Storie originali > Nonsense
Ricorda la storia  |      
Autore: _Ellie_    30/03/2009    2 recensioni
“Tu mi hai detto di farlo. Tu mi hai detto...” Annaspò lei, affranta e vagamente colpevole. La tazza grugniva inascoltata nell’abbraccio indifferente di lei.
“Ti ho detto di vivere. Non di svenderti. Ti ho detto di farti ferire i polmoni dall’aria sferzante, non ti ho detto di farti assoggettare da lei.”
Ribattè lui, le sue labbra sottili troppo dannatamente vicine, il suo calore vivo sulla pelle di lei, il respiro a pochi centimetri dal suo.
Con un gesto vago della testa indicò la tazza nelle mani di lei.
“Non bere, meine kleine Eisblume.”
La criniera fatta di nodi e desideri si sgonfiò di botto. I suoi occhi dorati s’illuminarono di calore, mentre quelle sue mani così affusolate, così dure, così callose, si posarono con noncuranza sui fianchi di lei.
“Conosco modi migliori per morire vivendo. Modi che farebbero in modo che tu non fossi mai sola.”
“Sola con se stessa?” sospirò una lacrima vagabonda sulla guancia di lei. “Sola con il suo ardente desiderio di riaverti indietro così com’eri?” piagnucolò una seconda.
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



~ Eisblumen



Quella buffa Ragazza Stanca si sentiva sola.
Non si ricordava perchè si sentisse sola, non mentre stringeva tra le dita bollenti di rabbia una tazza gelida di the disperato, torbido tanto quanto lei.
Le sue labbra sigillarono un muto patto con i bordi sbeccati ed affilati della tazza, che, bramosa di sangue, lo chiese in pegno per sigillare il patto.

I piedini della Ragazza Stanca, sanguinanti, sporchi di terra ed avvolti in lussuose babbucce di seta, si agitarono irrequieti mentre il Sogno di fronte a lei appoggiava sul tavolo una fetta di limone già morso, di cui solo rimaneva il bordo bianco, la polpa indigesta per chiunque non avessere inghiottito perle di putridume e sogni infranti ben più indigesti.
“È per il tuo the” Le sussurrò lui sottovoce. Oh, non avrebbe potuto sostenere a lungo il suo sguardo melanconico, triste, lussurioso ed indifferente.
Non avrebbe potuto sopportare un altro bacio da quelle labbra fatta d’ossa e unte di dolcezza, non avrebbe potuto più rifiutarne gli abbracci caldi come l’inverno.
Il suo sapore di disinfettante ed alchool le dava la nausea, eppure non riusciva ad alzarsi da quella comoda poltroncina di cinz e carta vetrata, in un pacchiano e soffocante salotto di teste tagliate e poltrone color carmesì, mentre Madame Tussauds riveriva ogni ospite di pettegolezzi e baci sanguinolenti, affidandosi al senso dell’ordine della testa mozzata della regina Maria Antonietta perchè ogni ospite schiattasse con dignità ed eleganza atte al luogo in cui i suoi occhi si aprivano sul vuoto per l’ultima volta.

La ragazza stanca, in quel momento, avrebbe voluto tirare fuori una stecca di zucchero e piantarla con un rumore di ossa rotte e carne maciullata nel non-cuore del suo non-sogno, così a fondo da macchiare la fodera troppo carmesì e troppo annoiata della poltrona polverosa in cui il suo incubo si era assiso con dolce sonnolenza. Avrebbe voluto avere quelle stecca di zucchero, nauseabondamente dolce di sangue rosa e carne bianca, glassata di lacrime di violenza ed arrotolata in una bellissima spirale uncinata da braccia monche.
Oh, sì.

La Ragazza Stanca, in quel momento, non era stanca. Non abbastanza stanca da scordarsi di dover suggellare il suo patto con i bordi sbreccati della tazza con lentezza e voluta civetteria.

No, non sarebbe vissuta per ora. Non si sarebbe immolata sull’altare dei sentimenti vissuti, ancora per molto tempo. Si sarebbe ingrigita le guance con le carcasse dei sogni morti prima ancora di essere formulati per tutto il tempo che le sarebbe stato concesso. Fu così che, distrattamente, sbattè la tazza, mentre il the al mercurio si rimestava con risucchi tintinnanti, oh sì, tintinnanti, sul piano di cristallo già infranto del tavolino d’ebano istoriato d’ossa. La sbattè con malagrazia e dispetto, mentre i capelli lisci, unti, crespi, bruciati, seguivano i movimenti del suo collo come i serpenti di Medusa la loro vittima. E fu contenta di averla sbattuta, anche se questo fece ridacchiare penosamente l’ombra della sua innocenza di fronte a lei, il suo non-sogno che, visto che sarebbe dovuto morire per mano delle labbra della sua padrona, deturpate dalla tazza, aveva deciso di morire con condiscendenza e con polpa di limone come condimento. “Perchè non me l’hai mai detto?” Masticò le parole lui, lui e quella sua criniera fatta di nodi, sogni, promesse, raggi di sole e baci insanguinati.

