesta e insospettabile, poteva cadere in disgrazia com’era successo a lei. Ed era una consapevolezza ancora più dolorosa che vedersi intrappolata quotidianamente a fare da cane poliziotto come unica alternativa al marcire in una clinica. Era doloroso perché non coinvolgeva solo lei, ma tutte le persone che aveva amato, e che amava, e Shion. Shion che era in trappola assieme a lei, per qualche motivo, che le dava sollievo in ogni senso ed era l’unico essere umano che poteva toccarla e parlarle sempre. Si era sentita egoista molte volte, Yayoi, ma quella sensazione diventava opprimente quando si trovava a rallegrarsi del fatto che Shion fosse lì con lei. Poteva essere libera, ma per fortuna era lì con lei, e questo faceva male, e si sentiva in colpa. Si odiava anche, a volte, finché Shion non le disse che andava bene.
«Potrà sembrare orribile, ma ho sperato con tutta me stessa che mi baciassi, la prima volta che l’hai fatto». Era seduta sul suo letto, quando lo disse, stranamente era ancora vestita. Stranamente perché sembrava che non riuscissero a stare sole in una stanza qualsiasi senza saltarsi addosso, specie in quel primo periodo passato a essere amanti.
Yayoi aveva da tempo aggiunto alla lista delle cose terribilmente egoiste che aveva fatto il fare sesso con Shion dopo la morte di un collega e la decaduta di un altro. Sapeva benissimo come Shion si sentisse.
«Io l’ho desiderato per molto, prima di farlo». Si era concessa di dirlo perché credeva potesse costituire un attenuante, in parte. Allontanare il più possibile la colpa da sé, era una sporca egoista.
«Io ho desiderato che tu restassi al mio fianco. Non voglio che tu muoia, mi sentirei schifosamente sola». Aveva lo sguardo di chi ha commesso un terribile peccato e sa che non sarà l’ultima volta. Shion tendeva ad ammettere le proprie colpe con estrema facilità, come se non avessero importanza, come se non temesse di essere giudicata. Questo, da solo, bastava a renderla ancora più splendidamente limpida agli occhi di Yayoi.
Allora capì che andava bene. Desiderare di essere libere insieme o prigioniere insieme, andava bene.
Poi arrivò Kagari, e fu una specie di raggio di sole per tutti.
Per Yayoi in primis, perché lavorare con Ginoza era diventato insopportabile da quando Kougami non era più un Ispettore. Non era mai stato un uomo gentile, ma, da quando aveva cominciato ad abbaiare rabbiosamente gli ordini a destra e a manca e a trattare chiunque come se fosse un insignificante sassolino incastrato nei solchi delle suole delle sue scarpe, era insostenibilmente antipatico. A Yayoi non importava molto, all’inizio. Con lei aveva mantenuto un comportamento civile, giacché il suo atteggiamento non lasciava alcuna possibilità di litigare o commentare negativamente. Tuttavia sentire sempre i propri colleghi così tesi e pieni di astio cominciava a renderle difficile concentrarsi sul lavoro. Kagari era arrivato come una palla da demolizione (*), risollevando l’animo di tutti con la propria innata capacità di sdrammatizzare qualsiasi situazione. Era un tipo stravagante, era evidente anche solo dai vari accessori con cui aveva deciso di dare colore alla propria divisa da Esecutore. Era rimasta particolarmente impressionata nel costatare che utilizzasse effettivamente delle forcine per trattenere i ciuffi ribelli di un’improbabile tonalità di arancione. Non sapeva spiegare come mai, ma l’aveva trovata una cosa divertente.
Punzecchiava i colleghi con battute di ogni tipo, e spesso rimbeccava Ginoza quando i suoi ordini diventavano troppo sgarbati. Nessuno se la prendeva davvero, perché riusciva a non essere offensivo in nessun caso, tanto che alla fine neanche lo stesso Ginoza trovava un motivo per dargli addosso.
Una volta aveva sfidato Kougami a fare un combattimento corpo a corpo. Yayoi si era preoccupata molto per lui ed era stata molto sollevata di sapere che se l’era cavata con un braccio rotto soltanto. Di contro, era stupita che fosse riuscito a rompere qualche costola del suo avversario (*). Non credeva che potesse battere un uomo come Kougami.
Era la cosa più vicina a un fratello minore che avesse mai avuto, era sorpresa di quanto fosse stato facile decidere che gli voleva bene. Era passato un sacco di tempo da quando aveva conosciuto Kougami, eppure ancora non capiva bene cosa fosse per lei, così come Shion. Si chiese se fosse un segno del destino o qualcosa del genere, ma poi comprese che semplicemente Kagari era una di quelle persone cui era impossibile non affezionarsi.
