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Autore: Andysmile    18/03/2016    3 recensioni
«Okay, calma... cosa c'è? Sono tipo... zombie? O vampiri? Non pensavo fossero mainstream anche negli anni settanta!» Michael alzò gli occhi al cielo, controllando che il colorato corteo fosse abbastanza distante da lui.
«Cazzo, no! Sono solo fottutissimi hippie!»
«Hai paura... di un paio di adorabili figli dei fiori?» L'urlo di Calum, probabilmente, si udì persino quattro o cinque isolati più in là.
«È risaputo che i punk non odiano nulla quanto gli hippie!» Non poteva vederlo, ma era sicuro che l'amico avesse alzato gli occhi al cielo.
«Tu non sei un punk!»
«Cazzo sì che lo sono!»
«E smettila di imprecare.»
«Faccio quello che voglio, sono punk rock!»
«No, non lo sei.»
«Calum... questi non sono i dannatissimi anni settanta!» Alzò la voce, ma a quel punto la comunicazione cadde, perché Michael aveva problemi ben più importanti di cui occuparsi.
Tipo la ragazza che gli era appena finita addosso.
Ma se non doveva toccare nulla nel passato per non modificare il presente... allora anche l'hippie con i fiori tra i capelli che lo aveva appena asfaltato poteva compromettere il futuro?
***
BackToTheFuture!AU || FlowerChild!AU
***
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Genere: Fantasy, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mi erano stati assegnati gli anni '60 del 1900 e ho pensato di ambientarla in America :) spero vi piaccia! Ci vediamo in fondo =)



