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Autore: Sandra Sammito    18/03/2016    0 recensioni
Christie viveva una vita meravigliosa, accompagnata dalle note del suo pianoforte e dall'amore incondizionato per suo padre. Un giorno, però, è vittima di un incidente che la indurrà a uno stato d'incoscienza duraturo. Il suo corpo è addormentato, ma la sua mente è ancora sveglia e vaga, lontana dal corpo, vivendo un parallelismo dissociato, in cui incontra e conosce altre persone, bloccate nella sua stessa situazione. Ma al suo risveglio... 
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Spero che la storia sia di vostro gradimento e mi piacerebbe se lasciaste delle recensioni perché le vostre critiche mi sarebbero d'aiuto. XOXO 
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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PARTE SECONDA
 
5. Sconosciuti
 
Morire è come assopirsi e accedere al mondo dei sogni, e non si ha la certezza di far parte di un sogno fino a quando non ci si sveglia.
Christie era solo un corpo inerte, riverso sull’asfalto mite di quella maledetta strada, e i suoi occhi, delineati da un filo di trucco, davano l’impressione che mai si sarebbero riaperti. La gente accorreva e si accalcava, circondando il luogo dell’incidente e, allarmata, si faceva spazio tra le teste incuriosite della cerchia. In mezzo a tutto quel trambusto, la luce irradiante del sole illuminava la città, ma ce n’era un’altra che nessuno ebbe la capacità di rilevare. Una radiazione luminosa, ancor più accecante di quella emessa dal sole, illuminò il povero corpo della ragazza, come se fosse sotto i riflettori di un losco teatro gremito di spettatori, avvelenati dal tedio. Era una luce a tutti invisibile, un bagliore divino, un’emissione calorosa e salvifica…
 
Gli occhi di Christie, spossati e consumati dal rossore, si riaprirono lievemente. Era ancora all'oscuro del luogo in cui si trovava, ma in una situazione di confusione, l’unica cosa che avvertì fu la temperatura ghiacciata e paralizzante che si estendeva radicalmente in tutto il suo corpo. Gemette poiché, aprendo gli occhi, l’ambiente le apparve sfocato, come intravisto attraverso l’acqua increspata. I brusii attorno a lei le apparivano vicini come musica alle auricolari, ma sorde e attutite. Il suo respiro era affannato e serrato da qualcosa simile a un masso ponderoso, gravante sull’addome. La sua schiena era adagiata su un marmo duro e gelato e, quando la sua vista riprese a funzionare, si accorse di un tetto a volute lignee, che ricopriva interamente l’edificio in cui si trovava. L’aria era impregnata di incenso, unito al profumo delle rose sbocciate. Pian piano il suo udito, come la vista, le permise di tendere l’orecchio ai suoni attorno, ma tutto ciò che udì fu il silenzio. Non c’era più alcun brusio, né vicino né lontano. Mosse le dita, tastando la piattaforma su cui era sdraiata, liscia e levigata.
Capacitandosi del fatto che il luogo in cui si risvegliò era a lei sconosciuto, si alzò di colpo a sedere. L’edificio era costruito in legno, insieme a tutti gli utensili e agli immobili. Alla destra di Christie c’era uno spazio semicircolare, al centro della cui parete un tabernacolo dorato luccicava alla luce delle candele. Queste ultime soprattutto risultavano essere le uniche fonti di luce, incastrate nei candelabri, ora posti sul pavimento, ora fissati alle pareti. Alla sinistra si estendeva una lunga fila di panche, fornite di inginocchiatoio e, su ognuna di esse, erano poggiati due coroncine del rosario. Era una chiesa e Christie era seduta sull’altare.
Scese dal marmo, credendo che avesse compiuto un atto sacrilego, e rivolse l’attenzione al portone in legno massiccio, in fondo al corridoio. Voleva uscire da lì. Voleva capire come vi era arrivata. Ricordava poco dell’incidente, anche se aveva compreso di essere stata investita. Soltanto non era nelle sue facoltà riuscire a fare la differenza tra sogno e realtà. Era incapace di comprendere se si trattava della sua immaginazione o di una perdita della concezione temporale, che le rimosse tutto l’accaduto dall’incidente al suo risveglio. Le sue vaghe riflessioni, però, furono interrotte quando vide, su una delle navate laterali, un fascio di uomini in tunica nera. Il cappuccio appuntito era rialzato, il che non permetteva di analizzare i loro volti e, tenendo dei libricini sulle mani, si trascinavano sinuosamente per la navata, bisbigliando quelle che presumibilmente dovevano essere delle preghiere. Parve che la presenza di Christie in chiesa non li turbò, perché non arrestarono la loro sorta di danza neanche quando uno di loro guardò in direzione di Christie e, dopo aver chinato la testa in segno di saluto, riprese a seguire quella specie di processione.
Intimorita da quella situazione, Christie velocizzò il passo verso il grande portone, con lo scopo di uscire e darsi delle risposte. Più si avvicinava all’uscita, più l’odore di incenso si faceva più forte. Questo perché, agli stipiti del portone, ci stavano due turiboli dentro cui bruciavano le piante. Giunta di fronte all’uscita, Christie si sentì all’improvviso piccola come uno scarafaggio in confronto a quell’impotente arcata. Il pomello, dorato e sferico, era poco più grande del suo palmo. Stava per agguantarlo quando vide riflessa la sua immagine. Ma non fu lei stessa a mettersi paura, quanto un volto in più che appariva sul pomello, un volto dietro di lei. Si volse repentinamente e, davanti a sé, vide un’anziana signora, dall’aspetto grottesco, con rughe sparse su tutto il volto e perfino calva. Il suo corpo esile era piegato in due, a causa della schiena ricurva, su cui poteva notarsi una gobba delineata. Era terrificante e, a rendere il suo viso ancora più orribile, ci stavano un paio d’occhi spenti e angoscianti, anneriti dalle occhiaie.
«Non superare quella porta.» le ordinò, la sua voce era stridula e graffiata.
Christie si fece guardinga e, in assenza di parole, si limitò a scrutare l’anziana con circospezione.
«Non andare. Vieni con me.» disse ancora, con lo stesso tono autoritario e tendendole la sua mano striata. «Se vieni con me puoi star certa che sarai in un luogo sicuro, dove la luce rischiarerà il tuo cammino e terrà lontane le tenebre.»
«Cosa c’è oltre questa porta?» chiese Christie.
«L’abisso, profondo e senza fine. Se la oltrepasserai, non potrai più tornare indietro.»
«Dove mi trovo? Cos’è successo?»
«Se vieni con me, lo capirai.»
Christie, con una mano teneva il pomello del portone, e con gli occhi guardava titubante la mano tesa della donna. Se era un sogno oppure no, non ne era ancora sicura, ma quel che capì fu di non trovarsi in una normale circostanza.
Gli uomini in tunica nera arrestarono la loro danza e le loro preghiere, e adesso erano solo intenti a fissare scrupolosi Christie e l’anziana. I loro volti erano invisibili, risucchiati dal buio pesto. E Christie si sentì confusa, si sentì soffocare, perché era incapace di prendere una decisione, sebbene quell’anziana stesse riuscendo a persuaderla.
«Dai! Cos’aspetti? Afferra la mia mano e ti accompagnerò per la giusta strada.» continuò l’anziana, con un sorriso malizioso sulle labbra sottili, quasi impercettibili.
«Non lo fare!» esclamò un’altra voce, accanto a Christie. Lei stessa sussultò nel notare alla sua sinistra un giovane ragazzo, alto e mingherlino, che con il solo sguardo riuscì a inviarle un messaggio chiaro e forte: la donna era il male. L’anziana, con tutta risposta, gettò sul ragazzo un’occhiata furibonda e di disprezzo, e sul suo viso parvero apparire più rughe e più macchie.
Il ragazzo girò il pomello del portone e, con un leggero spintone, costrinse Christie a passare attraverso la fessura ed essere inghiottita dal fascio di luce. Un urlo straziante e desolante penetrò le orecchie di Christie. Un urlo di chi ha appena assistito a una sconfitta. L’urlo dell’anziana signora.
 