Con Shion le cose difficili, come gestire una relazione e confidarsi, erano sempre incredibilmente semplici. Ancor più che respirare. Le cose semplici, invece, come dare una definizione chiara dei propri sentimenti, erano ostiche. Ancora adesso Yayoi non sa se quello che hanno potrà durare. Non lo sa perché né lei né Shion l’hanno mai concordato.
Anche quella volta che le aveva chiesto di restare al suo fianco, non aveva detto se “per oggi”, “per questo mese” o “per sempre”. Vuole credere che non le importi, ma le importa eccome. Vuole chiederle cosa ne pensa, ma teme che la risposta possa deluderla, o, più probabilmente, distruggere il piccolo universo fuori dal tempo che si sono create.
Sa quant’è importante. È l’unica cosa che dia un significato al suo ostinato desiderio di mantenersi viva, l’unica che fino allora non l’ha mai abbandonata. Anche Rina era sempre lì per lei, quando ancora poteva dire di conoscerla, ma Shion non è Rina. Shion crede in quello che anche lei crede, e non ha mai chiesto nient’altro se non quell’estemporaneo “stai con me”, che Yayoi non ha mai trovato fosse troppo difficoltoso accontentare. E non vuole che tutto quello si perda, che Shion scelga un’altra – o un altro.
Ma non le chiederà nulla. Anche avendone la possibilità.
Non lo farà e crede fermamente che il giorno in cui verranno messe alla prova arriverà. Quando avranno centinaia di altri posti dove andare, fuori dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, e delle scelte da poter fare con le proprie teste, allora toccherà decidere. Yayoi sa qual è la sua scelta, in ogni caso.
«Stavo pensando: hai mai dormito sotto le stelle?». Shion ha smesso di ritoccare lo smalto sulle unghie di Yayoi. Tiene il pennellino stretto tra due dita e la fissa, pensierosa.
«Tutte le notti», risponde Yayoi. A volte capita che le vengano in mente cose divertenti da dire, e, di solito, se c’è solo Shion con lei, le dice. Però quella volta Shion non ride, non sorride nemmeno, ed è strano perché solitamente lo fa, anche solo per mostrare che ha apprezzato il suo tentativo di fare dell’umorismo.
«Quando studiavo Medicina, l’ultimo anno prima che il mio Psycho-Pass decidesse di tirarmi questo brutto scherzo, sono andata con alcuni compagni a vederle. Le stelle, sai. Non si vedono in città, per via delle luci artificiali. Eravamo sdraiati su questo prato sconfinato, in periferia, e loro se ne stavano lassù. Abbiamo passato lì l’intera notte. Quando penso alla libertà, mi tornano in mente le stelle che ho visto quella volta».
«Stavi pensando alla libertà, quindi?».
«Hm», annuì, anche se non sembrava del tutto convinta.
«Non ho mai dormito sotto le stelle» si decise a dire Yayoi.
Pensa alle tante cose che Shion potrebbe dire per risponderle. Probabilmente “allora non sei mai stata libera” è la più adatta. Yayoi vede quella frase che le lampeggia davanti agli occhi, sente che l’altra potrebbe pronunciarla da un momento all’altro. Sarebbe normale. Le loro conversazioni viaggiano in cerchio, come un cane che tenta di mordersi la coda. Sono botta e risposta casuali, che non portano mai ad un punto fermo, ma restano aperti, a prendere aria, come i loro sentimenti e la loro relazione. Sa che Shion lo dirà, e l’angoscia quasi credere che anche quella volta - anche se è da un po’ che ci spera – non ci sarà una conclusione. Siamo precarie come un edificio privo di fondamenta.
«Allora conviene che ti mostri cosa sia la libertà, se mai ne avrò occasione».
Un sorriso. Un punto.
 
 
 
 
 

(*) In realtà è Akane nella novel a pensare che Shion sia troppo bella e sexy per essere completamente umana, ma è una cosa che potrebbe benissimo pensare chiunque vedendola. Yayoi in maniera particolare.
(*) Questa cosa non me la sono inventata io. Secondo la wiki di Psycho-Pass, Yayoi e Shion usano effettivamente lo stesso profumo.
(*) Questa frase è citata anche nell’anime. È di Nietzsche nel caso qualcuno non lo sapesse.
(*) Definizione rubata spudoratamente allo Sherlock dei film di Ritchie.
(*) Sì, cito Miley Cyrus e giuro che sto sghignazzando anch’io moltissimo per questo.
(*) Tutto ciò è successo davvero – eccetto la preoccupazione di Yayoi, che è una mia aggiunta - nel capitolo extra dedicato a Kagari del manga “Inspector Akane Tsunemori”, adattamento della prima stagione dell’anime. Lo so, è fantastico. 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Psycho-Pass / Vai alla pagina dell'autore: Rumyantsev