I WANNA GET BACK TO SAN FRANCISCO 


 
«Quindi... tu sei fermamente convinto di avercela fatta?» C'era del sarcasmo, nel suo tono. Per quanto si fosse sforzato di sembrare serio, non trovava nulla di sensato in tutta quella faccenda.
Non che la cosa lo eccitasse meno, comunque. 
«Certo, Mike. Il prototipo è pronto. È solo da testare.» Michael annuì, forse un po' più convinto, ma senza riscontrare l'approvazione dei suoi migliori amici. Ci aveva sperato fino all'ultimo, ma evidentemente era l'unico ad avere uno spirito abbastanza nerd da tenere a quel progetto.
«Dannazione, non siamo idioti, Doc. Non puoi aver veramente... creato una macchina del tempo» sputò fuori Luke, schioccando la lingua sul palato come a ribadire la superiorità mentale che gli impediva di credere in qualcosa di tanto assurdo.
Quel folle del vicino di casa di Ashton era piombato nelle loro vite come un tornado in una giornata di sole: inaspettato e anche abbastanza indesiderato, ad essere onesti.
Era un vecchio pazzo che pretendeva persino di essere chiamato come lo scienziato di Ritorno al futuro. 
Aveva rivoltato il garage di Ashton da cima a fondo, portando con sé tecnologie strampalate e fogli pieni di disegni che nessuno riusciva a capire, distraendoli dalle loro prove come se ne valesse la vita.
Ashton non poteva nemmeno colpire i piatti della batteria senza rischiare che qualche provetta esplodesse in frantumi, tanto per dirne una.
Eppure, dal momento che con Doc tra i piedi alla fine si divertivano un sacco, lo avevano sempre lasciato fare.
Non si erano preoccupati di fermarlo nemmeno quando aveva cominciato a vaneggiare sul modo in cui li avrebbe fatti viaggiare nel tempo, forte di una laurea in una qualche disciplina scientifica che loro non avevano mai sentito nominare.
In realtà, ne erano certi, il suo sapere-nonsapere derivava per lo più dalle ore spese in maratone di Ritorno al futuro e pop corn.
E se gli altri tre non si preoccupavano minimamente di nascondere il proprio scetticismo, Michael invece sprizzava entusiasmo da tutti i pori.
Non che lui avesse visto il film in questione così tante volte, comunque. Forse giusto sette o otto, il minimo indispensabile per conoscerne le battute a memoria, insomma.
«Però... questa non è una DeLorean» precisò infatti, perché certe cose andavano sapute. Necessariamente. «È la mia fottutissima Kawasaki Ninja! Verde! Non pensi che darebbe un po' nell'occhio?!» La sua consapevolezza, a quel punto, acquisì un nuovo, devastante significato.
«Perspicace, piccoletto. Ma era l'unico mezzo sufficientemente veloce per essere adibito a macchina del tempo. Non è colpa mia se voi quatto squattrinati non potete permettervi una macchina bella anche solo la metà di una DeLorean» spiegò Doc, non alterato ma semplicemente schietto.
Michael scoccò un'occhiata agli amici che, in risposta, si limitarono ad alzare le spalle.
Volevano tirarsene fuori, gli ingrati.
Come dar loro torto, però... la moto che era appena stata trasformata in una sottospecie di baracchino dello zucchero filato ambulante non era mica la loro.
Michael deglutì a vuoto, metabolizzando l'ennesima informazione.
Si perse a fissare la sua amata Kawasaki, la sua bambina, anni di stipendio che ancora non aveva ricevuto plasmati ad arte per creare un capolavoro.
Non voleva proprio che finisse rovinata o, peggio ancora, totalmente distrutta.
Tuttavia... non c'era nessun'altra soluzione. Era l'unico mezzo di cui disponevano in grado di raggiungere i centocinquanta chilometri orari senza singhiozzare o morire tentando.
Si stupiva lui stesso della sua ostinazione nel riporre tanta fiducia in quel progetto, come se ci credesse davvero.
Si rendeva conto di quanto assurdo fosse, eppure una parte di lui era fermamente convinta che presto avrebbe viaggiato nel tempo.
E, per di più, sapeva esattamente cosa fare.
«Bene, allora. Qual è il piano?» chiese speranzoso, un ultimo sospiro rivolto alla sua moto.
Doc alzò le spalle, storcendo le labbra in un'espressione ovvia.
«Beh... non c'è un piano. Uno di voi deve semplicemente offrirsi volontario e pregare che vada tutto bene.» Certo, ovvio.
Era prevedibile, ma nella stanza calò comunque un silenzio di tomba, interrotto solo dal ritmo irregolare del respiro di Michael.
Si guardò intorno, ma i suoi occhi non si fermarono mai troppo a lungo su nessuno dei suoi amici che, invece, tenevano lo sguardo fisso sui propri piedi.
E a dirla tutta Michael era decisamente stufo di passare la sua esistenza a fissarsi le scarpe mentre suonava la chitarra in quel buco di garage dimenticato dal mondo.
Doc gli stava offrendo la possibilità –remota, d'accordo, ma pur sempre una possibilità– di evadere per un po' da lì e di oltrepassare quelle pareti che lo tenevano letteralmente intrappolato. 
In quel momento gli pareva una buona idea. Davvero.
«Vado io.» Lo meritava più di tutti, in fin dei conti.
Era o non era un grande fan di Ritorno al futuro?
Le reazioni degli amici, tuttavia, non furono proprio come le aveva immaginate.
Luke non alzò nemmeno la testa, presumendo che il pavimento crepato fosse comunque più interessante del suo migliore amico che viaggiava nel tempo con una moto verde; Calum trattenne a stento una risata, il labbro inferiore compresso tra i denti; e Ashton, invece, si limitò a sollevare un sopracciglio, perché sì, Ashton sapeva essere così loquace che persino le sue sopracciglia parlavano per lui.
«Mi sembra una buona idea.» Doc spezzò il silenzio e Michael gliene fu immensamente grato.
Tirò un sospiro di sollievo e avrebbe persino replicato, se Ashton non si fosse finalmente risvegliato dalla sua paralisi facciale solo per esercitare il suo ruolo di "membro più maturo della band", come amava spesso definirsi.
«A me invece pare una pessima idea» commentò infatti, rilassando quel maledetto sopracciglio. «Dai, Michael, rifletti! Pur ammesso che l'idea di Doc funzioni... e se avesse sbagliato qualcosa? E se ti succedesse qualcosa? E se ti smaterializzassi e non riuscissi più a tornare normale?» A quel punto, fomentato dal quadro catastrofico immaginato da Ashton, fu il sopracciglio di Calum a sollevarsi in un'espressione perplessa.
«Ashton, amico… davvero?! Tu guardi troppi film sbagliati! Non dovresti neanche porti il problema. Non succederà mai che riesca a viaggiare nel tempo, figuriamoci smaterializzarsi o che so io!» Michael alzò gli occhi al cielo, ignorando il teatrino che i suoi amici avevano appena deciso di mettere in piedi.
Batté il piede a terra un paio di volte, poi, esasperato, decise di alzare la voce più del dovuto.
«Sentite, con tutto il rispetto: siamo quattro idioti che tentano di sfondare facendo i cretini nei video e che ottengono views su YouTube solo perché due dodicenni arrapate sognano di incontrare Luke!» Si fermò un istante, tirando un sospiro: l'attenzione degli amici era finalmente su di lui. Deglutì un paio di volte a vuoto, prima di schiarirsi la voce. «È arrivato il momento di cambiare... e io so esattamente come farlo. Abbiamo comunque toccato il fondo, perciò tanto vale tentare» concluse quindi, le labbra stirate in un sorriso forzato.
Michael non si lamentava mai della sua vita, non avrebbe potuto farlo neanche volendolo. In fin dei conti, se ci pensava, aveva quasi tutto quello che un adolescente poteva desiderare: era circondato da una bella famiglia, aveva amici fantastici, talento per la musica e voti abbastanza decenti a scuola. Gli mancavano le donne, certo, ma per quello non aveva davvero troppa fretta.
Eppure, nel profondo, sentiva che qualcosa lungo il suo cammino stava andando storto.
Se anche il Michael bambino avesse potuto viaggiare nel tempo, probabilmente sarebbe rimasto deluso nel vedere di non aver realizzato nel futuro nemmeno la metà dei sogni che aveva nel suo cassetto.
Erano davvero tanti, eppure in quel momento gli sembravano tutti impossibili.
In quel momento riusciva quasi a vedersi come uno spettatore che, da fuori, assista allo spettacolo della propria vita in pezzi, imboccando strade sbagliate e smettendo di credere nella bellezza dei propri desideri infantili.
Mancava qualcosa, in quel groviglio di dubbi e paure che erano i suoi vent'anni.
Mancava qualcosa di importante e, ne era quasi certo, quel qualcosa era l'ispirazione che aveva perso crescendo.
Ora non era altro che l'ombra di se stesso, un burattino perfetto per recitare esattamente la parte che gli altri si aspettavano da lui.
Voleva ritrovare quello spirito che tante volte l'aveva animato, il fuoco vivo che ardeva per la musica, la sua passione più grande.
Voleva ritrovare la sua strada e più ci pensava più si convinceva che le risposte di cui aveva bisogno per affrontare il futuro le avrebbe scovate solo nel passato.
La storia, dopotutto, era sempre uguale a se stessa.
«Allora tu lo hai un piano! Visto?! Non c'era bisogno che te lo dicessi io!» L'allegria del vecchio, subito palpabile, lo ridestò dai suoi pensieri e lo riportò a quella realtà che presto sarebbe cambiata.
Ebbe giusto il tempo di annuire, prima di accorgersi che Doc aveva iniziato a trafficare con il suo tablet ormai distrutto.
I suoi amici scossero le spalle all'unisono, come a dire che non ne sapevano niente. E in fondo era proprio così.
Non avevano ancora aperto bocca, ma a quel punto capivano tutti quanto fosse inutile farlo: il silenzio era comunque in grado di parlare per loro, incapaci di ammettere che, utopia o meno, l'opinione di Michael era basata sulle solide fondamenta di una cruda verità.
«Quindi... che intendi fare, di preciso?» domandò d'un tratto Luke, con grande sorpresa di tutti e soprattutto del diretto interessato.
«Beh, tornerò negli anni settanta. La patria di quelle band che ci hanno spinto a suonare... tipo, avete presente... Pink Floyd, Deep Purple, Guns N’ Roses...?» cominciò un lungo elenco di band, mentre picchiettava ogni nome sui polpastrelli delle dita con emozione sempre crescente. «Ho intenzione di ritrovare la nostra ispirazione» precisò infine, un'espressione soddisfatta ad animargli il volto.
Ebbe giusto il tempo di esprimere la sua idea, prima che l'iPhone gli venisse sfilato dalla tasca proprio sotto gli occhi.
Doc sorrise sornione e lo collegò con un cavo ad uno dei suoi pc.
Michael doveva ancora capire dove avesse trovato i soldi per permettersi un simile armamentario tecnologico, ma evitò accuratamente una domanda che avrebbe richiesto spiegazioni estremamente lunghe e noiose.
«Comunicheremo con questo, potrai chiamarci in ogni momento» spiegò il vecchio matto, digitando una serie di numeri sulla tastiera.
«Mi stai dicendo che funzionerà anche a distanza di...»
«Di quarant'anni nel tempo, proprio così.» Michael si limitò ad annuire, per quanto perplesso, ma una pacca sulla spalla attirò la sua attenzione da tutt'altra parte.
Doveva già preoccuparsi per la sua moto, vivere nell'ansia anche per l'iPhone avrebbe solo peggiorato la situazione.
Quando si voltò, Calum gli sorrise rassicurante, una mano ancora sulla sua spalla a stringere leggermente, come a volergli infondere un po' di sicurezza.
«Sono piuttosto scettico, ma questa è probabilmente l'idea migliore che tu abbia avuto da quando ti conosco» sospirò, facendo semplicemente annuire Michael con gratitudine.
Non se n'era nemmeno accorto, ma era già tutto pronto per il suo grande e assurdo viaggio.
«Quindi… non mi lasci nemmeno il tempo per salutare la mia famiglia e il mio cane?» domandò, il tono fintamente tragico e il labbro inferiore piegato in una smorfia.
Doc alzò gli occhi al cielo e aprì la claire del garage, accingendosi a portare la moto di Michael all'esterno.
«Quanto sei melodrammatico, piccoletto. Non stai andando in guerra! Anche se a voi giovani d'oggi farebbe proprio bene stare sotto le armi per un po'!» Michael si lasciò sfuggire uno sbuffo, scuotendo la testa con rassegnazione al suono di quella paternale che avevano sentito milioni di volte, loro che erano solo buoni a strimpellare quegli strumenti e a fare casino.
Uscì all'esterno, seguito dagli altri tre che, alle sue spalle, ridevano consapevoli.
I ragazzi presero l'auto di Ashton e Doc comunicò loro il luogo dove avrebbero svolto l'esperimento, una parola che suonava alquanto tetra e preoccupante, alle orecchie di Michael.
Non se ne curò per tutto il viaggio, comunque, tentando di concentrarsi solo sul rumore rassicurante della sua moto.
Qualche minuto più tardi giunsero in uno spiazzo appena fuori dal paese, il parcheggio abbandonato di un centro commerciale ormai chiuso da tempo. Era delimitato da un muro di recinzione, ma nel complesso era abbastanza grande per prendere velocità in moto. O almeno Michael se lo augurava.
Una volta esaurite le ramanzine, Doc gli porse il suo iPhone. Aveva solo quello, con sé, insieme ad uno zaino con pochi oggetti indispensabili ed un ep con alcune loro canzoni che avevano registrato.
«Ho già fatto tutto io, tu non dovrai fare altro che raggiungere i centottanta chilometri orari e poi... beh... dovrebbe funzionare.» Le ultime parole lasciarono le labbra di Doc in un sussurro appena udibile, mentre si grattava il retro della nuca con fare imbarazzato.
Non era sicuro di ottenere i risultati sperati, nonostante avesse investito tempo e idee in quel progetto.
Michael gli sorrise comprensivo, colpendogli la spalla con una pacca affettuosa, prima di prendere il cellulare.
In fin dei conti era esattamente così che si sentiva, ogni giorno della sua vita.
Sperava che, una volta tanto, la sua voce venisse ascoltata da qualcuno, sperava di essere capito, compreso, apprezzato.
Sperava di poter fare qualcosa di buono per se stesso e per gli altri.
E in quell'istante, quando svuotò la mente con un sospiro e salì in sella alla moto, sperò ancora più intensamente che il giorno giusto fosse finalmente arrivato: il giorno in cui Michael Clifford sarebbe diventato la persona che voleva essere, perché meritava davvero di sentirsi realizzato.
«Facciamolo!» Doc annuì e i ragazzi gli si strinsero intorno, salutando Michael con una punta d'orgoglio, per quanto la situazione continuasse a sembrare altamente ridicola.
«Ah, Michael... l'unica regola è non toccare nulla nel passato per non modificare-»
«Il presente, sì, lo so. Ho visto Ritorno al futuro un centinaio di volte, Doc. Ho imparato la lezione» sospirò schietto, sollevando il sopracciglio con aria di superiorità.
Doc gli sorrise e si accinse a preparare la sua partenza componendo formule strane sul suo iPad.
Dopo qualche secondo annuì in direzione di Michael, dandogli il via in un tacito accordo.
Quest'ultimo accese di nuovo la moto e il rombo del motore quella volta gli parve vagamente estraneo, così diverso dal familiare e rassicurante frastuono a cui era abituato.
Tentò di deglutire per l'ennesima volta, ma la gola gli si era seccata ormai da un pezzo e le labbra, a furia di morderle, cominciavano a bruciare in modo irritante.
Scrollò le spalle, provando in ogni modo a liberarsi da quella maledetta tensione, il corpo concentrato solo sulla vibrazione rilasciata dal motore sotto di lui.
Guardò dritto di fronte a sé, prima che il resto, tutto ciò che c'era intorno, sparisse dalla sua più ampia visuale, nascosto dal casco.
Non c'era più nulla, solo lui e la strada, quella strada che pregava vivamente fosse abbastanza lunga da permettergli di raggiungere la velocità indispensabile.
Le sue nozioni nel campo si esaurivano a quelle basilari apprese nel film, ma davvero... poco gli importava di tutto il resto.
L'ispirazione era l'unica cosa di cui aveva bisogno.
E, se anche il sapere mancava, si sentiva così ispirato che avrebbe potuto chiudere gli occhi e fidarsi del suo semplice istinto.
L'adrenalina bruciava come fuoco vivo nelle sue vene, risvegliando sensazioni che la sua monotona routine quotidiana aveva spazzato via.
Inspirò a fondo, quando diede gas. Ogni altro pensiero scomparve dalla sua mente insieme al respiro che stava lasciando le sue labbra.
Aprì gli occhi e udì vagamente le grida dei suoi amici.
Dopo qualche secondo gettò un'occhiata al contachilometri che saliva ancora troppo lentamente.
Lo sterrato era abbastanza lungo, ma non avrebbe potuto continuare in eterno, se non si fosse fermato sarebbe finito contro il muro di cinta prima di aumentare la velocità.
Fece forza sull'acceleratore, valutando le possibilità. Avrebbe semplicemente potuto rallentare e fermarsi in tempo, oppure... oppure lasciarsi andare. Un salto nel vuoto nella speranza di svegliarsi nel proprio letto e scoprire che tutta quell'assurda situazione altro non era che un sogno.
Alla fine decise di saltare.