La ragazza stanca sollevò i suoi occhi scintillanti dei primi segni dell’accidia, squadrandolo con lo stesso affetto che si riserverebbe all’ascia del boia.
“Perchè tu avevi troppa fiducia in me per affrontare le conseguenze delle mie vittorie.”
Urlò lei, la gola che s’incendiava ad ogni silenzio che rimaneva sospeso nell’aria.
Gli occhi sognanti della povera testa di Maria Antonietta accarezzarono la stupidità delle credenze della ragazza stanca con il tatto di una madre.
“Sto morendo.” Ribattè assente il Leone, o quello che ne restava di lui. I suoi capelli fatti di nodi si gonfiarono per la disperazione, i tratti efebici placati dall’impotenza. Le sue tuniche avevano formato millepieghe fatte d’ombre sulla sua pelle pallida, prima dorata. “Tu hai voluto che io crescessi.” Crepitò la voce melodica e roca della Ragazza Stanca.
Stanca.
Di lei. Di ciò che restava di lei.
“Tu hai voluto che io non vivessi. Tu hai voluto, hai fatto in modo che, hai parlato in modo da indurmi a.”
Le parole che accarezzavano le afflosciate orecchie di lui lo ferirono fino a fargli sanguinare fuori dal suo bellissimo cuore quel poco di buono che restava in lui.
Gustosissimo cuore, si ritrovò a bramare Madame Tussauds.
“Ehi, cocca! Mi sto raffreddando!” La richiamò al caos dell’imperscutabile e multifolrme nero che aleggiava placido nel salottino, la sua tazza di the.
Il the era disperato, affranto, eccitato.
Voleva quella stramaledettissima polpa di limone andata a male, la voleva tra i mille brilli argentati del suo liquido amniotico putrefatto, la voleva distruggere così come i mille bisbigli ed occhiatine distruggevano l’ombra di Lui.
Voleva contribuire alla sua morte, nel suo piccolo.
La tazza si agitò tra le mani di lei, facendole stringere la presa ancora più forte.
“Io... tu...” Bazzicò la lingua del Leone, ormai nerastra tra le labbra sottili e morse a sangue. I suoi canini luccicarono nell’ultimo, così si ritrovarono a sperare tutte le bestie che si uccidevano nel salottino di cinz e sangue, atroce ed agoniato sospiro.
La ragazza lo ghiacciò un’ultima volta, gli occhi resi ciechi della superbia ed il cuore ballerino ormai spossato di vivere. Il suo vestitino di lino bianco gemeva ad ogni nuovo respiro, ed i piedini infangati non si muovevano più. Le labbra erano ormai bluastre, mentre la pelle era cinerea. I suoi occhi strabuzzarono involontariamente, mentre il suo stomaco si contorceva in preda agli spasimi.
Ma nessuno vedeva, poichè nessuno voleva vedere. Nessuno vuole vedere la sua fine, sia pure riflessa nella fine di un altro. Ma la confusione ormai attanagliava da tutte le parti, l’ordine faceva strage di ogni più piccolo delirio infantile, mentre mille scheletri di falene, senza candele da cui farsi bruciare, si sbattevano senza posa alle lastre di cristallo che separavano il salottino dall’abisso. Nessuno crede e s’illude di non lo stare facendo, applicando algoritmi di inutilità agghiacciante perfino allo sbattere di una porta.

La Ragazza Non Più Stanca Ma Ormai Quasi Morta strinse la tazza, sul fondo della quale rimanevano le ultime tre gocce che avrebbero sancito l’inizio della fine, sollevando sull’ombra del Leone il suo sguardo, il suo Leone dalle voglie d’incenso, ghiacciandolo di mille aghi di lava.
“Ecco a cosa mi ha portato il tuo libero arbitrio: a crepare da sola, mentre anche l’ultima delle mie illusioni moriva.” Imprecò lei, mentre il gelo s’impossessava delle sue ossa, facendole inarcare la schiena dal dolore.
La sua innocenza si tinse di rosso.
“Perchè tu volevi che crescessi!” Cantilenò sadica e serpentina lei, mentre l'ombra di lui si contorceva in preda all’identico spasimo che aveva costretto anche lei a gridare.