Quando Christie riaprì gli occhi – dopo che era stata costretta a chiuderli per il bagliore accecante – si vide immersa in un’inaspettata dimensione, uno scenario che le strozzò le emozioni in gola. Dietro di lei la chiesa e il portone erano spariti, così come l’anziana malefica e il ragazzo che l’aveva spinta fuori.
Una sconfinata ed estesa prateria ombrata, con colline scoscese e popolate da un mucchio di persone. Il cielo era dipinto di bronzo e, sebbene desse l’idea del giorno, era puntellato di grandi e sfavillanti stelle. Il sole e la luna erano assenti, così come gli uccelli. Era come stare all’interno di un fermo immagine, in cui a muoversi ci stavano solo le persone. Queste erravano da sole o in compagnia: uomini, donne, bambini e anziani. C’erano un quartetto che, in coppia, camminava di pari passo, compiendo percorsi sinusoidali, e una signora che, sdraiata sull’erba, con le braccia strette all’addome e il viso snervato, piangeva e si disperava. Alcuni uomini parlavano tra di loro e altri che, pur stando insieme, si guardavano taciturni. Dei bambini si rincorrevano, sorridenti e spensierati, mentre un ragazzo volteggiava sulle punte, in piroette sensazionali ed eleganti arabesque. Pareva così sciolto in quella danza, che per poco avrebbe potuto librarsi in aria come una libellula. Un coro composto da circa dieci uomini cantava inni lirici, malinconici e deprimenti. Regnava la pace, ma su tutti i loro visi la tristezza aveva messo la firma.
Alcune di quelle persone avevano un aspetto vitreo e trasparente, come se si potesse guardare o addirittura passare attraverso il loro corpo. E questo fu ciò che traumatizzò Christie. Avvertì una brutta sensazione e non si sentì in un luogo adatto a lei. Si palpeggiò le braccia e le gambe, ma ciononostante sentiva di essere normale e concreta, non uno spettro come gli altri. Avanzò comunque su quel prato opaco e si addentrò in mezzo a quella gente sconosciuta. Alcuni la guardarono, seguendola con lo sguardo e senza sbattere ciglio, altri le sorrisero al suo passaggio, ma lei era troppo paralizzata per poter ricambiare. Il ballerino di prima le passò accanto e le sfiorò leggermente il braccio nudo. Da ciò Christie ne trasse la materia inconsistente e limpida come l’acqua di cui il ballerino era composto e comprese che non fosse del tutto umano. Non percepì il calore umano della pelle, fu come essere toccata dal battito d’ali di un colibrì.
Non le rimase altro che pensare ad un’unica cosa e più lo ripeteva nella sua testa, più si maledisse di non aver dato ascolto a quell’anziana.
Sono morta, pensò. Non esisteva altra risposta, altra spiegazione. Era impreparata e per questo non sapeva come tornare indietro. Era troppo tardi. Non salutò neanche suo padre, sua madre, sua sorella; non finì di leggere il libro lasciato in sospeso. Non arrivò a poggiare le sue dita sui tasti freddi del suo pianoforte per un’ultima volta.
È questa la morte, si chiese. Ti porta via tutto ciò che hai di più caro, senza preavviso e senza chiederti il permesso?
Sfinita, si buttò su quel prato secco e spento, e pianse a dirotto. 
   
 
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