**

Michael aveva sempre rischiato troppo poco, nella sua vita.
Il suo mondo fatto di banalità e noiosa quotidianità lo aveva sempre portato a desiderare qualcosa di più, nei modi più disparati e, spesso, nei modi peggiori che potesse scegliere.
Tuttavia, fino a quel momento, aveva sempre scartato qualunque folle idea gli fosse passata per la mente.
Non aveva mai trovato il coraggio necessario per provare qualcosa e, ora che finalmente si era deciso ad affrontare le sue paure e ad accogliere il brivido dell'adrenalina, ne pagava le conseguenze: la sua testa, infatti, doleva così tanto per la botta da fargli temere il peggio.
Aprì appena gli occhi, cercando di abituarsi alla luce.
L'ultima cosa che ricordava era un lampo luminoso fin troppo forte, che lo aveva accecato un istante prima dell'inevitabile impatto contro il muro. 
Forse era morto.
Stupide, pessime idee.
Avrebbe potuto drogarsi come ogni altro adolescente annoiato e magari avrebbe avuto più possibilità di sopravvivere.
Eppure l'odore dell'asfalto bruciato sotto di lui era maledettamente reale, come quel vibrare incessante all'altezza della coscia.
Mugolò qualcosa di incomprensibile, toccandosi la testa come a voler verificare che fosse ancora attaccata al resto del corpo.
Apparentemente era tutto intero.
Si alzò a fatica, rendendosi conto che l'insistente vibrazione proveniva dall'iPhone nella tasca dei suoi skinny.
Quando lo sfilò dai pantaloni l'imprecazione fu inevitabile perché, oltre alla moto sicuramente ammaccata, l'impatto aveva fatto crepare lo schermo del telefono.
Ma almeno lui non era morto, giusto?  
«Pronto?» rispose titubante, guardandosi intorno. Era in un vicolo all'apparenza deserto.
«Michael! Michael grazie al cielo sei vivo! Non sai quanto sono felice di sentire la tua voce!» L'urlo di Calum gli perforò un timpano, giusto perché gli altri danni subiti non erano abbastanza.
«Certo che sono vivo! Pensavi davvero di liberarti di me così facilmente?» Roteò gli occhi, studiando l'ambiente intorno a sé.
Sentiva un brusio di voci poco più in là, provenienti da una strada sicuramente più popolata di quella dove era caduto.
Cominciava a capire la dinamica dei fatti.
«Cazzo, Mike, amico! Ha funzionato, ha funzionato! Sei... tipo nel passato, cazzo!» esultò Calum, la voce ora molto più entusiasta mentre anche gli altri due, dietro di lui, si complimentavano con Doc per la brillante idea.
Ipocriti, pensò Michael. Però sorrise comunque. 
«Sì, ma l'atterraggio è decisamente da perfezionare. Con una macchina e quattro ruote sarebbe stato sicuramente più facile.» Detto ciò si massaggiò la base dolorante della schiena, giusto per rinforzare il concetto.
«Doc ha detto che sei a San Francisco. Fottuto bastardo!» Michael sorrise trionfante, perché sì, era nella città dei suoi sogni. Negli anni dei suoi sogni.
Doveva essere caduto dalla moto ormai praticamente ferma, perché a parte i graffi sulle braccia e un leggero colpetto al capo –ancora coperto dal casco, per di più– non aveva subito gravi danni.
Calum continuava a parlare, all'altro capo dell'iPhone, ma Michael non faceva troppo caso al suo farneticare in viva voce.
Posò il cellulare a terra e rialzò la moto, sistemandola contro il muro. Bloccò il disco della ruota, per essere sicuro che a nessuno venisse la brillante idea di rubare un gioiello così bello
E poi, beh... era anche l'unico mezzo di cui disponeva per tornare a casa.
Dopo aver messo in sicurezza la moto, raccolse lo zaino che gli era caduto a terra.
Stiracchiò la schiena, che gli rispose con uno schiocco poco rassicurante.
L'aria estiva californiana era calda e secca, tanto da togliere il respiro, ma decisamente piacevole sulla pelle.
Inspirò a pieni polmoni e un odore familiare invase le sue narici, arrivando dritto ai polmoni.
Si morse il labbro, respirando di nuovo.
Era così preso da quelle sensazioni che la voce di Calum, alzatasi di qualche ottava come a volerlo richiamare, gli parve lontana, esterna, quasi un fuori campo.
Anni e anni distante da lui.
Portò il cellulare all'orecchio, ma la sua attenzione fu catturata dal brusio sempre più forte e vicino, da quel profumo acre e pungente che stuzzicava i suoi sensi come mai prima d'ora.
Diede un'ultima occhiata alla moto, prima di correre alla fine del vicolo.
Quando svoltò l'angolo la realtà si fece subito chiara –e un po' troppo colorata– di fronte ai suoi occhi.
«Calum... c'è qualcosa che non quadra» mormorò al cellulare, un pizzico di agitazione nel tono.
Un tarlo di consapevolezza si insinuò nella sua mente, prepotente e fastidioso. «Sono nel bel mezzo di un corteo e...»
«Tipo una cosa... funebre? O un matrimonio? O...»
«Ho paura! Sono spaventosi! Mi mangeranno?» Un sospiro snervato lo accolse in risposta, dall'altra parte dell'iPhone.
«Okay, calma... cosa c'è? Sono tipo... zombie? O vampiri? Non pensavo fossero mainstream anche negli anni settanta!» Michael alzò gli occhi al cielo, controllando che il colorato corteo fosse abbastanza distante da lui.
«Cazzo, no! Sono solo fottutissimi hippie!»
«Hai paura... di un paio di adorabili figli dei fiori?» L'urlo di Calum, probabilmente, si udì persino quattro o cinque isolati più in là.
«È risaputo che i punk non odiano nulla quanto gli hippie!» Non poteva vederlo, ma era sicuro che l'amico avesse alzato gli occhi al cielo.
«Tu non sei un punk!»
«Cazzo sì che lo sono!»
«E smettila di imprecare.»
«Faccio quello che voglio, sono punk rock!»
«No, non lo sei.»
«Calum... questi non sono i dannatissimi anni settanta!» Alzò la voce, ma a quel punto la comunicazione cadde, perché Michael aveva problemi ben più importanti di cui occuparsi.
Tipo la ragazza che gli era appena finita addosso.
Ma se non doveva toccare nulla nel passato per non modificare il presente... allora anche l'hippie con i fiori tra i capelli che lo aveva appena asfaltato poteva compromettere il futuro?
«Michael?! Michael sei ancora lì?» Calum tentò di richiamarlo, ma ogni suono pareva maledettamente ovattato, escluso dalla bolla in cui era intrappolato.
Alzò appena lo sguardo e gli fu inevitabile tossicchiare quando una ciocca di capelli biondicci gli solleticò le labbra.
Udì appena, all'altro capo dell'iPhone, il respiro dell'amico farsi un po' più pesante come il clima che probabilmente doveva circondarlo in quel momento.
Una volta a casa avrebbe ucciso tutti quanti.
«Cavolo, amico... non so come dirtelo» proseguì qualcuno, non avrebbe più saputo dire con certezza chi.
In fondo nessuno voleva assumersi la responsabilità di comunicargli quella tragica notizia, benché ai suoi occhi risultasse ormai ovvia.
«Doc ha sbagliato ad inserire la data nella programmazione del viaggio. Sei capitato nell'estate del 1967, a San Francisco. Sei nel bel mezzo della Summer of
«Love.» Michael lo interruppe proprio sul più bello e il respiro gli si mozzò per un istante sulle labbra, mentre quella parola prendeva consistenza.
I suoi occhi verdi avevano appena scontrato quelli incredibilmente scuri della ragazza che se ne stava ancora sopra di lui.
Ispirazione, farfugliò il suo cervello.
Ispirazione, era l'unica parola a cui riuscisse a pensare.
Lei sorrise, un sorriso dapprima appena accennato che, subito, si trasformò in una risata vibrante, calda al punto da togliere il respiro come l'estate californiana degli anni sessanta, ma ugualmente piacevole sulla pelle.
I suoi occhi ricordavano oro nero, legno bruciato da un fuoco intenso che non aveva ancora smesso di ardere.
Ispirazione.
Se avesse avuto una forma, forse sarebbe stata così, come quel sorriso, come quegli occhi grandi contornati da lunghe ciglia scure, come quella bocca sottile sopra e troppa carnosa sotto, come quelle lentiggini delicate, armoniose su un volto tondo e leggermente allungato.
Michael provò il forte desiderio di sollevare una mano e toccarla per un istante, affondare l'indice in quella fossetta che il sorriso di lei aveva creato sulla sua guancia sinistra.
Era buffo il modo in cui il tempo, in un viaggio che avrebbe dovuto attraversarlo, si fosse fermato, congelato in un sorriso.