Di slancio, lasciò la tazza sogghignante sul ripiano infranto, sollevandosi in piedi di scatto ed aggirando il tavolino in tre piccoli e nervosi passi.
Guardò l’ombra dall’alto, con il cuore che le martellava in petto tanto quanto avrebbe fatto con un’overdose di cocaina, mentre qualcosa le si accendeva dentro, una scintilla di baci e vestiti di velluto blu, un rimpianto instabile e fragile come la stretta di un banbino appena nato e dal piangere potente ed inestinguibile. Qualcosa le si accese dentro, mentre dalle sue labbra si sprigionarono lembi di fumo viola.
“Ma tu, no. Tu ti fidavi di me. E ho dovuto sempre essere come tu speravi che io fossi.”
Le dita sottili eppure storte per il troppo disegnare sulle nuvole, artigliarono la spalla di lui, facendolo gemere di sorpresa.
“Concludi il patto, concludi il patto!” le strillò la tazza indignata, mentre le due gocce rimaste sul fondo si agitavano irrequiete. L’aria si fece pesante come prima di un temporale, carica di fumo, sudore, sporcizia e del fiato di altre mille anime senza capo nè coda.
Lei si sedette di schianto sulle gambe dell’ombra, sentendo sotto le cosce uno sfregare ruvido e consunto di stoffa larga e dall’odore di cose buone, cose talmente buone da non avere un odore. L’ombra s’immobilizzò, trattenendo il fiato, mentre la ragazza si sistemava meglio, senza smettere di fulminarlo con quei suoi occhi da civetta.
L’ombra s’immobilizzò, ma solo perchè era stata messa spalle al muro con se stessa. E questo le fece ricordare dolorosamente come lui avrebbe voluto che tutta quella stoffa, tra di loro, non ci fosse.
Concludi il patto, concludi il patto! Strillarono i sibili oltraggiati di mille altre ombre.
Le ombre non era solidali tra di loro, men che meno con l’Ombra della Ragazza Stanca.
Concludi il patto, concludi il patto! Ridacchiò estasiata Madame Tussauds, che non vedeva l’ora di assistere all’ennesima disfatta di quanto di buono e dolce ci può essere in un’ombra che si fingeva statua.
Concludi il patto, concludi il patto! Gemettero gli scheletri delle mille falene carnivore, fluttuanti sull’abisso.
La ragazza stanca, improvvisamente come aveva cominciato, smise di agitarsi sulle ginocchia del leone. Ne prese tra le dita una ciocca più volte annodata su se stessa, tirandola capricciosamente verso di sè. L’espressione sul viso dell’ombra non cambiò, mentre la crinierà si gonfiò di nuova disperazione ed il suo respiro accellerava.
L’ombra stava violentemente scendendo a patti con se stessa, e questi patti pretendevano che, in cambio di un qualcosa, ne venisse dato qualcos’altro. E dato che per lui niente valeva più delle labbra insanguinate di lei, si ritrovò ad implorare alle soglie del suo buon senso di dargli la forza di fare quello che stava per fare.

La ragazza, ingnara della crisi che si stava scatenando sotto i suoi occhi assenti, sporse un braccio alla cieca per riprendere la tazza paonazza che giaceva dimenticata sul tavolo e l’afferrò, tra le grida esultanti di tutti e l’ultimo sguardo angelicamente affranto dell’Ombra, portandosela alle labbra.
Con un sospiro roco la penultima goccia del patto le scivolò tra le labbra, facendosi strada come un ferro rovente verso il suo cuore, mescolandosi con i litri di sangue marcio che ormai rendevano la pelle della ragazza un intricato reticolo di venuzze blu e verdi.

“Se lo farai, se berrai quell’ultima goccia, puoi avere la certezza che io non ci sarò più, quando ti sveglierai.”

Quelle parole glaciali, lapidarie, vennero pronunciate dalla bocca tumida e rossa del Leone. Per la prima volta da non si sapeva cosa, il suo tono le sferzò così a fondo la pelle che sembrò che della carta vetrata le avesse spazzato un centimetro di amarezza dall’infinita superficie del cuore.