Ma lei era bella, una bellezza che non avrebbe saputo definire in modo diverso se non eterna.
Letteralmente fuori dal tempo stesso.
«Oh. Mi dispiace tanto» esordì lei, il labbro inferiore compresso tra i denti.
La sua voce era morbida, ma un po' troppo alta, sapeva di marijuana  appena fumata e di menta fresca.
Poi rise di nuovo, spingendo appena i palmi aperti contro il suo petto per alzarsi.
Michael ci impiegò qualche secondo per capire che avrebbe dovuto lasciarla andare.
«I-Io... non... ecco... non preoccuparti, solo... non ti avevo vista arrivare» confessò lui, in un balbettio decisamente poco virile.
Una volta in piedi la ragazza sorrise, scuotendo leggermente la testa.
Ad ogni movimento i lunghi capelli dorati sobbalzavano sulle sue spalle, dove ricadevano in onde disordinate e casuali, eppure stranamente perfette. 
«Oh, beh... io giocavo a rincorrermi con un amico... nemmeno io stavo guardando dove stessi andando!» spiegò lei, ogni parola portava con sé una nota di pacata allegria. Michael, invece, una volta constatata l'impossibilità fisica di sostenere il suo sguardo si limitò a chinarsi e a recuperare l'iPhone da terra.
«Io sono Angelica, ma puoi chiamarmi Angie!» proseguì lei, la voce ora un po' più acuta, piena di entusiasmo.
Michael si sforzò di alzare gli occhi dallo schermo, imponendosi di essere educato.
Ma la gentilezza c'entrava poco, in quel momento.
«Angie... come la canzone dei Rolling Stones?» domandò, e quella fu probabilmente la prima vera frase che le rivolse, la voce finalmente si era decisa a superare quel nodo che gli si era formato in gola.
La ragazza sollevò il sopracciglio, un'espressione perplessa.
Il pensiero di Michael tornò per un istante al sopracciglio inarcato di Ashton.
Scosse la testa, ma lei era ancora lì e continuava a guardarlo stupita.
«Sono abbastanza sicura che i Rolling Stones non abbiano fatto una canzone che si chiama Angie» esclamò, arricciando le labbra.
Michael l’aveva sentita milioni di volte, ma il modo in cui quella ragazza pronunciava il proprio nome dava alla canzone un nuovo, intenso significato, come se ne avesse cambiato del tutto il testo.
«Cosa?! Dai... è una delle mie canzoni d'amore preferite... la conoscono praticamente tutti. Sai, Angie, you’re beautiful... but ain’t t- oh, giusto.» Si bloccò subito, notando l'espressione di lei, un misto tra lo stupore e l'offesa per essere stata corretta su qualcosa di tanto stupido.
E lo era, lo era davvero perché l'idiota, in quel caso, era solo Michael.
«Hai ragione, non puoi conoscerla, è una canzone degli anni settanta» borbottò, più a se stesso che a lei.
Angelica sbatté più volte le palpebre, fissandolo confusa.
«Come può essere una canzone degli anni settanta? Non siamo ancora negli anni settanta!» osservò, sinceramente curiosa di capire cosa stesse farneticando quello strano ragazzo.
Michael immaginò che dovesse sembrarle veramente stupido o pazzo, in quel momento.
«Oh... beh, nulla... devo... essermi confuso con un'altra canzone» tentò, incespicando sulle parole come se ognuna di esse, di fronte a lei, fosse un ostacolo insormontabile.
Angelica era ispirazione.
Il puro desiderio che correva nelle vene di Michael.
«Sei davvero buffo, sai?» lo prese in giro lei, un sorriso a curvare quelle labbra incredibilmente rosse.
Allungò il collo, cercando di osservare lo schermo del cellulare di Michael.
«Che cos'è questo coso strano?» continuò e, prima che Michael potesse rendersene conto, aveva già premuto un dito sull'iPhone. Lo ritrasse immediatamente, come scottata, prima di sgranare gli occhi e fissare Michael con espressione stupita.
Fu allora che lui sorrise per la prima volta, perché per lui premere tasti su una tastiera virtuale era così naturale che non ci faceva nemmeno caso.
Niente aveva davvero un valore nella sua quotidianità.
I gesti erano semplicemente abitudini scontate, lo stupore era qualcosa di meccanico, artificioso, mai genuino di fronte a qualcosa che non si fosse mai visto.
Michael aveva perso entusiasmo per tutto, persino per le piccole cose.
«Io sono Michael, comunque» si affrettò a dire, precedendo l'inevitabile curiosità di Angelica.
«Oh. E da dove vieni, Michael?» Il suo nome suonò armonioso e dolce sulle labbra della ragazza, un suono lontano e straniero.
«Beh... dall'Australia...?» tentò, dopo un istante d'esitazione. Era suonato decisamente poco convincente. La confusione doveva leggersi anche nel suo tono, oltre che nei suoi occhi.
«Australia» ripeté lei, assorta, puntellando l'indice contro il mento. «E in Australia avete questi...»
«Cellulari.»
«Cellulari, uhm.»
«Sì, esatto.» Lei scosse le spalle, come se di quel marchingegno curioso poco le importasse.
La luce nei suoi occhi indicava che la sua attenzione era già stata catturata da altro.
«Sei simpatico, Michael. Ti va di venire con me?» chiese schietta, facendo quasi sobbalzare Michael per la sorpresa.
Gettò un'occhiata preoccupata alla sua moto, ma Angelica aveva già stretto le dita sottili intorno al suo braccio.
Si lasciò trascinare, avvolto dalla risata cristallina di lei che, se lui non avesse saputo di essere nel bel mezzo di un raduno hippie negli anni sessanta, avrebbe sicuramente definito "strafatta". E… beh, era proprio così, in fondo. Ma a chi importava?
Lo spettacolo che si parò di fronte ai suoi occhi fu inaspettato, sconvolgente, come una doccia d'acqua fredda dopo la sbronza peggiore di una vita intera.
La strada principale era una distesa immensa di colore, di corpi uniti che si scontravano tra di loro a ritmo di suoni sempre diversi, di voci sconosciute che si mischiavano.
L'odore di cannabis che impregnava l'aria era un profumo quasi piacevole, acre e pungente, ma ugualmente delizioso.
Gli solleticava le narici come il profumo di Angelica, ricordandogli le migliori serate trascorse a fumare e a ridere con gli amici.
Si guardò intorno stupito, stranito, completamente sorpreso da quella cultura che aveva sempre sostenuto di detestare senza mai conoscere davvero.
Le risate si spandevano tutt'intorno, facendo vibrare l'aria di una melodia meravigliosa, senza davvero aver bisogno di musica.
Gruppi di ragazzi erano sparpagliati qua e là, parlavano tra di loro, ridevano, alcuni ballavano insieme a ritmo di canzoni improvvisate sulle corde di qualche chitarra.
Michael riconobbe l'accenno di una canzone dei Beatles di cui non ricordava le parole, mentre Angie lo accompagnava nel mezzo di un gruppo troppo numeroso.
Una nuvola densa di fumo confondeva da lontano i volti, Michael riusciva a distinguere solo macchie di colore e petali.
La camicia di Angelica, leggera e vagamente trasparente, svolazzava di fronte ai suoi occhi, creando un effetto cromatico ipnotico.
Portava una fascia, tra i capelli, un foulard blu con fiori rosa.
Fiori, c’erano fiori ovunque.
Angelica lo strattonò ridendo, le sue braccia tintinnavano del suono metallico prodotto dai mille bracciali che cozzavano tra di loro per la corsa.
Ogni dettaglio di lei era sorprendente, per nulla scontato.
Michael l'avrebbe osservata per ore senza mai esserne sazio.
«Eccoci! Loro sono i miei amici, Michael!» Ma Angelica bloccò i suoi pensieri, frenando di colpo di fronte ad un gruppo di persone.
Michael alzò gli occhi e non gli ci volle molto per capire di essere decisamente osservato e, soprattutto, maledettamente fuori luogo.
Una ragazza lo osservava stranita, la sigaretta in bocca che sembrava voler cadere da un momento all'altro.
Michael sorrise timidamente, fissandosi le scarpe: un paio di Vans grige consumate.
I suoi skinny jeans neri erano decisamente troppo stretti, se ne rendeva conto, e la sua canotta, invece, era troppo sbracciata.
«Metallica» esclamò la ragazza senza un nome.
Aveva i capelli più lunghi e scuri di quelli di Angelica, raccolti sulla fronte con una coroncina di corda intrecciata e fiori rosa.
Michael impiegò qualche secondo per capire che la sconosciuta si riferiva alla sua maglietta.
Si toccò il petto, proprio sopra la scritta a caratteri bianchi.
«Inquietante» aggiunse Angelica, osservando i dettagli della canottiera, tre file di tombe con croci bianche sormontate da fulmini. «Ma lui è Michael, viene dall'Australia… è strano così!»
Michael sorrise comprensivo, alzando una mano in segno di saluto.
«Ha un aggeggio stranissimo, guardate!» esclamò ancora lei, entusiasta. Michael aveva capito subito quanto fosse difficile farla restare zitta.
Gli prese il braccio e lo sollevò di fronte a tutti, mostrando agli amici l'iPhone ormai distrutto di Michael. «É un cellulare» spiegò, come se lo sapesse davvero.
Michael non era un grande esperto di storia, ma i suoi genitori erano nati negli anni sessanta, era abbastanza sicuro che la televisione fosse ancora in bianco e nero.
All'improvviso si rese conto che erano passati appena cinquant'anni, un arco di tempo nemmeno troppo vasto, a pensarci bene.
Eppure il mondo era cambiato in modo radicale. Avere vent'anni nel 1967 doveva essere molto diverso dall'averne venti nel 2017.
Ecco perché sua madre si lamentava sempre del fatto che fosse dipendente dal cellulare.
Lei a vent'anni poteva a malapena vedere la televisione.
Era come trovarsi su un altro pianeta.
Eppure lì, per quanto fosse strambo, nessuno lo giudicava, ma anzi… piuttosto suscitava la curiosità di tutti.
«La vuoi una canna, Michael?» chiese la ragazza sconosciuta, porgendogli una sigaretta già rollata. Michael alzò le spalle, spostando lo sguardo verso Angelica solo per vederla sorridere e annuire.
Afferrò la canna che gli veniva offerta e ne prese un tiro senza nemmeno pensarci troppo. Era abituato, non era certo la prima volta che si ritrovava a farlo.
Era la prima che fumava con degli hippie, però.
Non erano davvero così male come pensava.
«Ma è già morta Marilyn Monroe?» chiese, quasi di riflesso, come se solo un tiro di cannabis avesse già sortito l'effetto di farlo apparire fuori dal mondo.
Angelica rise, in risposta.
«È morta cinque anni fa, Michael! Non le avete le radio, in Australia?» Giusto, le radio.
Scoprì che era morto anche Kennedy, qualche anno dopo, e loro ancora ne parlavano. Avrebbe dovuto saperlo che negli anni sessanta erano successe un sacco di cose.
Alzò le spalle, passando la canna al ragazzo che aveva alla sua destra.
Era così… irritante! Gli uomini indossavano solo camicie troppo aperte e pantaloni dannatamente larghi.
Gli ci vollero ancora due giri prima che il clima cominciasse a rilassarsi.
Il suo cellulare aveva squillato almeno un centinaio di volte, lasciando perplessi tutti i presenti, ma Michael lo aveva bellamente ignorato.
Si sentiva bene, lì.
Erano seduti per terra e la gente, nel corso delle ore, stava aumentando esponenzialmente, riempiendo la strada di fumo, risate e musica.
Le canzoni di Jimi Hendrix e di Janis Joplin risuonavano in ogni vicolo, invogliando chiunque a cantare.
Intorno a lui alcune ragazze ballavano insieme, ruotando su se stesse e facendo svolazzare le lunghe gonne floreali.
Non portavano più la maglietta, alcune indossavano solo un costume, altre nulla, ma Michael, per quanto avesse dovuto restarne sorpreso, non faceva più caso nemmeno a qualcosa che in altre circostanze avrebbe definito imbarazzante.
Era sicuro di non capire più nulla ormai da un pezzo. Eppure si sentiva bene, si sentiva libero, amato, si sentiva importante anche in mezzo a degli sconosciuti, perché, forte della sua provenienza, ne sapeva spesso una in più di tutti.
Aveva sempre preso poco sul serio gli Hippie, con quelle loro manie pacifiste e lo spirito rivoluzionario.
Non era nemmeno sicuro che avessero davvero delle opinioni e degli ideali concreti, pensava che si limitassero a fumare e a fare sesso a destra e a manca, promuovendo amore per qualunque cosa, pace e fratellanza.
Ma ora si rendeva conto che, alla fine, erano proprio ragazzi come lui. Erano ragazzi con le sue stesse paure e i suoi stessi dubbi, preoccupati da un futuro incerto e spaventati da una guerra che non era mai finita davvero.
Avevano la stessa passione di Michael per la musica, una passione con cui tentavano di tenere unito un mondo spezzato in due da un muro al di là di un oceano.
Quel muro sarebbe crollato solo vent'anni dopo, Michael lo sapeva, ma quella volta preferì non dire nulla, lasciò loro la speranza di poter fare qualcosa, la stessa speranza che anche lui aveva ogni giorno della sua vita. 
Aveva perso il conto del tempo ormai da un pezzo, la testa gli girava piacevolmente, a causa del fumo, ma l’effetto era solo quello di fargli vedere fiori, fiori e ancora più fiori. Un sacco di colori.
Angelica era seduta di fronte a lui, le gambe distrattamente appoggiate sulle sue che, nel frattempo, teneva tra le mani una vecchia chitarra piena di adesivi.
In qualche modo gli ricordava la sua, ma le corde erano più arrugginite, vissute, più dure da suonare, ma cariche di una storia molto più intensa della sua.
Angelica gli aveva raccontato che quella chitarra apparteneva a suo fratello, che era partito solo l’anno prima per la guerra del Vietnam.
Michael nemmeno ricordava l’esistenza di quella parte di storia, eppure quel giorno era lì, viva, presente, se Michael si concentrava un po’ riusciva a sentire, sotto quelle voci allegre e piene di speranza, la tensione provocata da un nemico lontano, un nemico che non attaccava davvero mai, ma che minacciava di farlo.
Solo così, allora, Michael si rese conto che l’idea del movimento hippie non era poi tanto male: lì, sotto quella cappa di fumo e allegria contagiosa, il mondo appariva un posto un po’ meno brutto, un po’ meno confuso e tormentato da quella sete di potere che non si sarebbe mai placata.
Aveva sempre creduto che, in fin dei conti, la guerra fosse necessaria per sistemare gli eventi ad un certo punto del loro corso, ma in quel momento si rendeva conto di quanto fosse facile parlare senza aver mai vissuto l’angoscia sulla propria pelle.
Angelica quel pomeriggio lo portò ovunque, gli parlò di suo fratello, del fatto che fosse troppo ingenuo e spensierato per combattere, più adatto a stare lì con loro, a cantare, a dimostrare pacificamente che le controversie si possono risolvere.
Che in guerra, in fondo, non ci sono né vinti né vincitori, che nessuno ha mai del tutto ragione, che le persone non vogliono mai davvero combattere, ma sono spinte a farlo in nome di ideali che a volte nemmeno comprendono.
Come suo fratello.
Se Michael non avesse saputo che con gli anni la storia sarebbe andata sempre peggio, avrebbe riso dell'assurdità dello spaccare il mondo in due per motivi che ai loro occhi, agli occhi di ragazzi che avevano solo voglia di amare e di essere amati, apparivano estremamente futili.
Angelica allora lo portò nel negozio di suo padre, il suo posto preferito al mondo, lo aveva aperto da poco e vendeva vinili musicali di ogni genere.
Michael, così, scoprì che la passione di Angelica non era poi tanto diversa dalla sua.
Gli mostrò la televisione dove avevano guardato insieme a tutti i vicini i funerali di Kennedy, l’unica che potessero permettersi, una scatola quadrata nemmeno troppo grande eppure pesante ed ingombrante, così diversa dallo schermo al plasma che Michael aveva in salotto.
Sorrise, pensando che solo qualche anno più tardi sarebbero stati di nuovo tutti lì di fronte a guardare l’atterraggio di Armostrong e Aldrin sulla Luna.
Non glielo disse, per non rovinarle la sorpresa.
Angelica gli mostrò i suoi vinili preferiti e il primo che avevano venduto, Please please me dei Beatles.
«Sto cercando l'ispirazione, Angie» mormorò ad un tratto, lì dove il mondo all'esterno sembrava non toccarli.
Lasciò scivolare le dita sui vinili nuovi, tra i loro solchi, rendendosi conto che nel prossimo secolo sarebbero stati pezzi da collezione, mentre in quel momento non erano altro che dischi.
«Io ne ho trovata tanta, in te» rispose lei all'improvviso, un sorriso a curvarle le labbra morbide mentre, con sguardo furbo, metteva un vinile a riprodurre.
La voce di Elvis riempì il piccolo  locale, mentre lei gli si avvicinava.
Wise men say only fools rush in                             
But I can’t help falling in love with you    
Shall I say would it be a sin?
If I can’t help falling in love with you.