“Ti violenteranno, ti blandiranno, ti coccolerano e ti baceranno fino a consumarti le labbra. E quando ti sveglierai, io non sarò lì. Io non ci sarò più. Mi svenderai come hai fatto tante volte, tanti piccoli patti con te stessa che hanno compromesso me.”

Lo sguardo d’oro e nero del leone si fece duro come l’acciaio, mentre le sue labbra, che spesso avevano costretto le sue in un sorriso, si stesero con indifferenza su di un’ossatura che stava andando in frantumi. Più il polso di lei si faceva debole più quello di lui s’indeboliva, più il patto le ricordava il suo sangue versato più era consapevole che quel poco che ne rimaneva le stava andando alle guance, che arrossivano sotto quello sguardo abissale che, per la prima volta, l’aveva finalmente vista.
Il cuore ballerino che aveva giaciuto inascoltato nel petto dal poco seno di lei si risvegliò malgrado il torpore provocato dal the al mercurio, e sembrò battere di nuovo aria stantia e promesse irrealizzabili nella testa di lei.

“Tu mi hai detto di farlo. Tu mi hai detto...” Annaspò lei, affranta e vagamente colpevole. La tazza grugniva inascoltata nell’abbraccio indifferente di lei.
“Ti ho detto di vivere. Non di svenderti. Ti ho detto di farti ferire i polmoni dall’aria sferzante, non ti ho detto di farti assoggettare da lei.”

Ribattè lui, le sue labbra sottili troppo dannatamente vicine, il suo calore vivo sulla pelle di lei, il respiro a pochi centimetri dal suo.
Con un gesto vago della testa indicò la tazza nelle mani di lei.
“Non bere, meine kleine Eisblume.”
La criniera fatta di nodi e desideri si sgonfiò di botto. I suoi occhi dorati s’illuminarono di calore, mentre quelle sue mani così affusolate, così dure, così callose, si posarono con noncuranza sui fianchi di lei.
“Conosco modi migliori per morire vivendo. Modi che farebbero in modo che tu non fossi mai sola.”
“Sola con se stessa?” Sospirò una lacrima vagabonda sulla guancia di lei. “Sola con il suo ardente desiderio di riaverti indietro così com’eri?” Piagnucolò una seconda.

Il silenzio s’impossessò di un salottino con vista sull’abisso in cui tutti i commensali moribondi trattenevano il fiato, per alcuni l’ultimo, con l’urgente bisogno di sapere come sarebbe finita questa strana storia.

Una mano della ragazza stanca si posò distrattamente sulla guancia di lui, trascinandosi in una carezza ruvida fino alle labbra. Ne tastò la consistenza di ciliegie mature e raggi di sole lontani, lo sguardo perso in altri mondi, in altre parole.

“Sai che non finirà mai, sì?” Le sussurrò lui, mentre le sue mani salivano dai fianchi di lei fino alle sue spalle. La carezza dolce che ne seguì fu una scossa per l’abisso, fu un tornado per le altre ombre! La pelle di lei s’incendiò, i brividi che le salivano lungo tutta la schiena ed una strana e nascente voglia di qualcosa di sconosciuto che le scoppiò in petto con il rumore del morbido sbocciare di un’orchidea.

E fu così che il mondo si fece un turbinare confuso, mentre la tazza, gridando piangendo ed adulando, si schiantò al suolo tra i gridolini stupefatti degli astanti, che si fecero poi via via più laceranti quando l’ultima goccia di Patto non bevuto sfrigolò sulla moquette rancida e sciolse una parte del cuore di ognuno.
I cocci gementi ed agonizzanti della tazza non vennero raccolti da nessuno, men che meno la dita fragili della ragazza stanca.
Il Leone aveva bussato a se stesso, chiedendosi il permesso. Accorgendosi con stupore che non aveva più bisogno di chiederlo.
Quando hai raggiunto il limite, significa che hai superato qualsiasi tipo di limitata autorià ed i loro claustrofobici raggi d’azione.
Il Leone avrebbe superato quel limite e sarebbe stato risucchiato dall’abisso, avrebbe cambiato situazione, ma non essenza.

Eppure, quella volta avrebbe finalmente cambiato le carte in tavola con grande sdegno del Signore dell’Innocenza, lassù, fin nel cielo più remoto.