Angie lo sorprese di nuovo con quella risata cristallina, poi, prima che lui avesse il tempo per realizzare, gettò le braccia attorno al suo collo, affondando le dita sottili tra i suoi capelli ancora freschi di tinta. 
«Sono così blu... e così buffi.» Lasciò scivolare le mani sul suo viso, gli accarezzò gli zigomi, le guance, si soffermò sul piercing che portava al sopracciglio. Rise, mentre Michael la osservava in silenzio.
Il suo cellulare continuava a vibrare nello zaino abbandonato da qualche parte, ma non gliene importava.
Angelica era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Sorrise al pensiero di quanto le cose fossero cambiate in così poche ore da renderlo quasi impossibile.
Ma lei sapeva di erba, di menta e di libertà.
E ne fu certo quando le loro labbra si unirono per la prima volta, in un bacio forte, passionale, un bacio che sapeva di lei, un bacio che aveva il sapore dell'ispirazione.
«E cos'è l'ispirazione, Michael?» chiese gentile, la sua voce si infranse sulle labbra ancora umide di Michael. Fu come respirare per la prima volta.
Gli accarezzò le braccia, soffermandosi su quei tatuaggi che le ricoprivano e che tanto la incuriosivano.
Si sollevò appena sulle punte, per raggiungere il suo orecchio.
«È l'amore, Michael.»

**

Quella sera raggiunsero North Beach con un van colorato, che traballava e singhiozzava ad ogni buca nell'asfalto rovinato.
Le stelle su San Francisco erano più di quante Michael ne avesse mai viste: l'inquinamento doveva essere molto minore rispetto a cinquant'anni più avanti.
Le strade erano poco illuminate, alcune ancora rovinate dai residui della guerra.
Ma loro vivevano nel loro angolo di paradiso, cercavano di tenere il male lontano.
Cercavano di amare e Michael lo aveva scoperto solo quel giorno.
Erano bastate solo poche ore per farlo innamorare di Angelica e del mondo.
Nessuno aveva mai saputo trasmettergli tanto quanto lei in così poco tempo. Si era innamorato preda di un incantesimo, di sentimenti amplificati, di quelle emozioni forti che non aveva mai sentito.
Ed ora si ritrovava a strimpellare una chitarra intorno ad un fuoco acceso sulla spiaggia, tentando di allontanare il momento in cui, inevitabilmente, sarebbe tornato a casa.
Suonò alcune delle sue canzoni preferite, sperando che fossero tutti troppo distratti dalla droga e dall'amore per accorgersi che molte non erano ancora state composte e cantate.
Poi Angelica si sedette accanto a lui, posò una mano sulla sua gamba e gli accordi cominciarono a scorrere come un fiume in piena sulle corde.
L'ispirazione fluiva nelle sue vene, bruciandogli nel corpo ad ogni tocco delle dita di Angie su di lui.
Sorrise furba, lasciandogli un bacio sulla guancia, poi si alzò in piedi, correndo nella sabbia fresca della notte.
Girò su se stessa, facendo svolazzare la gonna bianca a ritmo delle note suonate da Michael.
Lei rise, lui di rimando, poi Michael la guardò correre, la seguì con lo sguardo e la vide sparire dentro il van parcheggiato poco più in là.
Posò a terra la chitarra e si alzò di scatto, la testa girava per via dell'erba che aveva fumato, ma si sentiva forte come non mai.
Quando la raggiunse nel van, Angelica non perse tempo per baciarlo, sorridendo sulle sue labbra schiuse.
Michael si sporse in cerca di un altro bacio, ma Angelica lasciò qualcosa sulla sua lingua, una sottile pastiglia bianca, che cominciò subito a sciogliersi con un leggero bruciore.
Michael la sentì scivolare lungo la gola, percependo l'effetto dell'adrenalina scorrergli dentro le vene.
Angelica lo trovò a metà strada, in un bacio dal sapore degli acidi e dei mille colori.
In pochi istanti la sua vista si confuse, gli oggetti intorno a lui si mischiarono, creando nuove forme e nuovi giochi di colore.
Le sensazioni erano amplificate, naturali, private di ogni imbarazzo e fuori da ogni logica.
Gli sembrava di volare, immerso in un universo parallelo, lontano anni luce dal suo, un paradiso dove tutto era colore, sensazione, vita.
Ispirazione.
Michael vide i fiori nei capelli di Angelica, il fuoco nei suoi occhi, i petali sulle sue labbra.
I loro vestiti si ammucchiarono in chiazze rosse, azzurre, verdi.
I loro corpi si fusero, dando vita a qualcosa di nuovo, all'ispirazione, all'amore.
«Promettimi che andrai a Woodstock e penserai a me» si lasciò scappare, tra un bacio e l'altro, perché la droga spingeva un po' troppo i suoi pensieri.
Angelica accennò uno sguardo confuso, ma lui la baciò appena in tempo, prima di quella domanda inevitabile. Le dita del ragazzo scivolavano piano, solleticavano e pizzicavano, accarezzavano il corpo di Angelica come fosse una chitarra.
«Promettimelo e basta.»
Angelica annuì e Michael capì per la prima volta cosa volesse dire davvero fare l'amore e non la guerra.
Era bello, era bello sul serio.