Afferrò con decisione la spalle della ragazza, sentendole gracili e prive di forza sotto il suo tocco, mentre le labbra di lei si aprovano in una “o” muta di stupore e meraviglia.
Il cielo si sentì rivoltato come un guanto quando, per la prima volta, il cuore ballerino della Ragazza Stanca accennò i passi di quel sentimento così... soprannaturale.
La avvicinò al suo petto, avvertendo il loro calore legarli con lingue di fuoco quando sentirono distintamente la sagoma del corpo l’uno dell’altro. La avvicinò al petto per poi far scorrere le sue dita così inconsultamente leggere, fameliche e leggere, brucianti e nuove per la ragazza, dalle spalle fino alla clavicola di lei, disegnando simboli d’amante sulla sua pelle.
Osservò con malcelato desiderio degno della più lussuriosa Madame Tussauds ogni singolo centimetro della pelle della ragazza, standole così vicino da poterne sentire il vago profumo, l’atroce calore, i desideri che ne intridevano ogni singolo poro.
E leccandosi le labbra, le poggiò ancora umide e calde sulla gola di lei, sentendo qualcos’altro appassire di quel poco che gli rimaneva dentro.
Le mani della ragazza, invece, dapprima incerte e fragili si erano fatte più azzardate, impudiche, fino a stringere la testa del suo Leone a sè, affondando le dita nella criniera ardente di lui.
Altre lacrime gorgoglianti caddero al suolo.

“Perchè la mia innocenza si sta suicidando per me?” Gemette lei, le lacrime inarrestabili ormai.
Lui staccò le labbra dalla sua pelle, lo sguardo febbricitante ed i contorni via via più offuscati, mentre quel poco che restava del Leone, l’Angelico, l’Innocente, si saldava in lastre di metallo deformanti che lo costringevano inarrestabili alla sua nuova forma. Eppure lui non rispose, si limitò a prendere il viso di lei ed attirarlo a sè, gli occhi che si soffermavano su ogni sua più piccola sfumatura, ombra, gioco di luce.
L’osservò per poco, tracciandone i contorni con un dito. Poi le sue mani si strinsero sulla vita della ragazza e premette con dolcezza le sue labbra sottili su quelle sanguinanti di lei.
Il sapore di limone non mangiato si mescolò a quello di lacrime, angoscia e piacere, mentre dopo un gioco di morsi e torture, la ragazza piantò le unghie mordicchiate nelle spalle di lui, facendolo gemere e finalmente schiudere le labbra. Fu strano far combaciare il sapore caldo di zucchero e pezzi di nuvola della bocca di lui con quello gelido di lacrime e sabbia della lingua di lei, eppure quando i due lo percepirono, stordente come droga in endovena, il mondo intero sembrò gridare, gemere e contorcersi mentre loro andavano incontro al prossimo giro di ruota con i volti rigati di lacrime e le labbra gonfie di quel bacio irreale.

L’innocenza si suicidò in pompa magna, acqua su sabbia ardente nel cuore di lei, uniti insieme più per ribellione e surrealismo che per reale senso logico. Il destino si ripetè, ed una nuova situazione venne a formarsi. Ma questo, quell’innocenza che non si stava suicidando, ma solo unendosi a lei... beh, questo forse i due non lo sanno ancora.

È così che nascono le coscienze?
L’uomo diventa un rifiuto di se stesso e l’innocenza preferisce fondersi con lui piuttosto che chiedere gli occhi e tacere?

Ma quanto realmente questo sacrificio è utile?


.*.*.*.

Warning: non ho la benchè minima idea del reale siginficato della canzo sopra linkata. Solo mi ha ispirato tutta la nonsense. A voi la gioia di capirci qualcosa di ciò che dice.

Ispirata da...:Gli scheletri delle falene si devono a _Princess_ e F. Garcìa-Lorca, mentre l'intera ispirazione è un misto di letture delle bellissime chicche di Moonwhisper e la mia fantasia. Scritta con in sottofondo Eisblumen ed i Polarkreis 18, con tanto di frasettina in tedesco che dovrebbe significare (ma non fidatevi, anzi correggetemi) "mia piccola FiorediGhiaccio". I "nodi" e la "criniera" sono rasta, ergo, grazie Rastaro. Eh sì, ora la smetto.

Sì, lo so. È una cazzata dall’inizio alla fine. Ma finchè qualcuno non si degnerà di dirmelo (vero, lettori svagati e scioperati che le recensioni non vi azzardate neppure a scriverle?) la considererò solo una nonsense.

Per chi non l’avesse capito, sono tornata a descrivere l’irreale mondo della Ragazza Stanca e del Leone, in diretta dal mio concetto di surrealismo distorto per voi, madames et messieurs.

Bisous, people.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Nonsense / Vai alla pagina dell'autore: _Ellie_