**

«E poi Luke... beh, Luke sta con una sottospecie di... fashion blogger con unghie spaventose che potrebbero squartarlo... e, uhm, non capisco cosa ci trovi in lei, ma insomma... sai com'è Luke, la gnocca ignorante è la tipa perfetta per lui» concluse Ashton, completamente a corto di fiato.
Tornare a casa era stato molto più duro del previsto.
Lasciare Angelica aveva comportato la perdita di qualcosa di importante, ma nel duemila Michael aveva portato con sé qualcosa che gliel’avrebbe ricordata per sempre.
Aveva portato con sé l'ispirazione, qualcosa di potente ed irrazionale, un'emozione travolgente che scorreva nel suo corpo come l'amore, cambiando i colori e le forme del mondo.
Michael lo aveva imparato in una giornata soltanto, innamorandosi di Angelica in modo così veloce da lasciarlo senza respiro, ma pieno di qualcosa di più forte.
Quando era tornato, però, le cose erano un pochino cambiate.
Ora avevano quattro macchine decenti, appartamenti più grandi e una carriera musicale avviata.
Avrebbero dovuto tenere un concerto quella sera stessa e Michael non aveva ancora capito come fosse possibile che, attraversando una barriera luminosa, avesse cambiato così tanto le sorti della loro band senza nome né fama né gloria.
«Devi aver lasciato qualcosa nel passato oltre che... beh, Angelica.» Michael si rabbuiò per un attimo, al suono del suo nome, ma poi sorrise, perché forse quella pensata non era stata poi così cattiva, forse Angelica aveva trovato la sua ispirazione.
«Le ho lasciato nella borsa un nostro ep, con la scritta "ci vediamo nel futuro" e la data 2012» spiegò, un sorriso trionfante sulle labbra, macchiato solo dalla tristezza per non averla nemmeno potuta salutare un'ultima volta.
«Il padre di Angelica... beh... lavorava nel campo della musica. Non so... dev'essere stato l'istinto. L'ispirazione» concluse, prendendo la chitarra per prepararsi a salire sul palco. Non aveva nemmeno potuto provare, ma poco gli importava.
Aveva una canzone nuova, nel suo repertorio, la canzone che aveva composto quella famosa sera sulla spiaggia.
Qualcuno gridò qualcosa, da dietro le quinte, i loro collaboratori –persone che Michael non aveva mai visto, a parte Doc che era finito a lavorare per loro– si affannavano avanti e indietro impartendo ordini e cercando Calum per costringerlo a cambiarsi.
Ora erano i 5 Seconds Of Summer, famosi un po' in tutto il mondo.
Michael stava sistemando un’ultima volta la sua chitarra, quando qualcuno gli finì addosso, facendolo quasi cadere in avanti.
Si voltò di scatto solo per rimanere bloccato di fronte ad un viso così simile... a quello di Angelica.
Gli stessi occhi, lo stesso sorriso, la stessa coroncina di fiori tra i capelli.
«Oh mio dio scusami, io... sono la nuova assistente costumista e... oh, scusami, davvero.»
«Come ti chiami?» Michael non si soffermò nemmeno sull'accaduto, voleva solo sapere il suo nome.
La ragazza lo guardò perplessa.
Lo stesso sopracciglio sollevato.
«Angelica... Angie.»
«Come la canzone dei Rolling Stones?»
«Io... sì, in effetti! Sei stato l'unico a... ma come...?» Michael scosse le spalle, il cuore che batteva un po' più forte.
«Intuito. Ispirazione.» Angelica annuì, porgendogli la mano.
Michael la strinse e sorrise: la sua pelle aveva lo stesso effetto che una volta aveva già provato.
«Mia zia... beh, si chiamava Angie e... adorava quella canzone» spiegò brevemente lei, agitando le mani.
Michael sgranò gli occhi sorpreso, ma ignorò la fitta che sentì al petto, provocata da quel verbo al passato.
«Non... non c'è più?» Angelica scosse la testa.
«No. È morta troppo presto, ma... l’adoravo, sai? Era così forte! Era un hippie, sai? Mi raccontava sempre un sacco di storie! Ha fatto così tante cose, nella sua vita!» Michael rise divertito, una punta di orgoglio nello sguardo: anche lui aveva parlato così di lei.
«Non aveva figli?» chiese ancora, sperando di non risultare invadente o addirittura inquietante nel pretendere certe informazioni così intime da una sconosciuta.
Angelica però parve non dargli peso.
«No... sai com'erano gli hippie... lei poi era uno spirito ancora più libero degli altri! Ogni volta che stava con qualcuno, anche solo per una notte, lo considerava importante. Si è innamorata così tante volte che ho perso il conto, ma una più di tutte, disse che non aveva mai provato nulla di così forte. Disse che era uno straniero con i capelli-» Michael sorrise, quando lei si bloccò, fissandolo con gli occhi sgranati. «Blu...» mormorò in un sussurro.
Michael deglutì, a corto d'aria.
Qualcuno, però, lo richiamo sul palco, tirandolo per le spalle.
«Ci vediamo dopo, d'accordo?» Angelica annuì, sollevando una mano in segno di saluto. Poi corse verso di lui, canticchiando una canzone che Michael conosceva benissimo, la nuova canzone che avrebbero cantato, quella canzone che aveva composto quella sera sulla spiaggia.
I wanna get back to where we started to the summer night
You know, you know, you know, you know  we got it right
I wanna get back to San Francisco, in the fire light
You know, you know, you know, you know we had it right.

Gli anni sessanta erano stati gli anni più belli della sua vita.
E ora sapeva di essere importante davvero.
 
 
 
 
 
JADEY’S CORNER
Domani parto per Napoliiii yayyy vado a trovare mia moglie aka Mary, che se qualcuno leggeva le mie storie ormai conosce ahah
Allora… che dire, sono ben consapevole dell’assurdità di questa storia, ma insomma, avevo voglia di partecipare a questo contest e ho colto la palla al balzo per fare qualcosa di un po’ alternativo.
I know, la os è mega lunga, ma c’era un limite molto ampio e ne ho approfittato.
In più, avevo sempre desiderato scrivere una storia che avesse San Francisco come sfondo e quindi eccola qua! L’ultima canzone è San Francisco dei 5SOS ovviamente, mentre l’altra citata nel testo è Can’t help falling in love di Elvis, anche se non credo ci fosse bisogno di dirlo ahah
Il contest, ripeto, è “Return to the past”, indetto su facebook. Basta cliccare, l’ho linkato.
Per quanto riguarda me, non credo di avere molto da dire… sono stata assente per tanto, troppo tempo e ora non so se sono più in grado di scrivere.
Sono una persona particolarmente confusa, perciò un cambiamento che è in corso nella mia vita mi sta facendo fare di tutto una tragedia quando in realtà è davvero una cosa bella.
Però mi sento di aver perso l’ispirazione, un po’ come Michael, ecco anche da cosa deriva il filo conduttore di questa storia.
La mia ispirazione era lui, ma ora mi sono un po’ disincantata e temo di averlo perso, pur sapendo che in realtà non è così.
Spero di riuscire a riaprire gli occhi in fretta, perché scrivere mi manca ed è ancora la cosa che più mi piace fare.
Se avete la pazienza di aspettare, spero di tornare presto alla carica con qualche nuova storia (a breve penso che mi butterò anche nel fandom dei One Direction, il mio primo amore, e in particolare sui Larry perché, beh… sul serio… c’è anche bisogno di dirvi perché? Ahah)
Non so nemmeno se vi interessi o se siate arrivate fino in fondo, ma giuro che mi siete mancate tutte e mi è mancato da morire scrivere, perciò ringrazio l’organizzatrice di questo contest per avermi permesso di ritornare ad esprimere un po’ della mia creatività repressa ahah
Spero che, se siete riuscite a finirla, la storia vi sia piaiciuta.
E in caso boh… fatemi sapere se ci siete ancora, se mi odiate, se vi ha fatto schifo e ho delle idee pessime… qualunque cosa ahah
A presto, spero :3
Always yours, Jadey <3
 
   
 
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